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Orientamenti per una pastorale degli zingari - Sollecitudine della Chiesa

Orientamenti per una pastorale degli zingari

Cap II - Sollecitudine della Chiesa

Sommario

Sollecitudine della Chiesa 

21.      Non si può dimenticare comunque che dalla seconda metà del secolo scorso v’è stato, da parte dei Pastori, un progressivo avvicinamento agli Zingari, avviandosi in alcuni Paesi una pastorale specifica a favore di questa popolazione. Il Concilio Vaticano II ha inoltre esortato i Vescovi ad avere «un particolare interessamento per quei fedeli che, a motivo delle loro condizioni di vita, non possono godere dell’ordinario ministero dei parroci o sono privi di qualsiasi assistenza» (CD 18), e fra questi fedeli sono annoverati anche «i nomadi». Un tale particolare interessamento è stato confermato da Paolo VI, quando, nel celebre incontro di Pomezia, già ricordato, così si è rivolto agli Zingari: «voi siete nel cuore della Chiesa»! La dignità cristiana, nella loro condizione, ha ricevuto poi un ulteriore riconoscimento con la beatificazione di Zeffirino Giménez Malla (1861-1936), detto “il Pelé”, uno Zingaro spagnolo appartenente al gruppo nomade dei Kalós.

 La strada dell’evangelizzazione, di un’autentica riconciliazione e di comunione Zingari-gağé, non può tuttavia che partire dalla riflessione biblica, alla luce della quale trova una sua cristiana intelligenza anche il loro mondo. Occorre perciò, a questo punto, fare una lettura attenta della Sacra Scrittura, affinché ci conduca anche ad un retto inserimento della pastorale degli Zingari nel contesto della missione della Chiesa. 


Alleanza di Dio e itineranza degli uomini 

22.      La figura del pastore e della sua prevalente vita itinerante trova un posto privilegiato nella rivelazione biblica. All’origine del popolo d’Israele spicca Abramo che riceve, come prima indicazione di Dio, quel «vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò» (Gn 12,1). Abramo «partì senza sapere dove andava» (Eb11,8), e d’allora in poi la sua vita fu segnata da continui spostamenti, «di accampamento in accampamento» (Gn 13,3), «abitando sotto le tende» (Eb 11,9) come straniero (cfr Gn 17,8), consapevole che pure i suoi immediati discendenti sarebbero «forestieri in un paese non loro» (Gn 15,13). Nelle conferme del patto d’alleanza di Dio con Abramo, l’immagine dell’itinerante si trova quale segno privilegiato della controparte umana: «cammina davanti a me e sii integro» (Gn 17,1).

23.      Il popolo eletto è posteriormente affidato alla guida di Mosè, che, «divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere per breve tempo del peccato» (Eb 11,24-25). Mosè ricevette dal Signore il compito di liberare gli israeliti dalla schiavitù dell’Egitto per portarli alla Terra promessa, e ciò si realizzò attraverso un lungo andare, durante il quale essi «vagavano nel deserto, nella steppa, (e) non trovavano il cammino per una città dove abitare» (Sal 107,4).

 Proprio in questo contesto itinerante avvenne la conferma dell’alleanza di Dio con il suo popolo, sul monte Sinai. Essa rimase rappresentata dall’arca contenente i simboli dell’alleanza, arca che si sposta con il popolo e lo accompagna nel cammino verso la Terra promessa. In queste condizioni, anche se assaliti da fame e sete, dall’inimicizia e dalla non‑accoglienza da parte dei popoli circostanti, gli ebrei trovano la protezione e la predilezione di Dio, e ciò sarà ricordato e cantato posteriormente nei salmi, così: «Dio, quando uscivi davanti al tuo popolo, quando camminavi per il deserto, la terra tremò, stillarono i cieli davanti al Dio del Sinai, davanti a Dio, il Dio di Israele» (Sal 68,8‑9). La nostalgia di questi tempi che forgiarono l’anima d’Israele è conservata sempre viva in quelli successivi, evocata dai pellegrinaggi che gli Ebrei erano tenuti a fare verso la Città dove nel Tempio era custodita l’arca dell’alleanza.

24.    L’itineranza è peraltro una caratteristica dell’atteggiamento d’ogni uomo nel suo rapporto con Dio. Per i salmi «l’uomo d’integra condotta» è colui «che cammina nella legge del Signore», che «cammina per le sue vie» (Sal 119,1.3), «nella terra del ... pellegrinaggio» (Sal 119,54). «Colui che cammina senza colpa» (Sal 15,2) esperimenta quanto Dio lo «rinfranca» e lo «guida per il giusto cammino» (Sal 23,3). Su questa scia, Paolo ci ricorderà che «finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore» (2 Cor 5,6).

 Anche il mistero di Cristo è presentato dalla Sacra Scrittura come un esodo, quello del Figlio dal Padre, nel mondo, e del suo ritorno al Padre. La vita terrena di Gesù è segnata, già dal suo inizio, dall’itineranza, nel fuggire dalla persecuzione d’Erode verso l’Egitto e nel ritorno a Nazareth. Il vangelo di Luca attesta, inoltre, i suoi annuali pellegrinaggi al Tempio di Gerusalemme (cfr Lc 2,41), e il suo intero ministero pubblico è scandito dagli spostamenti da una regione all’altra, fino al punto che «il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt8,20). Il medesimo mistero pasquale è addirittura introdotto, dal vangelo di Giovanni, come la sua ora «di passare da questo mondo al Padre» (Gv 13,1). Gesù è consapevole che era venuto da Dio e a Dio ritornava (cfr Gv 13,3). Da questo esodo del Figlio inviato dal Padre per opera dello Spirito Santo, anche l’uomo è interpellato a mettersi in cammino in un "esodo pasquale" verso il Padre.

25.     L’esodo, dunque, non è ancora concluso poiché «la storia della Chiesa è il diario vivente di un pellegrinaggio mai terminato» (IM 7). In continuità con la tradizione veterotestamentaria e con la vita di Cristo, che «ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni», pure la Chiesa, Popolo di Dio in cammino verso il Padre, «è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza» (LG 8). Come «nuovo Israele dell'era presente, che cammina alla ricerca della città futura e permanente (cfr Eb 13,14)» (LG 9), essa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio» e «nel suo cammino attraverso le tentazioni e le tribolazioni è sostenuta dalla forza della grazia di Dio» (LG 9). La Chiesa, in definitiva, rivela una mobilità, testimoniata dalla sua indole escatologica, che ne alimenta la tensione polare versol’eschaton del suo compimento. Anche la condizione del singolo cristiano è per conseguenza come un grande pellegrinaggio verso il Regno di Dio: «dalla nascita alla morte, la condizione di ognuno è quella peculiare dell’homo viator » (IM 7). 


Vita itinerante e prospettiva cristiana 

26.      Ne deriva così che la condizione itinerante, sia nella sua oggettiva realizzazione, sia come visione di vita, diventa un richiamo permanente di quel «non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura» (Eb 13,14). Essa si configura come un segno ecclesiale ancorato saldamente alla rivelazione biblica, trovando nel tessuto vivo della Chiesa le sue diverse forme esistenziali. Fra tutte queste va annoverata quella incarnata nella vita degli Zingari, tanto nelle sue variegate realizzazioni storiche quanto nelle odierne circostanze.

27.      Fra i valori, che, in un certo modo, definiscono il loro stile di vita, spiccano, infatti, rassomiglianti tratti biblici. Segnata poi dalla persecuzione, dall’esilio, dalla non‑accoglienza, anzi dal rifiuto, dalla sofferenza e dalla discriminazione, la storia zingara si è forgiata come un andare permanente, che distingue lo zingaro dagli altri e lo conserva nella sua tradizione nomade, sicché egli non si lascia trascinare, in genere, dall’influsso dell’ambiente circostante. Si è così configurata un’identità, con la sua cultura, le proprie lingue, la sua religiosità e le proprie abitudini e con un senso forte d’appartenenza e relativi legami. Grazie agli Zingari e alle loro tradizioni, l’umanità si arricchisce dunque di un vero patrimonio culturale, trasmesso soprattutto attraverso la vita nomade. Infatti «la loro saggezza non è scritta in nessun libro, ma non per questo è meno eloquente». 

28.      Abbandonati spesso dagli uomini ma non da Dio, gli Zingari hanno posto la loro fiducia nella Provvidenza, con una convinzione così profonda da potersi qualificare parte della loro “natura”. La vita zingara è in fondo una testimonianza viva di una libertà interiore di fronte ai vincoli del consumismo e delle false sicurezze fondate sulla presunta autosufficienza dell’uomo. Peraltro non va dimenticata la saggezza popolare che dice: “Aiutati, che Iddio ti aiuta”.

 La loro itineranza è comunque un richiamo simbolico e permanente al cammino della vita verso l’eternità. In un modo del tutto speciale essi vivono, cioè, quello che tutta la Chiesa dovrebbe realizzare, vale a dire l’essere continuamente in cammino verso un’altra Patria, la vera, l’unica, pur dovendo ciascuno impegnarsi nel quotidiano lavoro e dovere. 


Cattolicità della Chiesa e pastorale per gli zingari

29.      Ne dovrebbe seguire una sollecitudine specifica della Chiesa verso questa popolazione. Come gruppo particolare del Popolo pellegrinante di Dio, esso merita in effetti un atteggiamento pastorale speciale e un apprezzamento dei suoi valori. Ma più ancora, tale pastorale è richiamata e richiesta come esigenza interna della cattolicità della Chiesa e della sua missione. Con Cristo, infatti, da cui essa procede, scompare ogni tipo di discriminazione. Egli «è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, ... per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia» (cfr Ef 2,14 ‑16).

30.      Nella Chiesa, quindi, strumento della missione del Signore, che in essa continua presente, «tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio» (LG 13). La Chiesa ha la vocazione a essere fermento in tutte le nazioni della terra, poiché di mezzo a tutte le stirpi il Signore prende i cittadini del suo regno che per sua natura non è della terra, ma del cielo (cfrLG 13). In essa ogni persona deve trovare accoglienza, senza spazi per l’emarginazione, per l’estraneità. In effetti la Chiesa si rivolge in modo particolare «ai poveri e ai sofferenti, prodigandosi volentieri per essi (cfr 2 Cor 12,15). Infatti condivide le loro gioie e i loro dolori, conosce le aspirazioni e i problemi della vita, soffre con essi nell'angoscia della morte» (AG12).

31.      La cattolicità della Chiesa, poi, benché contenga la vocazione a raggiungere ogni uomo di qualsiasi condizione, non è unicamente estensiva ma, più interiormente e decisivamente, qualitativa, con capacità, cioè, di penetrare nelle diverse culture e di fare proprie le angosce e le speranze di tutti i popoli, in modo da evangelizzare, arricchendosi, contemporaneamente, delle variopinte ricchezze culturali dell’umanità. Il Vangelo, uno e unico, va dunque annunciato in modo adeguato, tenendo conto anche delle diverse culture e tradizioni, proseguendo così nel «movimento con cui Cristo stesso, attraverso la sua incarnazione, si legò a quel certo ambiente socio-culturale degli uomini in mezzo ai quali visse» (AG 10). 

32.      Un tale radicamento cattolico fa sì che ogni eventuale forma di discriminazione, nello svolgimento della sua missione, risulterebbe un tradimento della propria identità ecclesiale. Sulle orme del suo Fondatore – l’Inviato da Dio «per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18‑19) –, la Chiesa cerca dunque mezzi sempre più adeguati per annunciare agli Zingari il Vangelo in modo vivo ed efficace. Di nuova evangelizzazione si tratta, alla quale così spesso ci invitava Papa Giovanni Paolo II.

33.      Dalla dimensione cattolica della missione sgorga, infatti, quella capacità ecclesiale di trovare e di sviluppare le risorse necessarie per venire incontro alle molteplici forme sociali in cui le comunità umane organizzano la loro esistenza. In questo modo la salvezza è a disposizione di tutti. Memore dell’avvertimento paolino – «guai a me se non predicassi il vangelo!» (1 Cor 9,16) –, la Chiesa non risparmia quindi sforzi e sacrifici per raggiungere di fatto tutti gli uomini. È una storia segnata altresì dall’iniziativa e dalla creatività per rendere più incisivo l’annuncio, sfidando spesso mentalità e strutture che il tempo ha rese obsolete.

 Le attuali circostanze in cui si trovano gli Zingari, poi, sottomessi ai vertiginosi cambiamenti della società contemporanea, al materialismo selvaggio e a false proposte, che pur si richiamano al Trascendente, imprimono un’urgente spinta all’azione pastorale, in modo da evitare in essi sia la chiusura statica in se stessi, sia la fuga verso le sette o la dispersione del proprio patrimonio religioso, inghiottito da un materialismo che soffoca ogni richiamo al Divino.