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Lettere agli amici   2006 - 2010

Lettere agli amici   2006 - 2010

Sommario

2010

Gabu 

India - dicembre 2010   

Carissimi,

Per questo Natale, come ho fatto altre volte, vi parlo di un altro collaboratore, anzi, molto più che collaboratore. Appartiene al gruppo nomade dei Bhill, tra i quali abbiamo 72 scuole mobili con doppio turno. Lavorano sodo, e Gabriele si è occupato per almeno 60 anni a fare il Catechista.

Ecco la storia:      

Ero arrivato ad un villaggio della zona forestale nella Diocesi di Sagar.

Mi avevano detto che Gabriele si trovava là. Lo stavo cercando da tempo. Avevo sentito parlare di lui, ma non l'avevo ancora incontrato personalmente. In quella missione c'era una piccola comunità di suore e Padre Davide. Mi indicarono dove stava il Gabriele che aveva appena iniziato un'ora di catechismo con una decina di bambini, che mi pare fossero di un piccolo orfanotrofio. Mi sedetti ad ascoltare. Gabriele non si distrasse della mia presenza, mi fece un mezzo sorriso quando mi unii al gruppo, e basta. Quello che stava facendo era troppo sacro per essere disturbato da uno, per di più sconosciuto, che si stava aggiungendo al suo pubblico. Parlava di Nabucodonosor e ne parlò per un'ora. Io non comprendevo una sola parola della lingua Bhili in cui stava parlando, e forse conoscevo appena una ventina di vocaboli di Indi. Non ho perso un suono della sua voce. I bambini erano incantati, e io ipnotizzato. Alcuni nomi conosciuti di quella storia mi facevano rimanere giusto tra le rotaie del suo discorso. Poi seguivo la sua voce che si abbassava, riprendeva tono, diventava normale, Sadràch, Mesòch, Abdènego, Oh, quei tre giovani con una grande fede! Poi un suono a voce altissima, la condanna, e poi un suono di incanto e di stupore, ovviamente era la scoperta dei tre giovani vivi in mezzo alla fornace di fuoco che lodavano Dio. Poi un suono di terrore accompagnato dal gesto della mano, certo era quella mano misteriosa che scrisse sulla parete. Più avanti ancora una voce e un segno di benedizione, probabilmente su Daniele prima di essere buttato nella fossa dei leoni, poi le due mani alzate e un altro grido di incanto, Daniele liberato dalla fossa dei leoni. Ovviamente il tutto era intervallato da brevi canti o da ritornelli ripetuti anche dai bambini, perché questo era lo stile di Gabriele, oggi adottato in molte Diocesi. Quel giorno, ascoltando il grande catechista, mi resi conto per esperienza che Gabriele parlava la lingua dello Spirito Santo, quella che il giorno di Pentecoste, 2000 anni fa, era stata inaugurata dagli Apostoli e Maria: quella lingua che tutti capivano. Finita la lezione, avevo già cominciato a conoscere la parte più preziosa di lui, perché a quell'uomo, se avessero tolto il Catechismo, di lui non sarebbe rimasto nulla. Iniziò comunque quel giorno un'amicizia che durò fino alla sua morte. Erano troppi anni che Gabu (così lo chiamavamo gli amici intimi) non incontrava più un sostegno umano da parte di qualche rappresentante di Chiesa. Sì, era stato perdonato, ma non dimenticata la notte della sua vita. Quando era ancora ventenne, essendo già molto conosciuto nel gruppo Bhill a cui apparteneva, si presentò in una campagna elettorale, invitato dalla stessa Indira Ghandi e incoraggiato dalla Chiesa locale. Tutti capivano che se avesse vinto, l'intero gruppo Bhill, che è un gruppo nomade tribale, sarebbe stato beneficiato. Avvenne il contrario: in due settimane appena un avversario politico passò di corsa in tutti i villaggi dove il Gabriele era stato, dicendo semplicemente: "Se Lui vince vi farà diventare tutti cristiani". E si può comprendere molto bene che se a un gruppo tribale dici che qualcuno gli farà perdere la religione, qualunque essa sia, quell'uomo non avrà più nessun appoggio e la campagna elettorale di Gabriele colassò. In quel momento, invece di dare il sostegno necessario, gli amici si ritirarono. Anche alcune autorità della Chiesa, che avrebbero potuto e dovuto aiutarlo economicamente, per non farlo, preferirono dire che aveva sbagliato tutto lui, ed essendo così giovane non poteva evitare di fare degli errori di tipo politico, economico e di valutazione. Diventò matto, braccato come una lepre dai creditori, dovette fuggire in esilio, nella regione forestale, dopo aver tentato in tutti i modi di soddisfare questo suo dovere di giustizia, anche perché i creditori non ragionavano più e non capivano che non potevano prendere nulla da una borsa vuota, e così dovette scappare. Ma è proprio a questo punto, proprio quando diventa uno straccio buttato via da tutti, che inizia la sua ascesa alla santità, quella che, pur nella fatica, non troverà più intoppi fino alla fine. Non rinunciò mai a fare catechismo, e da quell'animo che ci ricorda Abramo fuori della sua terra, senza appoggi umani, circondato da nemici e vecchio e con una promessa di Dio sempre rimandata, Mosè dopo aver perso la testa e ucciso un egiziano, braccato e fuggito dalla casa reale alla casa di suo suocero a fare il pastore, o Davide dopo i suoi delitti che piange e canta il più bel grido umano di perdono, così tra le lacrime Gabu riprende a cantare. Aveva già composto tanto mentre era giovanissimo, ma adesso i suoi canti che serviranno ad arricchire la sua catechesi per ancora più di sessant'anni diventano più profondi e belli proprio perché nascono da un cuore più sofferto e solo abitato da Dio. Compose oltre 600 canti, molti dei quali sono pubblicati in libri o registrati in cassette e ascoltati o cantati nelle chiese da migliaia di Bhill. L'anno prima che il Gabu se ne andasse in Cielo, dopo una settimana di scuola catechistica per quaranta insegnanti della Pacni (Pastorale dei Nomadi in India) tenuta interamente da Gabriele avevamo programmato insieme di registrare alcuni dei suoi principali canti. Si preparò nel Centro Pastorale di Bhopal uno studio provvisorio, ma sufficientemente attrezzato. Con un gruppo di cinque Bhill della Diocesi di Jabua abbiamo realizzato quattro cassette registrate in una settimana. Tutti i canti sono stati introdotti con alcune frasi di commento da Gabriele stesso e un fatto interessante è stato che mentre i circa ottanta canti sono stati tutti ripetuti, riprovati e registrati diverse volte, per un'intera settimana, il commento di Gabu è stato sempre così sicuro e chiaro da non aver avuto bisogno di una sola ripetizione. Di fronte al microfono entrava per così dire in trans e non poteva sbagliare.

Una volta eravamo nella zona forestale di Guna e da poco era morta la sua carissima sposa. Mi chiese di celebrare una messa per Lei, proprio solo noi due. Quella volta non voleva animare la celebrazione, ma sembra che volesse essere animato solo lui dalla sua carissima sposa e madre dei suoi cinque figli, di cui due suore. Sembrava che durante quella celebrazione non fosse sulla terra, ma già insieme a lei, in Cielo. Lui stesso mi aveva detto di celebrare nella lingua che avrei preferito e lui avrebbe fatto altrettanto per i canti. Non potevo immaginare che tipo di canto avrebbe scelto per quella circostanza. Dopo il segno della croce iniziale e il saluto liturgico, in quella capanna di paglia in mezzo alla foresta, Gabriele buttò le mani sull'armonium e iniziò: "Kirie eleison, Christe eleison..." era la messa per defunti tutta in latino e in gregoriano. Per me era più facile conoscerla perché l'avevo imparata in Seminario dove si studiava rigorosamente il latino, ma lui come faceva a conoscerla? Il fatto è che quando si trattava di musica e canto religioso ne sapeva di tutto e di più. Oltre essere un grande artista era anche un grande mistico. Si leggeva questo fatto nel contenuto dei suoi canti, nella sua catechesi e nella sua preghiera: pregava molto, pregava sempre e faceva pregare. Quando parlava di Dio, a lui non interessava chi gli stava di fronte, se era indù mussulmano o buddista. A tutti, lui predicava il Vangelo. Guai se non avesse predicato Gesù Cristo! Non c'erano fondamentalisti fanatici che lo potessero far tacere (poiché ho parlato diverse volte di proselitismo nelle mie lettere, voglio precisare che i politici, di per sé, non hanno particolari ragioni di vietare le conversioni tra i tribali, semplicemente perché non sono considerate nemmeno persone). Gabriele comunque aveva acquistato una tale autorità che si poteva permettere di predicare il Vangelo a tutti, sempre, a tempo opportuno e non opportuno, come ci ricorda lo stesso San Paolo. Un giorno, proprio là in quella porzione di foresta, a due ore da Sagar, dove vivevano molti Barelas e Bilalas seminomadi, è arrivato il Sindaco della regione: un indù, per dir poco, fanatico. Quell'uomo venne con guerra dichiarata a Gabriele, anche perché in quella regione si parlava molto sul fatto che si lasciasse quest'uomo così libero di parlare e di fare proselitismo, mentre si riusciva a chiudere facilmente la bocca agli altri. Dal modo in cui iniziò si capiva che doveva aver molte cose da dire al nostro predicatore, che per annunciare il Vangelo non andava proprio a chiudersi nelle catacombe. Il Sindaco, con il suo gruppetto di politici, appena arrivato disse con energia al Gabriele: "Sa che io non sono per nulla contento di quello che fai e dici". Di risposta il Gabriele disse: "E anch'io non sono per nulla contento di quello che fai e dici". Il sindaco partì senza risposta, senza saluto e penso molto umiliato.

Ho da poco parlato dell’Associazione ecclesiale Pacni. Fin dai primi anni, mentre cercavo di coinvolgere la Chiesa locale indiana ad occuparsi dei Nomadi di qualunque gruppo tribale, ho trovato in Gabriele Damor il maggior sostenitore di quella Istituzione parzialmente presente in molte regioni del mondo (voluta dal Papa stesso), e a cui fa capo, in Vaticano, il Consiglio della pastorale dei Migranti e Itineranti.

Ma Gabriele era arrivato molti anni prima a fare pastorale tra i nomadi Bhill, per i quali aveva un’ esperienza unica, e noi lo ascoltavamo sempre con incanto. Quando negli incontri nazionali prendeva la parola, lo faceva sempre con autorità unica, e la sua parola d'ordine era sempre la stessa, presentata ogni volta con creatività e freschezza. Qualcuno dice che nella vita noi tutti non abbiamo più di due o tre parole da comunicare e testimoniare con la nostra esistenza. Ebbene, Gabriele, di parole importanti da dire ne aveva solo una: "Gesù Cristo". Ricordo le sue due ultime conferenze al nostro incontro nazionale che mi lasciarono una grande impressione, perché lui era già molto malato. Registro, in questa pagina, solamente la mia testimonianza dell'ultimo suo intervento. A causa della malattia, faceva una grande fatica a camminare, e non solo. Al tavolo del microfono lo accompagnammo sostenendolo al braccio con molta forza . Impiegammo diversi minuti a salire quei tre scalini. Sembrava un uomo finito che saliva la cima del Calvario dopo essere stramazzato tante volte sotto le croci della vita.

Anche se in quello stato non sarebbe più certamente riuscito a dirci nulla, o semmai a sussurrarci qualcosa, noi lo stavamo accogliendo con infinita compassione e rispetto, non fosse altro per gratitudine al suo passato, in cui ci era stato maestro tante volte. Direi che in molti stavamo male per lui e avremmo voluto potergli dare un poco della nostra forza affinché riuscisse almeno a dire qualche parola. Finalmente riuscì a sedersi. Ogni movimento era diventato una fatica. Si appoggiò lentamente. Sistemò la croce grande del suo rosario, che portava al collo da diversi anni. Si strinse le mani appoggiate al tavolo. Respirò a lungo, sembrava per prendere quelle ultime forze che gli restavano, per almeno sussurrarci qualcosa.. C'era un silenzio assoluto tra quel centinaio di presenti: tre Vescovi, molti preti, suore e alcuni rappresentanti delle comunità nomadi. Tutti disposti a sentire anche nulla, ma eravamo lì e lui non aveva fretta. Ad un certo punto cominciò a battere le mani con energia, ritmando uno dei suoi canti addirittura gridato e noi, colti di sorpresa, cominciammo con un applauso che non disturbò per nulla Gabriele: anzi, immediatamente lui trasformò il nostro applauso in ritmo per il suo canto e ci fece subito ripetere il ritornello. Era una musica orecchiabile e quindi tutta l'assemblea che conosceva l'Indi accompagnò il canto, mentre gli altri ritmavamo con il nostro applauso. Erano molte strofe. Senza interruzione cominciò a parlare a voce alta, sicura come erano sicure le cose che ci doveva dire. Noi ci aspettavamo semmai un fragile Canto Del Cigno, ma ci arrivò addosso un ruggito di leone. Le ossa erano rotte ma il fuoco dentro era una fornace. In quell'assemblea cristiana c'erano alcuni Indù, un Musulmano e alcuni animisti. Ci si aspetta in questi casi un poco di diplomazia e di attenzione, ma il Gabriele aveva perso questo "buon senso" sostanzialmente fatto di paure e di convinzioni non sempre radicate sufficientemente nella fede: "Abbiamo già aspettato troppo a predicare Gesù Cristo!" era questo il filo del discorso. "Abbiamo già avuto troppa paura a predicare il Vangelo che è così vero, da doversi annunziare a tempo opportuno e non opportuno. Gesù è morto per noi e noi abbiamo paura a dirlo? E' risuscitato e ci ha mandato a battezzare nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo e solo perchè qualcuno ci ha detto che non lo possiamo annunciare perché hanno già le loro divinità da predicare noi stiamo in silenzio?" (si capiscono di più queste parole se si pensa che Gabriele entrò nello stato del Rajasthan quando non c'era un solo cristiano e alla sua morte quattro Diocesi erano state costituite ed essendo una regione quasi tutta tribale Gabu poté lavorare indisturbato anche perché doveva vivere in queste regioni autoesiliato). Continuando il discorso, Gabu concluse: " Nessuno dei loro dei è morto sulla croce per noi, ma solo Gesù Cristo" Anche i religiosi che hanno una certa allergia ai temi di Chiesa perché sono immersi nel lavoro sociale, sbloccarono le loro mani e applaudirono. E Gabriele li conosceva bene: "Certo, dobbiamo dare da mangiare a chi non ne ha, da bere a chi è assetato, vestire chi è nudo, visitare i carcerati. Sì, tutto questo è comando del Signore, ma se non predichiamo che Gesù Cristo ci ha salvato, che con la Risurrezione inaugura la vita eterna anche per noi e che la morte non esiste più, e ancora: se non predichiamo tutti i suoi comandi, finiamo per lasciare i poveri con un pezzo di pane in più ma nella povertà dell'ignoranza religiosa che è cosa ben peggiore". Parlò circa quaranta minuti sottolineando con parole diverse e sempre creative l'annuncio di Gesù.

Fu quella l'ultima volta che l'incontrai, poi venni in Bangladesh e ancora in Italia come faccio tutti gli anni, da tanti anni. Quando tornai in India incontrai solo più le reliquie del suo corpo, ma la sua anima, la sua amicizia, il suo canto, la sua catechesi erano rimaste intatte in me come il cristallo. E adesso che lo conoscete un poco anche voi, possiamo dire insieme: " San Gabriele, prega per noi!"

Don Renato 

Lettera a un gruppo di seminaristi indiani 

Giugno 2010

Carissimi, voi e i vostri teologi vi siete giustamente lamentati più volte della colonizzazione e oppressione dell’ Occidente, del nostro assolutismo, delle nostre cosmovisioni chiuse, preoccupati delle parole, delle filosofie di sostegno e delle teologie che non lasciano facile spazio a una lettura del Vangelo più incarnata e inculturata nel vostro mondo così pluralistico in quanto a gruppi etnici, culture, filosofie e religioni che arricchiscono in un modo unico il vostro Paese.    

Noi siamo un Paese vecchio, cresciuto all’ombra dell’imperialismo. Già i Greci organizzarono l’Impero coinvolgendo tutte le fasce sociali. I Romani, poi, aggiunsero a quella esperienza , meno intelligenza, ma più forza fisica. Di conseguenza, oppressione e servitù furono fuse in un unico organigramma sociale che non lasciava spazio a nessuna forma alternativa di governo.       

Il Cristianesimo arrivò in questo contesto e forse con il tentativo di inculturarsi assimilò questa cultura stessa con conseguenze catastgrofiche. Già al terzo secolo della nostra Era, con Costantino la religione e l’Impero si fusero, così il potere militare e quello religioso, la Chiesa e lo Stato diventarono un tutt’uno. Con il Feudalesimo medioevale questo corpo governativo entrò ancora di più in tutti i segmenti della Società, dando a una nostra classe di persone l’illusione di essere tutti Re e Principi: tutti costoro potevano deliberatamente governare e opprimere la grande massa di servi e schiavi. Così Dio e Denaro, Gloria di Dio e Potere si fusero nella nuova immagine di Cristianesimo. Il Servo sofferente diventò preferibilmente un Re di Gloria e la Serva di Nazareth diventò la Regina degli Angeli. In questo modo il cristianesimo, nelle nostre contrade cominciò a soffocare.        

In questo contesto è ovvio che la nostra Europa appena ha avuto l’occasione di sottomettere altri popoli attraverso la colonizzazione lo fece ormai con una esperienza di dominazione secolare.     

L’Europa non tardò ad arrivare  anche nei vostri territori essendo ormai professionista in dominazione. In quel contesto quando i missionari arrivarono in Asia che tipo di cristianesimo potevano portare? Anche i militari (diventati “cristiani”) erano degli oppressi che avevano imparato ad opprimere. In alcuni Paesi l’impatto fu anche più violento di quello asiatico. Per esempio in Brasile nove milioni di tribali locali uccisi dalle armi, dalla schiavitù e dalle malattie importate furono sostituiti da nove milioni di tribali negri schiavi. In ogni caso anche se questi fatti variano da paese a paese bisogna riconoscere che tutte le colonizzazioni privando della libertà privano della vita. Anche la Teologia cristiana incatenata in questo processo storico culturale non era in grado di esprimere che cosa realmente era nella sua radice profonda e che cosa era il Fuoco del Vangelo che avrebbe dovuto incendiare il mondo. In ogni caso oggi tra di voi c’è uno sforzo di ampie dimensioni per rielaborare una teologia nuova in contesto asiatico.       

E’ vero che anche studiosi indiani riconoscono che nell’impatto anche se violento  della cultura indiana con quella occidentale non sono mancati dei fattori positivi come in tutti gli scambi di culture avvenuti nella storia, ma in questo momento mi fermo semplicemente a riflettere con voi su un fatto che è quello dell’importazione di un cristianesimo non genuino nelle vostre terre. Infatti, per fortuna, alcuni teologi fanno lo sforzo di liberare la religione cristiana dall’immagine di un Cristo “invasore”, un “Giulio Cesare reliogioso”, un “Cristo coloniale”.        

In questo dialogo che io cerco di fare con voi, io figlio di un Paese invasore insieme ai miei fratelli e sorelle dobbiamo pur chiedere un aiuto ai vostri teologi e Vescovi. In primo luogo vorremmo chiedervi che rifiutando un “Cristo coloniale” o un “Vangelo coloniale” non pensaste che questa immagine distorta vada solo più bene per noi. Se l’immagine non e’ vera non va più bene a nessuno. Il Vangelo che avete ricevuto nelle vostre scuole teologiche è lo stesso che abbiamo ricevuto noi in Italia, Francia, Germania,  etc., quindi il lavoro che fate per lAsia, per favore non fatelo solo per voi. Voi sapete che un oppresso il quale cerca solo di liberare se stesso e non di liberare anche il suo oppressore non compie una liberazione integrale quindi non può dopo aver chiesto questo aiuto, pur sapendo che i nostri contesti, le nostre storie, le nostre culture sono diverse e quindi anche le nostre teologie potranno variare, dovremo continuare ad aiutarci a vicenda.    

Se la teologia dell’Asia non potrà parlare anche all’Europa e viceversa, sarà  una teologia insufficiente. Non vorrei che interpretaste quello che dico come un “tutto è mondo e paese”. Certo l’allucinante periferia di Lima e i villaggi poveri peruani hanno aiutato Guttierez a impostare una teologia della liberazione adatta  certamente  a quel paese, ma tenendo conto che quella metodologia potesse essere utile anche per altri paesi come di fatto lo diventò in Brasile e in molte regioni del mondo che avevano in commune con il Perù, miseria, oppreassione e desiderio di liberazione. La stessa cosa ce l’aspettiamo da voi. Noi ci aspettiamo una teologia asiatica che però non sia solo per l’Asia. A questo punto bisognerebbe fare una breve riflessione su questa parola Asia. Forse l’Asia non esiste più o non è mai esistita come un corpo unico con determinate costanti importanti che si ripetano. L’Asia è un insieme di mondi per cui si potrà parlare delle teologie asiatiche e non di una teologia dell’Asia; infatti una teologia che rispetta l’anima del Bangladesh, Pakisthan, Iran, Irak e Afganisthan fa più fatica ad essere accolta nel Nepal e le tradizioni  di fedi asiatiche che propongono cammini di meditazione come Zen, Yoga, Vipasana, Samadhi e altri si troveranno più a disagio in Medio Oriente o nelle Filippine o in Mongolia. E che dire dell’India, di questo vostro Paese con miliaia di grppi tribali, lingue ,culture, sensibilità, sistema di caste. Solo in questo vostro Paese avrete bisogno di ridefinire in miliaia di modi diversi le teologie classiche o quelle che avete ricevuto dall’occidente e crearne delle nuove. Per questo spero che  i Vescovi e i teologi dell’Asia non si rifiutino di dare nuovi impulsi e nuove direttive ai nostri vecchi paesi occidentali.   

Ecco un esempio concreto di lavoro che ci aspettiamo da voi e solo voi ci potete dare:  per noi europei rimane ancora molto difficile capire a fondo alcune realtà come le diverse religioni con i loro limiti e le loro ricchezze e metterci in dialogo con esse. Nelle città europee abbiamo migliaia di mussulmani, ma questo fatto è diverso dal vivere in un paese islamico come succede a molti di voi , dove cinque volte al giorno tutti i minareti delle moschee scandiscono i tempi della preghiera. Voi potete capire il mondo islamico in un altro modo. Gli Indù che oggi vivono nelle città europee, privati dei loro tradizionali templi, delle loro feste, dei loro interminabili pellegrinaggi, dei loro luoghi di meditazione fanno fatica a comunicare a noi cristiani europei la loro identità e di conseguenza noi facciamo fatica a dialogare con loro come facciamo fatica a dialogare con i Buddisti, gli Animisti etc. Voi cristiani di Asia e più ancora voi seminaristi vivendo a contatto con milioni di fratrelli e sorelle  appartenenti a queste religioni appena menzionate, voi sì, potete incontrare le coordinate giuste per impostare un dialogo sereno, autentico e arricchente con queste religioni. Fatto questo sforzo voi potrete aiutare noi a dialogare con questi gruppi ancora troppo stranieri nei nostri paesi occidentali.    

Dopo aver detto che la vostra teologia del dialogo dovrà aiutare anche noi, voglio toccare il punto che tutti i documenti della FABC prendono in considerazione: i poveri. Le masse di giovani, donne, bambini e adulti che vivono sotto la linea della povertà vi hanno certamente interpellato e pure noi abbiamo bisogno dei vostri stimoli e delle vostre soluzioni. Noi  pure conosciamo le povertà europee e indirettamente anche le vostre, ma voi a contatto di sacche umane di milioni di poveri o ancora molti di voi che hanno sentito bruciare sulla propria pelle il dramma della povertà, voi appunto potete dire molto di più alla nostra fede cristiana.   

In questi 2000 anni in occidente ci siamo accorti che accogliere con verità il Vangelo di Gesù: era troppo difficile e scomodo, per questo ad un certo punto il nostro modo di vivere pagano, superficialmente sfiorato dalla novità del cristianesimo, questo modo di vivere incoerente e schizofrenico abbiamo finito per chiamarlo cristianesimo ugualmente. Nella  nostra cultura europea, in 2000 anni , la pagina centrale delle Beatitudini non ha trovato posto: ognuna delle otto Beatitudini nella nostra cultura è chiamata disgrazia (ho parlato di  cultura e non di comportamenti singoli come quelli di tanti santi). La stessa croce di Gesù è considerata grazia perchè è “sua croce”, ma quando siamo invitati a seguire il Signore portando noi la “nostra croce” non siamo più d’accordo a chiamare questo supplizio con il nome di grazia.     

Per continuare a dirvi quanto poco siamo cristiani aggiungo che si e’ persino discusso tra noi se togliere o lasciare il segno della croce alle pareti dei luoghi pubblici, mentre avremmo dovuto preoccuparci se la croce di Cristo era presente o no nella nostra vita. Per continuare a dire quanto poco sia entrato nella nostra vita il cristianesimo sottolineo il fatto che ci siamo abituati a vivere con le povertà di diverso tipo in casa nostra  e altre miserie a poche ore di distanza da noi stessi  senza però cambiar quasi nulla di sostanziale della nostra vita e tutto questo abbiamo continuato a chiamarlo cristianesimo.         

Cari amici, mentre dico che noi europei non siamo riusciti a diventare cristiani dico anche che voi non siete stati molto più fortunati. Da San Tommaso o i suoi discepoli voi avete ricevuto la predicazione apostolica, ma i risultati sono rimasti molto simili ai nostri. Noi  per esempio, in occidente, abbiamo creato le classi sociali che hanno diviso i battezzati e abbiamo chiamato cristiani gli uni e gli altri e voi avete creato le caste e chiamate cristiani entrambi. Quindi il problema rimane che in occidente e in  oriente noi battezzati non ci siamo ancora convertiti al cristianesimo vero. E se i “cattivi” lo fossero solo gli altri, coloro che non conoscono Gesù Cristo o i nemici della Chiesa, di fronte a una  nostra testimonianza autenticamente cristiana avrebbero tutto il tempo di convertire il loro cuore. E lasciatemi dire che se i cento mila Vescovi, Sacerdoti e religiosi/e che vivono in India si convertissero al cristianesimo vero diventerebbero un fuoco così irresistibile che incendierebbe tutta l’India. Se vedo un commerciante disonesto che non paga con giustizia gli operai, penso: “arricchire fa parte della sua struttura, il denaro in lui ha impresso il carattere e lui cerca sempre e solo gente da imbrogliare per arricchire”, ma quando in Asia trovo dei lavoratori in una casa vescovile che lavorano per 12 ore al giorno e per mandare i figli a scuola mangiano una volta sola al giorno, mi viene da pensare che se l’occidente ha insegnato ad opprimere, alcuni hanno imparato bene la lezione.    

Cari amici, continuo ancora a riflettere con voi su questo cristianesimo sbagliato che ci troviamo in troppi a vivere. Alcuni tra i vostri Vescovi e teologi dell’India e di altri paesi asiatici appena si sono accorti di aver ricevuto un cristianesimo non genuino, ma contraffatto si sono lamentati nelle loro riflessioni, incontri e libri. In poco tempo hanno moltiplicato i loro scritti per dire , a ragione, quanto erano delusi nei confronti dell’occidente che aveva importato un Cristo coloniale, un Cristo euro-ecclesiale; infatti erano invasori quelli che portavano il cristianesimo. La triste conclusione che si deve trarre è che in India proprio a causa della predicazione (a parole e con la propria vita) di un Cristo contraffatto che ha impedito di conoscere quello vero, proprio per questa ragione, oggi, appena il 2% degli indiani conosce il nome di Gesù Cristo e la maggior parte di questo 2% conosce un Cristo veramente miserabile come abbiamo spesso ripetuto. Gesù aveva parlato di misericordia, di amore, di amore ai nemici. Egli aveva parlato di giustizia, aveva proclamato le beatitudini  e aveva testimoniato con la vita un amore fino a morire per noi. Ebbene tutto  questo slancio di una Notizia nuova portata al mondo, questo fuoco che avrebbe dovuto incendiare l’universo rimase un mucchio di carboni accesi  già trecento anni dopo la predicazione di Gesù stesso. Fortunatamente i carboni rimangono accesi ancora oggi e di tanto in tanto qualche “buona legna” con il Vento imprevedibile dello Spirito Santo riaccendono fiamme di fuoco. i teologi indiani si lamentano che durante la colonizzazione hanno appunto ricevuto solo i carboni accesi e non quel fuoco vivificante, ma noi figli dei paesi oppressori abbiamo ricevuto la stessa immagine da altri che a loro volta hanno offerto lo stesso Cristo e lo stesso cristianesimo annacquato almeno negli ultimi mille e settecento anni. 

Nei primi  secoli sia noi in Europa che voi in India abbiamo avuto  il dono di ascoltare una genuina predicazione apostolica. Se abbiamo avuto una fortuna in più in Europa è stata la persecuzione contro i cristiani che ormai credevano alla resurrezione e a un amore incondizionato di Gesù; per questo ebbero la forza di lasciarsi uccidere a miliaia, nei circhi, divorati dalle belve di foresta o segati, impiccati, crocifissi o bruciati vivi come torce per illuminare la città a festa. I cristiani dei primi secoli (specialmente a Roma)  non temevano la morte e per la nuova fede erano disposti a tutto e intanto erano aumentati di gran numero. C’era infatti da aspettarselo che da un momento all’altro il cristianesimo potesse essere annacquato. Certamente avreste avuto anche voi miliaia di martiri se le stesse condizioni che si sono date in Europa si fossero manifestate anche in India. Ritorno a quel terzo secolo dopo Cristo, in Europa, perchè sappiate come si sono involuti i fatti. Nessuno dei cristiani poteva andare in guerra perchè i comandamenti di Gesù erano ancora chiari e se uno per gravi motivi avesse dovuto partecipare alla Guerra avrebbe dovuto promettere che non avrebbe ucciso nessuno. Ma arrivò Costantino -qualcuno dice- a liberare i cristiani. Prima; in realtà, con lui, finì il cristianesimo di fuoco. di lui chi andava in guerra era considerato fuori della Chiesa, mentre dopo di lui, solo chi era cristiano poteva fare la guerra e riceverne i benefici delle vittorie. Con i secoli, i Vescovi diventarono Principi e la  Chiesa un grande potere. Non erano riusciti a fare Re Gesù a Gerusalemme dove l’unica corona che gli avevano messo sul capo era stata una corona di spine, ma dopo qualche secolo Gesù fu fatto Re e Re di un Sacro Romano Impero. Regno, potere, onore e gloria vennero colorati con i colori puri del Regno di Dio, ma dentro c’erano appunto queste ossa di morti e così per tutti quei secoli, tante incoerenze umane furono colorate della santità del Vangelo. Per questo adesso giustamente i teologi indiani si ribellano a questo cristianesimo occidentale, ma essi sanno bene che già il Concilio Vat. II si era lamentato di questo cristianesimo troppo incoerente e prima ancora Giovanni XXIII che indisse lo stesso Concilio diceva che il volto della Chiesa doveva essere lavato. Ma già in questi due mila anni quante voci profetiche di tanto in tanto si sono levate a chiedere giustizia per la verità del Vangelo! E per riscoprire il Vangelo della prima ora, una delle riflessioni più  frequenti che i vostri Vescovi e teologi indiani fanno è l’attenzione ai poveri. I documenti ufficiali  di istituzioni della Chiesa di tutto il mondo sono a miliaia dove si parla di scelta preferenziale dei poveri, espressione non tipicamente cristiana, semmai è un primo passo. Fin quando faccio solamente la scelta dei poveri significa che io resto ancora dalla parte dei ricchi, mentre i poveri che scelgo continuano a rimanere dalla parte dei poveri. Anche alcuni testi ufficiali della nuova teologia Indiana non riescono a nascondere la fatica di pensare in un modo realmente nuovo. Anche in alcuni testi della FABC si è scritto che Gesù ha fatto la scelta dei poveri; no, non e’ vero! Io voglio sottolineare che Gesù non ha fatto nessuna scelta dei poveri, ma Lui ha fatto la scelta di essere povero. Lui ha messo la sua tenda in mezzo a noi e ha condiviso tutto della povertà umana eccetto il peccato. Quando  Gesù dice al giovane ricco di andare, vendere, distribuire e tornare, in altre parole dice: “quando sarai diventato povero, povero come questi apostoli che hanno lasciato tutto, allora potrai venire anche tu e far parte di questa comunità, di questo stile di vita, di questo Regno nuovo e diventare -  cristiano-”. E ancora in un testo della FABC (Arevalo pag. 16) si  dice che i Vescovi dell’Asia incoraggiano coloro che  “hanno una speciale chiamata da Dio per identificarsi con i poveri”. Forse i Vescovi intendevano dire qualcosa di diverso da ciò che di faatto risulta nel testo, ma è certo che l’identificarsi con i poveri non è una speciale chiamata, nè un carisma particolare di qualcuno, ma è la proposta cristiana fatta a tutti i battezzati che vogliono di fatto vivere secondo la fede cristiana. Nessuno è tanto ingenuo da pensare che il povero sia solo un mendicante o uno che cammina nudo per la strada, dobbiamo però continuare a ripeterci che Gesù non ha fatto la scelta dei poveri, ma è diventato povero Lui stesso e chi vuol essere cristiano vero non ha scelte alternative. Anche la Federazione dei Vescovi di Asia riconosce in altri testi che ci sono coloro che  fanno i progetti per liberare i poveri, ma restano dall’altra parte, invece chi assume e diventa uno di loro troverà più facilmente, dal di dentro, come venire fuori da situazioni disumane di oppressione. E qui io vorrei aggiungere che a volte potremmo non trovare la forza di liberare nè noi nè gli altri dalle catene, ma in questi casi possiamo almeno condividere la loro vita e la loro sorte con tutta la nostra solidarietà cristiana. Massimiliano Kolbe nel Bunker della fame dove era stato condannato a morire, pur condividendo tutto con i suoi colleghi prigionieri e condannati non è riuscito a trovare vie per uscire lui e i suoi compagni, ma vi è rimasto fino alla fine a morire con loro: questo è semplicemente cristianesimo. Quando Madre Teresa vedendo dei poveri e moribondi più poveri di lei, non ha chiamato la Croce Rossa o quella Verde, ma se li è caricati e li ha fatti diventare parte della sua famiglia e insieme hanno condiviso povertà, tenerezza e amore. Madre  Teresa non è diventata un’eroina dell’India, ma è semplicemente diventata una cristiana. Purtroppo essere cristiani, oggi, è diventato un fatto straordinario perchè i cristiani sono rimasti pochi e anche lungo la storia di questi due mila anni non sono mai stati tanti.             

A questo punto concediamoci pure di aver iniziato a condividere tutto con i poveri e adesso vogliamo insieme lottare per ottenere più dignità umana, ma a questo punto come lottare? Con quali mezzi? Contro chi? Intravediamo il tipo di liberazione che vogliamo ottenere, ma riconosciamo la difficoltà per conseguirla. Non possiamo dimenticare che in un processo di liberazione ci siano dei nemici. Come comportarci con loro? Distruggerli o vincerli da cristiani? In tutto il sud del mondo dove l’eredità delle colonizzazioni e i neoimperialismi sono più presenti, noi ci dobbiamo domandare in ogni tipo di lotta se facciamo una rivoluzione qualunque o se impostiamo una liberazione integrale. Se pensiamo di liberare solo noi stessi, il nostro gruppo, la nostra casta, la nostra classe, il nostro piccolo o grande mondo lotteremo solo per una rivoluzione “qualunque”. La storia è piena di eroi nazionali  o regionali che sono stati simili rivoluzionari. Insieme a noi oppressi dobbiamo cercare in tutti i modi di liberare i nostri oppressori, altrimenti lotteremo solo per passare da vinti a vincitori, da oppressi a oppressori noi stessi e questa dimensione anche in alcune teologie moderne è carente. 

Un giornale ha pubblicato, per inaugurare il 2008, una notizia non documentata scientificamente ma è una intuizione almeno verosimile: “Fra cinquant’anni l’India avrà un potere economico che supererà gli Stati Uniti d'America”. La riflessione non mi ha rallegrato perchè dietro qella formulazione c’era il desiderio, la speranza, l’invito allo sforzo di diventare come gli Stati Uniti. Di tanto in tanto ci dobbiamo fermare con la domanda: “Sono anch’io in questo processo? Sto anch’io mettendo la mia goccia nell’oceano perchè  la vostra nazione l’India diventi come gli Stati Uniti?  Sembra che Cheguevara al termine della vita abbia detto una espressione simile a questa: “Se avessi saputo che il potere conquistato sarebbe stato usato e manipolato in questo modo non meritava lottare tanto”.

Penso anche alla cara India che come quualcuno scrisse ha quattro mila lingue e dialetti, poco meno gruppi etnici, sei religioni e oltre un miliardo di popolazione; con tutte queste ricchezze anche se mescolate ad altrettante poverta’ potrebbe evolversi e crescere con le proprie risorse e fare un cammino di svilppo secondo le proprie culture. Eppure quando a un giovane chiedo che cosa significa sviluppo o progresso mi descrive la cultura occidentale. Amici, perche’ volete copiare le culture occidentali che sono già invecchiate se non morte e comunque hanno chiaramente denunciato che la salvezza del pianeta non è in quella direzione? La vostra cara India che è giovane, perchè vuole imitare  i moribondi per diventare adulta?     

Perchè vuole imitare le strutture, le mode e le ideologie del vecchio mondo? E specialmente se fra 50 anni sarà una potente nazione come gli Stati Uniti, non significa che sarà una nazione totalmente libera e i milioni di poveri che dovrà opprimere per crescere continueranno ad essere servi e schiavi, semmai non di potenze straniere bensì di conterranei che avranno imparato il mestiere degli oppressori. 

E ora con un pò  di pessimismo vi dirò che non mi aspetto molto dalla Chiesa istituzionale adulta dell’India. Bisogna comunque riconoscere che  hanno fatto un prezioso servizio a voi giovani seminaristi che è quello di avervi avvisati che l’occidente non vi ha offerto il vero fuoco del cristianesimo, ma soltanto i carboni accesi. Ripeto, non mi aspetto dai 100 000 vescovi, religiosi/e la conversione. E’ pur vero che Lo Spirito Santo, il miracolo della conversione lo potrebbe pur fare per loro, ma chi Glie lo chiede? Chi vuol diventare povero? Chi vuol chiedere allo Spirito Santo il dono di vivere in uno slum, senza acqua, nè servizi igienici, in mezzo alle malattie? Quando i vostri teologi si lamentano a ragione di aver ricevuto un cristianesimo annacquato dai colonizzatori, devono però riconoscere che in quel bagaglio di misticismi, alienazioni, rassegnazioni e anestesie religiose varie erano pur arrivati i Vangeli scritti da Marco, da Matteo, da Luca, da Giovanni e gli Atti degli Apopstoli con le loro lettere. In realtà ciò che ha spento il fuoco è stata la pigrizia di diventare cristiani. Non è solo l’europeo o l’americano che non vuole lasciarsi inchiodare sulla croce come Gesù Cristo , ma è l’uomo. Ogni uomo cerca istintivamente di fuggire dalla croce. Al sud dell’India San Tommaso e/o i suoi discepoli hanno portato non i carboni, ma il fuoco vero del genuino messaggio, ma chi aveva dei privilegi non ha voluto lasciarli e chi era Dalit o intoccabile non ha avuto la forza di far valere quei diritti umani inscritti nel Vangelo. Perdonatemi se dico questo: “E' stata grande disgrazia per l’India aver  ricevuto dall’Europa un Cristo coloniale, ma non sarebbe stato molto diverso  per l’Europa ricevere un Cristo delle caste dell’India. Entrambi chiediamo perdono per i nostri popoli di appartenenza e cerchiamo adesso di fare la nostra parte senza scuse nè attenuanti. Ho detto che non ho molta speranza negli adulti, ma ho una segreta speranza in voi giovanissimi. Ascoltate quello che i vostri teologi e vescovi vi dicono anche se non sempre il loro stile di vita  corrisponde ai contenuti delle lezioni. Si, ne conosco più di uno autentici e veri. Un professore vive in uno slum e al mattino va a prendere l'acqua a cento metri di distanza anche sotto la pioggia e nel fango, si prepara colazione poi va a fare scuola ai suoi studenti di teologia. Vi garantisco che quell’uomo porta il fuoco su quella cattedra e non solo i carboni accesi. Negli anni in cui ero in Brasile, il teologo Clodoviv Boff che insieme al fratello Leonardo sono i maggiori rappresentanti della Teologia della Liberazione in Brasile, ebbene  Lui viveva sei mesi all’anno con i tribali in una regione forestale terribilmente mal sana e non portava con sè nemmo  una penna e taquino: condivideva e basta. Quando rientrava per insegnare teologia, faceva la sintesi dei contenuti maturati e li metteva per scritto in libri. Se invece, il teologo si accontenta di ripetere le riflessioni degli altri  tanto varrebbe citare i libri e farli leggere agli studenti. Almeno voi non seguite più le lezioni verniciate di santità che però vi presentano uno stile di vita intriso di carriera, benessere e potere: rifiutate il vangelo dei ricchi e quando sono i ricchi a predicarvelo dubiate anche dell’autenticità. Ora lasciatemi dare risposta a una domanda che vi brulica nel cervello: “Perchè lo stesso Gesù è così duro con i ricchi che spesso sono così buoni e benedice con tanta facilità i poveri?”. Vedete, se io sono ricco e passo accanto ai   poveri, se il mio cuore è buono mi farà condividere ciò che ho con loro fino a diventare povero anch’io come loro e così entrerò nelle beatitudini. Se voglio rimanere ricco, passando accanto ai poveri dovrò chiudere gli occhi per non vedere come vivono e non sentire i loro lamenti. Quindi solo se chiudo gli occhi sul povero potrò continuare a rimanere ricco. Questa è la ragione per cui se rimango ricco resto sfortunato e maledetto.  

In ogni caso non scandalizzatevi degli scandali e fate la vostra parte. Voi non sapete che cosa Dio chiede a questo o a quel battezzato/a. Forse lo/a aspetta all’angolo di strada fra un giorno o 10 anni per fargli capire che è cieco e per ridargli una vista nuova come è capitato anche a San Paolo. Non amareggiarti troppo se un Papa o un Vescovo o il tuo Parroco ha ostentato ricchezza anzichè povertà, tu fai la tua parte , non lamentarti troppo se gli altri non sono santi, lamentati solo di te stesso, fatti santo tu e il mondo sarà più santo.         

Ed ora a conclusione di questa lettera aperta, vi dirò ciò che vi capiterà se non deciderete  di piantare la vostra tenda nel mondo di oggi diventando solidali con i poveri e quindi un tutt’uno con essi come Gesù.     

Una suora, mentre passava un difficile momento di crisi, mi raccontò: “Ho lavorato per sei anni in una regione veramente povera: eravamo sette suore e un sacerdote. Lavoravamo in 58 villaggi. Gli abitanti tutti tribali lavoravano la terra non propria. I padroni della terra non ricchissimi, ma di condizione nettamente superiore abitavano quasi tutti in uno dei 58 villaggi dove c’e’ tutt’ora un buon mercato e alcuni uffici. Noi suore e il sacerdote lavoravamo impegnati nell’educazione e nel servizio sanitario. Alcune famiglie erano cristiane e provvedevamo per esse una buona catechesi. Le mie consorelle in altre comunità e i preti della Diocesi, negli ultimi anni avevano fatto quasi tutti una discreta carriera mentre noi rimanevamo allo stesso livello e a qualcuno di noi la cosa pesava. Dopo 6 anni di lavoro in seguito a una revisione del nostro lavoro si è deciso di impostare tutta la nostra attività con radici più profonde e si è deciso di dare una educazione più appropriate almeno ad alcuni. Si pensò  di costruire una scuola. Si fece un progetto per ricevere il necessario sovvenzionamento e si precisò, nel testo, che si chiedeva un aiuto al fine di costruire un edificio scolastico  per 58 villaggi di poveri. Il denaro arrivò e si iniziò la scuola. Dove? Nel villaggio meno povero, dove le famiglie meno povere possono pagare  per degli insegnanti con “radici profonde”. Oggi il prete è direttore della scuola e le suore ,alcune insegnanti, tutte comunque impegnate nel servizio della scuola. Si è dovuto lasciare tutto il lavoro di alfabetizzazione, l’assistenza sanitaria e l’organizzazione comunitaria dei gruppi negli altri 57 villaggi. Essendo una scuola prestigiosa, dalla città vicina arrivano gli scolari trasportati da pulmini della scuola stessa e nessun bambino dei  57 villaggi poveri usufruisce della scuola per i quali era stata costruita. “Oggi –diceva la suora- le mie consorelle lavorano tutte per i ricchi e il fatto mi amareggia molto”. La conclusione in base a questa relazione è evidente: in molti casi lavorare per i ricchi, non significa solo non occuparsi dei poveri, ma significa lavorare contro i poveri stessi. Quel villaggio dei proprietari terrieri, dove oggi c’è la scuola, prima era già in una posizione migliore a confronto dei 57 villaggi di tribali senza terra, adesso è in situazione più avvantaggiata di prima  e i villaggi poveri sono diventati, più miserabili, senza più nessun tipo di servizio. Non è sufficiente dire: “Noi investiamo in educazione”. Bisogna essere attenti a dove si fa il lavoro, con chi e per chi si fa e quindi rendersi conto di chi viene realmente beneficiato.  

Un prete mi disse: “Io sono Direttore di una scuola e tre suore sono insegnanti con me. Abbiamo 1500 studenti tutti indù”. Io dissi: “Nulla di male, se hai solo indù nella tua  regione lavori con le persone che hai”. Ma egli mi aggiunse: “No! La mia regione è popolatissima di cristiani, ma sono molto poveri e non possono pagare”. “A questo punto dobbiamo dire che non va più bene. Noi religiosi/e con le energie della Chiesa aiutiamo gli Indù di casta alta a diventare più ricchi ancora in conoscenza e quindi più forti nel combattere e opprimere, in futuro i nostri cristiani rimasti poveri e ignoranti”. Anche in questo caso lavorare  per i ricchi significa lavorare contro i poveri. 

L’ultimo fatto: Un giovane bramino della scuola liceale disse alla suora Preside: “Spesso voi dite che spendete la vita per noi, per darci una buona educazione scolastica e prepararci professionalmente alla vita. Ebbene voglio dirvi che noi bramini non abbiamo nessun debito nei vostri confronti per darci la miglior scola nella città. Voi lavorate bene perchè noi paghiamo bene. Potevate scegliere di vendere gli elettrodomestici e invece avete scelto di fare una scuola! 

Il commerciante che vuole vendere e guadagnare bene deve mettere sul mercato o nel suo negozio prodotti speciali di prima qualità. Se vuole guadagnare soldi  vendendo frigoriferi o televisori deve mettere a disposizione le marche migliori, ma non dimentichi, sorella che il commerciante non ama i televisori nè i frigoriferi, anzi nessun commerciante ama i prodotti che vende, ma i soldi che guadagna e voi Religiosi con le vostre scuole siete dei buoni commercianti che date una ottima scuola per una ottima retribuzione economica. Se veramente foste sinceri quando dite che volete dare dei buoni principi a tutti li dareste anche e specialmente ai poveri, che invece sono generalmente tagliati fuori dalle vostre istituzioni”. La suora disse di non aver dato risposta, ma non punì lo studente per il suo tono arrogante, bensì dopo due settimane lasciò il suo prestigioso incarico e andò ad occuparsi dello slum vicino.  

Alcuni di questi religiosi di cui ho parlato (e nel vostro paese sono molti) ogni volta che leggono la storia del “Giovane ricco” risentono l’invito di Gesù: “Va, vendi, dona, torna, ma mentre per quel giovane l’incontro con Gesù è stato il primo incontro con Lui e quando se n’è andato certo è rimasta in lui una possibilità segreta di tornare indietro e seguire il Maestro, invece per i Religiosi/e che dopo un lungo cammino accanto a Gesù diventaqno dei “giovane ricco” il loro incontro con Gesù diventa sempre di più l’ultimo incontro.    

Cari amici, vi ho scritto queste cose sotto una tenda in un accampamento del Bangladesh. Se la mia buona intenzione è stata utile, pregate per me.

Don Renato 

Lettera agli amici

Aprile 2010 

Carissimi,

mi dispiace non avere contraccambiato i vostri scritti personalmente, ma non sono proprio riuscito; mi devo accontentare della lettera circolare.

Nella precedente lettera di Natale  avevo chiesto i vostri E-Mail che mi avete puntualmente inviato e per questo vi dico “ Grazie di cuore “. Anche coloro che non hanno l’ indirizzo di posta elettronica  mi hanno confermato gli indirizzi di posta normale. Il tutto sarà più facile. Sempre in quella lettera vi avevo parlato di qualche problema di salute che mi aveva disturbato. Qualcuno di voi si era preoccupato molto per me ed allora mi tocca dire perché ho scritto quelle righe. Non ve le ho mandate per trovare compassione negli amici, bensì per dire che anche da ammalati si possono fare tante cose ed anche belle. Tra i miei santi/e  protettori ne ho una in particolare: Santa Chiara d’ Assisi la quale visse da malata metà della sua vita, e con la grazia di Dio fece molto di più di tanti sani. La fragilità poi ci aiuta a capire che non siamo noi con le nostre forze a fare e disfare le cose, ma qualcuno sopra di noi: è il Signore della storia.

Sempre in quella lettera non avrei potuto dirvi “ la settimana scorsa sono stato molto male” perché vi avrei troppo spaventati …

Invece dopo quattro mesi si può dire qualcosa di più. 

Prendo da alcune righe il diario di Novembre   2009:” La settimana scorsa ho ricevuto il sacramento degli infermi..” Nella Messa ci siamo abituati a pregare dicendo “ annunciamo la tua morte Signore..

La morte viene annunziata come si annuncia già la vittoria. Noi cristiani in quella preghiera annunziamo anche la nostra morte, perché in essa già esplode la vita. La settimana scorsa ho celebrato quella morte, la mia, la vostra, quella di coloro che amo, ho celebrato anche quei frammenti di morte che ogni giorno vengono a liberarci un poco, fino a quando il nostra spirito, senza più il corpo potrà esplodere nella grande festa . Così il pensiero di sorella morte  non ha nulla di angosciante per noi cristiani. Quello che ci può spaventare e far sudare sangue è l’ agonia: sono le ultime doglie del parto.

Ho passato  quindi alcune giornate un poco più pesanti, come ne passate tante anche voi. Esse mi hanno fatto pregare più intensamente,  e mentre la fatica della malattia si appesantiva, mi tornavano alla mente le parole di un Vescovo Brasiliano, mons. Luciano Mendes, che dopo un grave incidente ripeteva:” Quanti malati desidererebbero essere in un Ospedale così e anche soffrire come me e non se lo possono permettere, perché sono poveri!”

Ora tutto è passato e da oltre due mesi vivo le mie giornate esattamente come prima,  con tanta gratitudine al Signore e alle vostre preghiere.    

Ed ora ci tengo a parlare con voi un poco di un mio collaboratore, come avevo già fatto precedentemente  di altri.

Vi avevo parlato di Davide, poi di Prodip, e adesso di Andrea, così poco a poco conoscerete sempre meglio il mio mondo che è anche il vostro.

Andrea vive e lavora nel west Bengol, non distante da Calcutta. Ha avuto una sfortuna nella vita: essere molto intelligente e quindi durante la scuola che terminò con la laurea a pieni voti, non ha mai dovuto faticare per ottenere ottimi risultati. Un cuore buono e generoso all’ inverosimile, ma dava l’ impressione di essere incostante, anche se penso che siano state le circostanze a dare questa immagine di lui più che il suo carattere. Dopo il seminario, affascinato dalla vita comunitaria era stato in una Congregazione che ad un certo punto aveva deciso di sospendere la formazione vocazionale, almeno per qualche anno. Tentò in un’ altra dove capitò una cosa simile. Sembrava proprio che il Signore volesse  altro da lui, poiché lo buttava da una parte e dall’ altra. Pensò di sposarsi, e quindi c’era bisogno di un lavoro e luogo stabile e lui faceva fatica a sentire questa stabilità in sé ( che trovò poi con il matrimonio).

Gli presentarono una ragazza non ancora diciottenne di nome PUSHPO. Lei era stata più sfortunata di lui. Il padre di lei era rimasto vedovo, si risposò e cercò di sistemare questa figlia al più presto; le fece interrompere gli studi e la sposò a tredici anni ( cosa non rara in Bangladesh). Pochi mesi dopo, divorziata – la diede ad un altro uomo, poi ad un terzo ubriacone che Pushpo rifiutò persino di vedere. Quando incontrò Andrea sperò di avere finalmente incontrato un giovane onesto che le dava la possibilità di cambiare vita.

Si decisero per il matrimonio, mentre Andrea non sapeva ancora nulla di questo passato. Pushpo andò nella famiglia di Andrea mentre avrebbero fatto i preparativi per il matrimonio stesso.

Andrea abitava in città e lei non avrebbe potuto rimanere con lui perché non erano ancora sposati.

La famiglia di Andrea accolse Pushpo con gioia. Il padre, i fratelli, le cognate, i nipoti tutti furono entusiasti  di lei. Fu una settimana di festa e Pushpo aveva saputo anche farsi volere bene. Andrea, dopo il lavoro, alla sera andava a casa e si fermava fin dopo cene, poi rientrava nella sua piccola stanza in affitto in città, non distante dal luogo del lavoro. Il padre della ragazza andò ad incontrare la famiglia di Andrea e a portare il documento di Battesimo.

In quella circostanza, prima delle pubblicazioni, dovette pur dire il passato di sua figlia. Quando il papà e i fratelli di Andrea sentirono che la ragazza era già stata sposata ( anche se solo in civile) si rifiutarono di continuare il dialogo.

A conclusione dissero ad Andrea” Se vuoi continuare con lei, qui le porte per te sono chiuse, e non considerarci più la tua famiglia”. Per Andrea, la famiglia è troppo importante e pur con sofferenza dovette accettare che il padre di Pushpo la riportasse a casa. Il giorno dopo lei  telefonò ad Andrea, quando era già notte e disse: “ Mio padre non mi vuole  a casa e mi ha mandata dal mio ultimo uomo a cui mi ha data in sposa, ma io non lo voglio nemmeno incontrare; puoi fare qualcosa tu?”

Che fare? Egli partì immediatamente con l’ autobus  e andò a salvarla almeno dalla notte anche se non sapeva ancora dove portarla. Intanto telefonò ad alcune famiglie dove avrebbe potuto lasciarla per qualche giorno e ne trovò una disponibile ( a tre ore di distanza) e l’ accompagnò quella notte stessa.

Le due famiglie avevano chiuse le porte ai due giovani.

Andrea quando tornò a casa continuava a ripetere :” Non posso rimandarla indietro. Rischierebbe di finire sulla strada. Farei un peccato grave se non le dessi la possibilità di vivere una vita vera”.

Certo Andrea non aveva nessun compromesso con lei e l’ aveva sempre rispettata come una sorella. A parole tergiversava, ma nel  suo cuore aveva già preso la decisione di sposarla.

Lui aveva sognato una plurilaureata con un buon lavoro. Era già andato a vedere i mobili per una nuova casa  che aveva sognato tante volte. Aveva sognato un pranzo di nozze festoso con tutti i parenti ed amici.

Saltò tutto, rimase solo Pushpo con la storia e con una gran voglia di cominciare finalmente  a vivere. Senza il consenso delle famiglie non si poteva pensare a nessuna festa, ma celebrarono il Matrimonio nel modo più privato: gli sposi, due testimoni ed un prete. Non avrebbero potuto fare diversamente anche perché non sapevano le reazioni delle famiglie. Due giorni dopo la celebrazione le famiglie sui riappacificarono e i giovani ricevettero il consenso.

Prima del matrimonio Andrea fece una proposta: “ Faremo la vita di paese e non di città. Vivremo in una casetta accanto agli zingari di Benapol e noi vivremo come loro. Il mio stipendio è sufficiente per una vita semplice. Io dovrò raggiungere l’ ufficio  che è in città, ma potrò andarci in bicicletta . E tu cucinerai con la legna, vero? Risparmiando potremo fare del volontariato. Tu in pomeriggio potrai aiutare l’ insegnante dell’ asilo degli zingari e fare ripetizioni gratuitamente, che ne dici?” Pushpo era entusiasta di tutto questo e non trovava le parole per dirlo.

Andrea  due ore al giorno segue degli studenti zingari delle scuole superiori e di due giorni del fine settimana Andrea e Pushpo supervisionano tutte le scuole dei seminomadi della regione.

E’ quasi un anno che sono sposati ed aspettano il primo figlio. Essi hanno creato attorno a loro una straordinaria testimonianza di vita cristiana. E’ la prima famiglia che vive con il proprio lavoro e fa volontariato con gli zingari, abitando porta a  porta con loro. 

Vi ho raccontato questo, perché sia sempre più chiaro per voi che le vostre preghiere non cadono né sulla strada, né tra i rovi, né tra le pietre.

Qui tutte le sere, con un gruppo di tre famiglie di coordinatori dieci studenti zingari  cattolici ed alcuni amici, Andrea guida mezz’ora di preghiera dalle 20,30 alle 21.

In questo modo vi contraccambio.

Don Renato 

2009

Lettera agli amici

Dicembre 2009      

Cari amici,

quest’anno il nostro lavoro si è molto arricchito. Le scuole mobili continuano ad essere sostenute  e se ne sono già aggiunte 22.  I 72  insegnanti dei bambini  pastori in India , oltreché ad essere seguiti  dalle 2 suore coordi natrici,  i 5 parroci delle parrocchie da cui provengono  i bambini, dimostrano un interesse non  comune.

Alle sei  famiglie di astrologi  con 10 bambini  ciascuna, se ne è aggiunta una nuova  in India (Madurai).

I  figli dei  Mukuvar nel Kerala, che pure voi sostenete, parlano già inglese abbastanza bene, pur avendo finito solo la terza elementare.

Davide,  coordinatore dei  cestai di Rajshai,  si prepara  a comprare i libri per  la prima  media   fino alla quinta  ginnasio.  Un  gruppo  di questi  cestai (forse 6) verrà in  gennaio a Khulna  per  frequentare una scuola tecnica di meccanica presso i Saveriani.  Le borse di studio per i  Mahali  (470 studenti) saranno consegnate in gennaio.

Il  programma latte-vitamine per  le mamme con bambini da 0 a sei mesi  continua con i 300 bambini BAJJAO accanto alle suore Francescane di Maria ,in uno dei  luoghi di conflitto più rischiosi che io conosca (SU NUOVO PROGETTO di agosto – settembre del SERMIG c’è un lungo articolo su questo lavoro ).

Quest’anno non ho potuto visitare L’INDONESIA, quindi non ho notizie fresche , ma spero il lavoro vada bene.

In Brasile , dove vive pure mezzo milione di zingari, c’è qualcosa di nuovo.

25 anni fa, quando ci arrivai per la prima volta, nessuno mi sapeva indicare dove ci fosse un accampamento e invece erano così tanti .

Quest’ anno la Pastorale dei Nomadi  in quel  Paese puo’ dichiarare la sua indipendenza. Il Governo stesso ha istituito un ufficio con 6 persone che lavorano a tempo pieno con i nomadi in stretta collaborazione con il Cappellano  nazionale e il Presidente Vescovo Mons. Edson  della stessa Pastorale dei N omadi.

Sono poi entrati a far parte della nostra  famiglia anche i Saharawi ( Beduini del Sahara) che vivono   nel deserto dell’ Algeria in una situazione allucinante di cui vi parlerò appena  sarà possibile.

Ultimamente in India ho avuto qualche problema di salute, ma questo fa parte integrante della mia vita.

Adesso in Bagladesh ho ripreso a ritmo normale che è pur sempre il ritmo di un malato, come lo è stato per  tutta la mia vita .   

Vi ho dato alcune notizie ma la lettera vera e propria di Natale ve la potete richiedere in libreria : è un libretto che avevo scritto 30 anni fa  pubblicato dalle EDB e allora era entrato in oltre 10.000 comunità religiose . EFFATÀ lo ha riproposto :

L’UOMO NOSTRA SECONDA EUCARESTIA – RENATO ROSSO – EFFATÀ 

Buon Natale a tutti anche se la lettera arriverà in ritardo 

don  Renato 

P.S.  

Ho scritto questa storia per i bambini di una scuola. Ne mando una copia anche a voi. 

Mi hanno messo su questo solco ad arare. Non so che cosa verrà seminato in questa terra,ma chi mi ha messo il giogo e agganciato l’aratro lo sa. Fra qualche giorno bisognerà erpicare e io sarò nuovamente qui. A volte il giogo è più pesante perché bisogna condividere il lavoro con un altro bue, ma in questo caso anche la fatica è divisa e con l’aratro si può andare più in profondità. Una sferzata a destra o una a sinistra mi indicano da quale parte devo muovermi. Io non so molto perché sono qui,ma chi mi segue a pochi metri o ancora più vicino lo sa.

A volte devo trasportare un carro carico di fieno, a volte di grano o di mais. Spesso quelle piante sono le stesse che ho aiutato a seminare.

Ormai conosco le strade e so dove quel  carro lo devo trasportare, ma non so che cosa si farà di quei frutti del  campo, non so se verranno venduti  o usati nella casa in cui vivo, ma chi mi guida lo sa e io lavoro per lui.

Spesso i  bambini dopo la scuola vengono a lavorare con me, anch’essi  mi vogliono bene, mi chiamano per nome, io faccio un solo muggito, ma essi capiscono se è di stanchezza  o di sete o di fame.

Quando la strada è lunga e non c’è il cavallo chiamano me per portare i bambini a scuola. Io lo faccio tanto volentieri.

A volte devo trasportare qualche malato al piccolo ospedale vicino.

Spesso mi accorgo che sono utile anch’io, ma so allo stesso tempo che non sono io a decidere le cose da fare, anche quelle belle. Chi decide è chi mi sta accanto. Io soltanto cammino nel solco, sulla strada, nel fango, sotto la pioggia e nelle belle giornate autunnali cariche di frutti.

Ormai sto lasciando il solco e vado a casa a riposare.

Adesso è dicembre e ho sentito dire che presto si parte in grande comitiva: saremo tanti buoi, asini, tanti carri carichi di gente che va verso Gerusalemme.

Io so già che sul mio carro ci sarà anche la nostra Signora, che in realtà è una adolescente sposata da poco e aspetta già un bambino, per questo sarò più attento nel trasportarla. E’ probabile che il bambino nasca poi in quella città o nei dintorni.

Io sono così orgoglioso di questo viaggio, anche se non ho nulla da vantarmi perché cose come queste non le decido io,ma sempre chi mi accompagna.

A questo bue vorrei  dare il mio nome, Renato. 

Lettera agli amici 

Aprile 2009         

Cari amici,

ecco un altro po' di storia dagli accampamenti del Bangladesh. 

Febbraio ’09

Mi trovo a Savar a mezz’ora dalla Capitale dove per due mesi all’anno  vivono circa dieci mila zingari. Qui celebrano matrimoni e feste religiose dopo di che ripartono con le loro tende a gruppi di dieci, quindici famiglie. A Savar restano circa 400 persone: alcuni anziani, malati, ma anche qualcuno che ha iniziato una attività  diversa (generalmente un' attività commerciale), poi ci sono tanti e tanti bambini. Alcuni infatti viaggiano, ma lasciano i figli qui presso i parenti perchè possano andare a scuola. Es. due figli di Rajjak 15 anni fa hanno iniziato la prima scuola mobile sotto le tende e dopo due anni sono venuti qui dai parenti per continuare la scuola  e lo scorso anno, terminati gli studi superiori sono tornati alle tende come insegnanti.

Ma qui a Savar non ci sono solo gli zingari, ma anche una bella famiglia che ha deciso di condividere la vita insieme a loro: sono Prodip 37  anni e Dipika 35  con i figli Jemson quasi tre anni e Jioias che sta facendo il primo compleanno in questi giorni.

Otto anni fa Prodip era fidanzato (fidanzamento deciso dai genitori, ma con il suo consenso). Prima di sposarsi lui ha incontrato una Comunità religiosa che lo affascinò più del matrimonio e passò tre anni in quella realtà. Per un fraintendimento fu invitato a lasciare la Comunità e mi chiese di  lavorare con me in quanto io lo conoscevo bene e in quei tre anni settimanalmente era andato ad aiutare in un paio di scuolette per zingari come insegnante d’appoggio. Si inserì molto bene, ma dopo il primo anno di condivisione col gruppo pensò che una realtà di famiglia lo avrebbe potuto aiutare. Così si ricordò di quella ex fidanzata non ancora sposata e via telefono si rifecero la proposta di matrimonio. Lei si dichiarò felicissima di seguirlo a vivere con gli zingari e lui subito andò a trovare i genitori di lei per qualche accordo  più preciso. Una giornata di viaggio e si rincontrarono. Mi disse che fu molto bello e che si riaccese in lui una grande gioia mai provata prima. Alla fine della giornata  quando la ragazza vide Prodip così felice e i suoi genitori pure pensò che ormai poteva avanzare una proposta più impegnativa e gli disse:” Se però tu vieni qui, potresti lavorare nella Caritas con un buon stipendio oppure nella W. Vision con un lavoro migliore di quello di Savar e io sono già insegnante qui e possiamo vivere veramente bene. Vedi, Prodip, io ti voglio tanto bene, per questo ti ho aspettato tre anni, ma con gli zingari non mi sento di venire” e Prodip rispose: “Io anche ti voglio molto bene, ma se non vieni con gli zingari io ci dovrò tornare da solo”. E così tornò solo dopo una giornata così coinvolgente come se ne vivono poche nella vita. Qualche tempo dopo gli presentarono la Dipika che poi ha sposato. Lei lavorava con le suore Luigine e a detta delle stesse era una delle migliori insegnanti e collaboratrici che avevano. Sono ormai 5 anni che questa famiglia di non zingari vive in questo grande campo di nomadi e seminomadi e sono diventati una preziosa presenza di Chiesa tra questo gruppo interamente musulmano.

Però voi sapete anche meglio di me che come il male attira i cattivi, il bene attira i buoni.  E così è capitato che Agostino 37 anni con la moglie Shiulì 32 anni  e il figlio Shubo di 11 anni sono stati attirati da questo “bene”: fare bene il “bene”, ricevere del “bene”, volersi “bene” e tutto questo viverlo in un accampamento di nomadi. Quest’anno Agostino è già a Savar e insegna ai nostri marmocchi, mentre la moglie pure insegnante (nel loro villaggio) è rimasta là per aspettare che il figlio a fine anno dia l’esame della quinta elementare e da gennaio ci sarà una nuova famiglia tra gli zingari di Savar. Per qualcuno potrebbe essere solo una notizia bella, mentre per me è molto più di questo.       

Fine marzo

Alcuni amici mi hanno chiesto di dire qualcosa circa i disordini avvenuti in Bangladesh nell’ultimo mese. Ho aspettato un poco a dire una parola sulla “guerra di Dhaka”, come qualcuno l’ha chiamata.

E’ passato ormai più di un mese da quando è avvenuto lo scontro nella capitale tra Esercito e Paramilitari (o Guardie di Confine).

Da poco tempo il nuovo Governo era al potere e ci si poteva aspettare qualche disordine. Apparentemente e ufficialmente la causa sembrerebbe essere stata una rivendicazione per dei diritti disattesi (salari bassi, richieste sempre più frequenti di interventi ad alto rischio ecc.). I Paramilitari che sono non solamente a servizio dell’esercito, ma anche comandati dalle Autorità dello stesso, avevano molte ragioni per “rivendicare”, ma ciò che non era prevedibile era di fare una discussione con le armi. Quindi le ragioni suddette non sono sufficienti per motivare una vera e propria cospirazione contro il governo. Una rivendicazione che poteva esprimersi con scioperi o convegni o riunioni di massa, non è pensabile che arrivi a un bilancio di 75 morti (dato ufficiale), ma  sembra che siano più di 150. Le indagini, comunque non sono ancora terminate anche perchè oltre 1800 paramilitari ribelli sono ancora latitanti (alcuni dei quali certamente morti e altri fuggiti). Questo è quanto si può dire a fine marzo. Il fatto di cui ho parlato avrebbe potuto diventare  una sorta di vera e propria guerra civile di vaste dimensioni e non siamo così certi che sia veramente finita. 

3 Aprile

Mi trovo a Zamboanga, a sud delle Filippine. Da alcuni anni vengo in questo Paese dove diversi operatori pastorali e sociali si sono coinvolti nella missione tra i nomadi.

Sto visitando il bellissimo progetto sostenuto dal Sermig di Torino che sfida una situazione ad alto rischio tra i Bajjao: gli zingari del mare.  Sono qui per imparare e offrire le esperienze dei miei amici. Ho già parlato altre volte di questo gruppo nomade e dei Padri Claretiani e le suore F.M.M. (Francescane Missionarie di Maria) che sono coinvolte specialmente nel lavoro di alfabetizzazione del gruppo. Dopo un paio d’anni di relativa tregua sulle isole di Basilan, Jolo, Tawi Tawi e Siasi quest’anno i terroristi  hanno ripreso i sequestri e violenze varie. Da gennaio a fine marzo, solo sull’isola di Basilan (84 Km. di circonferenza), sono stati effettuati 38 sequestri. Mentre scrivo, un italiano e uno svizzero, operatori sociali della Caritas, che sono andati a controllare un projetto, sono tutt’ora prigionieri nella foresta di Jolo. Due giorni fa un bambino di 9 anni  e’ stato rilasciato a mezz’ora di distanza da qui, dopo tre mesi di prigionia. Oggi, nella piazza  di S. Isabella, dove sono passato mentre rientravo, due ore fa,  una bomba ha lasciato due morti e 6 feriti (chi potrebbero essere questi autori di banditismo? Si dice di tutto. Qualcuno dice che non si sa piu’ dove sono i nemici, nè chi sono. Una volta erano nella foresta – si dice- oggi possono essere nelle nostre case. Qualcuno li classifica del gruppo Abu Saiaff, altri li collegano al terrorismo iracheno, afgano o indonesiano. Altri intravedono legami con il governo filippino, con gli americani , con il petrolio in Mindenao o semplicemente un banditismo selvaggio, ma molto ben organizzato). Le vittime sono comunque quasi sempre dei cristiani, i quali hanno  una discreta posizione sociale in grado di pagare i riscatti. E la Chiesa continua ad essere là  presente  e coraggiosa. Io mi sono fermato sull’isola pochi giorni, ma Pe. Dennis (34 anni) e Pe. Nico (29 anni)  ci rimangono 365 giorni all’anno impegnati nella scolarizzazione di 308 bambini Bajjao (zingari del mare). Si aggiungono poi quelli che seguono le Suore FMM (Francescane Missionarie di Maria). In questo momento non sono in possesso degli ultimi dati dell’attività delle Suore perche’ vivono in una realta’ ancora piu’ isolata.  Io ero venuto qui per il Convegno Nazionale della Pastorale dei Nomadi che a causa della situazione e’ stato posticipato, ma in uno dei nostri incontri informali  il Padre Dennis  che vive nella palafittopoli di Maluso nell’isola di Basilan  mi ha lasciato questo messaggio che io passo anche a voi: “Noi non siamo degli eroi a rimanere qui: altri missionari (alcuni dei quali sono stati uccisi) hanno lavorato qui prima di noi e altri lavoreranno dopo di noi : questa è una caratteristica della Chiesa: rimanere al suo posto dove è e non fuggire mai”.  

13 aprile

Questa lettera doveva essere pure l’occasione per gli auguri di Pasqua, ma non  sono riuscito e vi chiedo scusa. Considerate questa ultima riga come un saluto veramente personale e se Dio vuole ci vedremo a fine maggio.    

Don Renato Rosso   

2008

Lettera agli amici 

Dicembre 2008         

Carissimi amici

quest'anno non vi parlerò più né di alluvioni, né di cicloni, non perché non ci siano state delle calamità, ma semplicemente perché le notizie belle sono emergenti. 

Agosto 2008

Una bella notizia arriva dal Brasile: tre sorelle consacrate ed un Fratello hanno piantato la loro tenda in un accampamento di zingari nella periferia di Saô Paolo, la mega-città con circa venti milioni di abitanti. Anche se agli occhi umani un fatto come questo può essere insignificante, per me è una profezia di grande dimensione. Accompagniamoli nella preghiera, perché questo seme cresca.    

Settembre 2008

Rientrano in India i rappresentanti della Pastorale dei nomadi, che hanno partecipato al Convegno Mondiale della stessa pastorale in Germania. Li ho trovati pieni di entusiasmo con nuovi stimoli e con il desiderio di intraprendere nuove iniziative nel nostro lavoro (io non ho potuto partecipare per ragioni del visto Bengalese). 

Ottobre 2008

Qualcuno di voi mi ha comunque chiesto che cosa capita in India circa le persecuzioni contro i cristiani; al riguardo mi limito a dire che è una questione politica e non religiosa; la religione è stata strumentalizzata per manipolare le coscienze dei semplici ed istigarle ad azioni insensate. Soprattutto nei mesi di settembre e ottobre si continuava e si continua ora a respirare paura in molte regioni dell' India.

Speriamo che vinca il buon senso. 

Metà ottobre 2008

Il nostro piccolo esercito di scolari delle elementari e studenti di scuola superiore continua a crescere: coloro che avevano iniziato con le nostre scuole mobili e semimobili, poi diventate indipendenti, avevano superato i diecimila due anni fa; ringraziamo il Signore perché hanno continuato a crescere. Coloro che invece aiutiamo, o meglio aiutate voi, in questo momento sono oltre cinquemila. Il 5 Ottobre se ne sono aggiunti mille e cento del gruppo nomade dei BHILL. La Congregazione che segue quel gruppo ha dato una Suora in più a tempo pieno per questo lavoro tra le scuole mobili dei bambini pastori in Rajastan e Madia Pradesh. 

20 Ottobre 2008

Sono a Maturai, nel Tamil Nadu; vi ho già parlato altre volte di questo gruppo di. zingari di· oltre 1000 famiglie (sono i KUDUKUDUPAI), veri e propri stregoni. Essi fanno magia bianca, magia nera e tutto ciò che capita pur di sopravvivere. Tra questi, abbiamo sei famiglie che hanno tagliato i ponti con quel lavoro veramente indegno, ed oggi ogni famiglia si fa carico di dieci bambini del loro gruppo, mandandoli a scuola e cercando di dare loro un'educazione cristiana, perché da adulti possano scegliere un lavoro più dignitoso. La famiglia che ha fatto il primo passo (di Raiangani e Maria Maesh) quest'anno ha ricevuto un grande dono. La signora Maria Maesh ha ottenuto, durante una solenne cerimonia diocesana, il premio Giovanni Paolo II, dalle mani del Vescovo. Il premio è stato un grande riconoscimento per il lavoro di questa donna che, con le altre cinque famiglie, sta lavorando specialmente per la promozione della donna tribale. Un'altra notizia di cronaca bianca: 7 anni fa il figlio di Rajangani e Maria Maesh ebbe un' operazione a cuore aperto per risolvere un grave problema cardiaco. L' intervento fu possibile con aiuti della Regione, dell'Ospedale, di altre organizzazioni. Fu un successo! Padre Chinnapan, cappellano della Pastorale dei nomadi, e il sottoscritto abbiamo conosciuto il fatto, quando tutto era già stato risolto ed abbiamo pensato che seguendo quel progetto avremmo potuto dare vita ad una Fondazione per interventi su bambini con gravi problemi cardiaci. L'anno seguente andai in Germania per contattare alcune organizzazioni per eventuali aiuti per quello scopo. Il tutto andò bene. Quest' anno si è arrivati a 66 interventi chirurgici cardiaci  a cuore aperto-su altrettanti bambini o giovani al di sotto dei 20 anni.

Ma senza quel bambino e senza la sua malattia, nulla sarebbe avvenuto in futuro per gli altri. Sette anni fa tutti pensarono solo che in quella famiglia c'era una grande disgrazia, nessuno immaginava che cosa Dio stava preparando per ricompensare quelle lacrime. 

Fine Ottobre 2008

Ho passato un po' di tempo con le cinque suore (dette Suore di Cluny), che vivono a tempo pieno con gli zingari Lambadi del Karnataka. Il giovane KAILAS che negli ultimi dieci anni è passato da alunno a collaboratore e grande amico delle Suore, ora è stato eletto sindaco a soli 29 anni, pur non essendo ancora sposato. Tutta la comunità di Kailas è animista-Hindù, ma lui non tralascia mai di partecipare alla Messa Domenicale. Quando gli ho domandato se i più vecchi gli rimproverano il fatto che si comporti da cristiano praticante, mi ha detto:  "Quando ero più piccolo spesso borbottavano contro di me e gli altri giovani come me, amici delle suore, ma adesso che sono più grande, non dicono più nulla, perché conoscono anche le mie risposte, e poi" sindaco mi hanno eletto loro" "

E' una testimonianza coraggiosa e stupenda. Anche nel periodo in cui si grida molto contro il lupo delle persecuzioni, c'è chi sente dentro una forza più grande della paura. 

Novembre 2008

Rientro in Bangladesh. Qui c'è un' altra bella notizia, una storia di vita che riscalda il cuore. Devo andare a sei anni fa quando in un villaggio di Rajshahi ho conosciuto Davide, 29 anni, ora 35. Figlio di una famiglia del gruppo tribale dei MAHALI, nomadi, fabbricatori di cestini.

Essi si muovono in gruppi di due - tre famiglie per tutto l'anno. Alcuni sostano per tempi molto lunghi in villaggi vicini ad un mercato. Tutti i Mahali sono molto poveri. Il padre di Davide aveva detto ai figli  " Se è il caso digiuniamo, ma tutti a scuola e fino alla fine !" Quando lo conobbi, Davide era laureato in storia, ma non volle fermarsi in città o in un villaggio, bensì tornò tra la sua gente per mettere il suo studio a servizio della propria tribù. Con un gruppo di giovani, tutti volontari, crearono una ONLUS a servizio dei Mahali. Chi dava due ore, chi di più, chi di meno. Davide lavorava con un autorixshò per tre ore al giorno, per mantenere la sua famiglia e l' altro tempo tutto per il volontariato. Lo incontrai e capii che la stoffa era buona. Poiché desiderava lavorare con i Mahali, proposi a Davide un piccolo stipendio perché potesse lavorare a tempo pieno nella piccola organizzazione Gli affidai 10 scuolette; la Caritas di Rajshahi fece lo stesso, e la World Vision pure. Nacque il progetto delle famiglie aperte; infatti molti bambini Mahali, dovendosi spostare con i genitori non possono andare a scuola. Gruppi di 10 bambini stanno in una famiglia, che grazie al vostro aiuto, provvedono loro alle spese della scuola, del cibo ecc..( avevo già parlato di questo con qualcuno di voi!).

La famiglia di Davide ospita dieci bambini, come tante altre; con questi anche la sua famiglia si mantiene. Aumentano però le richieste: alcuni parenti portano un orfano, poi una bambina, poi un altro ancora, così arrivano a 16. Forse alleggeriscono i pasti ma Davide non chiede alcun denaro extra per il numero maggiorato. Arrivarono poi da lui quattro giovani, di cui due sposati con un figlio e gli propongono." Abbiamo fatto solo il ginnasio, qui non c'è lavoro... se vuoi noi lavoriamo nella ONLUS... dacci solo da mangiare". Davide ha una famiglia, 16 bambini e adesso questi 4!!!... Davide non si scoraggia e dopo un paio di giorni risponde . "Io ho un salario di 5.000 Take (50 €), se volete facciamo 1.000 Take ciascuno e lavoriamo insieme..". Uno che pur povero è disposto a dividere il suo salario con altri quattro è certamente una grande speranza. Ma questo giovane non finisce di sorprendermi. Prima dell' esame di 5° Ginnasio ci sono tre mesi di vacanza per prepararsi bene nelle materie di cui è più debole, per affrontare il prossimo grande esame. In questo periodo ciascuno cerca un buon insegnante per la ripetizione: Davide invita a casa sua tutti i Mahali che si preparano all' esame. Lo scorso anno erano 45; quest' anno 65. Lo spazio è improponibile. Nella casa di famiglia di Davide, ogni tettoia, la stessa legnaia, ogni spazio di notte diventa dormitorio. La casa è in terra battuta con il tetto in eternit. Nella stanza dove stavano i 16 bambini (tre metri e mezzo per cinque e mezzo), ora 17 stuoie da un lato e 17 dall' altro risolvono il problema per le 34 ragazze tra i 16 e i 18 anni. Davide ha poi affittato una stanza della stessa dimensione per i ragazzi,. Una grande tenda ospita tutti i 64 per le lezioni. Nel cortile abbastanza spazioso c'è la cucina all' aperto e nello spazio restante quasi 90 persone mangiano - naturalmente in piedi - senza problemi. Davide manda a turno dei giovani a fare la spesa, così sanno cosa c'è a disposizione e ciò che si consuma. Nessuno si lamenta perché a casa non avrebbe avuto di più. Quando Davide, presentando il programma, aveva proposto di alzarsi alle 4 del mattino, con un'ora di riposo al pomeriggio, i giovani avevano detto : " se non ci alziamo alle 3, torniamo a casa, perché siamo venuti qui a studiare !"

Non pensate che tutto il Bangladesh sia così, anzi è tutto l' opposto.

Se questo gruppo tribale nomade è così, è merito di Dio che li ha fatti in questo modo.

Un' ultima considerazione. Essendo Davide un giovane con una fede limpida, acqua e sapone, propone nel suo corso mezz'ora di preghiera al mattino e mezz'ora alla sera; sia Davide che il fratello hanno un carisma speciale nell' aiutare i giovani a scoprire e mantenere la propria vocazione. Lo scorso anno, dopo questi tre mesi, dal gruppo di 45 studenti, 6 entrarono in seminario e in convento. Quest'anno dei 64 ben 37 hanno fatto una scelta di vita consacrata. Per spiegare questo, aggiungo che in Italia 150 monasteri di clausura pregano per questa piccola missione ed ottengono per la verità risultati sorprendenti.    

Buon Natale a tutti da don Renato Rosso 

Lettera agli amici 

Pasqua 2008         

Cari amici,

cerco di essere fedele ai miei due appuntamenti annuali con voi.

Avrei desiderato scrivere personalmente almeno a tutti coloro che mi hanno scritto, ma sono stato travolto da una serie di emergenze che mi impongono di salutarvi solo attraverso la lettera circolare.

Ringrazio ancora tutti coloro che mi hanno fatto partecipe delle loro notizie, delle loro attività e delle loro missioni così diverse e creative.

Riporto alcune righe di diario, come mi è solito fare da un po’ do tempo.     

Natale ‘07

Le mie notizie di diario erano terminate prima del Sidor e vi avevo lasciati con gli auguri anticipati di Natale. Il ciclone poi aveva aggravato la situazione del Bangladesh già flagellato da un’alluvione che ha tenuto il paese allagato per mesi.

Grazie a tutti coloro che sono stati solidali con me attraverso scritti, preghiere e aiuti anche economici.

Ora, alla fine di un anno così faticoso, nella festa di Natale i cristiani sono in festa con canti e preghiere, come negli anni precedenti.

Nulla impedisce a questo paese di rinascere. 

Gennaio ‘08

Riporto una lettera che ho scritto dopo il ciclone Sidor. 

Se qualcuno l’ha già ricevuta prima può passare oltre.

Non solo gli angeli custodi si occupano dei bambini, ma tutti coloro che solidarizzano con loro: in primo luogo i genitori e se questi non ci sono più, i nonni, gli zii o parenti, oppure coloro che li adottano affinché a questi bambini  non manchi la famiglia.

Grazie a tutti coloro che ci hanno aiutato a non lasciare soli questi adottati e ci  hanno dato la possibilità di offrire loro, attraverso scuola, cibo e medicinali, un futuro migliore.

Si deve aggiungere il fatto che negli ultimi nove mesi il Bangladesh, flagellato da un Ciclone e un’Alluvione che hanno messo mezzo paese in ginocchio sott’acqua, quest’anno appunto i vostri aiuti che si sono aggiunti sono stati e sono di una preziosità che solo Dio  vi può ricompensare e io mi unisco per dire tutta la mia gratitudine.     

15 Febbraio

Fra le varie iniziative di quest’anno, per risolvere alcuni problemi riguardanti la salute, insieme ad operazioni chirurgiche e distribuzione di medicinali, è stata pure fatta la scelta di procurare latte per i neonati.

Il latte è solo per orfani o casi particolari in cui la madre non può allattare, mentre alle mamme vengono distribuite vitamine e integratori, che risolvono meglio il problema sia per esse, che ricuperano una ragionevole quantità di latte, che per i bambini stessi che ovviamente si  nutrono meglio.

Questo programma è fatto da diversi gruppi missionari.

Per evitare conflitti, questo intervento  di emergenza è fatto per gruppi ben distinti, perché ovviamente non si può  raggiungere tutti..

Ieri due mamme sono venute: una per ritirare il latte per un mese e l’altra per sentire se il suo gruppo sarebbe stato preso in considerazione.

La mamma  che ha preso il latte è vedova e malata. Ha i genitori anziani con sé e tre bambini. Lei ha un lavoro saltuario che consiste nel cucinare tortelli sulla strada e venderli quando il tempo lo permette.

 L’altra madre venuta con lei è pure malata con tre figli, spesso malati anch’essi, e il marito con gravi problemi ai reni, per cui, seduto in un angolo, vende foglie di betel, sigarette e qualche tazza di the.

Dopo avermi dato l’indirizzo per pensare un momento che cosa avrei potuto fare, sono ripartite.

A poca distanza vidi che il pacco di latte dato alla giovane vedova era passato nelle mani dell’altra madre: ovviamente, pur essendo in una situazione drammatica, si era resa conto che l’altra madre aveva più problemi di lei, per questo le aveva ceduto la sua porzione di latte.

Questi sono i miracoli che di tanto in tanto ho la gioia di vedere.     

Fine Febbraio

A molti missionari come me capita un fatto molto umiliante che cerco di spiegare.

Arriva una madre e dice di essere senza cibo, ritorna e chiede se si possono dare delle medicine per il figlio, poi viene per chiedere se la si aiuta a portare all’ospedale il marito, poi ancora se si trovasse un lavoro per i due figli più grandi e a quel punto il “missionario” sbotta e dice: “Ma adesso basta, tutti i momenti vieni a chiedere qualcosa…”

Cercate di seguirmi un momento e immaginiamo di essere in una città dove tutti i giorni c’è il terremoto e migliaia di persone sono sotto le macerie e “noi”, pieni di zelo missionario, andiamo a “liberare” la gente: uno lo liberiamo di un braccio schiacciato, a un altro solleviamo un poco la testa perché possa respirare, a un altro gli spostiamo un piede fuori da un masso, e così via, perché sono in tanti che chiedono e se casualmente ripassiamo accanto al primo gli liberiamo l’altro braccio, il secondo lo dissotterriamo fino alle gambe, al terzo gli liberiamo l’altra gamba; intanto ritorna un altro terremoto e noi torniamo ad “aiutare” quel primo, quel secondo, quel terzo e gli altri e  se dopo essere passati quattro o cinque volte ed averli aiutati sempre un poco, se a quel punto perdessimo la pazienza davanti ai loro lamenti e dicessimo: “Ma adesso basta, smetti di chiedere…ci sono anche gli altri, non possiamo fare miracoli”.

Voi che leggete, qui, proprio a questo punto, che cosa mi direste? Il fatto umiliante è che liberiamo sempre e solo dei “pezzi umani”, un “pezzo” per volta: si dà la scuola al figlio, ma il papà malato rimane senza lavoro. Si fa operare in ospedale un a mamma, ma quando torna a casa ha dieci problemi che non sono risolti.

Adesso voi vi aspettate qualche risposta magica da me, ma questa volta la risposta la chiedo a voi e l’aspetto davvero. Voi vi mettete in questa situazione di  emergenza e vi provate a rispondere.

Vi vorrei evitare di dire che nell’emergenza milioni di mani arrivano, perché non è vero: possono arrivare per uno Tsunami se i mass-media lo decidono, ma per i milioni morti nell’ultimo decennio in Africa le mani non sono arrivate. E per i milioni sotterrati in Asia nelle umilianti baraccopoli le mani non arrivano.

Vi eviterei anche di dire il bell’insegnamento di non dare il pesce, ma di insegnare a pescare.

Non so come insegnare a pescare a chi è sotto le macerie, almeno lo ritengo molto difficile.

Ma sono certo che avrete delle risposte per me e mi potrete aiutare e aiutare davvero.

Sono in attesa.     

Settimana Santa

Noi crediamo che nella morte c’è già la Risurrezione di Cristo.

Buona Pasqua!

Don Renato   

2007 

Lettera agli amici

dicembre 2007  

Carissimi amici,

mi rivolgo a voi che avete visto almeno alcune immagini dell' ultimo ciclone Sidor che ha colpito il Bangladesh. Io ho visto le immagini sui giornali bengalesi e sento il bisogno di farne un breve commento dopo che l'emozione è  passata e le luci dei mezzi di comunicazione si sono spente. Adesso che avete visto almeno un poco la sofferenza di questo paese vi dico una parola che forse vi sorprende:"Il Bangladesh che avete visto due giorni dopo il Ciclone Sidor è molto simile al Bangladesh di due giorni prima dello stesso Ciclone. Mi spiego. In Bangladesh c'è un Ciclone permanente che chiamerei il ciclone Bangladesh.

Questo da alcuni decenni e forse di più flagella continuamente questo Paese. Faccio un esempio: quattro mesi prima del Sidor una inondazione  aveva messo metà paese sott'acqua. La calamità però non aveva interessato più di tanto i mezzi di comunicazione perchè i politici del Bangladesh per loro ragioni non avevano voluto dare al mondo l' immagine di un paese in ginocchio.

Quella calamità è stata immensamente maggiore dell' ultimo ciclone.  I poveri che negli ultimi anni e particolarmente negli ultimi mesi stanno diventando sempre più miserabili mendicando con maggior insistenza lavoro, medicine, cibo e scuole sono vittime di quel ciclone molto più drammatico di quello che avete visto nelle immagini televisive. C'è comunque il fatto che i Mass Media di tanto in tanto si svegliano e presentano al vasto pubblico una situazione a cui devono dare un nome e nel nostro caso l' hanno chiamata Ciclone Sidor.

Sarebbe stato più giusto che avessero detto che per qualche giorno vi avrebbero presentato alcuni aspetti della vita bengalese, infatti spesso si sono mescolate sugli schermi immagini del Sidor e quelle dell’ inondazione iniziata quattro mesi prima e ancora immagini di sofferenza quotidiana . Qualcuno aveva inviato qualche aiuto con la motivazione:"per le vittime del Sidor" e io risposi che si può solo lavorare per le vittime dei vari Cicloni o calamità uniti insieme.

Per esempio le case scoperchiate o crollate con il Sidor erano già fragili precedentemente. Ci sono tanti bambini che hanno perso le loro scuole e hanno la speranza di vederle ricostruite, ma ci sono altri milioni di bambini che non hanno avuto la scuola scoperchiata dal Sidor, ma la scuola non l' hanno ancora mai vista e questi sono vittime di quell' altro ciclone che ho chiamato Ciclone Bangladesh.

Questa mattina sulla strada del mio accampamento sono stato fermato e invitato ad entrare in una catapecchia e là una bambina di quindici o sedici anni aveva partorito il suo bambino sedici giorni fa e non era più riuscita ad alzarsi dal letto. La febbre non l' aveva più lasciata e stava morendo. Trasportata in braccio  immediatamente in ospedale, col bambino pure molto malato, ho sentito il medico che ha detto:" forse ce la facciamo a salvarla".  

La ragazza di quale Ciclone era vittima? Se ho scritto questo non l' ho fatto per iniziare una campagna per raccogliere aiuti (anche se potrebbero essere molto ben investiti specialmente a più ampia scadenza) ma ho scritto per amicizia con l' intenzione di fare un poco di verità.

Don Renato Rosso   

Diario dal Bangladesh     

26 agosto 2007  

Ho terminato la mia permanenza in India visitando particolarmente Centro, Ovest  e Sud.

Ho trovato gli animatori molto impegnati. Non è mancata una bella giornata di ritiro spirituale con degli insegnanti-catechisti e infine lascio l’India comunicandovi la bella notizia dell’aggiunta di 29 insegnanti per circa 700 bambini pastori nel Sud-Rajasthan.

 Piccole cose, se vogliamo, ma preziose.

Un altro fatto significativo è che il governo di Delhi ha istituito un ufficio per i nomadi. Circa 20 persone lavorano in questa struttura e uno dei nostri “cappellani” partecipa agli incontri più significativi.

Ancora, l’Arcivescovo di Bhopal, Mons. Pascal Topno, dopo 12 anni di sostegno alla Pastorale dei nomadi in India come presidente, lascia il posto a Mons. Leo Cornelio, che pure è sempre stato al nostro fianco e ci ha rappresentati all’incontro mondiale della Pastorale dei Nomadi a Budapest.

 

27 agosto  

Arrivo in BANGLADESH. Qui le notizie sembrano meno entusiasmanti.

Già dall’aereo devo assistere ad uno spettacolo mai immaginato: vedere un Paese affogato nell’acqua. Vedo minuscolo villaggi che spuntano dall’acqua senza comunicazioni all’intorno: sono centinaia di minuscole isolette immerse, mentre altri villaggi si vedono completamente coperti.

L’alluvione era stata prevista per cui alcuni milioni di persone sono stati evacuati dalle regioni a rischio; comunque alcune migliaia di persone sono rimaste vittime della calamità.

Si può aggiungere che anche molte regioni dell’India  non sono state risparmiate da alluvioni, ma non di tali proporzioni.

La settimana scorsa, per raggiungere una località distante  poco più di 100 Km, con una jeep abbiamo impiegato oltre 11 ore, e appena 10 minuti  prima di arrivare, la strada che faceva da argine al fiume è stata per un lungo tratto spezzata e travolta. Siamo tornati indietro  e con un treno, per altra strada, siamo arrivati il giorno dopo.

Tutto questo però fa parte  di una vita normale che non arriva mai a scoraggiare le persone o a farle disperare. 

 

1° settembre 

Ancora metà paese è sommerso ed è difficile avere dei bilanci su questa calamità.

Nelle strade si vede di tutto: tentativi di salvare quel poco. Gli uomini specialmente sono occupati nel legare canne di bambù per fare ponticelli e non essere tagliati fuori. Dove i camion hanno potuto trasportare sacchi di cemento, si costruiscono piccole dighe o sentieri per passare da un luogo all’altro. Dalle case aperte si possono vedere sui letti le caprette, una mucca, tutte cose più importati di un sonno tranquillo. E la gente ci sa ridere.

Nelle strade si mescolano barche (come a Venezia) e rixò spinti con mezza ruota o di più in acqua.

I bambini comunque non perdono occasione per divertirsi, essendosi spesso auto-dispensati dalla scuola.  

  

5 settembre 

Insieme all’alluvione dell’88 e quella del ’98, questa del 2007 si aggiunge a quelle di dimensioni più devastanti.

Un mese di ininterrotte piogge iniziò al nord del paese, finchè i fiumi spezzarono argini, strade e ponti e si riversarono sul paese.

Tre giorni fa una umiliazione in più. Apparve sullo schermo della TV un ministro con sguardo sereno, sorridente e rassicurante, dicendo alla Nazione  che non c’era nulla da temere, che la situazione era sotto controllo, i mercati avevano di tutto e non c’era bisogno di chiedere  aiuti stranieri.

La situazione però è questa: milioni di bengalesi con febbri e infezioni di vario tipo; migliaia di persone piangono per i loro morti,  dispersi e coloro che ancora moriranno a causa di malattie, case crollate e prolungati tempi nell’acqua, in mezzo a un tutto provvisorio così precario con scarsità di acqua potabile. Ebbene, per fortuna che tutta questa gente non sente il ministro dire che non  c’erano problemi gravi. Certo a casa del ministro c’era tutto il necessario, come nei mercati delle grandi città.

Questo è uno dei segni per dire che generalmente,  per i politici e i ricchi, i poveri non  meritano particolare attenzione perché non esistono proprio.  

  

6 settembre 

Ieri, nella parte est della capitale, avreste potuto vedere di tutto: vestiti e pezzi di tetti galleggianti. Specialmente i ragazzi e giovani su zattere aiutano a spostare oggetti, bambini e anche soccorsi. Una mamma spingeva sull’acqua una grande pentola col suo bambino dentro.

Si cercano acqua e medicinali.

I centri sanitari, dove ci sono medici o infermieri, sono pieni zeppi dei casi più gravi. 

 

9 settembre

L’alluvione generalmente avviene a tappe diverse.

Si prepara la terza ondata, dopo una pausa che poteva far pensare alla fine della calamità.

 I fiumi Ganges, Meghna e Brahmaputra sono di nuovo rigonfiati nelle regioni del nord e continueranno a riversarsi sul paese.

Per avere un’idea di ciò che capita basti vedere ciò che riporta un giornale locale: “Nei nostri tre comuni il Teesta (uno dei 230 maggiori fiumi del Paese) ha lasciato alle intemperie 30.000

famiglie, trascinando via 200 case, mentre 500 bovini sono annegati”: questo quadro è delle ultime 72 ore e in soli tre comuni,  mentre i bilanci a livello nazionale dicono che quasi il 50% del Paese è stato sommerso e nove milioni e mezzo di persone sono state gravemente danneggiate, nella vita, nella salute, nei raccolti o nella casa.

Non si può dimenticare che dietro ogni numero c’è qualcuno che è disperato e senza prospettive di futuro. 

 

10 settembre 

Della complessa situazione politica accenno solo che le due donne che sono state al potere come Primo Ministro negli ultimi 15 anni sono entrambe in prigione. La Kaleda Zia, che ha avuto più di tutti la possibilità di ristrutturare il Paese, è in prigione con due figli e molti uomini che hanno occupato le maggiori cariche politiche.

Attualmente c’è un Governo di Tecnici sostenuto dall’Esercito.    

      

5 ottobre 

Il Bangladesh è abituato alle sofferenze e spesso non lotta nemmeno più di tanto per evitarle: convive con esse. Quasi nessuno più parla di alluvione, anche se al nord e al sud del Paese migliaia e migliaia di case sono ancora in acqua.

Tra Savar e Dhaka decine di ciminiere emergono dall’acqua e dentro le loro fornaci, invece di cuocere mattoni, si pescano pesci.

I prezzi ai mercati sono alti e la vita è difficile, eppure i giovani e specialmente i bambini riescono anche a divertirsi con gare di nuoto, tuffi nei fiumi dai ponti, mentre il fiume stesso è in piena e pericolosissimo; si divertono poi con gare di pesca e ci scherzano su quando hanno pescato un pesce sotto il letto o nella stufa! E chissà per quanto tempo ne avremo ancora.   

  

7 ottobre 

Una signora mi dice che la settimana scorsa,  mentre le donne che vivono con il ricamo venivano a prendere lo stipendio, una donna durane il mese non era riuscita a lavorare molto perché un figlio si era ammalato e nello stesso mese era stata lasciata dal marito ed era rimasta sola con i quattro figli. Quando prese tra le mani il suo salario di 300 Take (3,30 euro) scoppiò a piangere perché sapeva  di avere i soldi scarsi per una settimana, mangiando solo riso.

A chi chiedere aiuto? Gli altri sono in situazioni simili.  

  

10 ottobre 

Un bambino di 4 anni e mezzo lo scorso anno è stato operato di un tumore maligno alla bocca: era stata asportata anche tutta la mandibola e una ricostruzione plastica risolse il problema parzialmente, con straordinaria professionalità dei medici.

Ieri è arrivato all’ospedale, dove era stato per la chemioterapia e disse alla suora: “Oggi il mio vicino di letto è morto”, e lei: “Che cosa aveva?” “Un cancro alla bocca come me, per questo penso che adesso morirò anch’io” e cominciò a piangere.

La suora, che è una vera mamma, lo consolò, poi aggiunse: “Vedi, questo giardino è bello, ma dopo la morte andremo in un posto dove c’è Allah, un posto molto più bello di questo. Là ci saranno tanti fiori, laghetti più belli di questo, pesci e uccelli di tanti colori e poi là mangeremo  tanto quanto vorremo. Vedrai come sarà bello!” Il bambino si calmò.

A sera tornò dalla suora per dire: “Tu puoi farmi morire presto presto, perché anch’io voglio andare in quel bel posto”.

Era certamente stato impressionato dal fatto che là (in paradiso) si potrà mangiare tutti i giorni e quanto si vuole.  

  

20 ottobre 

Vicino all’accampamento di Juragate c’è una baraccopoli con un migliaio di famiglie in circa 400 capanne. Sarebbe umano avere almeno una capanna per famiglia.

Oggi sono stato a casa di Shilpi, una mamma di tre bambini. Lei ha circa 20 anni.

Il papà è morto di fame, la madre sta morendo di fame e lei morirà della stessa malattia, che è la prima e veramente seria malattia del Bangladesh.

Sono stato da Shilpi a portare medicinali, qualche aiuto di emergenza e comunicare la data  dell’intervento chirurgico del figlio più grande.

I tre bambini hanno tre papà diversi e Shilpi sostiene la famiglia da sola come può. L’ultimo figlio  ha 16 giorni. Io indirettamente le avevo detto di fare attenzione per evitare una terza gravidanza in quelle condizioni, ma non mi aveva sentito.

E penso che Dio stesso non sia stato d’accordo con me, tanto è vero che il figlio glielo ha dato. E io, prendendolo in braccio, mi sono vergognato dal dover pensare: “Fosse stato per i miei ragionamenti, questo bambino non esisterebbe. E chissà, potrebbe essere l’unico a sopravvivere nella famiglia”.    

   

30 ottobre 

I miei collaboratori che lavorano con gli zingari in  Bangladesh sono quasi tutti bravi, ma qualcuno è veramente speciale.

Davide Murmu, trentenne con moglie e due figli, ha altre otto persone  della famiglia a carico. Ha con la sua famiglia 10 bambini nomadi del suo stesso gruppo.

Riceve i soldi per mantenere i 10 bambini.

Qualcuno ha chiesto se una bambina orfana poteva aggiungersi e dissero: “Dove mangiano 10 possono mangiare 11”.

Poi chiesero per un altro bambino  e ancora per altri due.

Si sono poi aggiunti 4 giovani che hanno finito la scuola superiore e sono senza lavoro. Hanno chiesto a Davide se potevano stare con lui e fare del volontariato in cambio di un piatto di cibo.

Davide mi disse: “Con i soldi dei 10 bambini adottati mangiamo in 26”.

Una famiglia piuttosto grande.

Davide, avendo un salario per il lavoro di  coordinatore di un progetto di 570 studenti nomadi

Mahali, ha deciso di dividere questo salario in cinque parti, dando ai 4 giovani senza lavoro (tre sposati con figli) la possibilità di sopravvivere anche se nella povertà.

A conclusione, sono in 26 in quella famiglia e senza lamentarsi addosso.   

   

8 novembre

Prima di terminare queste note di diario, dico che il paese soffre da 4 mesi a causa della terribile alluvione e si prevede la fine di questa calamità solo dopo la fine dell’anno. I poveri hanno sofferto veramente troppo.

Una mamma ieri mi ha portato a vedere le due gemelline di due mesi.

Dalla nascita non hanno ancora assaggiato una goccia di latte. La madre le ha nutrite finora con acqua di riso bollito: questo è l’ultimo di migliaia di casi che fanno pensare a un Bangladesh negli anni del dopoguerra 1971.

    

Cari amici, le notizie belle e tristi che vi mando vi prego di trasformarle in preghiere di intercessione per il prossimo Natale

Don Renato   

Questa lettera-diario è stata ultimata poco tempo prima dell’ultimo devastante tifone, del quale vediamo le terribili immagini alla TV in questi giorni (16 novembre 2007 ndr)

Pasqua 2007

Cari amici, 

poiché ogni giorno e Natale, Quaresima, Pasqua.. anche se riceverete in rritardo questo scritto non sarà un problema. Vi mando qualche pagina di diario, solo per rimanere vicini. 

21 febbraio. Oggi inizia la quaresima. I testi liturgici ci invitano a riflettere sulla conversione, la preghiera, la penitenza, il digiuno. 

In India, dove mi trovo, si continua a perseguitare coloro che almeno apparentemente potrebbero convertire qualcuno a! cristianesimo. Ho appena trascorso un po' di tempo con un amico prete che da qualche mese vive con i Barelas (seminomadi). I vicini di casta più alta dopo aver accolto bene il Padre Jesudas come loro amico e dopo aver iniziato a mandare i bambini alla sua scuola in una capanna di paglia, hanno improvvisamente rotto i rapporti e iniziato la persecuzione per farlo espellere da quei territorio forestale. Cosa è capitato? Padre Jesudas ha iniziato a fare scuola ai bambini Barelas che sono i più miserabili, anche se non ha rifiutato i bambini dei vicini di casta superiore. Questi ultimi, tre volte l'anno, chiedono ai Barelas di andare a lavorare nei loro campi specialmente per la raccolta dei cotone, del riso e per la semina. 

Qualcuno ha fatto capire ai padroni dei campi che se i Barelas vanno a scuola fra qualche anno cercheranno lavori migliori o comunque dovranno essere pagati più dignitosamente. 

A questo punto i vicini di Padre Jesudas hanno iniziato una campagna contro il Padre dicendo che certamente cercherà di convertire al cristianesimo tutti i Barelas e i loro vicini. A nessuno interessa la religione ma non vogliono perdere la manodopera. 

Uno degli insegnanti della scuola statale vicino è appena venuto a confidare al mio amico che pure lui è stato mandato in quella scuola per preparare il pranzo ai bambini, e qualche gioco, ma assolutamente non insegnare nulla in particolare a questi seminomadi che domani dovranno continuare a lavorare e servire i loro vicini più ricchi. Il mio amico prete continua allo stesso modo, anche se rischia non solo la persecuzione ma molto di più. 

28 febbraio. Sono arrivato in Bangladesh. Questo paese è un mistero. Ci ho vissuto per diversi anni eppure ogni volta che torno, dopo qualche mese, mi sembra sempre la prima volta. E’ Quaresima e qui c'è tanto digiuno forzato. Non parlo di una carestia, ma della vita di tutti i giorni. Spesso si dice dei paesi poveri: non hanno... non hanno... ma una delle preziosità che meno hanno è la salute. I malati di tumore anche qui si moltiplicano pur non avendo particolari cibi cancerogeni o sigarette né troppi telefonini. 

Tre mesi fa prima di lasciare il Bangladesh affidai un giovane di 28 anni a un amico che, grazie a una suora dottoressa, provvedeva la morfina, in quanto il tumore gli aveva invaso tutto l'apparato digerente e senza medicine poteva solo gridare. Adesso è morto, ma penso a tutti i malati terminali senza medicine almeno per ridurre il dolore. 

Io vorrei dare belle notizie e certo ce ne sono tante, ma questa è la realtà in cui ci si imbatte in meno di 500 metri di strada: è come quando uno ha mal di denti e può avere molte belle notizie da darti, ma come lo incontri vedi il suo mal di denti che ti impedisce di vedere tutto il bello che c’è dietro quella sofferenza. 

2 marzo. Le pagine bibliche che leggiamo durante la Quaresima sono tutte infuocate e cariche di invito alla conversione. Oggi l’invito di Gesù è veramente scomodo e ci da la fotografia di quanto siamo distanti dall'essere cristiani. Non so se l'evangelista Matteo ci impedisce di ricevere la comunione o se ci chiede di riceverla più frequentemente. Ci invita prima dell’Eucarestia a riconciliarci con il fratello. Come andare a fare la comunione se l’Africa mi appartiene con le sue sacche di miseria, di malati di Aids, di guerra? I Sarawai, i Congolesi, i Pigmei sono miei fratelli? I Bengalesi, gli Indiani sono miei fratelli? I Sudamericani lo sono? Almeno quelli che incontro nella mia città sono fratelli con i quali dovrei fare della riconciliazione? 

Signore, abbi pietà di noi. 

10 marzo. Poiché mi sento in dovere di portare sempre un po' di Asia in casa vostra oggi vi porto un pezzo di storia veramente quaresimale. Anche se il fatto che riporto non è di questa settimana, ma di 441 anni fa e la Chiesa lo ha ricordato pochi giorni prima della Quaresima per prepararci a questa, ci può dare coraggio. 

Annoto queste righe specialmente per coloro che spesso si lamentano della croce che devono portare a causa delle incomprensioni, o a causa della salute malferma o per la fatica del lavoro o altro ancora. Il coraggio degli altri ci può stimolare. 

Dopo aver celebrato nella liturgia la festa di San Miki e i suoi compagni sono stato curioso di saperne di più su questi compagni di cui normalmente non si dice a nome. Ho incontrato in questo gruppo di 25 martiri crocifissi con San Miki a Nagasaki il primo e unico riconosciuto santo della Chiesa indiana e un altro che penso sia il più giovane santo della Chiesa (eccettuati i Santi innocenti bambini fatti uccidere da Erode). 

Quest'ultimo martire giapponese del gruppo di San Miki di cui vi parlerò si chiama John Jap. Aveva 11 anni ed era entrato in Chiesa per curiosità. Sentì parlare di Gesù che ci ha voluto tanto bene al punto di morire per noi. La predicazione del missionario impressionò molto John.. Sentì poi che Gesù è tornato vivo e continua a volerci bene e noi come Gesù possiamo anche morire per gli altri. 

In quei giorni i nemici dei cristiani stavano aumentando le persecuzioni, per questo il bambino John in quel giorno sentì il missionario dire ai pochi cristiani di non aver paura anche se dovessero morire per Gesù Cristo, anzi di considerare questo come un dono. John fu sicuramente affascinato dalla figura di Gesù e dal suo amore che appena giunto a casa chiese alla mamma buddista se lo autorizzava a tornare alla chiesa cristiana perché anche lui avrebbe voluto diventare cristiano. La madre fece delle domande(che non conosciamo) poi disse: "Se questo ti aiuta e ti fa contento, vai pure”. 

John Jap tornò il giorno seguente alla chiesa. Il terzo giorno pure, ma questa volta trovò la chiesa chiusa e alcuni militari custodivano la porta. 

John chiese di entrare, ma i militari spiegarono che i cristiani erano stati chiusi dentro per essere condannati e uccisi. Poi dissero al bambino di tornare a casa, ma lui insistette: "Anch'io sono cristiano (anche se non era ancora battezzato). Sì. certo, io devo entrare dentro con loro". I militari cercarono di persuaderlo a tornare a casa perché troppo piccolo.. Non sappiamo che cosa il bambino può aver detto per convincerli ad aprire la chiesa, sta di fatto che lo lasciarono entrare. Lui era convinto di non essere troppo piccolo per dare la vita per Gesù. Quella notte pregarono e cantarono tutto il tempo, prigionieri in quella chiesa. John Jap ricevette il battesimo. 

Ad un certo punto i militari entrarono per tagliare un orecchio ai 25 prigionieri invitandoli ad abbandonare la religione cristiana, ma nessuno si spaventò per questo. Una testimonianza di un militare dice che John non diede il minimo cenno di sofferenza, probabilmente per timore di non essere ammesso alla sorte dei compagni. Venuto il giorno li portarono fuori dove erano state preparate le croci per la crocifissione di ciascuno. Quando John Jap intravide una croce più piccola, corse verso quella, senza impedimento dei militari, e la baciò. Dopo questo morirono sulle croci dando la vita per Gesù Cristo. 

Guardando Gesù sulla croce e ricordando le migliaia di martiri e questo bambino, spero che la nostra croce non ci sembri poi così sproporzionata. Auguro a tutti la grazia di portarla quando Lui ce la consegna. 

Buona quaresima e buona Pasqua! 

Don Renato

2006

Brasile, India, Bangladesh 

18 novembre 2006 

Cari amici, 

è passato più tempo perché, a causa della malaria, ho dovuto fare una pausa forzata più lunga, ma ho ripreso il cammino; devo riconoscere che il tutto è stato provvidenziale perché specialmente i miei amici di India e Bangladesh si sono molto più responsabilizzati e all'incontro annuale per la Pastorale dei Nomadi a Bhopal (India), tra un centinaio di animatori e coordinatori, ci siamo trovati con sette preti a tempo pieno e 14 suore pure a tempo pieno per i nomadi. L'Arcivescovo Agostino Marchetto è venuto dal Vaticano a incoraggiarci e offrirci preziose linee di orientamento, commentandoci il Documento recentemente pubblicato dalla Santa Sede per la Pastorale dei Nomadi nel mondo.

Il bilancio dell'anno è positivo. 

Vorrei condividere con voi alcuni momenti vissuti in questi mesi.

L'estate scorsa sono tornato per 40 giorni in BRASILE dove ero stato per 8 anni.

10 luglio2006. Ho incontrato nuovi volontari che desiderano lavorare con gli zingari: tra gli altri una comunità veramente particolare. I fondatori sono due preti "fidei donum" della Sardegna. lo mi incontrai particolarmente con padre Enrico; lui tra l'altro mi conosceva indirettamente per aver letto due miei libretti, che avevo scritto da giovane.

Oggi la comunità si rifà a San Francesco e penso che il nostro caro santo sia veramente contento di loro.

Premetto il fatto che in Brasile ci si lamenta che non ci sono vocazioni, come in tante altre parti del mondo..

Ho infatti visitato un seminario interdiocesano di 24 diocesi riunite e non arrivano a 100 seminaristi. Parte del seminario è ancora in costruzione. Ogni seminarista non ha una stanza a disposizione, ma potremmo dire un appartamento, con sale, saloni, auditorium, ovviamente non una cappella ma quasi una cattedrale, campi da football, tennis, piscine, l'Università Teologica interna, e tutto collegato da porticati che permettono tutti gli accessi, senza doversi bagnare la punta dei piedi, etc..

Dicono i superiori che bisogna prepararli bene, proprio bene! E i giovani non si fermano. Sono giovani che vogliono dare tutto al Signore e si trovano di nuovo tutto nelle mani e sono scontenti.

Torno alla comunità di Padre Enrico.

Hanno iniziato circa sei anni fa e sono presenti in 25 diocesi. Di questi giovani consacrati tra i 25 e i 30 anni, solo in Saõ Paolo incontrai quasi 500 durante una celebrazione eucaristica.

Essi si occupano di mendicanti, quelli che popolarmente chiamiamo "barboni", malati mentali, tossicomani, prostitute. Ovunque c'è una grande sofferenza, essi sono presenti.

Questi giovani incontrano i loro amici sotto i ponti, preparano un pasto insieme dopo aver raccolto verdura e frutta scartate nei mercati. Spesso si fermano la notte con loro.

I giovani di Padre Enrico sono poveri, le loro case sono estremamente semplici ed essenziali.

Essi pregano, digiunano, fanno penitenza.

Un parroco mi dice di aver dato a quella comunità le tre migliori ragazze della parrocchia e aggiunge che in questi pochi anni hanno fatto un cammino straordinario.

Il segreto qual é? Che i giovani sono entusiasti, generosi e pieni di fuoco, e Padre Enrico chiede, chiede molto, chiede tutto quello che possono dare.

Stavo quasi dimenticando di dire che adesso si occupano anche degli zingari. 

C'è un altro gruppo che non ho incontrato, ma me ne hanno parlato: si chiamano "Tocà d'Assis", probabilmente sono ancora più radicali e in pochissimi anni hanno raggiunto tutti gli angoli del Brasile.

Ciò che voglio dire è che il fuoco del Vangelo è ancora capace di incendiare il cuore di tanti giovani; indipendentemente dalle forme aperte o retrogade il fuoco di Gesù continua a bruciare. 

10 agosto 2006.

Mi incontro con la comunità della Trinità.

Frate Enrico (il nome si ripete) non ha ancora 40 anni e da 17 vive sulla strada, con una grande fede nella Provvidenza, mendicando e condividendo la vita dei "sofferenti della strada", così li chiamano in Brasile. Da sei anni, insieme a un gruppetto di "spiantati" ha fatto diventare strada una chiesa abbandonata nella città di Salvador-Bahia. La chiesa è stata ripulita, ma il mobilio è quello della strada. Le trenta persone, uomini e donne che vivono là, di tanto in tanto portano oggetti di strada a casa: tavoli rotti, sede, legni inutilizzati, ma tutto questo dà loro sicurezza e lo accatastano nelle navate della chiesa: una navata è per gli uomini e l'altra per le donne... Essi mettono insieme quello che hanno. Una ventina di loro vive ormai permanentemente là. Ogni giorno a turno fanno pulizie, cucinano, fanno lavoretti di artigianato che poi vendono e vivono veramente la fraternità: al mattino 40 minuti di preghiera fatta di canti, salmi, orazioni popolari e pregano per tutti. Alla sera pure c'è questo tempo di preghiera. Non si deve dimenticare che la maggior parte é arrivata là con il cervello bruciato dall'alcool o dalla droga o dalla disperazione. Una decina non riesce ancora a fermarsi, perché la vita della comunità è relativamente rigida. Per questo alcuni vengono, si fermano alcuni giorni, riprendono i medicinali, si nutrono più decentemente, si calmano e poi ripartono ancora per qualche giorno a bere a stare con gli amici che non lasciano la strada, con qualche donna o uomo che temporaneamente chiamano moglie o marito, poi tornano ancora.

E là fratel Enrico e i suo 30 malati o convalescenti cercano di vivere il Vangelo a loro modo.  Comunque, se è difficile fare vita comune tra religiosi, immaginiamo quanto dovrebbe essere difficile là, e invece è possibile. Là, nella chiesa della Trinità, l'Eucarestia non solo è presente, ma è anche visibile.

Spero che presto Effatà (editore torinese che ha pubblicato anche un libro di renato: Francesco, io l'ho incontrato NDR) ci offra l'epistolario di Fratel Enrico. 

5 settembre, Aleppi - INDIA

Qui incontro il Signor Babu, che una trentina di anni fa era stato condannato a morte (e non certamente per aver rubato le caramelle nel bar). Graziato dal Primo Ministro Rajiv Ghandi, marito della nostra conterranea Sonia Ghandi, quest'uomo ha voluto riscattarsi.

Il cervello era buono, l'aveva solo usato male, ma il Figlio prodigo può sempre smettere di mangiare le ghiande dei porci.

Ha iniziato a mendicare per curare alcuni mendicanti malati che non avevano più la forza di sostenersi; poi aumentò il numero: ricevette una casa, poi un'altra più grande, e anche la sua famiglia di malati mentali aumentò di numero. Sono quasi tutti "matti", lasciatemi usare la parola popolare. Ma essi si aiutano a vicenda in quel pochissimo che possono.

In Europa le comunità di questi malati sono generalmente di un operatore per ogni malato, calcolando ovviamente turni, ferie, etc.

Nel grande cortile e dormitori, cucina, refettorio, luoghi di riposo sotto le piante, ci sono con Babu 144 di questi malati mentali: questa è la forza di un cristiano convertito e quando vedo queste cose le voglio gridare a tutti. 

29 settembre

Sono da pochi giorni in BANGLADESH.

Questo è il mese della Roja, ossia del digiuno musulmano.

Ci alziamo alle 3,30 del mattino per lavarci e prepararci al tempo della preghiera. Le donne si alzano già alle 3, perché devono preparare la colazione-pranzo, che dovrà essere consumato prima del sorgere del sole. L'accampamento è pieno di vita. Nonostante il digiuno i miei amici sembrano più sereni, specialmente perché stanno più tempo a casa, moglie, marito, figli insieme.

Si suppone che i mesi precedenti abbiano lavorato di più e ora qualche riposo in più.

Ma dietro l'accampamento dove sono, dove si vive discretamente, c'è una baraccopoli con un migliaio di famiglie: è un piccolo inferno. Fino allo scorso anno c'era almeno un malato per famiglia, quest'anno sono tutti malati e la ragione è che non mangiano (riso senza verdure, senza pesce, senza... senza...), il diabete va alle stelle, gastrite o ulcera è comune perché mangiano la foglia del betel che toglie l'appetito, poi tutte le forme di anemie, croniche, mediterranee, emolitiche, leucemie, carcinomi di vario tipo, infezioni intestinali, urinarie, tutto perché non ci sono difese.

Ieri è venuta una famiglia: il marito con tumore, la moglie cieca (probabilmente per diabete), il bambino di 3 anni con anemia mediterranea e la figlia di 12 anni con un'infezione strana che vedrà il medico che cosa può essere.

Mentre sono qui qualcosa posso pur fare, ma è veramente poco.

Tutti coloro che devono essere operati vengono ammessi all'ospedale S. Maria, dove per sei mesi gruppi di volontari medici italiani eseguono giornalmente operazioni gratuite (circa 600 in sei mesi); i malati di tubercolosi vengono assistiti gratuitamente dalle suore di don Gasparino di Cuneo (ogni mese ne controllano circa 700).

Altri TBC e lebbrosi li accompagniamo dalle suore del PIME che pure esse assistono gratuitamente questi malati.

Gli handicappati gravi senza famiglia vengono accolti dalle suore di Madre Teresa e alla Papa Giovanni XXIII.

In casi particolari anche orfani trovano posto in queste due comunità.

Ho scritto queste ultime righe per dire quanta solidarietà c'è e ho parlato solo della città di Khulna, dove sono accampato. 

Penso che ci dobbiamo fare tutti una domanda: "lo sto facendo la mia parte?"

So che tra voi molti stanno solidarizzando con l'Africa, altri con il Sud America, altri con l'Asia o con situazioni di emergenza europee.

Importante è che ciascuno faccia una parte: la propria parte e nessuno si chiuda nella tristezza di non saper cosa fare.

Dimenticavo di dirvi cosa faccio io: ebbene, faccio ben poco.

Guardate ai miei amici molto più bravi di me che vi possono stimolare a prendere il volo se non l'avete ancora fatto.

Ciao 

Don Renato

Pasqua 2006 

Cari amici,

in questi giorni medito e vivo la quaresima accanto a un papà che da otto anni è in corna vigile. È  totalmente paralizzato, inchiodato qui sulla sua croce. Ci ascolta e comprende, ma non può rispondere. Non può  dire quanto soffre a causa del tumore che lo sta invadendo e non può gridare l'affanno né il panico per un'asma  che di tanto in tanto tenta di soffocarlo. Pure io ho qualche problema di salute, ma insignificante a confronto di questo calvario. Provvisoriamente ho dovuto lasciare, per qualche mese, le "nostre" attività e faccio quaresima.  Dinanzi allo scenario che ho di fronte mi domando: "Perché nelle nostre famiglie è ancora tanto frequente  l'espressione pagana che dice: "Ma che male ho fatto, (oppure  che male ha fatto) per meritare un dolore così grande"? Ci troviamo di fronte alla malattia, alla depressione o a un incidente stradale. Spesso siamo di fronte al  dolore fisico, altre volte di fronte alla morte e noi, dopo quell'esperienza fatta nei pressi di Gerusalemme 2000 anni fa, noi continuiamo a dire: "Ma che male ho fatto per meritare questo?".

Che male ha fatto Gesù Cristo? Era  certamente innocente. Questo lo crediamo. La sua sofferenza e morte si è trasformata in salvezza per noi. Anche  questo lo crediamo, ma quando la nostra sofferenza si deve aggiungere a quella di Gesù, per la guarigione del  mondo, noi non siamo più d'accordo. In 2000 anni il Vangelo non è penetrato nella nostra cultura occidentale se non in piccolissima parte. Se leggiamo nei vangeli la pagina detta delle Beatitudini, ci rendiamo conto quanto  siamo distanti da questo messaggio. Gesù chiama beati, i poveri, in una parola tutti quelli che soffrono e nella  nostra cultura ancora pagana li chiamiamo disgraziati. Per il vangelo i sofferenti sono beati e benedetti, per noi,  per la nostra cultura sono sfortunati, disgraziati e maledetti. Facciamo fatica a capire se non superficialmente il  valore della sofferenza che guarisce il mondo. Sisto, il malato di cui ho parlato all'inizio della lettera è qui e  soffre.

Saremmo comunque ciechi se non riconoscessimo in lui il prezioso ministero della sofferenza per il  mondo come lo è stato per Gesù. La croce di Gesù la chiamiamo Grazia o Dono e perché questa la dovremmo  chiamare disgrazia? Otto anni fa di fronte a un papà così sofferente qualcuno avrebbe potuto pensare: "Perché  non fare un'iniezione per l'eutanasia?" ed avremmo perso una preziosità cosi grande. Vi immaginate, quando Gesù è  stato condannato a morte, se qualcuno, in fin di bene Gli avesse somministrato una "dose" per l'eutanasia, in  fondo avrebbe accorciato la sua vita solo di un giorno, ma che giorno! Se crediamo che quelle tre ore furono le  più importanti della sua vita per la salvezza del mondo.

L'ultima pagina del vangelo ci avrebbe presentato un  Gesù che si e' addormentato in pace. Sisto vive in una "casa famiglia" della "Papa Giovanni", la stessa che ha  accolto me, per qualche tempo. Sisto vive in intensa comunione con chi gli sta accanto: appena un respiro si fa un poco pesante fa intervenire qualcuno. Un colpo di tosse, un segno di sofferenza appena percettibile sul volto fa azionare il nebulizzatore, il monitor, un'iniezione di emergenza e lui in questo modo, attraverso il ministero  della sua sofferenza resta a servizio della Chiesa e del mondo.

Un paio di settimane fa, mi trovavo con due  zingari Rom che hanno fatto un bel cammino di fede con il mio amico Mons. Riboldi. Si parlava di benedizioni e  di maledizioni. Un Rom disse.. "Quando uno ci maledice rimane gabbato due volte. Primo: se la maledizione ci  trova in Grazia di Dio non ci tocca e va a ricadere su di lui. Secondo: Se ci maledice, dice male di noi,  noi  diventiamo beati quindi benedetti: il vangelo dice proprio così 'beati noi , quando gli altri ci fanno soffrire  male-dicendoci' ". Ho riportato questo episodio per dire che qualcuno c'è pure che capisce il valore della  sofferenza e lo sa accogliere.

La scorsa settimana ho parlato di queste cose con P. Luigi che il mattino seguente mi  ha domandato: "come stai?" e io ho parlato di qualche problema di salute non ancora risolto e lui in venti minuti  mi ha detto tre volte "grazie".

È giusto. I malati si ringraziano perché sono medicina del mondo, in mezzo a  tanta ingiustizia, violenza, diritti umani disattesi e malizie di ogni genere.

Per questo, ogni giorno di questa  quaresima, quando inizio la giornata saluto Sisto, gli faccio il segno di croce sulla fronte e gli dico: "grazie".

Alla  sera ripeto lo stesso rito. In questo modo, durante la quaresima mi preparo alla Settimana Santa quando mi  avvicinerò alla croce, la bacerò e dirò: "Grazie".  

Buona Quaresima e Buona Pasqua 

Don Renato