ASIANOMADS

Diario 1984-1999

Diario  (1984 - 1999)

1984

Giugno      

Carissimi amici, 

a distanza di un mese dalla partenza per il Brasile voglio dare qualche notizia a voi che mi avete chiesto di essere informati. 

Una parola sulla partenza. 

All’agenzia aerea mi chiesero in quale città brasiliana volevo andare: dissi che per me era la stessa cosa, in quanto non ne conoscevo nessuna. Chiesi il viaggio che costava di meno e mi diedero come destinazione San Paolo. Il giorno prima di partire non avevo ancora superato l’influenza e ho dovuto partire con la febbre (38°). 

Arrivato a San Paolo forse la forza della disperazione mi ha aiutato più delle medicine. Ho cercato come prima cosa una chiesa. Dopo essere stato accolto a braccia aperte perché prete e italiano, quando seppero che mi occupavo di zingari (non potevo dire di essere un astronauta) e dopo aver sentito che non avevo punti di riferimento in città e che ero arrivato in giornata mi invitarono a riparare presso un’altra Chiesa: mi diedero l’indirizzo e capitò la stessa cosa, poi una terza chiesa e fu esattamente uguale con la differenza che nell’ultima Chiesa volevano accompagnarmi dalla Polizia. Io implorai per non aver problemi per il mio visto e riuscii ad andare, anzi a scappare in cerca di una quarta. 

Sia chiaro che la colpa non era dei preti che poi sono diventati tutti miei amici, ma la colpa era solo mia per il modo in cui mi presentavo.

Mentre salivo da Rua Clicerio verso la Praca da Sè ebbi molta paura. in seguito conoscendo il posto, non ci sarei mai tornato di notte, per tutto l’oro del mondo. Salivo la strada con due borsoni, visibilmente straniero e la notte era già arrivata: avrebbero non potuto, ma dovuto, assaltarmi e lasciarmi nudo come ….un pesce. La mia non era fiducia nella Provvidenza ma incoscienza bella e buona, che in poco tempo si tramutò quasi in disperazione. 

Arrivai all’ultimo indirizzo di chiesa. Avevano intanto telefonato (lo seppi dopo e la trovai già chiusa). Iniziava a piovere. Era questo il momento in cui ricuperai la pace. Dissi all’incirca «Adesso, Signore, tocca a te, io ho fatto tutto ciò che sapevo». Mi ricordai di aver visto una piccola luce vicino a una chiesa e cercai di ritrovarla. Presentandomi chiesi se mi sapevano indicare un albergo a buon prezzo per pernottare: non dissi nulla di me eccetto che ero italiano. Mi indicarono il convento dei Frati proprio lì vicino. Andai, mi presentai chiedendo ospitalità almeno per una notte. Solo il giorno dopo spiegai tutto di me e rimasi dieci giorni, facendo i primi passi in questa realtà così sconosciuta. 

Finalmente il secondo giorno ho incontrato la prima famiglia di zingari, dopodiché tutto bene. Molti degli zingari che ho incontrato hanno la casa ma viaggiano più che in Italia. Alcuni della famiglia stanno in casa, altri vanno a vendere dove gli altri commercianti non arrivano e stanno via una settimana, dieci giorni poi tornano a casa. C’è poi chi non riesce molto nel lavoro (come capita nelle migliori famiglie), c’è chi vive di artigianato e chi con i cavalli. Verso il nord c’è un buon commercio con i cavalli. La gente dice che gli zingari rubano i cavalli e ne rubano tanti, io non so se sia vero, in ogni caso non ho visto anche perché di notte io dormo.

E’ subito nata una bella amicizia tra di noi e la terza settimana ho cominciato un viaggio con loro. In alcuni momenti mi sembra proprio di vedere con chiarezza che la mia vita doveva passare di qui e da parte mia sono contento di offrire quello che posso. 

La salute va bene. Qualcuno che aveva un po’ più di buon senso mi aveva sconsigliato, messo in guardia e proibito di partire per la mia poca salute. Per la verità non sto troppo bene di salute, ma voi sapete che basta star bene e io sto sufficientemente bene, quindi chi stava preoccupato per me specialmente per le ultime influenze, che non smettevano mai, stia tranquillo. 

Qui in Brasile ho incontrato e incontro tutti i giorni molta ricchezza sfacciata e molta miseria. Le ricchezze del Brasile sono in mano di pochi e gli altri fanno la fame. Ieri ho incontrato una donna anziana o giovane, non so, tutta pelle e ossa: 7 figli e lei. Il suo mensile è questo:

27.000 cruzeiro (il cruzeiro adesso vale come la lira) 

10.000 affitto (possibilità di un tetto) 

8.000 luce e acqua (altri sono senza luce) 

9.000 soldi che avanzano per mangiare. 

Con 10.000 lire al mese in 7 persone!!!

Dal mese prossimo, la donna di cui parlo ha ottenuto un lavoro in più che è pulire le lapidi del cimitero e prenderà 1.000 lire al mese. Mille lire! (il latte costa sulle 500 lire al litro). Il mensile di un operaio fino ad ora è stato sulle 50.000 lire ma i salari minimi sono molto più bassi. 

Per le strade di S. Paolo la gente vende di tutto e tutti vendono qualcosa pur di prendere qualche soldino. C’è chi ha una piccola bancarella ma c’è chi vende un oggetto, un paio di pantaloni, una manciata di noccioline. Uno vendeva una calza (non un paio) per 100 cruseiro. 

Poi la notte i bambini che non hanno famiglia, avvolti in un paio di giornali, si sistemano a dormire in un androne, sotto un balcone, nella veranda della scuola, all'ingresso di una chiesa, sotto una sopraelevata, a lato di un albero o semplicemente sdraiati lungo il marciapiede... Già a quattro, cinque anni qualcuno comincia questa vita. 

Poi c’è chi non sa cosa farsene dei soldi perché ne ha troppi.

Devo troncare la lettera un po’ di brutto perché è finito il tempo che avevo a disposizione. Ciao a tutti. Non vi chiedo solo una preghiera ma ve ne chiedo molte. Se avete qualche notizia o lettera o qualunque cosa mandatelo a Edda e Marilde alle quali trasmetto i miei spostamenti. 

Ciao Renato



Giugno 1984 

Carissimi amici, 

vi scrivo due righe di una giornata senza carretto. Sto sorvolando il grande Fiume e la Foresta dell'Amazzonia. Ho appena lasciato l’estate di Manaus per arrivare all’inverno di Caritiba (sono due stagioni diverse nello stesso Brasile). Sto volando con il Brasil Pass che offre 19 giorni di volo, quasi gratuiti... 

Come vedete vi do notizie molto terra terra anche se a 10.000 metri di altezza. Ero stato sconsigliato di andare a Manaus perché là, oltre la foresta amazzonica, i miei amici pensavano che gli zingari non ci fossero e invece ci sono e anche tanti. Oltre agli zingari si fermano grandi Circhi (anche se ieri non c’erano) e il Luna Park. 

Nel Maranhão e nel Goiàs ho trovato ieri l’altro e ieri due padri che daranno una mano molto valida nel nostro lavoro zingaresco. C’è pure una famiglia (estremo nord) molto disponibile: la mamma ha fatto scuola agli zingari a Venezia. 

Interrompo perché c’è da fare uno scalo e l’aereo non è più così fermo. Adesso prego un po’. 

Sono appena partito da Brasilia dove ho recitato i vespri e chiacchierato un po’ con la companheira del cielo. Oggi è mercoledì e ho recitato il salmo 61 dove si legge: 

“Lui solo è mia rupe e mia difesa / mia roccia di difesa / non potrò vacillare”. 

Questo salmo è un vero riposo in Dio. Io sto tranquillo per voi, non mi preoccupo perché Lui è la vostra roccia e voi vi affidate a Lui. Così voi non preoccupatevi per me perché Lui è la mia Roccia e io mi fido di Lui. 

Intanto è venuta notte e fuori i raggi della luna si riflettono sull’ala dell’aereo. Questi “raggi di luna” sono di un romanticismo molto decadente e tecnologico (cosa volete!). 

Sono arrivato a Rio e la prospettiva era fino a qualche minuto fa di passare la notte qui all’aeroporto, ma c’è un inconveniente: il volo di domani mattina per andare nell'inverno di Cuntiba è già completo. Ho chiesto un volo per Porto Alegre alle 22 e così domani mattina alle 7 da P. Alegre potrei tornare indietro a Curitiba, ma anche questo volo non è confermato. Aspetto con fiducia, ci penserà la Companheira. 

Frattanto la Companheira ha risolto tutti i problemi e il volo è poi stato fissato e ora sono arrivato a Porto Alegre, è poco più della mezzanotte. Così domani mattina sarò presente all’incontro dei preti italiani del sud Brasile (chissà, se Dio vuole, vi potrei incontrare qualche perla preziosa). Era questa un’occasione che non volevo perdere. 

Vorrei annotare qui una scena che si ripete davanti ai miei occhi, ogni volta in cui atterro in aeroporto: E' impressionante vedere una marea di gente stipata, che aspetta l'arrivo da chi spesso manca da anni: abbracci, baci, lacrime di commozione e di gioia: il tutto è straordinariamente bello.  Al termine tutti si augurano arrivederci, buona notte e poi su un auto, un taxi, un Bus verso casa o l'albergo. Per me la casa non c'è e nemmeno l'albergo e non ce n'è proprio bisogno, ma ad aspettarmi qualcuno c'è sempre: LUI e LEI, senza abbraccio, nè lacrime, nè sorrisi e persino invisibili, ma la loro presenza rassicurante è sempre là e questo mi basta...

Ciao, Renato 


Agosto 1984  

Carissima Oasni (Opera Assistenza Spirituale ai Nomadi in Italia), 

come stai? spero bene, con sempre rinnovato entusiasmo. Intanto saluti a d. Piero e d. Fausto da parte dei vostri conterranei, lavorano molto e molto bene (come in genere i bresciani!!). Se poi qualcuno di voi veneti volesse venire in Brasile sappia che ci sono alcune città nel sud (es. Benito, Gonzalves o Garibaldi, Caravaggio etc.) dove il 90% è gente veneta, che parla il dialetto veneto, canta le canzoni venete, anche se essi pensano che quel “parlare” sia il “taliano”. 

Sempre in quella regione, ma anche più a nord c’è tutto un gruppo di zingari detti italiani che sono i parenti dei calderasch che girano in Italia. 

Poi in ogni caso c’è di tutto. Un lavoro che qui non si potrebbe fare è “collanine di Pasta” perché ve le strapperebbero di mano per mangiarle. 

A parte gli scherzi c’è una miseria incredibile, ma non avete bisogno che ve lo dica io. Zingari ce ne sono tanti e alcuni gruppi sono anche molto poveri. Da una visione superficiale sono meno emarginati che in Italia, ma lo sarebbero di meno se alcuni gruppi fossero meno violenti: la vita qui costa troppo poco. 

I Rom arrivati il secolo scorso e i Calòn arrivati 400 anni fa dal Portogallo sono anche molti, così pure i Moldovia e Macraia, poi nei diversi stati i gruppi più antichi si danno il nome locale: Mineiros, nel nord del Minas Gerais, o Baiani nella Bahìa. Ho comunque incontrato i più “vecchi” del Brasile, ma non sono ancora in grado di capire a quali gruppi essi appartengono, in quanto la lingua si è modificata così tanto da rendermi faticoso distinguere un gruppo da un altro. 

Forse vorreste sapere di più che cosa faccio, o meglio lo vorrebbero sapere di più gli altri che non vivono con gli zingari, perché voi già lo sapete che cosa si fa, e in ogni caso io faccio poco. 


Settembre 1984 

Lettera personale – Stralcio    

…. Vi do notizie in cifre così evito divagazioni e imprecisioni. 

Nel primo mese sono dimagrito 5 kg., recuperati il secondo mese. Adesso sono senza bilancia ma penso di essere poco meno. 

Tre volte c’è stato un inizio di febbre che con un paio di pasticche per volta è sparita. Non sono mai dovuto stare a letto. Se pensate che prima di partire sono stato sei mesi con febbre (era la febbre del Brasile … e adesso mi è passata!). 

Ho viaggiato in 45 città per un totale di 66.000 km di cui 54.000 fatti in 19 giorni con il “Brasil Pas”: costo complessivo di 300 Dollari (trecento Dollari). Il "Brasil pass" è un'offerta fatta ai turisti affinche siano tentati di fermarsi più giorni nel Paese con tutti i vantaggi economici che comporta.. La prima statistica mi dà 130.000 zingari con caratteristica nomade e semisedentaria e attività di preferenza commerciale. 40 Circhi grandi, 1000 Circhi medi (un centinaio di persone per ogni Circo) quelli piccoli non si contano. I lunaparkisti arrivano in 7000 città del Brasile. 

In una parola c’è lavoro anche per voi. 

Ho invitato personalmente almeno un vescovo di tutte le conferenze episcopali locali a parlare del problema con i confratelli facendo alcune proposte di pastorale. Ho inviato una lettera a tutti i vescovi del Brasile (225 diocesi) presentando un breve storico, l’esperienza italiana, risultati della statistica in Brasile, gli obiettivi di una pastorale dei nomadi, Il compromesso della Chiesa con i nomadi e le piste pratiche di pastorale. 

Ho poi incontrato molte persone che potranno dare appoggio e impegnarsi in questo lavoro. in questi 4 mesi ho scritto circa 300 lettere. 

La lingua va discretamente bene. Dopo un breve corso di portoghese al CEIAL di Verona e tre settimane di Brasile ho celebrato la prima messa Domenica scorsa, con omelia (breve). Dopo tre mesi ho dovuto parlare alla radio e una volta alla TV e adesso mi sento molto bloccato nei confronti della lingua e spesso penso che non imparerò mai a parlare come i brasiliani. 

Furti subiti: uno e in un pomeriggio mentre sostavo in un convento di frati: non era mai capitato in 20 anni con gli zingari ed è capitato in un convento. 

Dall’inizio dell’anno la polizia in S. Paolo ha già ucciso 240 persone (quante ne ha uccise lo scorso anno la droga in tutta l’Italia) e in Rio de J. 600. Bisogna riconoscere che c’è troppa violenza. Solo in S. Paolo (14.000.000 di abitanti) ci sono 900 favelas. In Brasile ci sono 20.000.000 di bambini abbandonati (il numero comprende certamente i bambini che hanno famiglie non in grado di mantenerli), comunque sono parecchie centinaia di migliaia i bambini di 7-8-10-12 anni che non hanno assolutamente nessuno: fumano droga leggera, respirano benzina, colla, lustrano scarpe, vendono biscotti, rubano. Uno di questi (14 anni) rubava molto e dava buone mance alla polizia del quartiere qui vicino. un gruppo di genitori benpensanti per il bene dei loro figli hanno deciso di ammazzarlo e lo hanno fatto così come si uccide un coniglio. 

Gli zingari sono pure molto violenti tra di loro. Mi trovavo nella Bahìa e un Calòn arrivò a ricordare una quarantina di morti per vendetta tra il suo gruppo e quello nemico; generalmente si ammazzano tra di loro ma la gente ha paura ugualmente: uno degli ultimi casi: un camionista uccise uno zingaro sotto il camion. Il fratello dello zingaro uccise il camionista per vendicare il fratello e lo tagliò a pezzi legandolo all’albero vicino. Quando arrivò il fratello del camionista vide il tutto notò anche gli zingari che erano accampati vicini, non erano nemmeno fuggiti (cosa assurda), prese il camion, lo mise in moto e entrò nell’accampamento, o meglio sull’accampamento, e ne ammazzò ancora 8. 

Però ci sono anche tante cose belle. 

Adesso ho finito di dare i numeri. Smetto perché sto scrivendo lettere da 10 ore. 


Ottobre 1984 

Carissimi, 

è passato mezzo anno appena: che poco! in realtà, penso già di averlo detto, mi sembra che siano passati 10 anni. Vi sento vicini con la vostra preghiera e attenzione, ma mi mancate pure molto. 

E adesso vi racconto qualcosa dell’ultimo momento. 

Ricordate che qualche anno fa negli incontri dell’OASNI (Opera Assistenza Spirituale Nomadi in Italia) emergeva un lieve rimprovero, chissà se a torto o a ragione, verso gli Operatori Pastorali Circensi e Parkisti, perché non c’era nessuno che convivesse con questo popolo di viaggianti. Questo tipo di critica personalmente mi ha stimolato a una decisione: cioè vivere un poco con questa categoria di persone. E’ terminato il primo tempo di “visione d’insieme”. Questo benedetto Brasile l’ho un po’ incrociato tutto cercando di sensibilizzarmi ai problemi locali e di sensibilizzare anche altri ad incontrare il popolo zingaro, e ancora stimolare persone a diventare agenti della pastorale dei nomadi. 

E’ stato un lavoro interessante. Penso di aver ricuperato delle energie che rischiavano di cristallizzarsi. Tutto bene. Non vorrei parlare troppo del passato proprio perché è passato: è deposto nel cuore di Dio, là sta al suo posto. 

In questo momento sto scrivendo la lettera seduto sulla sedia numero 13 in un Circo, sono le 10.20. il mattino generalmente lo passo qui vicino al Picadeiro sotto il telone. Davanti a me, a pochi metri, c’è un bravissimo domatore di cavalli. Un ragazzo e una ragazza che si stanno allenando a fare le più pazze acrobazie. Il ragazzo è stanchissimo e il domatore è distrutto. E' ormai dalle 7.30 che lavorano. Adesso sta per sostituire la sorellina. Di tanto in tanto interrompo la mia lettera, incontro gente e nascono così amicizie bellissime. 

La speranza è che nascano delle “comunità di base” in ognuno di questi circhi. Comunità che possano andare avanti anche solo con la presenza del prete di tanto in tanto. Ma nascerà ciò che Dio vorrà e ciò che noi non gli impediremo. 

Il Circo (dove sono 250 persone circa) sta lentamente rivelando la sua identità; io sapevo che i proprietari erano zingari, ma i primi due giorni non dissero nulla, poi si cominciò a dire che il nonno era molto amico degli zingari, che la nonna parlava il sinto, che anche loro lo sanno ancora, le mogli sposate con i figli pure lo sono, diversi artisti già l’hanno lasciato capire. Ieri notte (alle 2 dopo mezzanotte perché si cena dopo mezzanotte) il pagliaccio e migliore artista di questa famiglia circense dice di essere di origine slava, poi aggiunge che sua moglie è una gagè (quindi lui Rom); che ridere! 

Poi beninteso c’è la fatica dell’indifferenza; di chi non sa che cosa ci fa quel prete (il sottoscritto) che tutto sommato non sa fare nulla, o qualcuno vorrebbe parlare con lui e non sa come fare. Io stesso a volte vorrei incontrare certe persone, ma non so come esprimere quello che voglio dire. Quando ho detto che fa caldo e non ci sarebbe bisogno di dirlo o dopo aver detto di aver apprezzato l’esercizio appena presentato, io comincio a sudare più per la situazione in cui mi trovo che per i 40° Poi lo sapete che sono timido al di là di certe apparenze: insomma c’è qualcosa da offrire e ciò che è bene è il fatto che non puoi scappare troppo. 

Riprendo la lettera dopo una chiacchierata con un giovane negro che accudisce i cavalli. Questo ragazzo aveva fatto l’università poi si era stancato ed è entrato nel circo. Riprendo la lettera a spezzoni. E’ una settimana che sto con questo circo: è stato un tempo intenso, ma non mi sento stanco. Domenica scorsa abbiamo fatto la messa in circo, iniziata la catechesi con bambini e adulti. (Se ci foste state voi a fare i cartelloni, a spiegare, che bello sarebbe stato! ma accetto i miei limiti). Abbiamo iniziato con un gruppo di adulti a riflettere e pregare insieme(è stato un po’ fallimentare) in compenso i giovani gelosi vogliono farlo pure loro. Speriamo che domani vada meglio. 

Nel circo dove avrei dovuto andare in questi giorni ( mi hanno appena riferito) che il proprietario del Circo ha ucciso il fratello. Ma in quel Circo che io non ho mai visto non si è fatto un minuto di lutto: sempre bisogna divertire il pubblico. Il pagliaccio zingaro mi raccontò che una volta aveva la figlia malata e la moglie quasi morente e lui doveva “pintarse”, truccarsi, e mentre mi raccontava questo, piangeva come un bambino. 

Dietro le quinte è interessante vedere l’artista che lascia la pentola sulla stufa, a fuoco lento, già truccato, entra nel fascio di luci del circo a fare le sue acrobazie, va, lavora, rischia un’altra volta, scende, applausi a non finire e torna a preparare la pastasciutta.

Sono tre settimane che sto con il Circo. C’era veramente bisogno di questa esperienza. Spero di fermarmi abbastanza perché mi pare di incontrare qui un’occasione privilegiata per la catechesi, incontri personali sempre più profondi, un po’ di scuola, qualche ora di lavoro manuale, etc. 

Nel Circo brasiliano, in ogni caso, non è tutto luce e oro colato; ci sono anche le ombre. Da ciò che sento mi pare che nei Circhi di sinti ci sia più il senso dell’aggregazione e della famiglia, mentre presso gli altri c’è più l’impresa che detta legge e l’economia al di sopra di tutto, dove un animale vale più di un artista: se entrambi muoiono, l’artista lo cambi, l’animale lo perdi del tutto. Un caso tragico capitato poco tempo fa non distante da Rio de Janeiro ha commosso il Brasile. Durante uno spettacolo per bambini il Circo si è incendiato e il fuoco rischiava di appiccarsi anche al grande telone di plastica che copriva la stalla dei cavalli (tutti preziosi). Per evitare questa perdita un uomo del Circo (non era certamente un garzone a cui interessa poco il Circo) tagliò la corda che sosteneva il circo stesso così la plastica incendiata cadde sui bambini prima che avessero avuto il tempo di uscire: 300 bambini rimasero morti bruciati ma i cavalli furono salvi. Invito anche voi a chiedere perdono per questo e cose simili che capitano accanto a noi. 

La temperatura è molto alta, ma fino ad ora sono riuscito a difendermi abbastanza bene. Chissà che freddo da voi e forse c’è la neve a Torino. Io preferisco il caldo anche perché è l’unica cosa che ho. 

Continuiamo a sostenerci nella preghiera. 

Ciao, d. Renato


Natale 1984 

Carissimi amici,  

grazie per le decine di lettere che mi avete inviato in queste settimane prima di Natale. Ho ricevuto le vostre notizie anche tristi di chi ci ha lasciato, le notizie belle di chi continua a mettercela tutta per vivere la propria missione, e le attese di chi aspetta qualcosa di nuovo dal Buon Dio: può essere un lampo a ciel sereno, un temporale o una bella giornata di sole. Sfortunato chi non aspetta più qualcosa di radicalmente nuovo dalla fantasia di Dio. 

E ora qualche notizie brasiliana. Sono stato un paio di mesi nell’interno del paese con nomadi che hanno il Circo. Ho anche lavorato con loro, non ho fatto il trapezista, che non saprei proprio fare,ma ho semplicemante fatto un lavoro manuale, perchè esso comporta una dimensione molto importante per condividere la vita dei nostri fratelli. Ho avuto così l’occasione di stare in contatto con altri gruppi e di entrare un po’ di più nel cuore di questo paese tanto misterioso e contraddittorio. 

La messa di mezzanotte a Natale ha riunito tutta la carovana del circo per le prime comunioni e battesimi per adulti. Alla Domenica c’è sempre stata la messa alle 9 del mattino, sotto il grande tendone e c’è pure sempre stato settimanalmente un incontro biblico con gli adulti da mezzanotte all’una (e oltre), l’orario sembra un po’ strano ma si è rivelato il migliore dove tutti sono liberi da impegni e poi se uno vuol fare una cosa e ci crede la fa anche a mezzanotte. E’ nata una piccola comunità di base nomade con una catechista, due ministri dell’eucarestia per poter fare la celebrazione la domenica, anche quando non c’è il prete, etc. Ho scritto anche questo per dare l’impressione che faccio qualche cosa. 

Un’altra notizia è che ho trovato in Uruguay un Padre che ha lavorato circa 10 anni in Spagna con gli zingari, chissà che il Signore non lo illumini a dare una mano anche qui o a Montevideo. Dall’anno prossimo ci dovrebbe essere un Padre a tempo pieno in Cile. Vi dico questo perché continuiate con la preghiera ad appoggiare questa piccola erba che vorrebbe nascere. 

Qui in Brasile oggi è stato eletto il nuovo Presidente della Repubblica; ci sono molte speranze da parte del popolo anche se nessuno avrà la bacchetta magica per cambiare tanto in fretta una realtà così piena di contraddizioni. 

Ho appena ricevuto una lettera da un amico il quale commenta tre fatti appena successi: 

Alla periferia di S. Paolo due adolescenti vengono sequestrati e uccisi per aver tentato di “rubare” un’anguria. Il secondo, prima di essere colpito balbetta: «lasciami almeno chiudere gli occhi…».

Nella Bahia una donna incinta abbandonata dal marito, butta nel fiume i suoi cinque figli. I più piccoli muoiono affogati. 

Bambino di 5 anni stuprato dal padre. 

Ciascuno fa i suoi commenti su questi fatti di violenza. Viene spontaneo pensare agli uccisi, ai buttati in fiume, ma io davanti a questi fatti penso di più a chi ha sparato su quegli adolescenti, a quella madre che butta i figli e ancora al padre che fa violenza al figlio. E penso che cosa sarà passato nella vita di queste persone? Che cosa mai avranno sofferto nella vita queste persone per arrivare a tanta violenza? Quanta oppressione avranno patito per essere diventati tanto oppressori nei confronti di tanto indifesi. 

Povero Brasile!! Attenzione: ci sono anche tante cose belle in questo paese, anzi soprattutto cose belle: tanta voglia di vivere, tante speranze, tanta fede, tanta lotta per la vita. Due ragazzi, 15 e 18 anni, hanno fatto 1500 km in un mese e mezzo A PIEDI per trovare lavoro nella città di Belo Horizonte, ci siamo poi trovati insieme in un circo. Quanta volontà di vivere! 

Ancora un particolare di speranza. in un incontro biblico lessi a commento del Natale una pagina che faceva parte di un ciclostilato per il buon Natale , era intitolata: Vangelo di Gesù Cristo vissuto e raccontato per i poveri di oggi. E parlava di una coppia di sposi sfrattati, lei gravida che poi dà alla luce il bambino proprio in una stalla e poi tanti amici che solidarizzano con loro. Era una pagina molto bella. 

Un Sinto che vive qui in Brasile e da un po’ di tempo legge la Bibbia quella notte come le altre volte era presente, ha ascoltato, ha commentato dicendo “per la maggior parte di noi è capitato all’incirca così, per questo ci sentiamo amici di Gesù", ma il giorno dopo mi disse: “Come era il titolo di quella pagina?” e io ho ripetuto: "Vangelo di Gesù Cristo vissuto e raccontato per i poveri di oggi". E mi disse: “allora ho capito bene, guarda, ho trovato un’altra pagina che è ancora più bella per quel titolo, guarda qui…” e mi mostrò il capitolo 2 di S. Luca. Poi ha aggiunto: io penso che questo è la grammatica, le altre pagine che sono molto belle sono letteratura, ma io penso che la grammatica è qui. E continuava a ripetermi questa intuizione della grammatica. 

Ciao. 

A tutti Buon Anno 1985. 

1985

Lettera personale      

Martedì – ore 8.00 

Mi trovo a Jordania (Nord di Minas Gerais). Da una settimana sto cercando un gruppo di zingari molto grande, commercianti di cavalli, e non riesco ad incontrarlo perché dovunque arrivo, la polizia o meglio i sindaci li hanno appena mandati via. Sono stato a Padre Paraiso, Pedra Azul, Aracuai, Almenara, Jordania: questi sono i nomi dei centri maggiori, ma voi sapete che gli zingari non si cercano nella piazza principale della città. Oggi pomeriggio se Dio vuole li trovo. 

Mercoledì – ore 20.00

Li ho trovati: sono stato un cinque ore insieme a loro per conversare, ma c’era la difficoltà che in questa regione non ho punti di riferimento per farmi conoscere. Parlare del prete con loro è come parlare degli astronauti, poiché questi zingari si intendono molto, molto, molto di cavalli. La conversazione è stata buona, ma non essendoci il capo (qui il capo ha molta importanza) tutti erano un po’ come bambini e beninteso abbastanza spaventati: cinque ore non sono state sufficienti per tranquillizzarli. In più dissi un paio di nomi zingari di persone per aprirmi il cammino, ma peggio ancora perché questi erano abbondantemente ricercati e loro nemici. Per tutto questo ho dovuto fare quasi venti chilometri per venire a dormire a Jordania. Domani tornerò e spero di continuare il viaggio con loro. 

Giovedì – ore 11.30 

Sono andato e tornato al punto di partenza. Quello che faceva le veci del capo, ieri era ubriaco e quando si è rimesso in quadro, probabilmente ieri notte, ha cominciato ad agitarsi, perché uno gli ha detto una cosa, un altro gliene ha detta un’altra incolpandolo anche di essere stato ubriaco in un momento tanto delicato e pericoloso. 

Oggi, alle sette del mattino, sono arrivato a Estrela dove quel gruppo era accampato e mi sono fermato da una famiglia per aspettare ancora una mezz'ora, ma appena mi hanno visto, da lontano, anziché baracche e burattini hanno smosso baracche e cavalli (un centinaio di persone e un centinaio di cavalli) e si sono preparati per partire. Ma io li ho aspettati nella piazza e beninteso è arrivato mezzo paese, anzi penso che c’era tutto. 

E’ stato uno spettacolo mezzo tragico e mezzo comico. Il paese di Estrela certamente divertito, gli zingari nervosissimi, perché ancora non riuscivano a capire se questa specie di prete era un delinquente o un missionario. Tutti carichi di colore su quei cavalli (sembrava un cinema) cercavano di spaventarmi ma ho avuto l’occasione di aiutarli a capire che in realtà si erano lasciati spaventare di troppo: 15 famiglie, un trenta uomini con forza e armi, lasciarsi spaventare da un passerotto così piccolo e indifeso. 

Poi ho parlato un due ore con il vice-capo che ha finito per chiedere scusa e mi ha dato una serie di informazioni preziose di altri gruppi. Io ho pure chiesto scusa per l’inconveniente creato e ciascuno è partito: i più delusi sono stati quelli del paese perché era finito lo spettacolo. 

Adesso devo arrivare al più presto da un paio di questi gruppi prima che arrivino notizie su di me, altrimenti mi potrebbero creare dei fastidi. 

A parte gli scherzi in questo momento sto rischiando di perdere la possibilità di lavorare nella regione di Minas e Bahia (uno stato molto grande), peggio, potrei compromettere il lavoro di altri. 

Oggi vengo a conoscenza di una brutta notizia. Nel pomeriggio di alcuni giorni fa è capitata una rissa tra due gruppi di zingari. Uno aveva ucciso quattro persone negli ultimi dieci anni e il figlio di uno di questi uccisi ha deciso di fare vendetta. Grande sparatoria; conclusione i due finiscono all’ospedale quasi in fin di vita, uno di questi con un proiettile in bocca. 

Il tutto mi ha complicato i rapporti con i gruppi senza che io sapessi il perché. 

Venerdì – ore 18.00 

Questa mattina sono andato ad aspettare una Corriera per andare a Cornacà (la "Corriera di linea" è un camion grande che porta latte ed è l’unico mezzo di trasporto per chi vuol viaggiare). Dopo aver aspettato due ore e mezza nella piazza in attesa di quel benedetto camion arrivano quei "cari" zingari, una ventina di uomini e giovani a cavallo, ci salutiamo, ma nulla più che un ciao ciao, anch’io non eccedo in sorrisi etc., mi tengo sulle mie e riparto. In Cornacà non ci sono zingari. 

Sabato – ore 23.00 

Ho trovato gli zingari a trenta km. in Pau Brasil, tutto bene; sono in quattro famiglie già incontrate precedentemente ma poco conosciute, però non c’è il capo. 

Domenica – ore 20.00 

Dopo esserci andato per tre giorni finalmente ho trovato il capo e adesso sono un po’ più tranquillo. Hanno capito che sono prete e il perché sono andato a trovarli, direi che sono stati contenti. Mi hanno dato buone indicazioni di gruppi loro parenti. 

Mercoledì – ore 22.00 

Mi trovo a Itabuna. Ieri sono stato a trovare un gruppo, c’era solo un giovane sposato, il resto donne e bambini. Sono stato in un secondo gruppo: c’era una vecchietta e qualche ragazza.Quella donna ha cominciato a starnazzare chiamando le amiche, beninteso ridendo, perché c’è un “animale esotico” da vedere. Anche qui il capo sembra che non ci fosse. A questo punto ho cambiato programma: passare a incontrare i gruppi di zingari facendomi conoscere un minimo e poi ripartire, dopodiché fra un mese e mezzo o due ripasserò e se Dio vorrà sarà possibile vivere in accampamento.Capisco sempre meglio che gli zingari non mi vogliono proprio e farmi accettare diventa più difficile del previsto. 

Venerdì – ore 21.00 

Ieri quando sono stato dagli zingari chiesi se era arrivato il capo (che qui si chiama Capitano) ma non c'era ancora e una donna mi disse che potevo parlare con loro (un gruppo di uomini piuttosto giovani) che nemmeno mi guardavano. Sono arrivati altri, ma nessuno mi presentò ai nuovi arrivati, intanto qualcuno di questi uscì e mi trovai in mezzo a gente che non sapeva chi fossi e come fossi capitato là; sono riuscito ancora a dire un mezzo buonasera e via.      

Sabato 

Oggi ho incontrato il capitano che ha giudicato bene il mio arrivo e tutto è cambiato: quelle facce da sfinge sono diventate gentili, tutti mi volevano nella loro tenda, desideravano conversare. Insomma, tutto era cambiato. 

Vediamo domani come va. 


Lettera personale 

Carissimi, 

ho appena iniziato uno scritto per voi, possibilmente ampio e un poco descrittivo per partecipare più da vicino ciò che sto vivendo. Mi trovo nella Bahìa da oltre un mese. Ci sono tanti zingari, anzi tantissimi. Sono poveri, miserabili, selvaggi, beninteso tanto cari a Dio Padre, ma a uno che non li conosce, come me, si presentano così. Fra qualche giorno li vedrò certamente in un modo diverso. Ho tentato di fare amicizia con un gruppo, con intenzione di fermarmi un due mesi con gli stessi per conquistare un po’ l’anima e poi si sa che un gruppo parla con l’altro e diventa facile la comunicazione. 

Ma i due mesi si sono ridotti a 5 ore e il giorno dopo un centinaio di cavalli e asini con quindici famiglie hanno lasciato il campo e sono partiti, avendomi appena intravisto da lontano, il mattino presto. Questo vuol dire che non mi volevano proprio incontrare. Cambia progetto: non avendo punti di riferimento pensai che era meglio fare delle brevi visite ai gruppi (sosta di un giorno) e poi via; eventualmente sarei potuto ripassare a distanza di un mese. 

Ripassai a Itabuna, ma l’ambiente si era raffreddato. Il giorno seguente a Ibicaraì. Anche là trovai indifferenza. Giunto a Floresta Azul, incontrai un ambiente più caloroso e una zingara anziana mi chiese una benedizione per la sua famiglia tanto provata. Mi disse poi che suo figlio era in ospedale a Jequié con un proiettile in gola. Chiesi se desiderava che lo visitassi e mi ringraziò e pure mi disse di portargli anche la benedizione della mamma. Sono stato entusiasta della proposta e il mattino seguente sono partito per Jequié. Arrivai dopo 8 ore, ma all’ospedale mi dissero che solo alle 14 del giorno dopo avrei potuto far visita. Andai ad attendere nella casa del Vescovo a venti minuti di distanza. Il giorno seguente arrivai, ma le prime famiglie che mi videro (un’ora prima della visita) erano visibilmente tese e nervose, chiedendo chi fossi, perché fossi andato là e se veramente ero prete etc. Io dicevo che ero stato invitato dalla madre stessa a far visita al figlio. Il tutto si placava e il dialogo diventava normale. Quando arrivava un’altra famiglia mi faceva le stesse domande con la medesima paura e tensione. Rispondevo e il tutto si normalizzava. Risposi le stesse cose a tutti per un’ora. Arrivarono circa 40 persone. io ero felicissimo, perché già immaginavo quando sarei arrivato nei diversi accampamenti mi avrebbero riconosciuto e il tutto sarebbe stato più facile. 

Alle 14 entrammo, e vidi che erano due gli zingari feriti e non solo uno, come avevo capito in un primo momento. Pregai con loro e per loro poi uscii ad aspettare tutti i parenti. Ci salutammo con simpatia, perché ormai la tensione e la paura erano superate. Io non sapevo perché dovessero essere così spaventati; di fatto ne avevano ben motivo di esserlo. il gruppo che aveva ferito i due poteva da un momento all’altro tornare e gli zingari di Jequié hanno avuto paura che io fossi stato inviato dai nemici per vedere la situazione, fare un sopralluogo o qualcosa di simile ed eventualmente completare la vendetta. Ma infine avevano capito che probabilmente ero un brav'uomo e il tutto si concluse bene. 

Tornai dal Vescovo tutto felice. Il mattino seguente alle 9.30 il Vescovo viene a informarmi della tragedia capitata: “Questa notte, quattro uomini del gruppo nemico sono arrivati all’ospedale, puntato la pistola a un guardiano dell’ospedale stesso e lo obbligarono a mostrare dove erano gli zingari. Spararono all’uomo ferito, lo uccisero e scapparono, ma la radio del mattino aveva già spiegato che ieri uno, dicendo di essere prete, entrò per vedere dove era lo zingaro”. Anche il giornale aveva pubblicato un ampio articolo con la vignetta di un prete (con talare e tricorno) mentre spara nel cuore del povero zingaro.

Domandai al Vescovo se accettava di venire con me, per raggiungere l’ospedale e dopo aver cercato di dissuadermi dall’andare, ma invano, accettò di venire. All’arrivo, incontrammo le donne che urlavano e si strappavano i capelli; immaginate cosa non gridarono contro di me. Il feretro era stato portato al Comando di Polizia, il capitano accettò di parlare con il Vescovo e con me, ma io pretesi che venisse ad assistere alla mia deposizione sia il fratello che il figlio dell’ucciso. Spiegai il tutto e il Capitano non ebbe dubbi sulla mia testimonianza, ma convincere gli zingari fu meno facile. 

Il Vescovo rientrò a casa e io rimasi là per spiegare il tutto a tutti. Erano un centinaio di uomini, tutti distribuiti in quella piazza, a gruppi di cinque o sei Calón che fumavano e parlavano insieme. In ogni gruppo, dopo le mie spiegazioni, tutti mi dicevano all’incirca “Io credo che tu sei innocente, ma gli altri no. Gli altri pensano che sei tu ad averlo ucciso”. 

Ad un certo punto il Capitano della Polizia venne vicino a me e di fronte ad alcuni zingari mi chiese, per favore di lasciare immediatamente quel posto, perchè lui non voleva avere la responsabilità di un altro morto e mi aggiunse che non aveva i mezzi per proteggermi nei giorni seguenti. Io risposi, sempre alla presenza degli zingari, che non intendevo lasciare la piazza fino a che un solo Calòn fosse rimasto là, perchè dovevo mostrare a tutti che non avevo motivi di avere paura, perchè ero innocente e perchè credevo fermamente che gli zingari mi avrebbero capito. 

Arrivò poi la mamma e insieme a lei sono andato presso la bara a pregare e piangere. Rimasi finché il gruppo partì con la bara di quello zingaro. Io ero rimasto perché non volevo rischiare di perdere la possibilità di fare un’attività pastorale con loro e almeno non compromettere il lavoro che altri avrebbero potuto fare. Cercai,il giorno seguente, negli accampamenti vicini, la famiglia del defunto perché volevo ripetere loro in tutti i modi che li consideravo tre,amici.. Dopo due giorni incontrai il fratello e il figlio del defunto. Nelle due giornate mi avevano seguito ovunque ero andato e questo fu positivo, ma negli accampamenti c’era sempre qualcuno che dubitava di me, perché mi incontrava per la prima volta. 

Non nascondo che ho avuto paura, paura davvero perché se avessi incontrato un bicchiere in più nella testa di uno zingaro convinto della mia responsabilità in quell’uccisione, le cose si sarebbero complicate davvero.

Sono poi andato alla Chiesa del Bonfin , forse la più famosa della Bahia, a offrire un po’ di servizio (mi fermai più di un mese) perché le zingare che venivano in piazza a leggere la mano mi vedessero celebrare messa, confessare e benedire. 

Un giorno ho benedetto una quantità di fedeli che non finiva mai: 30 secchielli di acqua benedetta in una giornata (non usavo l'aspersorio bensì un gran pennello tipo quello che si usa per tinteggiare le pareti) ). Non conoscevo altra strada per ricuperare la mia identità di prete davanti a loro, sembra che le donne zingare mi abbiano fatto un buon servizio (con la loro lingua). So in ogni caso che la Madonna e il Buon Dio mi aiutano più delle zingare.

NOTA POSTUMA : Mi comportai in quel modo perché non potevo rischiare di chiudermi le porte davanti a un gruppo così grande di zingari. Ogni tre mesi circa, per tre anni li visitai fin quando un giorno sono riuscito ad accamparmi con il fratello, i figli e la vedova del defunto con tante altre famiglie di Calón in Ibicaraì. Fu una vera e propria festa. 

In tutta quella vicenda mi ero molto affidato all’istinto e all’intuizione degli zingari. Se essi fossero stati solo degli esseri razionali avrebbero “dovuto” pensare che ero colpevole, ma io sapevo che essi non sono solo ragione, ma specialmente istinto e intuizione. Per queste qualità innate io ero certo che contro tutte le evidenze essi alla fine avrebbero capito che volevo loro bene.


11 Dicembre 1985 

Oggi è stato uno dei giorni più lunghi della mia vita. 

Già durante la messa del mattino ero un po’ teso e preoccupato: da un lato avevo la preoccupazione di non incontrare gli zingari parenti del morto per chiarire la mia estraneità, da un altro lato la preoccupazione di incontrarli e non riuscire a spiegare il tutto. 

Dopo colazione fui a Jitauna dove stavano i parenti stretti del morto. Ma in quella città nessuno voleva parlare di zingari anche perché ieri, in quello stesso luogo, avevano ucciso un altro (gagiò) e il tutto creava tensione. 

La stessa famiglia che abitava di fronte alla casa che ospitò lo zingaro, ora defunto mi disse che non sapeva nulla. Sono tornato con il pullman a Jequié con una discreta delusione. 

Nel pomeriggio ho tentato di visitare l’accampamento nella periferia della città. Dopo un po’ di conversazione penso chiarificante, il vecchio (non il leader) mi chiese per favore di uscire dall’accampamento perché sarebbe arrivato il fratello e il figlio del morto armati, e lui aveva paura per me. Accettai dicendo: “Se pregiudico voi certo io li incontrerò nella strada” e ho fatto i 6 chilometri a piedi fino a che li ho incontrati, li ho fermati e abbiamo cominciato a conversare: hanno poi messo le armi a lato e mi sono sembrati convinti della mia estraneità al fatto, e mi invitarono a tornare con loro all’accampamento per chiarire col capo. Io ho accettato di tornare con loro, questa volta il capo mi ha ricevuto molto male, ma alla fine scuse e caffè. 

Ma il problema sono sempre gli altri: dove sono? dove li trovo? 

1986

DIARIO - LE ANDE         

23.03.’86 

Questa mattina in Boa Vista mi sono alzato alle 4 per celebrare la messa nella cappellina del Vescovo senza che nessuno se ne accorgesse. Oggi, giorno delle Palme, non potevo rischiare di non celebrare non sapevo dove sarei arrivato oggi stesso. Alle 8 sono partito con un pullman e arrivato alle 15 in Santa Elena già in Venezuela. Qui non ci sono più Corriere di linea, ma viaggiano solo macchine tipo pulmino e costa parecchio. Fino a domani non ce ne sono. Vado a cercare una chiesa e incontro una piccola e bellissima chiesa accanto a un convento di Cappuccini. 

Sto scrivendo in una celletta e domani mattina se Dio vuole riparto per S. Felix. 


24.03.86 

E’ notte, sono alla stazione di S. Felix, ma qui passare la notte alla stazione non è problema perché non fa freddo, appena c’è bisogno di una maglia. Ci sono anche altri che passano la notte qui. I poliziotti hanno guardato tutto quello che ho, sanno perciò che ho pure 500 dollari (per fare tutto il viaggio fino all’Argentina) per questo non voglio uscire di notte dalla stazione, per non rischiare qualche furto. Qui sono più sicuro. 


25.03.’86 

Questa mattina ho incontrato una comunità di suore indiane (M. Teresa). In questo angolo di mondo, il guaio è che la mia interlocutrice capisce poco il mio portoghese spagnolizzato per l’occasione. Dopo un po’ scopro che lei stessa conosce poco lo spagnolo. Lì usano una parola di inglese, 4 di francese, 5 di portoghese e 5 di spagnolo (si fa per dire). La suora ha dimostrato un grande sollievo quando si è ricordata che c’è un prete Bresciano in S. Felix , vado a trovarlo e nasce una bella amicizia anche se di poche ore poi di notte parto per Caracas. 


26.03.’86 

Questa mattina sono arrivato a Caracas, mi è sembrata una città più confusa di altre. Dopo due ore sono stato dal Vescovo che mi ha ricevuto un po’ nervoso dicendomi che il problema degli zingari non c’era nella sua diocesi. Poi invece c’era e come! Qui c’era il problema della scuola: cioè i bambini dei viaggianti non vengono accettati nelle scuole per i soliti tempi brevi. Si è trovata una organizzazione privata che è disponibile ad aprire le porte a tutti i bambini viaggianti nelle sue scuole private e gratuitamente, Tutto è avvenuto nella settimana di Pasqua e i 10 giorni seguenti. Tutto OK. 


17.04.’86 

Il tempo passa molto in fretta. Sono in Colombia. Anche a Bogotà c’è un Padre molto sensibile al nostro mondo: siamo andati insieme a cercare Circhi, incontrare zingari e Luna Park. Una settimana molto intensa. A Cali il tutto si è fatto in un giorno perché i miei amici circensi avendo adesso un amico prete colombiano con loro hanno incontrato le porte aperte più facilmente e io strafelice. Oggi se Dio è d’accordo andremo a Quitto cosìl nuovo "cappellano e io avremo l'occasione di stare insieme alcuni giorni, per affiatarci e diventare amici. 

La solita storia: innamorarsi in fretta della gente e lasciarli. Ma che storia!! voglio dire che storia misteriosa! 


03.05.’86 

La Paz. Qui ho avuto un po’ di febbre tra Lima e La Paz. Il viaggio è stato molto pesante, ma ricordarlo adesso è persino piacevole. Non mi sono adattato ai 4.200 mt. di altezza dove sono stato per 55 ore ad occhi aperti e per me il dormire è molto importante. Non sapendo il perchè mi capitava questa insonnia più che patologica Sono sceso di 200 metri verso La Paz. Quando arrivai in un villaggio discretamente grande cercai di prendere infretta una Corriera di linea e lasciare il Paese prima di impazzire, ma dopo aver comprato il biglietto di viaggio chiesi a che ora sarei partito e mi dissero: "Dopo tre giorni". Lascio immaginare la delusione. Proseguii scendendo fino a La Paz, dove per gran provvidenza incontrai la cuoca del Seminario a cui raccontai il mio malessere. Lei si stupì che nessuno mi avesse spiegato che dopo i 4000 metri di altezza il nostro metabolismo ha una particolare reazione dando generalmente il sintomo di una insonnia onsopportabile. la signora mi invitò in cucina e preparò subito una tisana di coca: dormii un paio di ore risuscitando letteralmente e durante la notte dormii come un ghiro. oggi sto masticando foglie di coca come fanno in tanti, mentre se si sale un centinaio di metri la foglia di coca diventa ragione di sopravvivenza risolvendo il problema di cui ho detto sopra. Mi sembra giusto precisare che per produrre i cristalli di “cocaina” per scopo medicinale o quella dei cari fratelli tossicomani ce ne vogliono grandi quantità per ottenere pochi grammi di estratto. Se vogliamo, vale l'esempio che posso mangiare Chili di uva senza ubriacarmi, mentre due biccChieri di vino mi fan girare la testa. Qui la si usa per fare la tisana tutti i giorni e la masticano tutti, specialmente oltre i 4200 metri come ho appena detto. 


26.05.’86 

Ieri ho avuto una grande gioia arrivando a Caxias do Sul. I due seminaristi che dall'anno scorso si occupano di zingari e Circhi avevano terminato l’altro ieri la catechesi di un mese nel circo Moscov e fatto prima comunione con battesimi. Alla morte di uno zingaro ucciso dalla polizia, i seminaristi ( 25 e 24 anni) sono stati presenti e molto vicino alla famiglia del defunto. E’ stupendo vedere quando le persone lavorano senza bisogno del biberon, ma in modo autonomo e con iniziativa propria. 

(…) In questi due mesi mi siete stati compagni di viaggio in un modo specialissimo. Vedevo interventi della Madonna, così visibili che qualcuno doveva pur averli chiesti (e io spesso mi dimenticavo di farlo). La Madonna si è un po’ abituata con me che sono molto distratto e poco riconoscente, poco affettuoso etc. Eppure so che dopo Dio Lei è la persona più importante nella mia vita, ma solo qualche volta ne ho coscienza, ma ho la fortuna di avere degli amici che tutti i momenti Le stanno telefonando per me, Le chiedono anche ciò che non spero neppure, per questo che spesso mi arriva un regalo e mi verrebbe da dire “ma chi te lo ha chiesto?” e Lei mi risponde “Ma come? … mi sono arrivate almeno 50 telefonate che dovevo intervenire, che dovevo arrivare in tempo, che ti dovevo cercare il prete, lo zingaro, il circo”. E io sto zitto: Lei pensa che sia stato io a telefonare invece so che siete stati voi (e anche Lei lo sa, ma fa finta di niente). Grazie per quelle 50 telefonate per volta, voglio dire quando avete detto il rosario! Grazie, ne ho sempre bisogno. 

Ah una cosa. Lei fa i regali, ma a volte vuole che mi accorga che è stata Lei personalmente a farlo (es. a Quitto trovo un Padre Marianista il giorno stesso in cui aveva consegnato la parrocchia e quindi abbastanza libero; in Lima un Padre Monfortiano, dopo aver chiesto alla Madonna un po’ di aiuto, ma io pensavo in altri preti, altra gente e Lei non mi ha lasciato il primo, ha fatto uscire di casa altri due prima che arrivassi, non mi ha lasciato ospitare dal quarto, mi ha fatto salutare in fretta dal quinto perché arrivassi da quello giusto che Lei aveva preparato. 

Adesso c’è un prete in ogni capitale: con essi ho visitato gli zingari, il circo e il Luna Park: è stato molto … non so come dire … beh, voi mi capite. 

A questo punto merita spendere una parola su Suor Enrica FMM (Francescane Missionarie di Maria). Per molti anni visse negli accampamenti degli zingari in Italia e ora si trova in Cile. Quando arrivai a santiago, alla Casa Madre delle Francescane, mi dissero: è stata qui fino a 15 giorni fa, adesso è ad Arica, cioè a 2200 km., dove ero passato due giorni prima, quindi Km. 2200+2200+2200 per il ritorno = 6600 km di seguito, ma la strada era asfaltata: tutto deserto (deserto con le dune come quello del Sahara, immaginate per una settimana in mezzo a questo paesaggio: che incanto! che trasporto! che estasi turistica”. A parte gli scherzi non ne ho ricevuto nessun trauma. Mi avevano pure detto che quella strada proprio per essere in un deserto era particolarmente pericolosa infatti pochi giorni prima un pullman di turisti era stato fermato da un piccolo camion e davanti alle armi spianate, fu dirottato in mezzo alle dune e là spararono sulle gomme, poi fecero denudare tuti i turisti e caricarono ogni cosa sul piccolo camion e fuggirono lasciando quella povera gente in tali condizioni (i quali per lo meno ebbero una avventura in più da racvcontare). 

Anche in Buenos Aires ci sarà una suora trinitaria che andrà un giorno alla settimana dagli zingari così comincia qualcosa un po’ fuori dal Brasile essendo questo paese tanto piccolino!!? 

E’ vero che in questo tempo ne è andato un po’ di mezzo il lavoro in profondità a favore dell’estensione: ma io non so bene perché capitano queste cose, ma nel cammino incontro dei segni che mi dicono che quella è la strada. o forse mi inganno. Faremo revisione di vita insieme. Non vorrei fare il Garibaldi perché mi è antipatico. 

Salutatemi pure gli zingari di cui mi avete anche parlato e dite che li ho ricordati nella preghiera. 

Ciao Ciao Ciao. Vi telefonerò per dirvi quando rientro in Italia. 

Renato

22 marzo 1986 

Lettera personale – Stralcio 

Vi comunico che domani sarò a Boa Vista dopo di che passerò nel Venezuela sempre se Dio è d’accordo. In seguito invece di scendere per il Brasile, scenderei per la costa facendo Colombia, Perù, Bolivia, Cile, Argentina e nuovamente Brasile. 

Ho molta speranza di incontrare qualche perla preziosa come incontrai in Cile l’hanno passato. Sarebbe bello unificare i sindacati circensi dell’America del Sud, anche se voi sapete che il mio scopo è di fare di tutto perché si accenda qualche speranza cristiana in questi cuori assetati di Dio. Un seminarista carlista si è liberato due giorni la settimana per i nomadi, tre seminaristi di Caxias do Sul hanno fatto 4 mesi di catechesi a circensi ipnotizzando quella gente. Una suora francescana a San Paolo ha cominciato a fare catechismo a una bambina zingara e nella comunità F.M.M. si parla della possibilità di una comunità tra i nomadi nel nord. 

Ieri è nato il secondo Centro di Studi nomadi: quelle cose che non sono il Regno di Dio, ma potrebbero favorirlo. Vi mando una lettera stampata inviata ai Vescovi amici interessati per comunicare il materiale a disposizione. 

E adesso una cosa molto bella: Federico Forlani, quell’amico di cui vi parlavo, direttore del Circo Orfei che appoggia molto la pastorale dei nomadi ha messso insieme un Circo, e non è un circo piccolo: tre giorni fa sono arrivato per passare a salutarli e a mezzogiorno ho visto una lunga tavola dove c’erano artisti, operai, proprietario del circo, alla stessa tavola con lo stesso cibo: una cosa meravigliosamente profetica. Ho pensato “se anche questo circo domani saltasse in aria, AVER VISTO QUESTO per lo meno un giorno nella vita, vale la pena venire in Brasile per vederlo”, 

Carissime, queste sono le piccole cose che facciamo insieme, o meglio Dio ce le lascia pasticciare perché è lui che compie meraviglie. E’ vero che in qualunque parrocchia di 200 abitanti ci sono tutte queste cose e forse molte di più, ma noi siamo contenti del nostro poco, non è vero? 


Pasqua 1986 

Per gli Amici di Torino 

Carissimi, 

auguro Buona Pasqua in contraccambio degli auguri di Buon Natale che molti di voi mi avete inviato attraverso Edda e Marilde. Ringrazio anche tutti quelli che mi hanno mandato un considerevole contributo economico: spero di amministrarlo bene. 

Io sto bene di salute e abbastanza in forma. Ogni giorno sperimento che il Buon Dio mi tiene una mano sulla testa, a volte sotto i piedi, poi mi prende per mano e quando faccio i capricci mi prende in braccio come mia madre quand’ero piccolo e non volevo andare all’asilo o a scuola, e così mi porta Lui. 

Un consiglio: fate i capricci anche voi qualche volta, Lui è un Dio che si lascia commuovere (Giona) e vi prende in braccio come si era già abituato a fare con il suo popolo durante la grande Pasqua di liberazione. 

Ciao, d. Renato


Giugno 1986 

Carissimi Bruna, Giuliano, Alessandra, 

come va? Tutto bene? Adesso cominciate a respirare aria nuova anche se si avvicina il lavoro più intenso di fine anno scolastico. Da quasi tre mesi non passo in San Paolo dove si è fermata la posta, quindi se anche mi avete scritto non vi avrei risposto e rimedio con questa lettera; in ogni caso tutto a voce, a fine luglio, se Dio vuole. 

Ho passato due mesi fuori del Brasile e sono rientrato l’altro ieri. Ho preferito non dire nulla prima di questo viaggio per non aggiungere altre preoccupazioni a quelle che già avete per me. Adesso lo comunico a voi di Savona, a Edda e Marilde. Sono uscito dal Brasile a Boa Vista al Nord e sono sceso attraverso le Ande, quindi Venezuela, Columbia, Ecuador, Perù, Bolivia, Cile, Argentina e ritorno a casa. Il motivo è stato questo: cercare in ogni capitale almeno una persona che sia disponibile a lavorare con questa realtà zingaresca e il Buon Dio me li ha fatti incontrare con meravigliosa provvidenza. Il viaggio è andato bene: moltissime le difficoltà che avrei potuto incontrare e pochissime le incontrate. Il Padreterno, sapendo che non so risolvere con facilità i problemi me li risolve Lui esattamente come faceva mio papà quando vedeva che alla sera avevo sonno e non riuscivo a fare giuste quelle quattro operazioni: forse è sbagliato ma è un po’ il difetto di tutti i padri di preoccuparsi molto per i figli (non è così Alessandra?) ma anche delle madri … e anche di più. In un posto avevano appena tolto il divieto di ingresso ai turisti; nell’altro avevano appena rifatto la strada; nell’altro, dove il lago aveva sommerso la strada, avevano riaperto il passaggio via barca etc.. 

Ci sono strade internazionali simili alla strada sterrata Munot-Zrò. La spesa è stata relativamente bassa. Sono entrato in Venezuela, proseguito per Columbia, Equador, Perù, Bolivia, Cile, Argentina, Uruguai: 19 500 chilometri, 75 giorni, spesa complessiva 215 dollari. 

Quando sono passato vicino a Cuzco in Perù ho avuto la tentazione di andare a visitare i resti della grande civiltà incaica, ma essendo da solo e non avendo la possibilità di condividere questa meraviglia con altri ho proseguito (chissà che una volta ci andiamo insieme e sarà una novità per tutti) 

State allegri anche voi. Ciao ciao! Renato


Transamazonica, 27 ottobre 1986 

Carissimo Padre Anastasio, 

oggi stesso ho saputo che è morto il Padre Pellegrino. Scrivo a Lei, perché, a chi potrei scrivere? Padre Pellegrino appartiene alla chiesa. Oggi l’ho pensato il giorno intero come lo avevo lasciato in una breve visita in agosto u.s. Ho ripensato agli incontri, ho risentito le sue parole, i messaggi, ho riletto nella memoria i suoi gesti profetici, alcune sue parole scritte e pure il silenzio. 

Io l’ho conosciuto come un grande contemplativo, e solo per questo, io penso, ha avuto la possibilità di sentire bruciare sulla propria pelle le grida che venivano dai suoi più poveri ingiustiziati senza disattendere la condivisione delle gioie e delle speranze della Chiesa. Ci ha insegnato a camminare insieme, senza lasciare perdere gli altri, specialmente i più stanchi, gli esclusi, coloro che fanno più fatica. 

Insieme a Lei voglio ringraziare il Signore per aver dato alla Chiesa un così prezioso fratello. Era considerato troppo vivace, troppo profetico, troppo rivoluzionario. Rivoluzionario sì, ma senza il mitra bensì con corona e breviario. 

Quando andavo a trovarlo mi invitava a pregare con lui. Quando viaggiai in macchina con Lui recitava il breviario. Quando venne dagli zingari, venne per ascoltarli e pregare con loro. 

Attraverso le sue parole, e specialmente attraverso la sua vita mi ha aiutato a riscoprire la dimensione contemplativa di cui ho troppo bisogno per sopravvivere. Egli ha capito l’uomo in tutte le sue dimensioni, perché ha capito Dio o viceversa. 

Riflettendo su questa dimensione del Card. Pellegrino mi viene spontaneo mandarLe un grido che viene dal profondo: Quando parla ai seminaristi, ai chierici, non si stanchi di insistere sull’importanza della preghiera: se non si sentono di pregare molto, di pregare almeno due o tre ore al giorno, non continuino altrimenti una delle vocazioni più sante può diventare la più triste e più frustrante. 

Arrossirei se questo potesse essere inteso consiglio. Forse mi sono permesso di rivolgermi a Lei come a un fratello più che a un Padre, ma un Padre non disdegna questo, vero? 

Terminando queste righe voglio ringraziare il buon Dio perché oggi Lei sta coltivando i semi che il Padre Michele Pellegrino ha gettato e a sua volta sta seminando perché altri coltivino e mietano per la gloria del Regno. 

Qui in Brasile continuo ad essere contento del lavoro e sento che la preghiera di molti mi accompagna. 

Le comunico che la settimana scorsa è morto P. Mario per un infarto (35 anni). Era il primo sacerdote che fuori dal Brasile (Bogotà) aveva iniziato a lavorare con gli zingari. Ma Dio sa perché dà la vita e sa perché la toglie. 

Le chiedo di pregare per noi “vagabondi” in questa A. Latina. 

D. Renato

(il gatto spennacchiato degli zingari) così mi chiamava il Cardinale


Minas Novas, 3 novembre 1986

Carissimo Vescovo Mons Vallainc 

ho appena saputo della morte del Padre Pellegrino. Appena ho ricevuto la notizia ho sentito il bisogno di pregare...

Avevo lasciato interrotta questa lettera e ho ricevuto una notizia troppo triste per me: la morte di mons. Vigolungo. Ho veramente perso un Padre. Avevo ancora tanto bisogno del suo consiglio di Padre spirituale che mi accompagnava da ventidue anni. Nell’agosto u.s. avevo passato una giornata con Lui e mi aveva molto incoraggiato. Nei suoi consigli sapeva essere discreto, ma anche deciso come chi parla “con autorità”. Mi sapeva dire le cose più serie con umorismo, poi mi parlava quando faceva silenzio e apriva solo gli occhi, quei grandi occhi che hanno guidato migliaia di persone. 

Sono sempre stato sicuro che là, inginocchiato vicino a Lui per una confessione o seduto per un dialogo, Dio servendosi di Lui mi avrebbe dato luce. 

Per ricordare insieme a Lei almeno un momento di quei dialoghi riporto almeno una frase dell’incontro prima dell’ordinazione a diacono. Avevo parlato con lui dell’ubbidienza e dei poveri: in poche parole la mia paura era questa: "Se a causa della ubbidienza dovessi lasciare i poveri (magari gli zingari) cosa dovrei fare?". Mons. Vigolungo mi lasciò parlare, parlare, spiegare, sfogare etc.. Alla fine mi disse “li vuoi proprio?” e io risposi “E’ un’ora che Le sto dicendo questo”, e il Padre mi aggiunse. “Quindi li vuoi davvero i poveri?”, e io “Si, certo”, e la sua conclusione: “Se proprio li vuoi, quelli nessuno te li prende”. E tutti i miei dubbi e problemi affogarono in quegli occhi carichi di Dio e di umanità e … di umorismo. 

La sua austerità tanto serena ha saputo capire il Seminario di Alba negli anni ’70; penso che Vigolungo fu uno dei pochi in quegli anni a poter dire di fronte al Signore: «Non ho perso nessuno di quelli che mi hai dato». Capiva il Vescovo di allora, capiva i preti, capiva noi del Seminario che eravamo stati un poco affascinati da quel Concilio. E’ stato veramente uomo di pace nei momenti di massimo conflitto. Dopo Dio e la Madonna devo ringraziare Mons. Vigolungo se oggi posso servire la Chiesa come prete. 

Carissimo Vescovo, ho pure ricevuto la notizie che è morto un prete mio carissimo amico Padre Mario; era il primo prete fuori Brasile che aveva cominciato a lavorare con gli zingari. E’ morto la settimana scorsa: (35 anni – infarto). Dio solo sa perché da la vita e sa perché la toglie. 

Lei mi capisce e può intendere come quest’anno il giorno dei Santi e dei morti sia stato per me particolarmente carico di emozione di ricordi, di pianto e di festa, ma specialmente carico di stimoli a camminare sulla strada della santità. mi aiuti, padre, con la sua preghiera, io ricompenserò con la mia, povera ma costante, 

nel Signore 

d. Renato  

 

Copelinha, 6 novembre 1986

Carissimi, 

A volte mi si chiede come passo le giornate e io sento una grande difficoltà nel rispondere perché sono molto diverse le une dalle altre. 

Oggi, per esempio, mi trovo in una vallata dell’interno di Minas Gerais tra Minas Novas e Novo Cruzeiro. Le famiglie che vivono in questa regione molto povera, da almeno duecento anni vivono specialmente cercando oro nel fiume e pietre preziose nella città di Turnalina, Diamantina, etc. Qui si cammina su oro e diamanti, ma questa ricchezza non è di chi la cerca, la trova e la lavora. Sono sempre “altri” e per di più “pochi altri” a riceverne gli utili. 

Mi è stato detto che i metalli e le pietre preziose sarebbero sufficienti a sfamare metà Brasile e invece sono nelle mani di quattro famiglie: è il mistero del Brasile che non è più un mistero.

Tutti i giorni partono camion di persone per migrare altrove in cerca di una miseria per lo meno diversa. 

Gli zingari di questa regione sono del gruppo Calón e commerciano cavalli. C’è poi il gruppo Calderasch: artigiani del rame, molto ricercati specialmente per costruire lambicchi e oggetti vari. 

Sono partito da Minas Novas oggi stesso con un camion perché non ci sono corriere che legano le due città se non per piccoli tratti. Ho poi camminato mezz’ora per arrivare a fare autostop in un incrocio più strategico. La camminata è stata riposante, in mezzo agli eucaliptus; di tanto in tanto arrivavano ondate di fumo o comunque odore di bruciato e profumo di resine tipo incenso. Il sistema più rapido per preparare la campagna alla semina è applicare il fuoco e controllarlo, per poi seminare nella cenere. 

Sono finalmente arrivato; fa caldo perché qui siamo in primavera avanzata (senza dimenticare che fa caldo anche d’inverno). Ho aspettato un camion o qualche altra “cosa” per cinque ore, ma non è arrivato nulla. Qui, all’improvviso, in mezz’ora viene notte. La mia ombra sulla strada si era fatta lunga lunga e io ben nervoso di fare tre passi da una parte e tre dall’altra: bisognava risolvere di fermarsi da qualche parte, perché non è consigliabile passare la notte nel bosco. Ero a nove chilometri da Capelinha, una piccola città, e mi sono diretto da quella parte. Sono arrivato alle sette meno cinque. Mi presentai al parroco sperando di non essere lasciato fuori, o almeno di incontrarlo. Il Padre era preoccupato perché aveva bisogno urgente di un prete. Alle 7 ho celebrato messa e dopo ho confessato quasi due ore dei giovani che erano riuniti e dovevano passare la serata con un altro prete impossibilitato ad arrivare. Sul tardi dopo cena il parroco mi dice di aver incontrato degli zingari e che aveva letto di una pastorale dei nomadi e voleva saperne qualcosa di più. Aveva celebrato il matrimonio richiesto da quegli zingari, li aveva preparati con alcuni incontri, ma desiderava fare di più per loro e per gli altri gruppi di zingari che spesso si accampano in Capelinha. 

Avete già capito come è finita la barzelletta, che non è la storia di Cappuccetto Rosso, ma è solo quella di Renato; qualcuno si aspettava che dal bosco uscisse qualche serpente o tigre e invece semplicemente la Provvidenza di Dio. Domani, se Dio vuole vado a rintracciare gli zingari accampati a Novo Cruzeiro e chissà che non passi un po’ di tempo con loro, ma questo si vedrà domani. 

Avrei voluto parlarvi della festa dei santi, e di che cosa ha rappresentato per me quest’anno: tra i santi si sono appena aggiunti Padre Pellegrino che mi aveva molto aiutato e incoraggiato, don Agostino Vigolungo che è stato mio Padre spirituale per ventidue anni, marcando profondamente la mia vita con i suoi consigli e la sua testimonianza; da ultimo Padre Mario, il primo prete fuori Brasile che aveva cominciato a lavorare con gli zingari (35 anni – infarto). Questi i miei ultimi santi che colloco senza commento nel calendario della nostra amicizia. 

Ho già ricevuto qualche vostra notizia, ma sapete quanto gradisco altri scritti per sentirci più vicini. 

Ciao 

Renato 

P.S.: leggete il libro “Zingaro mio fratello” di Vincenzo De Florio. Don Vincenzo è un mio grande amico, ma non per questo il libro è bello. 

 

Lettera peronale - Stralcio    

Carissime Suor Candida, Carla, Rita, 

sono stato tanto male la settimana scorsa quando ho cominciato un po’ di lettera poi nel momento in cui dovevo consegnare il pacco ho dovuto scegliere tra il mandarvi un testo incompiuto o non mandare nulla. Ma io volevo dirvi almeno che vi ricordo. 

Non solo vi ricordo, come ricordo molte persone, ma continuo a identificarmi in tutto quello che voi fare e siete. Ringrazio Dio per la vostra comunità: non è assolutamente importante che siate in Italia o al Polo Nord, ma continuate a stare con gli zingari, continuate a fare questo dono ai nomadi e alla vostra congregazione, alla Chiesa e a voi stesse. 

Nelle vostre lettere dopo la citazione di Osea c’era un gemito quasi gridato. Carissime, i chiodi nelle mani fanno sempre male e se dipendesse da noi non troveremmo mai il posto dove lasciarli piantare. Vi lascio un pensiero che mi sta aiutando in questi giorni: la croce, la sofferenza, in una parola il NAUFRAGIO è una realtà appartenente all’essere umano, ma per il Cristiano c’è un vantaggio: che può naufragare per amore.     

<- - - - - --->

Mi viene in mente di rispondere a un punto interrogativo di Suor Rita perché a volte con gli zingari se ne parla e può essere utile una risposta in più. 

Mi dicevi dell’aspetto negativo del campo grande e organizzato (d’accordo con te). Mi dicevi del pericolo che tolgano altri campi: non è vero? 

Anni fa c’era la stessa situazione, per cui quando si è fatta la richiesta dei campi perché si è fatta? Perché minacciavano di sparire le aree. Io se fossi uno zingaro non starei in Torino ma se voglio stare a Porta Nuova con la roulotte ci devo stare a certe regole. 

Se fossi uno zingaro non andrei ad abitare in una casa, ma se ci vado e voglio le comodità non posso lamentarmi che in cucina non ci sono i pini, i pioppi e il tappeto di erba. Sempre per la storia (gli zingari con sottintesi più o meno evidenti spesso ci rimproverano che abbiamo fatto i campi e le cose sono andate peggio) sia chiaro che quando gli zingari non avevano voce per farsi sentire noi (OASNI etc.) di Torino abbiamo prestato la voce a loro, ma abbiamo chiesto presso le autorità ciò che gli zingari chiedevano né più né meno (le autorità rispondevano a modo loro). 

Noi volevamo cose più semplici è vero, ma questo non è più dipeso da noi: noi abbiamo solo dato forza alle loro richieste, PER CUI, se quello che si è fatto è stato buono noi non ne abbiamo nessun merito. (Perché sono gli zingari che hanno chiesto queste cose). 

Se quello che si è fatto è stato sbagliato lo stesso non ne abbiamo colpa. 

Voi non fatevi problemi di coscienza e semmai quando fosse possibile aiutate gli zingari a prendersi le loro responsabilità ed eventualmente agire di conseguenza per il futuro. 

Per esempio in questi tre anni e mezzo di Brasile non mi è mai venuto in mente il problema degli accampamenti, perché gli zingari non l’hanno mai chiesto. 

Tu Rita sei riuscita a dire tutto in due righe, io invece sono più prolisso. Pazienza. 

State serene il più possibile, salutatemi anche la vostra Madre e Buon Natale con un Felice Anno Nuovo, o meno pesante possibile. 

Ciao d. Renato


Lettera personale – Stralcio 

Ho preso una settimana di pioggia, oggi c’è un po’ di sole, ho fatto “un bagno” (non ho detto il bagno), ho lavato un pò di vestiti e oggi seccheranno. 

Ieri è stato un giorno molto pesante perché sono con un gruppo che non conosco e ad ogni passo mi accorgevo che avrei dovuto andare nella direzione opposta, dopo aver detto una parola mi rendevo conto che avrei dovuto dirne esattamente un’altra. Vedevo una persona disoccupata a distanza e pensavo di “attaccare bottone”, ma come mi avvicinavo questa aveva già avuto l’ispirazione di fare altro. Quelli che incontravo gentili, affabili, dicevano «apapareça! apareça! despois toramos un cafesinho!» (si faccia poi vedere eh!? prendiamo insieme un caffé) ma io l’avrei voluto in quel momento il cafesinho, ma anche loro si trovavano con un corpo estraneo. Ma adesso già sta sgelando. 

Eppure mi sento forza e grinta, ma anche tanta fragilità. Ma la messa di ieri sera forse è stata più bella (vi dico queste cose perché non pensiate che vi dico solo e sempre che sto bene). 


Lettera agli amici

Cari amici, 

quando sono arrivato vicino a Rio de Janeiro si vedeva la terra molto nuvolosa dall’aereo e faceva impressione entrare in quel banco di nuvole. 

L’aereo ha continuato la discesa, poi una curva, intanto le ali si sono bagnate di pioggia. In pochi secondi le nuvole sono state sopra di noi e sotto quella coperta di nebbia fitta,scorrevano sotto di noi nuvole e pioggia: c’era l’inverno e dall’aereo si vedeva il “colore del freddo” anche se non da paragonare a quello italiano. 

Intanto l’aereo scendeva e io guardavo sotto di me lo scenario che si avvicinava. 

Ad un certo punto mi sorpresi con le mani incollate sotto il sedile spingendo il sedile stesso verso l’alto (inconsciamente) come se volessi impedire a quel sedile di portarmi verso il basso, verso la terra, verso quel Brasile che mi aspettava. C’erano delle remore dentro di me che mi volevano impedire di atterrare. 

Come mi resi conto staccai le mani e pregai chiedendo perdono. Oggi alle ore 14 ero vestito esattamente come in Italia, adesso che sono le 18 ho maglietta di lana, camicia, maglia, golf di lana ed eschimo e vi assicuro che non c’è nulla di soprappiù (però sapete che sono molto freddoloso). Se venite qui sappiate regolarvi!!. 

Qualcuno mi ha chiesto notizie più mie: ieri e oggi ho conosciuto 18 famiglie di Rom parenti della Pierina, figlia del Tunin del Nichelino. 

Una notizia meno bella: la settimana prossima vado verso il sud dove c’è tanta bella pioggia (Dio dà il sole, Dio dà la pioggia, sia sempre il suo nome benedetto). 

La rivista di cultura nazionale VOZES ha pubblicato un numero unico sugli zingari con sottolineatura della pastorale per questo popolo. Il testo l’avevo preparato prima di venire in Italia. Così c’è qualche materia per chi desidera cominciare a conoscere qualcosa su questo argomento. Poiché ad alcuni zingari è piaciuto il testo lo voglio arricchire di qualche foto per loro. C’è pure un numero unico di Correio sugli zingari con cinque articoli molto buoni di autori europei e di uno zingaro brasiliano. 

Prendo l’occasione d queste righe perché devo scusarmi se non mi sono più fatto vivo con nessuno alla partenza perché ho avuto un anticipo di 10 giorni che mi ha sorpreso e mi ha trovato sprovveduto: ho appena avuto il tempo di andare a salutare mia madre a Cavanzana e via di corsa. 


Lettera personale – stralcio 

Carissimi 

Ieri mi sono accampato per la prima volta con alcune famiglie del gruppo Calón. E’ il gruppo con cui in passato ho trovato maggior difficoltà per il motivo della lingua.

Questo gruppo è arrivato in Brasile 400 anni fa per cui la lingua zingara è parecchio modificata e la comunicazione per me è difficile. Esternamente sembrano molto selvaggi e sembrerebbero pericolosi, ma il loro cuore è come quello di tutti, il loro mondo è il mondo di tutti gli zingari, quindi fra qualche settimana saremo grandi amici. 

Ieri, finalmente dopo gli incontri preliminari necessari per la mutua conoscenza ho messo la mia tenda qui. Ieri è stato un giorno tutt’altro che normale ma è passato ed è andato bene fino al termine. In giornate come queste sento la Madre del Cielo particolarmente vicina. 

Ricomincio la lettera per la terza volta. Le ultime 13 righe le scrissi ieri dopo un assalto in strada in pieno giorno. Un trenta mila lire, ma più dei soldi persi è quel senso d impotenza che assale ogni vittima di qualunque violenza. 

Un 20 giorni fa hanno ucciso due zingari di questo gruppo Calón. L’altro ieri ho sentito che ne hanno uccisi altri due. Ieri c’era abbastanza tensione. Gli zingari stessi mi stanno studiando e io cerco di capire, ma guai se non ci fosse il sostegno della preghiera. 

Mi pare di aver cominciato sette volte questa lettera (meriterebbe l’analisi di un grafologo) ma scrivo quando ho bisogno di fare qualcosa, o per lasciare gli altri un po’ per conto loro tranquilli. Adesso smetto di nuovo senza sapere il perché ma riprenderò presto. 

Sono tornato dopo tre minuti. – Stop – Scusate, avevo smesso appena cominciato perché nonostante un cinque ore di alfabetizzazione sono tornati due per ricominciare di nuovo. Sono morti altri 6 a non molta d distanza. Il giorno 8 dicembre appena passato è stato di grande tensione. Specialmente la sera, la notte e il giorno dopo (era l’anniversario di Jequie quando avevano ucciso lo zingaro in ospedale). Quest’anno tutti gli zingari armati aspettavano che si accendesse un solo fiammifero e sarebbe stata la fine almeno per 5 di loro. Il nostro gruppo è arrivato vicino a un altro gruppo solo “mezzo amico” e questo fatto già creò tensione, ma in seguito arrivò a 20 metri un terzo gruppo e a questo punto pregarono anche quelli che non sapevano. Nessuno dei tre gruppi voleva andare via perché risultava il pauroso. Ciascuno descrisse (a parole per fortuna) centinaia di volte in quei tre giorni come avrebbe ucciso ciascuno dei suoi nemici appartenenti al gruppo vicino. E in base alla reazione si sarebbe fatto così e così e ancora così. 

Oggi nell’accampamento si parla di un altro morto, ma non capisco se parente, amico o nemico. 

Io cerco di vivere accompagnando un gruppo ma non identificandomi troppo con lo stesso per poter riprendere contatti normali con i cosìdetti nemici del mio gruppo. 

Notate che nel mio gruppo ho la fortuna di non avere bevitori per cui è ancora un gruppo di persone relativamente calme. La domenica prima dell’otto dicembre, a sera inoltrata abbiamo fatto una bella celebrazione della preghiera sotto una delle tende ed è stato bellissimo, ma poi è finita la pace. 

La mia giornata è fatta di abbastanza preghiera in tenda o nella chiesa vicina, alfabetizzazione con grandi e piccoli, un poco di lavoro di rame e tempo libero; pranzo alle 9.30 del mattino con riso e fagioli e a volte un uovo; cena alle 18-18.30 con fagioli e riso. Il riso e fagioli adesso mi piacciono. Nella giornata faccio qualche integrazione con caffé o un panino perché la mia giornata di lavoro è abbastanza carica. Se stessi a discutere sotto un albero il giorno intero sarebbe diverso. 

Queta volta vi ho parlato troppo di me e a pezzi, a volte con un po' di tensione e nervosismo; Non leggete questa lettera in chiave vittimistica perché mi sento molto sereno e mille volte contento della vita. Dopo questo gruppo andrò con un altro nel Minas Gerais che però già conosco. 

Riprendo la lettera per salutarvi tutti. 

Buon Natale e ciao! 

Renato


Natale 1986 

Per gli amici di Torino 

Amici carissimi, Buon Natale! 

io passerò Natale con trenta gradi di calore e spero voi non lo passiate con altrettanti gradi di freddo. Vorrei scrivere personalmente a tutti, ma non ci riesco e voi lo capite. Vi auguro Buon natale! 

Se fate il presepio non dimenticatevi di mettere anche un accampamento di zingari nella periferia di Betlemme con i pastori e tutti i classici personaggi del presepe. Qualcuno potrebbe anche collocare una statua o due per terra a ricordarci le nostre cadute e le nostre ubriacature. Bisognerebbe collocare la statua di qualche bambino che dorme tra due giornali, lo potreste fare di Dash o altro materiale. 

Collocare alcune cose importanti: il tribunale, la casa della polizia, la casa comunale (dove si provvede e non si provvede al popolo), il carcere, il ricovero degli anziani, la scuola, l’asilo: sono importanti le case in un presepe; ma ve le dovete fare perché non si trovano nei negozi. Se avete qualche rivoltella giocattolo mettetelo in un angolo del presepe: è di qualcuno che l’ha lasciata là e non se l’è portata con sé in quella grande notte. 

Io metterò voi nel mio grande presepe e voi metteteci anche un pezzo di me. 

Un grande abbraccio a tutti 

d. Renato 

1987

Lettera personale – Stralcio


…. in questi giorni ho ricevuto una bella lettera dal Cardinal Ballestrero, io gli avevo scritto per la morte di Padre Pellegrino e la stessa cosa avevo fatto con il mio Vescovo di Alba, il quale mi ha ancora risposto due giorni prima di morire: è stato l'ultimo suo scritto. Il mio parroco mi disse che 20 giorni prima di morire era già molto stanco, quindi immagino quanto lo deve essere stato due giorni prima. Lo sforzo che lui ha fatto è stato per me una lezione di dedizione al dovere e al lavoro anche quando uno non ha più la forza. In fondo avrebbe potuto aspettare; scrivere un giorno o l’altro sarebbe poi stata la stessa cosa: scrivere a un prete che forse ha bisogno può essere importante ma non è poi la fine del mondo, e invece si sarebbe proprio trattato della fine del mondo perché 48 ore dopo sarebbe stato già troppo tardi. 

Domani se Dio vuole celebrerò un matrimonio, in Porto Alegre, di due zingari: lui Khorakhanò e lei Maciuáia: sarà il primo matrimonio di una coppia zingara che celebrerò in Chiesa (e sono già 15 anni che vivo con loro. Si dovrebbe proprio concludere che non sono un buon missionario, vero?)….


Rio de Janeiro 13 gennaio 1987 

Cari amici di Pralia. 

Mi trovo nella stazione di Rio de Janeiro. Sono le 15.18, un termometro gigantesco segna 39 gradi, ma non c’è afa. Ho appena comperato un bicchiere di acqua (L. 3000) e adesso sto meglio. Si può fare a meno di una pagnotta di pane, ma non si può rischiare troppo con l’acqua. E quelli che non hanno i soldi per comprarla? 

Noi diciamo che sono abituati a morire o a vivere con la pancia piena di vermi. Oggi sono passato in due posti di Rio, non mi sono fermato più di 10 minuti in ogni posto: in uno c’era una puzza di tipo chimico-gomma-vernici, nell’altro era puzza di marcio tipo pesce e altro. Ho pensato alla gente che vive là, come ci si può abituare? E con queste temperature? 

Sembra che l’uomo non abbia limiti di capacità per soffrire. La situazione economica e politica per cause guerra sembra entrare in un caos ancora peggiore. Per alcuni mesi qualcuno si era illuso che le cose andassero meglio con il governo Sarney, ma non si intravedono speranze veramente nuove per il popolo, per i lavoratori più poveri. I ricchi stavano già bene prima e continueranno a stare meglio adesso, ma gli altri? (interrompo perché il pullman parte). - (Riprendo). 

La mia idea sul Brasile, già detta con qualcuno di voi, è che fra 50 anni il Brasile sarà molto simile agli Stati Uniti. I grattacieli aumenteranno di certo, quello che viene chiamato il capitalismo che anche qui è iniziato ed è ben selvaggio come altrove ha un suo processo di sviluppo ben chiaro e porta là: a New York, a Tokio, a Milano. 

Le baracche di legno e cartone diventeranno case o saranno seppellite: ciò che non si sa è il prezzo che si dovrà pagare per tutto questo. L’unica speranza che resta ai poveri è che non saranno distrutti perché i ricchi avranno sempre bisogno di loro per continuare ad essere tali. 

Ed ora passiamo a qualcosa di più nostro. 

Ieri sono stato con un gruppo di Calderasch che viaggiano con automezzi e tende facendo cinema nelle città interne. Sono gruppi di 1° o 12 famiglie che si spostano con questa specie di circo; in maggioranza calderasch (sono oltre 40 questi tendoni viaggianti). Già vi avevo detto che i circhi sono un migliaio tra grandi e piccoli. I circhi grandi sono pochi; la percentuale degli zingari nel circo è ben significativa. 

Il mese di dicembre l’ho passato con un gruppo di Calón (sono i primi arrivati in Brasile). E’ stato abbastanza difficile entrare nel loro mondo e lo è tutt’ora per molti motivi, non ultimo la lingua diversificatasi molto in questi 400 anni: In comune con gli altri hanno la lingua di cui non sanno, spesso, cogliere la stessa radice che è ovviamente la medesima dei Calderash, Xorakanè, Maciuaia, etc. 

E’ ovvio che gli uni dicono che gli altri non sono veri zingari, ma questa storia è vecchia e la conosciamo a memoria.

Il gruppo Calón si presenta molto primitivo e selvaggio almeno a distanza: gli uomini tutti con cappello da cow-boy, denti d’oro, capelli lunghi, gambali di cuoio fino al ginocchio o almeno sopra la caviglia (non dimentichiamoci che ci sono abbastanza serpenti dove si accampano). Le donne con abito tipico fin sotto il ginocchio con molto colore, pizzi, ma tinta abbastanza unita. In maggioranza i bambini sono analfabeti: dico bambini perché sono pochissime le bambine. 

Poiché è difficile allevare un figlio è meglio crescere un maschio che resterà nel gruppo e lo difenderà; molte bambine specialmente in passato venivano lasciate a famiglie di non zingari. Specialmente nello Stato di Minas Gerais i ragazzi, quando si sposano cercano moglie tra i non zingari. Un gran numero di donne che vivono in accampamento sono di origine non zingara ma si inculturano molto bene e in poco tempo. 

Ho trovato diverse famiglie di gagè che hanno allevato bambine di zingare. Non si può negare che siano aggressivi e istintivamente violenti, ma la loro anima è buona. 

Quando ero fuori da quel gruppo avevo contato in 3 mesi 23 morti, ma vivendo con loro in accampamento, l’indice è aumentato ovviamente perché le informazioni venivano non solo dai canali ufficiali. L’ultimo mese passato accampato con loro il numero di morti nel gruppo Calón è di 13 (beninteso morte violenta e non di malattia). Per un solo scambio di vendetta un gruppo familiare ha già avuto oltre 40 morti (le medie mi sembrano un po’ alte). 

Hanno una fede molto immediata legata alla sopravvivenza fisica. Pregano molto. Ho trovato una preghiera (lunga circa come il Credo) quasi esatta alla stessa scritta e riportata il secolo scorso come preghiera appartenente a quel gruppo. Chiedono molto di essere liberati dai nemici, di non essere visti, di essere protetti, che le pallottole delle pistole non facciano loro male. Alla sera accendono candele per ringraziare, benedire e maledire. 

Nell’accampamento si parla poco o quasi nulla di donne e avventure amorose (cose di cui si parla molto negli altri gruppi non Calón). Parlano molto come difendersi e come aggredire per cui non hanno molto tempo per altro. 

Per i gruppi Calderas, Xorakane, Maciuaia, Purunesti etc. è uguale come in Italia. 

Oggi avevo abbastanza tempo a disposizione e anche tanta voglia di chiacchierare un po’ con voi. Ho iniziato la lettera con l’intenzione di farvi solo i saluti e auguri di Buon Anno, poi sono arrivato fin qui. 

Renato


Lettera agli amici 

Carissimi amici, 

ancora non ho ricevuto le lettere degli ultimi due mesi, ma so che sono a S. Paolo e mi aspettano. 

Il mio per le verità è stato un giro un po’ lungo. Dopo questi primi 100 giorni il contachilometri segna 64.000 Km., ma sono vivo e tutto sommato in forma. Ho incontrato zingari di tutti i gruppi, da quelli delle più vecchie immigrazioni a quelli che sono arrivati in Brasile in questo secolo. Sta nascendo anche un piccolo gruppo di persone che comincia a interessarsi di questa realtà. Dovrà passare molta acqua sotto i ponti, ma qualcosa nascerà anche qui; io sono ottimista.

Gli zingari che ho incontrato sono molto buoni, cioè sono come quelli italiani (Sinti, Rom meridionali, Slavi etc.) A volte sono un po’ violenti ma non cattivi. La gente del posto non riesce a sopportarli molto perché non li conosce bene. Qualche tempo fa ne hanno ammazzati 17 in un’imboscata.

Alla fine del mese prossimo dovrò uscire dal Brasile e a dire il vero pensavo di fermarmi alcuni mesi fuori del Brasile stesso (Uruguay o Argentina) e questo sarebbe stata cosa buona ai fini del mio visto turistico, tanto più che i “parrocchiani” sono gli stessi, ma dovrò tornare indietro subito a causa della lingua perché, se dopo 5 mesi di portoghese vado dove si parla spagnolo, che è una lingua molto simile finirei per fare una confusione immensa, per questo fino alla fine dell’anno, se Dio vuole, resterò in Brasile, uscendo appena un giorno. 

Al nord c’è stato un buon clima, ma al sud un freddo cane, comunque fra un mese comincerà l’estate anche al sud. 

Dopo alcune notizie spicciole, vi dico che incontro in questo popolo brasiliano delle testimonianze bellissime: gente che lotta e rischia tutti i giorni per liberarsi dall’impero dei ricchi. La settimana scorsa, mentre ero a Guarabira, un missionario che era stato in Seminario ad Alba con me mi diceva di essere stato informato che si era deciso di uccidere una delle militanti più vive della regione se non smetteva di fare catechismo come lo faceva lei o come faceva politica per svegliare gli oppressi a liberarsi; Padre Luigi è andato ad avvisarla e le disse . "Mi hanno chiesto di avvisarti che se non smetti catechismo e politica la tua vita sarà lunga quanto un mozzicone di sigaretta". La giovane signora mandò chiamare il marito che aveva sposato da poco e chiese che cosa pensava lui di questa minaccia. il giovane disse: "Davanti alla morte nessuno si può sostituire a chi deve scegliere".Quando lei capì che era profondamente libera di decidere disse semplicemente di non poter lasciare quel popolo che lottava per la sopravvivenza e aggiunse: "Dalla lotta non fuggo, meglio morire nella lotta che morire di fame", Padre Luigi tornò verso casa, ma dopo due ore fu avvisato nuovamente che Margarita era stata uccisa, Tornato subito trovò il giovane marito accanto a margarida che disse: "Sto qui come Abramo accanto a suo figlio. Quel giorno arrivò un angelo a salvarlo, ma qui non viene più nessuno" il marito non l'avava invitata a scappare, io penso, perché voleva veramente bene a lei e al popolo.Intanto le amiche scrivevano su uno striscione di 100 metri: “Avete strappato una margherita, ma ne sono già spuntate 1000”. Così si va avanti alla luce della fede. 

Qualcuno aveva la tentazione di vendicarsi, perché si conosce chi ha ucciso e il mandante stesso, ma si preferì resistere con la “non-violenza” e si continua con il programma “Lotta si, violenza no”. 

Questo è un piccolo squarcio di un ambiente dove gli espulsi dalle tane vogliono rioccuparle, dove chi lavora non vuole perdere lavoro, terra, possibilità di sopravvivere, dove chi vive una dipendenza schiavista cerca di alzare un poco la testa per non morire di fame, di rabbia e di fatica. 

Un altro angolo di questo Brasile che vive nonostante tutti gli attacchi alla sua sopravvivenza è il Sertào dove sono ancora in piedi tutti gli alberi secchi dei 5 anni di secca. Adesso, dopo la pioggia, è spuntato il verde ma ci si può ancora rendere conto di che cosa sia stato quell’inferno anche se non si riesce a capire come abbiano potuto sopravvivere migliaia di famiglie in quella condizione. Molti parlano del “Miracolo Brasiliano” riferendosi proprio a questa sopravvivenza quasi inspiegabile anche se non mancano i milioni di morti. 

Forse vorreste anche qualche notizia in più sugli zingari, ma non si può parlare di tutto. Dico almeno questo. Da parte mia ho accolto con cuore aperto questi fratelli nomadi e sono stato accolto altrettanto bene, anzi, molto di più di quanto lo abbia saputo fare io. A volte mi dimentico che bisogna incontrare, meritare fiducia e conquistarla così come si è dovuto fare 20 anni fa ad Alba, quando incontrare un prete o una suora disponibile a fare amicizia, per uno zingaro non era cosa affatto normale. Quando mi dimentico che bisogna cominciare da capo me lo ricordano essi stessi dopo 15 secondi che li ho incontrati. 

Personalmente vi sento tutti molto vicini. Ringrazio il Signore che ha inventato la preghiera per non lasciare i suoi figli soli. 

e grazie ad essa ci possiamo raggiungere a qualunque distanza con l’aiuto più concreto che esista. 


Passo Fundo - Ottobre 1987 

Carissimi 

Dopo aver incontrato una famiglia già conosciuta due anni fa in Rio de Janeiro, ho fatto loro la proposta di passare del tempo insieme. Per tre giorni il proprietario del Circo non ha creduto che io fossi prete, mi ha semplicemente accettato come si accetta qualunque delinquente. Il quarto giorno mi ha invitato a mangiare una minestra in casa sua. Intanto ho aiutato a fare lavori di riforma nel Circo: saldare, cucire il plastico dello chapiteau, inchiodare legni etc. 

I primi giorni sono stati pesanti specialmente per la costante paura di sbagliare qualcosa e perdere in modo irreversibile la fiducia di questi possibili amici. Intanto sono venuti a farmi visita preti, seminaristi, frati, suore, catechisti. L’ultimo giorno di permanenza nel piccolo Circo Weber c’è stata una concelebrazione con tre preti e la partecipazione di circa 30 suore, amici della parrocchia, bambini etc. Era diventato bello stare là, ma in un viaggio per visitare due altri circhi piccoli e parenti dello stesso, incontrai un gruppo di zingari Calâo del sud che hanno una attività originale: vendere medicine vegetali (fanno quindi gli erboristi) e hanno modificato il mio programma. Così lasciai il circo e raggiunsi il gruppo Calâo dopo la metà di ottobre, autoinvitato. 

Qui viviamo in tende grandi più la mia piccola canadese. La prima volta in cui mi sono accampato e la prima volta in cui mi sono spostato con loro non è stato facile trovare un luogo per sistemare la mia tenda perché tutti consigliavano un posto che non fosse troppo vicino alla propria tenda. Era normale la difficoltà di credere che ero prete. Se ero prete avevano paura che gli portassi disgrazia (in quanto due famiglie di pentecostali avevano messo un po’ di subbuglio nell’accampamento, ma io non lo sapevo. Certo non volevano mandarmi via ma sarebbero stati tanto contenti se me ne fossi andato. A volte ero vicino a una tenda, a due metri dove stavano mangiando e non mi invitavano o almeno tardavano molto a farlo, giustamente per stancarmi. Qualche volta mi è arrivato un po’ di cibo quasi freddo e ben secco che non mi riusciva a mandare giù e una zingara una volta me lo disse anche. Io avrei potuto andare a mangiare fuori ma significava rinunciare a conquistare quel piccolo gruppo che per me aveva molta importanza. D’altro lato loro dovevano pur difendersi da questo asteroide, corpo estraneo nella loro vita e quindi avevano il dovere di fare questo e liberarsi di me il più presto possibile. 

Scrivo questo solo per dire che è un gruppo che ancora lotta per difendere la propria identità e non per farmi compiangere sulle mie disgrazie. Questi zingari avevano anche pochi modi a disposizione per mandarmi via. E io d’altra parte ci volevo proprio stare. Ho già un po’ perso il gruppo del nord Bahia con la storia di JEQUIÉ e adesso non mi va di perdere anche il Sud. E’ molto difficile per me capire chi è capo nel gruppo. Di norma è un anziano ma comanda poche cose. Tutti sono un po’ leaders della propria tenda. 

Il primo giorno ho cominciato a fare scuola a un gruppetto, ma già dopo la prima settimana si sente la difficoltà della costanza. Forse il grande calore arrivato improvvisamente ha avuto la sua importanza. Un momento di benedizione è arrivato dopo tre giorni, quando vennero due Carlisti a visitarmi. Chiedemmo se c’era tra loro uno che potesse guidare un’auto per fare un viaggio di 200 km, infatti, dovevamo spostarci ma una macchina era senza autista. Padre Sergio mi disse che poteva essere Milton stesso a fare il viaggio per raggiungere la destinazione a 4 ore di distanza. Il mattino seguente Milton stava nell’accampamento. Ci salutammo senza scambiare nessuna delle mille parole che avremmo voluto dirci in quel momento. Lui partì e io seguii con una corriera di linea, perché non c’era posto in macchina. Non so che tipo di viaggio abbia fatto Milton, ma so che gli zingari sono stati molto contenti di lui. Très de Maio è la nuova sede (paese grande) del nostro accampamento. 

Non nascondo una grande tensione per paura di sbagliare e perdere la fiducia (nemmeno ancora ottenuta) di quel gruppo e creare difficili rapporti per il futuro. 

Conclusione: al 5° giorno arriva la febbre e il 6° giorno lo passo in un ospedale di suore dove ero andato a celebrare messa. 

E adesso una cosa semplicemente allegra. Dopo l’ospedale, rientrato in accampamento, mentre conversavo con degli uomini, è arrivato un vento tipo bufera asciutta, che qui è molto comune e gli zingari hanno il terrore perché gli fa a pezzi le tende. (Mi chiedono sempre se ho delle preghiere contro il vento). Mentre tutti siamo corsi ad assestare la propria tenda il più anziano dei figli mi gridò: «Padre Renato reze o vento! reze o vento! – Padre Renato prega contro il vento! prega contro il vento!». Io sono corso alla mia tenda e penso di essermi proprio dimenticato di pregare con particolare intenzione, ma 10 secondi dopo il vento si è alzato e lasciava vedere le nuvole che galoppavano alte nel cielo eppure nell’accampamento siamo stati super tranquilli, mi resi conto solo più tardi che essi avevano interpretato che avessi fatto qualche preghiera speciale per dirottare il vento. 

Le due famiglie pentecostali sono rimaste zitte e gli altri non hanno più pensato che potevo portare disgrazia. 

E’ stato il primo passo di accettazione da parte del gruppo. Quando mi sono reso conto non ho poi detto loro che mi ero dimenticato di pregare per il vento, perché avevo proprio proprio bisogno che pensassero bene di me. 

Festa dei santi e giorno dei morti: aiuto in Chiesa, ma nessuno passa in Chiesa almeno per curiosare se sono prete o no. Da parte mia sono ostinato, non voglio perdere il gruppo a tutti i costi, ma l’aria è ancora irresistibile e sono forzato a progettare qualche possibile alternativa. 

Sono passati alcuni giorni e le donne che all’inizio erano le più scontrose e chiuse sembrano più tranquille. La più anziana negli ultimi giorni mi ha già chiesto almeno cinque o sei volte perché ho voluto smettere di essere prete, se non mi interessa più, se non mi piacerebbe riprendere il ministero etc. Io tutti i giorni ripeto a lei le stesse cose ma per lei la cosa è chiara: «Se sono preti veri gli altri, non posso esserlo io: se lo sono io non possono esserlo gli altri». Ma almeno già ci si vuole bene. 

L’alfabetizzazione continua praticamente seria con due adulti; due altri adulti hanno cambiato accampamento, due ragazzi si fanno portare a spalla e a volte nemmeno così sembrano voler continuare. Ho cominciato per gioco con tre piccolissime, ma più per me che per loro. Veramente non so che cosa stia pensando il mio Datore di Lavoro. Spero che si superino queste difficoltà e che sia possibile continuare. Non voglio stare qui con troppa tensione perché finisce per essere controproducente. Nell’accampamento non ho più di due ore di lavoro al giorno, il resto del tempo Dio solo sa come passa. La mia preghiera in questi giorni è un insieme di supplica, grida, ostinazione e tante altre cose, ma ciò che mi ha aiutato molto è stata l’antifona del Breviario che incontrai il mattino in cui partii per raggiungere questo gruppo e il versetto diceva così: «Affida la tua vita al Signore e Lui stesso accompagnerà il tuo cammino», per cui quando qualcosa non mi è chiaro e non capisco ripenso a quella parola. 

In mezzo alle mie lamentazioni non posso non essere ottimista: Intanto alcune belle notizie. Mi dissero che un seminarista di filosofia vuole fare una tesi sugli zingari. Il giorno stesso in cui sono uscito da Passo Fundo una suora cominciava a fare catechismo ai bambini del Circo, disposta ad accompagnarli nelle vicine città. 

Venerdì 5 novembre, è tempo di migrare. Una famiglia vuole andare da un’altra parte. Qualcuno comincia a partire dicendo che aspetta a quell'incrocio. La direzione sembra la città Santa Rosa. La descrizione del posto sembra molto dettagliata, ma per me resta difficile capire dove è realmente. Partono quasi tutti. Tutti mi dicono che ci vediamo nel nuovo accampamento, ma io non ho nessuna idea chiara di dove questo futuro accampòmento sia realmente. E' probabile che sperino pure che non riesca a rintracciarli.Ressto solo. Aspetto un poco per capire che fare. Arriva una auto a cercare un qualche oggetto smarrito che non trova. Questa volta c'è posto e parto con loro. 

Ma dove arrivo mi rendo conto che ci sono altre famiglie che non conosco, anche se essi sanno già qualcosa di me. Il gruppo con cui sono stato, eccetto la famiglia che mi ha accompagnato è rimasto a 2 km e posso continuare con loro l’alfabetizzazione. 

Qui è già molto più facile. Mi chiedono molto di pregare nella loro tenda anche se non sono riuscito a riunire nessuna famiglia sotto la tenda dei vicini. In questi giorni sto riflettendo abbastanza sulla benedizione e maledizione; mi pare che questo elemento sia molto importante anche nella Bibbia: lo è molto nell’A.T. ma non di meno nel N.T. 

Gli zingari chiedono molto la benedizione e hanno una grande paura della maledizione, perchè per essi non sono un buon augurio o un cattivo augurio che lascia tutto come prima, bensì la benedizione ti fa bene e subito, come la maledizione ti fa male esubito. La benedizione è una medicina che immediatamentwe ti cura e la maledizione è una pietra che ti arriva in testa e ti manda all'ospedale. Vengo a sapere che in Aguas de Chapecó ci sarà un matrimonio in un gruppo che avevo sfiorato tre anni fa. Era stato il primo incontro con questi zingari Calón del sud. Decido di andare a celebrare questo matrimonio così mi vedranno con gli abiti liturgici e sarà più facile inserirmi nel loro gruppo in gennaio quando penso di passare un mese con loro assieme a Milton, perché il gruppo è abbastanza grande: 40 tende e per fare un po’ di alfabetizzazione è meglio in due. Milton viene anche lui al matrimonio. 

Durante le otto ore di viaggio su strada non asfaltata Milton ha avuto una colica epatica (deve pur cominciare anche lui a pagare un poco le cose che fa). Siamo stati là solo per la celebrazione poi via di ritorno. Quattro giorni dopo tutte quelle tende sono arrivate a 2 km dall’accampamento dove sono tutt'ora io stesso. Mi accorgo che è valsa la pena fare quel viaggio di 16 ore per andare al matrimonio, nel quale Milton e io abbiamo avuto anhe l'occasione di conversare molto e così siamo ben affiatati per cominciare a gennaio. 

E’ il momento giusto per separarmi dal mio gruppo, per tornare dopo Natale. In questi 20 giorni prima di Natale andrò a S. Paolo, Belo Horizonte, T. Otoni e Jequié nella Bahìa. Se Dio vuole, ritornerò al sud e ricomincerò a risalire dopo febbraio. 


Lettera personale – Stralcio 

E'un po’ di tempo che non vi scrivo per darvi notizie. Dopo l’ultima lettera sono stato al Sud con il seminarista scalabriniano Milton. Abbiamo visitato le comunità seminomadi ed è stata per noi due una esperienza molto arricchente perché ci conosciamo di più e penso ci vogliamo anche più bene. Questo giovane è la speranza più significativa per quanto riguarda la pastorale dei nomadi in Brasile, per questo vi chiedo di pregare molto per lui perché riesca a superare tutte le difficoltà, capire quale è la sua vocazione e come coinvolgersi nel nostro popolo zingaro. Vi avevo già accennato, ma ora vi dico più in dettaglio che il papà di Milton è il responsabile della nostra rivistina che è al n. 7 e si chiama “Rom-Calão”, prima della fine dell’anno arriverà al n. 29. Il direttore della rivista è anche direttore didattico e fra un anno e mezzo andrà in pensione e avrà certamente più tempo per questa pastorale. 

Vi avevo accennato in una lettera che finalmente avevo trovato una famiglia: è questa. Il papà e la mamma di Milton sono persone meravigliose. I due figli e la figlia lo sono altrettanto. Quando sono stanco vado là e mi riposo sentendomi in casa al cento per cento. Ringraziate il Signore per me, anche per questo dono. 

Dopo il sud sono andato al nord e adesso (oggi) sono accampato in Guarulhos. Sono con il gruppo Calão e il tutto sta procedendo bene. Sono abbastanza tranquilli, al punto che mi sembrano quasi anestetizzati. Ho telefonato ieri alla Signora Rosa Monti di São Paolo e lei mi ha risposto:”Io lo so perché sono tranquilli, sto pregando come una dannata tutto il giorno perché non ti capiti nulla con questo gruppo”. 

Da una settimana, alla sera quando viene notte, facciamo la benedizione delle tende. Preghiamo, leggiamo un pezzo di Vangelo, qualche riflessione, recitiamo tanti Padre Nostro e Ave Maria e Credo, e l’altro ieri sera per la prima volta abbiamo recitato il rosario con tutti i cinque misteri e quasi tutto l’accampamento era presente. Questa sera (forse) qualche adulto verrà a messa in parrocchia.

Tra il 22 e 26 ci sarà, a Rio de Janeiro, la prima settimana di studi sugli zingari dell' America Latina. 

I preparativi sembrano buoni, vedremo se ci sarà “molto fumo o molto arrosto”. 


Lettera personale

Carissime Edda e Marilde, 

scrivo ancora questa lettera poi se Dio vuole ci vedremo. Ho terminato i due mesi con i Calón: bilancio molto positivo. E’ terminata la prima settimana di cultura zingara in Rio de Janeiro. Ho vissuto quattro giorni intensi di ritiro spirituale. Il 13 maggio ho ricevuto tutte le vostre lettere. La vostra lettera mi era sembrata in certi punti una pagina di Vangelo: quel Gesù che a volte si arrabbia persino tanto ti vuole bene. 

Ho cercato di mettere in pratica nel modo migliore le cose richieste. Persino il portoghese di Marilde dà garanzia che potete già venire a darmi il cambio. Scherzo: il Brasile Dio me l’ha dato e guai chi me lo tocca!? Scherzo ancora: il Brasile non è mio. Spero nel visto permanente l’anno prossimo. Zuleica che è seguita dalla catechista F.M.M. Ines Braun, ha fatto la prima Comunione (15 anni) e sarà catechista della sorella. Lisette del Circo Orfei ha fatto una decina di lezioni di catechismo a bambini e giovani: questo è ciò che mi interessa di più. 

Ho un grande desiderio di rivedervi e riabbracciarvi in luglio a Milano, all’aeroporto. Se Dio ci farà questo regalo sarà molto bello, ma sarà pure bello ripartire e poi tornare e così via, intanto i capelli si perdono, altri diventano sempre più bianchi e il Regno sempre più vicino: che bello! 

A questo punto vorrei dire tante cose e poi ancora tante, o almeno ripetere le stesse, ma mi sento incapace di tradurre in parole il mio ringraziamento a Dio per avermi dato la vostra amicizia. E’ bello che non vi rendiate conto di quanto Dio ha lavorato e sta lavorando in voi altrimenti sbriciolereste il lavoro del buon Dio. Se vengono delle giornate buie mettetevi in lista con i santi che passarono notti prolungate e terribili, che persero la fede per lunghi anni, che si sentirono abbandonati da Dio per mesi e mesi, che vissero aridità spirituale per 25 anni, e Uno che morì gridando: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. 

Ciao Renato 


Lettera agli Amici 

Carissimi, 

vi scrivo poche righe perché se Dio vuole ci vedremo presto (in agosto). Ho appena terminato due mesi di convivenza con gli zingari Calón. In particolare sono stati belli gli incontri di preghiera e riflessione che si facevano alla sera. Abbiamo terminato una settimana di studio sugli zingari in Rio de Janeiro. C’è stata la partecipazione di un 3000 persone tra zingari e gagè. In Europa queste cose sono molto comuni ma qui anche una piccola goccia sembra un mare, per questo ve la comunico. 

Zuleica, seguita dalla catechista Ines Braun F.M.M., ha fatto la prima comunione e sarà catechista lei stessa. 

Lisette del Circo Medrano (Brasiliano) ha fatto una decina di lezioni di catechismo a bambini e a un gruppo di giovani. Alla fine di giugno Frei Taddeus zingaro sarà ordinato diacono e alla fine dell’anno prete. Il seminarista zingaro Fabrizio sta continuando bene ed è alla fine della teologia, è animato dalla volontà e spera di dedicare la sua vita per il suo popolo. 

La settimana scorsa vicino a Caxias do Sul c’erano 6 gradi sotto zero. L’inverno nel sud è molto crudo e gelido e, quel che è peggio, senza alcun tipo di riscaldamento, stufe etc.. Ma oggi mi trovo più a nord con +28 gradi. Anche in Europa c’è differenza tra Mosca e Catania, non è vero? Smetto di scrivere così avremo più cose da dirci a voce. 

Ciao e arrivederci a presto

Renato


Passo Fundo 18 ottobre 1987

Rev.mo Mons. Giulio Nicolini Vescovo. 

Carissimo Padre, 

desidero raggiungerLa con questa lettera per darLe il mio benvenuto, per ravvicinare le distanze e per farmi conoscere un poco. 

Per la verità la presentazione più vera la rimando al giorno in cui avremo la possibilità di incontrarci personalmente, vederci e parlarci. 

Sono missionario in Brasile, ma incardinato nella mia cara diocesi di Alba. Sono stato ordinato nel ’72 e quindici giorni dopo partii con gli zingari insieme a un altro sacerdote di Milano che da tempo chiedeva al Vescovo di vivere questa stessa missione. Dopo un anno e mezzo mi trasferii negli accampamenti di Torino con “maneat” regolare in quella Diocesi. Da tre anni e cinque mesi sono in Brasile. Il mio punto di riferimento è la Diocesi di Caxias do Sul e il mio Vescovo in Brasile è Dom Nei Paulo Moretto. Ogni due o tre mesi vado a Caxias e mi fermo un paio di giorni dal Vescovo e là incontro incoraggiamento, consiglio e una sincera amicizia. 

In questo momento mi trovo accampato con i nomadi nella città di Passo Fundo – R.S.. La mia casa canonica (m. 2 x m. 1) è custodita da due cari angioletti (2 leoni africani) di un miserabile circo di zingari. Mentre sono con questo piccolo gruppo incontro gli altri clan nelle vicinanze, cercando di dire anche alla chiesa locale che questo popolo esiste e necessita di assistenza ed evangelizzazione come tutti gli altri. Ma essendo più facile parlare che ascoltare io continuo a blaterare e gli altri continuano a non sentire. 

Il rischio della mia vita vagabonda e tutto sommato solitaria, sarebbe la frustrazione se qualcuno non avesse acceso in me una speranza e una fede per vivere la carità; ebbene oggi Le posso dire che questa Speranza e questa Fede sono vive, perché le ha accese Lui stesso. 

In confidenza tra figlio e Padre Le dico che non mi basta più questo mondo come forse non mi è mai bastato. Se Dio non avesse inventato la preghiera e non avesse dato a noi uomini la possibilità di dialogare con Lui, di piangere con Lui, di cantare con Lui, io sarei scappato tante volte dall’accampamento. Io vorrei gridare questo Vangelo sui tetti, ma poi ho chiesto di vivere in cantina, quindi non dovrei lamentarmi. Ma quando non riesco a fare il missionario in modo esplicito prego per questo mio caro popolo, ringrazio e chiedo perdono a nome loro. Questo l’ho imparato da Gesù Cristo. Se poi non ho incontrato grandi temporali nella mia vita è perché il buon Dio me li ha risparmiati giudicandomi troppo debole per superarli, però quante nuvole, e nebbie fredde che rattrappiscono anche l’anima. 

Dico questo perché il mio Pastore preghi per me, ma al di là di tutto, nonostante il mio essere piccolo, nonostante la mia salute superfragile, sono però un entusiasta della vita mia e degli altri e se avessi 100 vite a disposizione le desidererei tutte così (eccetto i peccati beninteso). 

Sono certo che la pastorale dei nomadi incontrerà la sua benedizione perché se non erro Lei ha pure lavorato con i migranti quindi ha già acquisito la sensibilità verso quelle persone che spesso si trovano senza punti di riferimento nel mondo e nella Chiesa. 

Da parte mia pregherò per Lei e La ringrazio per essere disponibile ad accompagnarci come Pastore. 

Pr. Renato Rosso


27 ottobre 1987 

Carissimi amici, 

Sarebbe stato bello incontrarci con calma, tutti, in agosto, invece il tempo è passato troppo in fretta. Ormai sono già rientrato nella mia cara terra brasiliana. Mentre ero sull’aereo a pochi minuti prima dell’arrivo, quando ho sentito che l’aereo ha iniziato la discesa ho avuto un momento di angoscia: avrei voluto mantenere con tutte le mie forze l’aereo ad alta quota, non volevo proprio scendere. A 12 mila metri di altezza stavo così bene, con la testa nelle nuvole, senza preoccupazione, senza fastidi. Quella discesa mi ha detto con violenza che bisognava ricominciare a vivere con i piedi per terra, e in che terra! E io non ne avevo nessuna voglia. 

Ormai ho ripreso la mia attività normale (normale?!) e oggi mi trovo in stazione con abbastanza tempo a disposizione, così ne faccio perdere un poco anche a voi. 

Il Brasile l’ho trovato più flagellato del solito. Quando sono arrivato in Brasile tre anni e tre mesi fa il salario minimo (chi ce l’aveva) era di 27.000 lire, poi c’è stato un lieve aumento. Dall’inizio di gennaio ’87 a settembre ’87 il potere acquisitivo del salario è sceso del 50%. E’ proibito dire che “peggio di così non si può” perché in realtà si può vivere sempre peggio e questa è la paura di molti: non si riesce a fare ipotesi sul futuro. 

Il paese spera in una Riforma agraria, ma il Governo non ci pensa o meglio ha già pensato di non farla. Quando sono arrivato all’aeroporto di Rio, la prima notizia ricevuta è stata che era appena scoppiato l’aereo su cui volava il ministro della Riforma agraria con tutta la sua équipe (si è detto che l’incidente probabilmente è stato causato da un passero: anche gli uccelli devono essere contro la Riforma agraria), ma il peggio non sta qui. 

C’era stata in Brasile una polemica sul latte in polvere che, pur contenendo radioattività, era arrivato in Brasile. Fu bloccato, naturalmente. Poco tempo dopo i proprietari di questa enorme quantità di latte in polvere ebbero il coraggio di chiedere che fosse liberato per essere venduto. Dopo lunghe resistenze, e altrettante pressioni, a base certo di molto denaro, è arrivata la decisione. Il latte è stato liberato a patto di scrivere ben evidenziato sulle scatole di latte che quel latte contiene radioattività, causa esplosione di Chernobyl, etc.. 

Vi immaginate in un paese con un alto tasso di analfabetismo, una decisione di questo tipo. Qui nel Rio Grande do Sul molti l’hanno comprato perché costava solo 30 cruzados a differenza dell’altro senza radioattività che ne costava 90. E poi qualcuno avrà anche pensato che contenendo radioattività poteva contenere qualche tipo di vitamina che poteva essere anche migliore dell’altro! 

Quando l’autorità costituita di un Paese arriva a questi livelli vi potete immaginare quali possano essere le prospettive di futuro. Grazie a Dio ci sono anche tanti segni di speranza. Vi cito solo uno di questi ultimi. In Recife – nome ormai conosciuto – un gruppo di “meninos de rua” (bambini di strada) che come attività fanno i lustrascarpe hanno deciso di mettere in comune i loro guadagni alla sera, si danno appuntamento e mettono in un’unica cassetta il ricavato di ciascuno, poi lo dividono in altrettanti parti uguali. 

Se un gruppo di bambini con tanti problemi alle spalle (frustrazioni, mancanza di affetto, rabbia, violenza, etc) se loro riescono a fare questo c’è da riaccendere tutta la speranza possibile in questo paese. 

Mi direte: e gli zingari? 

Comunico solo che sono accampato in un circo di zingari nel sud, mi trovo a Passo Fundo, ci sono altri tre accampamenti di zingari nella città e diversi altri nei dintorni. 

Che Dio ci benedica e arrivederci. 

Renato


Natale 1987 

Carissimi amici di Pralia, 

vi scrivo per farvi gli auguri di Buon Natale e Buon Anno. 

Di tanto in tanto incontro qualcuno che vi conosce. Ultimamente suore di Brescia da pochi mesi in Guarullos S.P. che conoscono bene d. Piero e d. Fausto. In Passo Fundo R.S. ho incontrato le Orsoline dove la superiora è molto amica di d. Francesco e c. In Uirapurù Suor Pieralma, amica di Edda e Marilde, e in Minas Gerais le consorelle delle Luigine, nostre amiche di Torino. Quindi anche questo è un motivo che può farvi sentire molto vicini alla “Pastorale dei nomadi in Brasile”. 

Notizie flash: sono stato alcune settimane con un circo piccolo che mi ha dato possibilità di incontrare molti nella regione e un mese e mezzo con gli zingari Calón che come attività vendono erbe medicinali. Conoscono veramente bene le erbe e quando vogliono fanno le cose sul serio. 

Frei Tadeus, di cui vi mando la foto, figlio di Calón, sarà ordinato sacerdote il 23.1.’88. Pregate per lui perché possa aiutare molto il suo popolo. 

Il libretto La Consegna pubblicato da EDB è una meditazione che scrissi a Verona mentre facevo il corso in preparazione per il Brasile, più quattro o cinque pagine aggiunte dopo. Il Messale Festivo dei laici, preparato specialmente nei mesi in cui sono stato a Roma malato con infezioni intestinali che non finivano mai e poi terminato a Torino, è anche un po’ vostro non solo per il lavoro di Edda e Marilde ma perché il desiderio di farlo è nato in quella comune esigenza di rendere facile il messaggio per coloro che fanno più fatica. 

Buon Natale e Buon Anno! 

Renato 


Dicembre 1987 

Lettera personale – Stralcio


Oggi a S. Paolo ci sono 36° di calore, mentre l’altro ieri erano 3° sopra zero: un cambiamento di 33 gradi da un giorno all’altro; io comunque sto bene. 

Ecco un’altra confidenza: da ieri sono in São Paulo e non so ancora da dove incominciare a lavorare, che cosa fare per primo, ma anche non so che cosa fare. Forse questo stato d’animo mi aiuterà ad abbandonarmi di più alla preghiera; lasciar progettare a Dio; sapere che il tempo dedicato alla lode e ringraziamento, Dio stesso lo restituisce in altrettanto servizio ai fratelli, ma quel servizio autentico non progettato dalle nostre fantasie. Spero che le delusioni umane (non è necessario che se ne aggiungano altre) mi aiutino ad attaccarmi sempre più a Lui, ad avere fiducia in Lui, a far progettare Lui. 

Pensavo di fermarmi di più a nord,ma ho dovuto cambiare programma. 

Sono venuto al sud. Dopo alcuni problemi con la documentazione per il visto si è risolto tutto bene. Ho incontrato molti zingari in Porto Alegre e più ancora nell’interno del Rio Grande do Sul. Sembra che ci siano molto più zingari di quello che pensavo. 

        

Riprendo ancora una volta la lettera. 

Ieri, parlando con una circense ci siamo messi a discorrere di zingari e dopo un momento lei cominciò col dire: "Veramente anch'io, o meglio mio padre veniva da una famiglia di sinti circensi. Alla fine avevamo un circo miserabile. Quando mi sposai a casa restarono solo più mio padre, mia madre e mia sorella piccola. Non li ho mai più visti perché io mi ero fermata molti anni nello stato di Santa Catarina.” 

Un signore del circo che ci sentiva parlare interruppe e chiese come si chiamava il padre, la sorella e lei stessa e il nome del Circo dove era vissuta da piccola, poi improvvisamente uscì e rientrò poco dopo con un'altra signora e rivolto alle due donne disse: "Vedete un po’ se vi conoscete..." Quando queste scoprirono  di essere sorelle e che da trent'anni si cercavano scoppiarono in un pianto di emozione e pure noi tutti , donne e uomini. Se non avessimo parlato di zingari nulla sarebbe successo. 

Conclusione: Altri amici. 

Ma poi riusciremo a passare loro la speranza cristiana, la fede, la carità? 

Preghiamo perché questo avvenga! 

Ciao, Renato

1988

Brasile, 10 Febbraio 1988     

Oggi ero in Chiesa e pregavo vicino alla cassetta delle offerte. E’ arrivato un uomo sui quarant’anni e ha pregato alcune frasi a intervalli di 4-5 minuti tra una frase e l’altra. Quando è arrivato ha detto: «O Madonna Nostra Signora Aparacida, stiamo qui», quello “stiamo” sembrava pronunciato con tanta stanchezza dopo un lungo viaggio, poi continuò «Grazie…». «Tu mi hai sempre aiutato da quando sono bambino». «grazie, adesso ci siamo tutti e con salute». «Accompagnaci sempre. Senza di Te io non ce la faccio proprio». «Se ho qualcosa di buono è tuo». «Io lo so che tu non hai bisogno di soldi ma queste 100 mila sono per mio fratello», ha messo i soldi poi si è commosso, ha pianto per un lungo tempo poi è partito. 

Era un uomo molto povero dall’apparenza dei vestiti e quella cifra rappresentava moltissimo, penso tutto quello che poteva dare. Intanto i parenti suoi visitavano i vari altari della chiesa, erano Calòn di Minas Gerais. 

Lasciatevi raccontare anche questo: 

«Grazie Tuca, grazie perché esisti!» 

Tuca ha 21 anni, magrissimo, scuro di pelle con tanti capelli e tanti problemi. Aveva un anno quando è morta la mamma; a 11 anni è stato mandato praticamente via di casa con il fratellino di otto anni. La nuova matrigna, già con molti figli, non riusciva ad accettarli. I due ragazzi hanno cominciato a lottare per sopravvivere. Tuca ricorda (senza pensare che questo sia importante) che spesso lasciava il pasto per suo fratello, dicendo che quel giorno non aveva fame, o che aveva già mangiato qualcosa raccattando il cartone o facendo altri servizi. La paura di non farcela a crescere il fratello più piccolo, il sentirsi rifiutato da casa, il non avere nulla di solido su cui appoggiare il proprio futuro e la salute che cominciava a dare i primi segni di fragilità, tutti questi e altri motivi hanno portato Tuca all’alcool già nella preadolescenza. Poi è arrivata la tubercolosi. poi è arrivato un lavoro in Circo, dove ha incontrato un po’ di amicizia e un proprio appoggio per vivere. 

E’ là che l’ho incontrato. Ha smesso di bere, ha ricominciato, ha smesso e ha recuperato la salute. L’ha persa nuovamente, è stato un mese all’ospedale. E’ tornato, ha smesso di bere, poi il fratello che era con lui è andato via con una donna che sembrava dargli un po’ di affetto e poco dopo è finito in carcere. Tuca ha ripreso a bere. Nel tempo del Circo aveva ripreso un cammino di fede molto solido. Adesso da 14 giorni ha smesso di bere nuovamente. 

Ieri sera abbiamo parlato a lungo, ma lui ha tanta paura di ricominciare. I suoi polmoni sono a pezzi. Non sa se è la fede che lo fa vivere o la disperazione o l’inerzia. Chiaramente non ha prospettive per il futuro. La salute è sempre più compromessa. “Man mano che passa il tempo mi sembra sempre più difficile tirarmi fuori dal vizio dell’alcool” diceva ieri. Desidererebbe un’amica per essere in due a lottare insieme, ma lui pensa che non può offrire nulla a questa ipotetica persona. E continua a sopravvivere. 

Ma ieri mi ha detto una cosa che è più grande dell’America Latina dove Tuca vive, anzi mi sembra che il mondo intero non riesca a contenere un paradosso tanto grande. Mi ha detto che lui, da quando si ricorda che era piccolo, tutte le sere ha sempre fatto il segno della croce e ha ringraziato Dio. «A volte riesco solo a dire due o tre parole perché ho la testa mezza tonta, ma la parola grazie riesco sempre a dirla». 

Questo lo ha detto con semplicità e senza pensare che fosse tanto importante. 

E io mi chiedevo ma sarà possibile? Incontrare un “Giobbe” che non si disperi, forse è possibile, un “Giobbe” che riesca anche ad accettare la croce forse è possibile, ma un Giobbe che dice “Grazie” questo può essere solo un miracolo di Dio. 

(Fra una decina di anni, non si potrebbero raccogliere fatti come questi, quelli dei bambini (….) con un titolo tipo “Sotto le tende degli zingari”. … Se voi mi mandate i vostri capitoli io vi mando i miei e potrebbe nascere qualcosa di interessante).

 

Brasile, Marzo 1988 

Lettera personale – Stralcio 

Katia, circense, mi dice: “Ieri mio figlio Sergio di 6 anni è uscito con me in città e all’ora di merenda ho comprato un panino per lui. Al momento di metterlo in bocca ha visto otto bambini quasi stracciati e visibilmente poveri e mi ha detto: «Mamma, compra il panino anche per loro!» e io dissi “Sono in tanti, non ho i soldi per tutti, noi non siamo ricchi, lo sai”. In realtà io avevo i soldi ma cercavo egoisticamente di guadagnare tempo in attesa di una risposta buona e convincente, ma lui continuò semplicemente a ripetere «Mamma, dai, compra il panino anche per loro! compralo!» e io ripetei la stessa cosa: “Non ho abbastanza soldi”. A quel punto mio figlio disse: «Allora prendi il mio e fanne otto pezzi per loro, io non lo voglio». Mi sentii un nodo alla gola e andai a comprare i panini per gli otto bambini. Sergio a quel punto è andato a sedersi sul marciapiede dove stavano seduti ed è stato con loro finché terminò il panino, giocherellando con loro. Quando tutti terminarono la merenda si è alzato ed è ritornato da me. Mi aveva lasciato letteralmente in disparte perché io non avevo saputo inserirmi col gruppo ma ero rimasta un po’ da parte dopo aver dato i panini.

Lo stesso Sergio, un giorno che vide un bambino con una camicetta sola e faceva freddo insistette di fare qualcosa per lui. La mamma disse al bambino di passare a casa da lei non molto distante che avrebbe dato una maglia. Ma Sergio non si convinse, lui voleva dare il suo piuttosto e cominciò a piangere e gridare finché la madre acconsentì che si levasse il giubbotto nuovo e lo desse all’altro bambino infreddolito. Sergio restò al freddo ma contento. 


26 Aprile 1988 

Lettera personale – Stralcio 

Riprendo a scrivere dopo alcuni giorni. Mi trovo in Nova Iguacu. Ieri, 27 aprile, c’è stata in Rio de Janeiro una serata culturale sugli zingari, un video di 4-5 minuti, 8 interventi per il tempo di un’ora e mezza e poco più di un’ora di musiche, danze e canti zingari. 

In questi giorni visito zingari sedentari della periferia, fino a domenica prossima. 

Oggi mi sono sentito un po’ più vecchio del solito e sono andato a comprarmi gli occhiali e adesso vi spiego perché. Vicino alla Cattedrale di Nova Iguaçu ho rivisto un angolo dove l’anno scorso avevo incontrato uno appena ucciso a coltellate mentre la gente cercava di prendere l’uccisore che scappava. Passando poi nell’autostrada Dutra ricordavo i più di dieci incidenti che avevo visto. Uno era capitato pure a me uscendo fuori strada con due ruote spaccate. Rientrando questa sera sono passato nella regione della Baixada Fluminense dove quest’anno c’è stato un allagamento che anche voi avete visto per televisione (oltre 300 morti: questa regione è stata una delle più devastate). Qui la gente è abituata a questo perché quasi tutti gli anni le inondazioni arrivano e la gente non ha la possibilità di fare la casa in luoghi decenti e la fa lungo il fiume sapendo che fra un anno la perderà di nuovo. 

Ricordo che mi ero spaventato tanto 3 anni fa quando, in macchina con un prete italiano, siamo stati bloccati dall’acqua che saliva senza poter andare avanti e né indietro; pensate questa gente che è stata allagata quasi un mese. E ancora adesso si vedono le tristi conseguenze passando di qui. 

Così oggi, tra un ricordo e l’altro, ho sentito più di altre volte che il tempo passa in fretta, “se ne vedono tante”, per questo bisogna mettersi gli occhiali non solo per vedere, ma per vedere bene e leggere tutti questi segni che ci interpellano. 


Aprile 1988 

Lettera personale – Stralcio 

Quando si diventa vecchi, i figli crescono, le preoccupazioni aumentano e per questo bisogna chiedere aiuto per dividere i pesi. 

Mi voglio riferire a 

Fr. Tadeu 

Milton Zanotto 

Paulo S. Figueiredo 

Rocha 

Gilnei 

Fabrizio 

Sr. Jema 

Sr. Pia 

Sr. Encarnacion

Enrico Loyola Neto. 


Voi sapete che alcune Congregazioni, spesso chiedono ai seminaristi che si facciano in un certo modo adottare da alcune famiglie o religiosi. Queste famiglie normalmente pagano gli studi per loro, pregano gli uni per gli altri, si scrivono, ricevono e danno notizie, si preoccupano e si occupano di questo seminarista fino a quando termina la formazione. 

Io ho pensato che essendoci un gruppetto di persone molto sensibili da quelle parti si potrebbe fare qualcosa di simile specialmente per la parte spirituale. 

Voi sapete che Silvana, una ragazza focomelica di Alba, recitò il rosario per me tutti i giorni per otto anni finché sono diventato prete e la Maria di Santa Caterina lo recitò per me fino allo scorso anno quando è morta. Adesso una suora di Porto Alegre sta facendo la stessa cosa per me, per cui io mi sento sostenuto, adesso pensiamo agli altri. 

Milton lo sta già facendo per un suo amico, io per un altro. Io ho pensato a voi, (forse qualcuno si troverebbe). Sarebbe una piccola cordata per il Regno. Es. voi, Edda e Marilde, conoscendo già abbastanza Milton, potreste adottare lui, con il rosario giornaliero, Vanna e Mimma potrebbero fare la stessa cosa per Paulo e Murialdo. Traversella potrebbe farlo per Rocha. Se poi si incontrano altri si può pensare a Frei Tadeu, a Gilnei. Gli altri si possono ricordare in gruppo fin quando si incontra un mecenate disposto a fare questo. Parlatene insieme, qualcuno potrebbe già cominciare, altrimenti ne parleremo in agosto. 

Potrebbe essere bello, vero?!! 


Giugno 1988 

Amici carissimi, 

vi scrivo in questa pausa in São Paulo. Fra alcuni giorni salirò per la Bahia e per un paio di mesi sarà difficile scrivere,inviare e ricevere notizie. In luglio, se tutto va bene, farò un mese in comunità con due seminaristi in un accampamento di zingari Calòn: sono Rocha e Milton che hanno entrambi 24 anni. Il primo ha già fatto 6 mesi di circo, il secondo un mese con me in gennaio con gli zingari Calòn. 

Devo pure comunicarvi che il 13 u.s. è stata fatta la prima Assemblea della Pastorale dei Nomadi: è stato elaborato e votato lo statuto. Il nostro presidente è il Vescovo Mons. Paulo Moretto, Vescovo di Caxias do Sul. Questa Pastorale è legata alla CNBB (Conferenza dei vescovi brasiliani) e in futuro ci sarà qualche possibilità in più di lavoro anche grazie a questo appoggio. Don Fredo Olivero ha partecipato alla nostra Assemblea e ha potuto vedere quanto sia stata una piccola cosa, ma anche preziosa. Il vice-presidente è Frei Tadeu che è il primo prete zingaro brasiliano ordinato in gennaio. Spero che Dio incontri una buona disponibilità nei brasiliani, affinché si affianchino agli zingari per un comune arricchimento umano e spirituale. 

In Brasile la situazione politica è sempre molto triste, ma ormai questo è diventato un ritornello cantato da tutti. Io ho sempre bisogno di qualche fatto per spiegarmi. In Brasilia, da diversi mesi alcune centinaia di persone stanno lavorando per fare la nuova Costituzione. Stanno deludendo il popolo e si continua a votare chi favorisce la classe borghese e non certo il popolo. Lo stipendio che guadagna ciascuno è di circa 114 (centoquattordici) stipendi minimi (lo stipendio minimo è il denaro che guadagna mensilmente oltre il 52% dei brasiliani). Se questo scandalo non bastasse, hanno intervistato uno di questi lavoratori che stanno redigendo la Costituzione che però è un poltrone e non un lavoratore perché si è presentato ai lavori tre volte appena; hanno chiesto: “Come giustifica questo suo comportamento di assenza guadagnando 114 stipendi al mese per questo lavoro?”. La risposta è stata la seguente: “Non devo rendere conto a nessuno se non a chi mi ha eletto” e poiché non si sa chi lo ha eletto nessuno ha diritto di sapere. Ieri si sono riuniti la corte, avvocati e popolo per fare il processo a chi ha ucciso Pr. Josimo, ma se qualcuno dovrà pagare in anni di prigione sarà l’esecutore (pagato per fare questo) ma non certo i mandanti. 

In molti ambienti si respira un’aria di scoraggiamento, ma nonostante tutto il Brasile continua lottando con tutte le forze. Ma sembra troppo alto il prezzo che deve pagare per uscire da questa pozza dove è stato gettato. 

Un fatto che dà coraggio proprio in seguito alla uccisione di Padre Josimo è il seguente: dopo l’uccisione nella Diocesi di Santa Maria (Rio Grande do Sul) un prete, Padre Mario, ha dato la sua disponibilità di sostituire il confratello ucciso. Dopo di lui altri 6 preti si sono messi in lista dal Vescovo dicendo: “Se uccidono anche lui, poi ci vado io”. 

Il Vescovo andò con Padre Mario nella parrocchia dove Padre Josimo aveva lavorato per consegnare la parrocchia al nuovo Parroco con tutta solennità. Il responsabile di quell’omicidio, con molta sfacciataggine e in luogo pubblico disse al Vescovo prima della cerimonia: “Se il nuovo Parroco si occuperà solo della Chiesa e non delle nostre questioni politiche e dei senza terra, stia tranquillo che non gli capiterà nulla”. Durante l’omelia il Vescovo disse: “Padre Mario è qui per continuare lo stesso programma del predecessore e se qualcuno di voi lo vuole uccidere sappia che ne dovrà uccidere almeno sette (e mostrò il foglio) perché son già in lista quelli che sono pronti a sostituirlo”. 

Di fronte al coraggio di questa Chiesa non possiamo disperare. Quindi, niente “Requiem per il Brasile” perché il Brasile insorgerà e risorgerà; lo vedremo ancora con i nostri occhi se l’umanità, la solidarietà, la giustizia, la partecipazione si sostituiranno all’arroganza, e così via. 

Vostro amico, 

d. Renato


Novembre 1988 

Carissimi amici, 

da circa un mese sono rientrato in Brasile con una bella sorpresa: ho ricevuto – dopo 4 anni di attesa – il visto permanente, che mi permetterà di avere qualche diritto in più in questo caro paese e non dovrò più uscire dal Paese stesso ogni tre mesi per rinnovarlo, come ho sempre fatto. 

Riprendo la lettera oggi, festa della Madonna Apareçida: è la festa mariana più importante in Brasile. Sto scrivendo a pochi chilometri dal Santuario, dove sono stato questa mattina, con un gruppo di Calòn, mentre oggi pretendo andare in São Paulo per vedere se incontro il gruppo di Jair che potrebbe ospitare la prossima settimana Pr. Oliveiro e Suor Bernadette. 

In São Paulo provvederò le tende per loro e che Dio li benedica. 


Dicembre 1988 

Notizie: 

* Ha cominciato a funzionare la nuova Sede della Pastorale dei Nomadi in Brasile. 

* Padre Oliveiro e Suor Bernadette stanno vivendo in un accampamento di zingari Caláo. 

* Il Vescovo di Itaim è stato a visitare gli zingari nell’accampamento. 

* Il giorno 15.XI-88 ci saranno le elezioni e uno zingaro è candidato, nella città di Várjea, nel partito PT (partito dei lavoratori). 

* Io mi trovo nella Bahia 

1989

Febbraio 1989 

Qualche notizia sparsa: Sto bene anche se ho fatto un’influenza un po’ più lunga del solito, ma in questa regione l’hanno beccata quasi tutti. 

Mi trovo in Vargem Grande, vicino a Sáo Luiz. Sono a 4100 km da Caxias do Sul. Un luogo molto povero. Qui ci sono circa 200 famiglie di zingari ma non conosco ancora la situazione. Mentre sto scrivendo passa una macchina con altoparlante annunciando riunione sindacale per aumentare il salario di insegnanti che qui in molti casi non arriva al salario minimo di Lire 50.000-60.000 (valore italiano) ma alcuni insegnanti, in questa regione arrivano aun salario con il valore italiano di Lire 10.000 o 20.000. Ho guardato in una specie di ristorantino i prezzi più bassi di un pranzo è 450 Cruzados. Questi insegnanti che prendono 1.000 Cruzados, cioè 10.000 Lire italiane possono mangiare in questo ristorantino due pranzi più un sandwich con un salario. 

Ma con tutto questo mi dicono che la situazione non è delle peggiori. Dopo 4 anni, molte cose non le capisco e anche le poche che credo di intendere mi sembrano tanto distanti da me. Quest’anno si è in parte risolto il mio caso di Jacquiè dove era stato ucciso uno zingaro e si pensava che fossi stato iol'autore del delitto. Quest’anno sono stato 15 giorni dove era accampata la vedova dello zingaro defunto e il figlio; sono riuscito a parlare con loro più volte, andavo tutti i giorni nell’accampamento dei parenti vicini e mi sembra che abbiano capito. Poi sono salito a Macaubas poi a Iperpiara. 

A Iperpiara il primo giorno in cui sono arrivato ho cercato gli zingari insieme al parroco della parrocchia (don Nanni amico di Traveverselle) ma ripartii subito perchè non li abbiamo trovati grazie a Dio e a tutti i santi, perché al pomeriggio in quello stesso villaggio ne uccisero due e ferirono un terzo. Se li avessi trovati sarebbe di nuovo capitato un caso come quello di Jequié. Andai ben in fretta a Macaubas, a circa 200 km. Appena giunto, alla sera, ho dovuto andare in Ospedale a causa di febbre e il medico mi disse che era appena uscito da lui uno zingaro che era andato a farsi togliere una pallottola. Sono rimasto 10 giorni in Mocaubas ben chiuso in casa per farmi passare la febbre e la zingarite. Sembra che racconti un romanzo, ma Il mese scorso anche in Ibicaraì hanno ucciso un ragazzo e qui a Vargen Grande, un altro, la scorsa settimana. 

Scrivendo così, vi può sembrare che vivo tra le sparatorie. Vi confesso con tutta onestà: “da quando sono in Brasile non ho sentito un solo sparo di arma da fuoco, in accampamento”. Le pallottole costano care e si usano lo stretto necessario. 

Camminando poi da una città all’altra incontro sempre quadri nuovi di una lunga Via Crucis. Arrivando in Janeiro mi informa Suor Miki che, quando costruirono la diga di Sabadiulo si formarono tre città, una di ricchi, una di classe media e una di miserabili (30.000 persone). La diga formò un lago che è due volte la Svizzera e dà energia elettrica a una grande parte del Brasile. L’ironia della sorte è che quando cominciarono a funzionare le turbine si pensava che anche i miserabili avrebbero avuto la luce. Niente affatto. Da quando iniziò a fornire energia passarono ancora 10 anni prima che fosse cancellato questo scandalo. 

Come se questo non bastasse erano state collocate solo alcune fontane pubbliche. Il peggio capitò quando, tempo fa, dovendo ristrutturare i giardini della cittadina “bene” , avendo bisogno di molta acqua utilizzarono l’acqua delle fontane pubbliche lasciando 30.000 persone al secco. 

Questo non accadde nel deserto ma vicino a uno dei più grandi laghi artificiali del mondo e vicino a una delle maggiori fonti di energia elettrica. le stesse persone che costruirono materialmente questa fonte di benessere ne furono escluse. 

Signore, pietà del Brasile! 


E il Sindaco di una cittadina vicino a Janeiro, nel tempo della secca, utilizza i camion autocisterna addetti al rifornimento di acqua nel municipio per rinnovare l’acqua della piscina nella sua casa in campagna: e questo una volta per settimana. 

Signore, pietà del Brasile. 

Poi ci sono tanti segni di risurrezione, che ci racconteremo a voce. 

Ciao, d. Renato


Vargen Grande – 1 febbraio 1989 

Carissimi amici, 

qualcuno mi ha detto che sono sempre troppo tragico e che dipingo la realtà con tinte troppo scure per questo voglio cominciare parlando di cose più serene. Per cominciare in questi due mesi non sto in tenda ma in una piccola casa di terra e tetto di foglie di cocco. Qui “si fa più in fretta a fare una casa che montare una tenda”, è un modo di dire, comunque in pochi giorni la casa è pronta e quando è più aperta della nostra si fa in un giorno solo. 

Sono seduto su una rete perché qui nessuno dorme per terra a causa dei ragni velenosi, scorpioni e serpenti. Nella nostra casetta che assomiglia di più a un nido di rondini che a una casa, nelle prime settimane abbiamo già avuto visite di tutti i tipi di animaletti. Sulla porta di casa ci sono due maiali abbastanza grandi che tentano sempre di entrare ma ad ogni tentativo io faccio un grido ed essi fuori!! Lascio entrare solo tre porcellini piccoli che vengono a lavorare nel nostro laboratorio di artigianato. 

Insieme agli zingari facciamo degli anelli con un piccolo cocco chiamato tucûn, ma prima di segare il cocco e cominciare il lavoro bisogna sbucciare faticosamente ognuno di questi frutti, ed è il lavoro dei porcellini; essi sono molto ghiotti di questa buccia e non rompono nessuno dei frutti peraltro molto resistenti. 

Parlando di lavoro dico ancora questo. Il gruppo di zingari calón di questa regione hanno in parte risolto il problema dell’alfabetizzazione per questo il seminarista che è stato con me il mese di gennaio ed io ci siamo dedicati al lavoro di artigianato coinvolgendo gli zingari in lavori molto interessanti per guadagnare qualche spicciolo molto prezioso per la sopravvivenza. Qui non si usa dire «guadagnare i soldi per mangiare», ma si dice «guadagnare i soldi almeno per pagare le medicine». In quasi tutte le famiglie c’è qualche malato e noi abbiamo tentato e cerchiamo di promuovere qualche iniziativa anche a favore della salute perché è uno dei problemi più gravi. 

Il seminarista Murialdo si è preso, oltre ad alcuni vermi comuni, l’ameba con conseguenti coliche di fegato, vomito e diarrea. In tutta la vita (22 anni)non ha mai avuto un mal di capo o altro dolore, né mai ingerito una sola compressa di medicinale, in compenso in questo mese ha sperimentato tutto. Alla fine del mese era ridotto ai minimi termini, ma sarebbe stato disposto a ricominciare. In questo periodo dell’anno cominciano le piogge ed è tempo di febbri molto comuni e anch’io non voglio fare eccezione per questo da tre giorni sono a letto, o meglio “a rete” con febbre ma con causa differente: infezione intestinale, ma mi sto curando bene come faccio spesso quando mi ammalo; non sono comunque così mal messo al punto che posso scrivere mentre a un paio di metri da me gli altri stanno lavorando il tucûn. 

Tutte le sere facciamo un incontro nelle famiglie: è una catechesi che vuole aiutare gli zingari a fare una esperienza di comunità. Una zingara in questi giorni, per esprimere la sua gioia nel fatto che si prega nell’accampamento disse testualmente: “Da quando voi pregate con noi e fate le messe, questo per me è un alimento” (la parola «alimento» è abbastanza rara e non popolare). 

Per raccontarvi qualcosa di questa regione devo riprendere un certo cliché. Vi comunico alcune cifre tradotte in lire italiane. Il 15 gennaio, quando il salario minimo si avvicinava a 40.000 lire mensili c’erano insegnanti di elementari che in questa regione ricevevano uno stipendio di 3.500 lire; quando un semplice paracqua costa 7.000 lire. Ma il paracqua viene dall’industria: ciò che è prodotto qui non ha valore. Un cappello grande intrecciato con paglia di riso uguale a quelli che si vendono in Italia sulle spiaggie costa 100 cruzados ossia 70 volte meno di un paracqua; ma il cappello è prodotto nella regione, questa è la differenza. 

Certo che il rendimento del lavoro è abbastanza scarso, perché qui le persone sono molto deboli, addirittura con una pressione minima di 60 e massima di 90-100. In questi giorni io pur sto con questi risultati ma vi garantisco che voglia di lavorare ne ho poca davvero. Il clima ha una grande importanza in tutto questo. Le ingiustizie dei potenti aggiungono il resto, etc.

Vi auguro ogni bene e scusatemi se non scrivo a ciascuno personalmente, ma voi siete tanto comprensivi. Ringrazio tutti quelli che mi hanno scritto e a presto. 

Ciao, d. Renato 

P:S: Al momento di spedire ho ricuperato in salute al 100%. 


28 marzo 1989 

Lettera personale – Stralcio 


Ieri sono stato nella Parrocchia di Padre Oliviero e Suor Bernadette. Non mi sono fermato molto, ma il tempo sufficiente per ricevere una straordinaria notizia: Padre Oliviero mi disse che il Vescovo doveva visitare oggi la sua parrocchia e il Padre mi aggiunse che avrebbe finalmente chiesto al Vescovo di liberarlo dall’impegno parrocchiale e di lasciarlo a tempo pieno per gli zingari. Indipendentemente dalla risposta del Vescovo, la disponibilità di questo amico è incoraggiante. 


Heici, 10 aprile 1989 

Caro Don Mario e Pr. Luigi, 

Scrivo questa lettera a causa di una grave omissione fatta da parte mia pochi mesi fa e cioè di non avervi comunicato la morte del Vescovo Mons. Benedito Zorzi nostro comune carissimo amico. Egli aveva fatto per primo l’invito a voi poi a me per venire in Brasile. La morte è avvenuta il 2 di dicembre u.s. Ha lavorato nel Santuario del Caravaggio fino a 5 minuti di orologio prima di morire. 

Vi scrivo perché in comune preghiamo per Lui e anche chiediamo la sua intercessione per il nostro popolo zingaro. Parlando schiettamente mi sembra che Don Benedito abbia lavorato molto di più in questi mesi in cui vive la nuova comunione dei santi che negli altri anni. Lui vi apprezzava molto ed è stata la vostra testimonianza che ha svegliato in Lui tutto quell’interesse. All’inizio della Pastorale dei Nomadi qui in Brasile ci siete molto di più voi che io stesso. Io credo che voi continuerete a pregare perché il seme che avete buttato (seme della vostra disponibilità) diventi sempre più fecondo. 

Continuo ad essere convinto che è lui che “costruisce” e che “invano faticano i costruttori” quando pretendiamo di essere noi a “fare” (l’immagine è poco zingaresca vero?). Continuiamo sempre a volerci bene. Io ho bisogno della vostra amicizia. 

Nel giorno della seconda assemblea annuale della Pastorale dei Nomadi il Vescovo, Mons. Paulo Moretto, commentò la pagina di Emmaus . Vi mando la traduzione. 

1. «Nella pagina di Vangelo che abbiamo appena ascoltato emerge la prima attitudine di Gesù che è stata quella di approssimarsi ai discepoli, prendendo l’iniziativa di camminare insieme e in questo modo ascoltare dalla loro propria bocca ciò che vivevano e che soffrivano. La prima attitudine della Pastorale dei Nomadi è quella di con-vivere, com-prendere e stare insieme. La gratuità di chi esorta con il cuore e di chi cammina insieme è sempre il primo passo. 

2. Secondo punto. Gli apostoli che non riconobbero Gesù quando spiegò la verità , riconobbero Gesù quando praticò la carità spezzando il pane per loro. A volte non è questione di insegnare ma è questione di testimoniare. Questa è certamente una sfida grande in tutta l’azione pastorale dei nomadi. L’importanza della testimonianza di vita di chi presta un servizio gratuitamente non è il fare molti discorsi, né di fare molte cose, ma fare in modo che i nomadi intendano il linguaggio di un amore vero e umano. Per questo rispetto che noi dobbiamo dar testimonianza di vita, dobbiamo volere bene, dobbiamo stare insieme, e dobbiamo fare il possibile per prestare qualche servizio qualunque esso sia perché qualunque servizio è importante. 

3. C’è poi un terzo punto che è anche importante. Il Signore Gesù Salvatore di tutti gli uomini, partendo dalle scritture che sono la Bibbia e dalle scritture che sono le tradizioni di ogni popolo, questo stesso Cristo Gesù di Nazaret fa fruttificare ogni cosa. Egli è il Sole che illumina il passato, il presente, il futuro. Noi dobbiamo fare scoprire i semi del Verbo Incarnato che sono presenti in tutte le culture, come dice uno dei Padri, Giustino 155. Gesù non toglie la bellezza ma sviluppa la ricchezza di tutte le culture. 

Questi tre pensieri aiutino la nostra preghiera e illuminino anche la nostra azione pastorale. 

Questo dialogo di condivisione è appunto lo stare insieme gratuitamente e il rispetto per questa cultura. Il mondo di oggi non vuole maestri ma testimoni e gli zingari in modo tutto speciale capiscono il linguaggio del testimone e questo a volte pregiudica la nostra evangelizzazione perché sanno scrutare come siamo noi e vedono le nostre incoerenze. Ma nonostante tutto non dobbiamo aver paura di annunciare Gesù di Nazaret». 

Ho pensato che potete gradire questa meditazione o semplicemente rimeditarla. A me sono piaciuti molto questi tre punti che mi stimolano ad annunciare Gesù di Nazaret, con la preghiera, con il silenzio, sul pulpito o in una prigione, importante è che la nostra vita, la nostra testimonianza trasmetta Lui. 

d Renato 


Brasile, Santo Andrè – 10 giugno 1989 

Carissimi amici, 

questa settimana ho pensato più alla Cina che al Brasile anche se qui vive il mio prossimo e per la Cina posso fare così poco. Sono rimasto stordito, come certamente anche voi, e mi è venuta la paura di abituarmi a questi fatti a vedere tanta sofferenza e perdere la «ternura», la tenerezza di fronte ai grandi drammi che ci circondano. Ed è tanto difficile leggere la storia: la tentazione è sempre di metterci come arbitri dei giusti e degli ingiusti anche se è molto difficile dividere chi è morto dentro il carro armato e chi è morto schiacciato dallo stesso cantando lo stesso inno nazionale, simbolo della stessa rivoluzione: rivoluzione che si sente ancora tanto debole e fragile da non avere ancora la forza di concedere il diritto della libertà.

Nella piazza di Pechino i giovani che riuscivano a resistere con quella poca forza che gli era rimasta, il ragazzo che sfida la fila di carri armati, la statua della libertà di polistirolo e il continuare a cantare l'inno nazionale quasi a ritmo dei fucili che li uccidevano e ferivano, tutto questo era un grido, e lo è ancora, per chiedere al comunismo cinese che non si chiuda alla storia, ma che si liberi di tutte quelle croste che lo soffocano per far rinascere magari una nuova “Nicaragua” in Asia. 

Chissà se il popolo cinese ce la farà, pagando un prezzo molto alto, a difendersi dai grandi imperi, in una parola dal capitalismo. Chissà se riuscirà a decidersi per la Libertà o non finirà per vendersi e scegliere una qualunque libertà da bancarella per la paura di una nuova e più profonda rivoluzione. perché non si dica che non ho parlato di fiori invito anche voi a pregare con me (cosa che certo già fate) per questo popolo cinese e magari a leggere quel bell’invito di Gesù Mt. 7,1-5 chissà che non nasca in noi il desiderio di pregare anche per un altro popolo (voglio dire il Brasile) che non ha ancora nemmeno comprato il polistirolo per fare la statua della libertà. 

Ciao a tutti e un abbraccio 

d. Renato 

P.S. Il testo può essere riportato solo se integralmente. 


SatKhira – 10 ottobre 1989 

23 – Aswin 1396 

27 – Safar 1410 


Carissimi amici, 

mi trovo nel Nord-est del Sud-continente Indiano. Sono venuto un mese per offrire un servizio a una comunità e per rendermi conto circa la possibilità di una presenza di Chiesa tra i nomadi di questi paesi. 

Già la data, o meglio le tre date, dicono qualcosa della convivenza di tre, per lo meno, tre mondi diversi: il nostro mondo cristiano (piccola presenza), il mondo indù e quello mussulmano. 

La prima impressione arrivando è stata la quantità di vita: quante persone! La regione del Bangladesh è 50 volte più piccola del Brasile con quasi lo stesso numero di abitanti. Ma nel Bangladesh occidentale, cioè la regione di Calcutta in uno spazio quattro volte ancora più piccolo di questo c’è lo stesso numero di abitanti. 

Nel Bangladesh orientale che è il più spazioso e meno popolato se ci fossero tante automobili come in Olanda nella stessa proporzione degli abitanti, facendone due file su tutte le strade del Bangladesh dovrebbero mettere 24 auto una sull’altra. Se poi le mettiamo sulle strade nazionali, cioè asfaltate (per rotte che siano) e le auto non più lunghe di tre metri, sempre su due file ne dovremmo mettere 75 una sull’altra. 

Solo per avere l’idea di come è lontano un mondo dall’altro. Qui comunque ci sono i rikswa e non c'è troppo il problema di inquinamento per smog. Qualcuno da queste parti ci ha trovato la “città della gioia”, altri ci hanno trovato “l’inferno”, mentre io personalmente ci trovo un popolo che pur sapendo ancora cantare e coltivare delle speranze fa certo molta fatica per vivere e in certi momenti per sopravvivere deve sfruttare tutte le energie che ha a disposizione e la solidarietà di tante persone. 

Poi di tanto in tanto arriva un tifone e distrugge tutto. L’unico vantaggio che hanno i poveri, in questo caso, è che hanno tanto poco che quasi non sentono la tragedia di un tifone. 

A Dhaka presso una ferrovia dove passa una specie di treno pieno dentro e pieno sul “tetto” c’è uno slum di un migliaio di famiglie. Bei tempi quando si viveva nelle capanne o senza capanna, sotto un albero, ma almeno c’era l’albero; qui nemmeno un arbusto. Di queste abitazioni ce ne stanno 10 nello spazio di una alloggio popolare di Torino. 

Quando dissi ad un Padre che mi accompagnava: «Come mai in terra è così pulito? » mi disse «qui si usa tutto, non si può buttare nulla e in ogni caso si raccoglie tutto». Una delle prime cose di cui abbiamo bisogno quando arriviamo in un posto è un gabinetto, non è vero? Nei bar (se di bar si può parlare) non ce ne sono. Gabinetti pubblici nemmeno parlarne. Si può riposare dove c’è un paio di piante? Ma là di sicuro ci sono almeno tre capanne e tra una e l’altra non c’è di certo il gabinetto, se ci fosse stato il posto per farlo avrebbero fatto una quarta casa. 

Continuando con aggiunte alla rinfusa dirò che la terra ben sfruttata è molto fertile. Mi ha impressionato il fatto che in una regione il riso con il primo allagamento comincia a crescere e cresce con l’acqua. Dal momento poi che questa sale di sei-sette metri, il riso non si scoraggia e si allunga sempre cercando il sole mettendo un gambo di questa lunghezza poi lo si raccoglie con le barche quando è maturato là in cima, fuori dall’acqua. Qui non si perde nessun palmo di terra. 


Bangladesh, novembre 1989 

Dopo aver fatto equilibrismo dieci minuti su delle canne di bambù passando tra una palafitta e l’altra insieme a due suore della comunità di Don Gasparino di Cuneo siamo arrivati ad una palafitta semiaperta, erano le quattro e mezza di sera e l’acqua cominciava a salire. Che l’acqua fosse orribile è normale, perché tutta l’acqua sotto le palafitte lo è, ma questa lo era al punto che avevo fatto tutto quello sforzo di equilibrismo per non rischiare di toccarla e dire che non sono dei più schizzinosi a questo mondo. 

Arrivati da quella famiglia di cristiani ci sedemmo per prendere un tè in quanto l’ospitalità è sacra. Nel frattempo intravidi a un dieci metri di distanza una donna che certo conosceva e amava le suore. Quando le vide si illuminò di un sorriso straordinario, staccò il bambino dal seno e lo mise con tanta fretta tra le braccia del marito o di un fratello, non so, e lei si immerse in quell’acqua-melma. Camminava aiutandosi con le braccia, sommersa fino alle spalle e arrivò in un istante. Si alzò e disse: “adesso sarò benedetta da Dio perché voi siete venute così vicino a casa mia”. Se Lei fosse stata al posto di Pietro quando vide Gesù camminare sull’acqua, non si sarebbe preoccupata di farsi sommergere o di camminare sull’acqua ma si sarebbe solo preoccupata di incontrarLo e in fretta. Che fede genuina! 

Dal punto di vista sociale non c’è la differenza tra ricchi e poveri come c’è in Brasile. In Bangladesh si potrebbe dire che si respira di più l'aria di un'uguaglianza sociale, ovviamente di estrema povertà , ma almeno senza lo scandalo ricchissimi-miserabili che c'è in Brasile. E le stesse dinamiche di rivendicazione e sviluppo valide in altri paesi del terzo mondo (esempio in Brasile) qui non trovano le stesse condizioni. 

Un grande problema dell'India e del Bangladesh è quello delle caste. Qui si vede lo sforzo da parte di molti di far superare queste divisioni di tipo razziale sociale religioso. Una delle cose più belle è la presenza della Chiesa in questo paese. Forzata, forse, a fare dialogo con gli Indù e i musulmani che sono maggioranza, la Chiesa si sforza di essere ecumenica. Ho visto più da vicino il lavoro delle Suore Luigine da cui sono stato ospite. Esse da trent’anni lavorano qui. Si preoccupano tra il resto di creare laboratori di artigianato che si sono moltiplicati risolvendo il problema della sopravvivenza per migliaia di famiglie. Hanno scelto assieme ad alcuni Padri Saveriani, una presenza tra i fuori casta quelli che non contano nemmeno per quelli che contano poco. 

Queste suore si preoccupano poi della formazione dei catechisti, dei leaders nelle comunità cristiane, nella città e nei villaggi. Si occupano poi a livello diocesano e nazionale alla formazione di adulti, laici e religiosi locali perché siano in grado di costruire una chiesa sempre più Bengalese. 

Qualcuno starà chiedendosi “come mai non hai ancora parlato degli zingari?”. Il tempo è stato poco per parlare di questo argomento con competenza. Comunque i nomadi qui ci sono e ce ne sono tanti: dovrebbero essere i bisnonni degli zingari che sono arrivati in Europa. Vivono di piccoli spettacoli con scimmie e serpenti, lavori di artigianato e le donne svolgono attività simili a quelle che svolgono le donne zingare in altre parti del mondo. Sarebbe tanto bella una presenza di Chiesa anche tra questi nomadi. 

Termino con un appunto di colore: le tigri del Bengala, quelle famose tigri che tutti avrete visto almeno in foto o in qualche documentario della televisione le abbiamo proprio qui. Sono le più belle e le più grandi. Il loro corpo in corsa raggiunge quasi i due metri e mezzo di lunghezza. Io dal vivo ne ho visto solo otto ma sono veramente uno spettacolo. Qui ce ne sono ancora tantissime perché la foresta è vicina e nonostante che ne siano morte tantissime nel tifone dell’anno scorso non c’è ancora nessun pericolo di estinzione di questa razza. 

A scanso di equivoci, affinché voi non pensiate che io sia uno di quei missionari che si muovono tra tigri, leoni e serpenti, dei quali si raccontano cose terribili; dal momento che ho detto di aver visto 8 tigri del Bengala sia chiaro che non le ho incontrate qui (come potreste pensare) ma in un Circo in Brasile. Io voglio dirvi che sono appena un piccolo vagabondo che passa da un posto all’altro per dire che il Regno di Dio è anche bello. 

Vi auguro ogni bene e fra pochi giorni tornerò in Brasile dove rivedrò tra l’altro anche le tigri del Bengala o del Bangladesh. 

d. Renato 


Fine Anno 1989 

Carissime Sorelle Luigine, 

tento di scrivere qualche riga in risposta alla vostra cordiale accoglienza. So con certezza di non riuscire ad esprimere con parole ciò che la mia anima sente per voi e per il Bangladesh. Sia Dio stesso a ringraziarvi per me, cioè a benedirvi perché Egli solo sa fare questo con competenza. Se tutta la vita è “una scuola di vita” il mese passato presso di voi è stato una preziosa “ora di ripetizione”. 

Quand’ero bambino pensavo che la terra doveva pur terminare come una grande frittata con i suoi orli e poi è la fine. Poi sono diventato adulto e mi hanno detto che è rotonda e quindi non finisce mai. Adesso che sto tornando bambino penso di nuovo che c’è la fine della terra, del mondo. Non so bene dove comincia ma mi sembra che finisca nel Bangladesh. Voi avete già percorso tutto il mondo e avete lasciato alle vostre spalle tutto e adesso lavorate là alla fine del mondo, che è anche il “fine” del mondo e della Chiesa. 

Sono stato molto marcato dalla vostra presenza di Chiesa insieme a Saveriani, PIME etc. e le care Blu Sisters. Vorrei ripassare con voi i volti di tante persone, tanti dialoghi preziosi, la preghiera e quel vostro prezioso lavorare instancabile. Mi sento tanto piccolo! Grazie a Dio e a Voi. 

Arrivando in Brasile ho trovato abbastanza cambiamenti o almeno più del previsto. Due dei sacerdoti che avevano chiesto di essere liberati per vivere con gli zingari potranno vivere in accampamento a tempo pieno con l’inizio di Gennaio ’90. E altri ci stanno pensando seriamente. Speriamo che i nomadi del Bangladesh non siano troppo lontani da questo pezzo di storia di Chiesa. 

Continuiamo a pregare gli uni per gli altri e se qui in Brasile, il tutto procederà secondo il previsto, e se il gruppo di operatori pastorali si fortificherà sufficientemente si potrà pensare seriamente al caro Bangladesh. 

Ciao, d. Renato  

1990

Cachoeirinha – Febbraio 1990 

I primi giorni di vita comunitaria in Cochacirinha furono segnati da un rapido inserimento del gruppo zingaro con i tre seminaristi (Rocha, Murialdo e Renì) che hanno passato un mese con noi. Penso che una difficoltà ragionevole per i tre deve essere stata l’abituarsi a un nuovo tipo di spazio: la nostra casa (tenda) è 4 metri x 3 : in certe ore diventa cucina, in altri momenti sala di attesa, nella maggior parte del tempo diventa scuola e laboratorio di artigianato, nell’imbrunire si trasforma in chiesa e subito dopo stanza per dormire.

La prima settimana è stata molto calda e qui nell’accampamento non c’è un filo d’ombra a non essere una piccola acacia con foglie più simili agli aghi che a vere foglie. L’ombra è sotto la tenda di plastica dove l’effetto “serra” scalda anche troppo. Dopo pranzo dormiamo anche noi un poco là come fanno gli altri. Tutti i giorni a quest’ora sotto quella plastica bollente, gli zingari, nostri vicini cominciano a sbuffare e si dicono da una tenda all’altra: «oggi è l’ultimo giorno qui». «Io vado via, vado, vado, non aspetto nemmeno la notte», «basta qui non si può più….», «qui vicino c’è un posto … c’è un posto … Ah! che posto! vicino c’è un laghetto, una piccola cascata, i bambini possono nuotare tutto il santo giorno, non c’è posto più bello al mondo…». 

«Ehi Tusha, sai c’è anche quell’altro posto qui dietro con quegli alberi, oi mama! che bello un fresco…». «Ah, io vado, io vado via!». 

E così invece di dormire dopo pranzo si lamentano, ma via non ci vanno perché uno ha la macchina rotta, l’altro è senza benzina, l’altro non ha la macchina, l’altro dovrebbe caricarci tutti lui. 

Immaginate!

Verso le due del pomeriggio, la Messa nella Chiesa vicina oltre ad essere il momento più importante del giorno è per noi anche un momento di festa, di non-lavoro, di ombra, di riposo. Verso le quattro arriva un vento fortissimo che in questi primi giorni ha già mandato all’aria 5 volte la tenda e una volta l’abbiamo smontata noi perché non ce la facesse a pezzi. Poi arriva la notte calma con una luna bellissima e stelle, lucciole, grilli, cicale, rane: una sinfonia senza parole. 

In questi giorni noi sentiamo in modo molto forte il significato della natura: che cosa significa l’ombra e il calore, Dio che cammina sulle nuvole e l’ombra che protegge il popolo, che cos’è un fuoco che nella notte indica una direzione e che cos’è la notte carica di stelle che pure esse indicano il cammino. Si capisce che cos’è una pioggia desiderata che vivifica la terra secca o il deserto, e che cos’è una pioggia torrenziale che distrugge le baracche e le tende che non hanno fondamenta sulla roccia. Si capisce che cosa è un vento che fa a pezzi tutto e che obbliga a smontare la tenda e salirci sopra per non perdere quel pezzo di plastica, e che cosa è un vento leggero nel quale il profeta incontra Dio. 

Si capisce che cosa sono gli alberi bellissimi cresciuti sulla sponda del fiume e che cosa è una piccola pianta di ricino simile a quella che ha fatto ombra sulla testa del povero Jona, e poi tutta la teologia della tenda: dalla tenda che proteggeva l’Arca dell’Alleanza a Gesù che piantò la sua tenda in mezzo a noi fino alla tenda della nostra vita che alla fine sarà sradicata come una tenda di pastori per il vero accampamento eterno.

Non per scherzare ma sembra che nemmeno le piaghe d’Egitto non ci abbiano risparmiato: oggi ho voluto contare le morsicature di zanzare sulle due braccia di Murialdo e il numero è aumentato da ieri raggiungendo il record di 470 (in parte la colpa è anche sua perché si è permesso di dormire con una camicia a maniche corte a causa del calore). 

Ogni mattino, i tre seminaristi vanno alla Facoltà Salesiana di Teologia che dista circa un'ora a piedi dal nostro accampamento. Nel pomeriggio e nei giorni di vacanza essi si occupano anche di alfabetizzazione con adolescenti e adulti, tutti molto interessati. 

Normalmente due di noi facciamo scuola mentre uno si occupa della cucina e uno dell’artigianato: tutto questo a turno. 

La preghiera alimenta il nostro lavoro e l’evangelizzazione stessa è fatta di discreta presenza. La nostra vita è di tipo monastico e la preghiera occupa circa due ore e mezza al giorno. La prima ora comincia al mattino quando nasce il giorno, di modo che l’accampamento svegliandosi ci ritrova in preghiera, poi abbiamo l’ora della messa nella chiesa più vicina e all’imbrunire recitiamo il rosario con alcuni canti e un po’ di catechesi in tende diverse ogni sera. 

Un mattino, all’ora di colazione ho conversato con uno zingaro che diceva: “io non so pregare, e poi venire a pregare con voi nella vostra tenda io non ce la faccio, mi metto a piangere e non riesco a smettere e per di più non riesco a dire niente”; da parte mia ho tentato di spiegare che preghiera è qualunque ringraziamento a Dio, qualunque richiesta per noi o per gli altri e cercai di parlare abbastanza a lungo sopra questo dicendo che nella preghiera Dio parla con noi e ci ascolta, mentre noi parliamo con Lui e così via. Poco dopo il mio caro interlocutore ha chiamato suo nipote che ha già imparato a leggere e andò dall’altra parte dell’accampamento chiedendo a questo nipote di leggere a voce alta le preghiere scritte sul libro che aveva ricevuto in dono dai “preti dell’accampamento” – anche i seminaristi sono considerati tali;. Intanto chiamò altri parenti e si fece un bel gruppetto e così senza i preti riuscirono a pregare senza commuoversi troppo.

L’altro ieri il nostro vicino probabilmente voleva imitare la nostra preghiera attorno al fuoco. Noi quattro stavamo seduti su un ceppo e con il breviario in mano: Il vicino Jon fece il fuoco e cercò un pezzo di legno su cui si sedette proprio come noi, ma mancava il breviario. Poco dopo nella sua memoria ricordò che aveva un fac-simile di un libro. Con la coda dell’occhio vidi che estrasse da un mucchio di cose una specie di libro e lo aprì come noi avevamo il breviario aperto e restò in quella posizione con molto raccoglimento sintonizzandosi nel modo migliore possibile a quella nostra preghiera. Quella specie di libro era un catalogo di profumi ma quel mattino diventò almeno per alcuni minuti il più bel breviario del mondo. 

Oggi Murialdo fa il compleanno: 21 anni. Questa mattina Rocha nella liturgia ha pregato perché lui prenda sempre di più la malattia della zingarite. 


Terza settimana 

Ogni giorno mi impressiona sempre più la salute di questi bambini.

La Pasóca di quattro anni ieri si fece da mangiare per conto proprio. Infatti la mamma non c’era e la sorella più grande non si preoccupò molto di badare a ciò che faceva. 

La relazione di ciò che accadde in questo momento ce la offrì un’insegnante che venne a trovarci in accampamento e osservando i bambini pensò che la Pasóca giocasse a fare da mangiare. La bambina prese un uovo, aggiunse tre cucchiai di cenere e tutto il sale che trovò nel fondo di sacchetti quasi vuoti (circa quattro cucchiai da minestra), mescolò bene il tutto, fece un bel fuoco e frittò quella mistura in poche gocce d’olio (non commestibile: infatti il papà lavora molto aggiustando motori di macchine). L’insegnante poi ha fatto un giretto e quando è tornata ha visto la bambina che stava mangiando l’ultimo boccone della sua omelette. 

Solo Dio può occuparsi di queste cose! (premetto che la Pasóca sta bene di salute, è una meraviglia ed è molto simpatica). 

I bambini di questo accampamento godono quasi tutti di una buona salute. 

Ieri celebrammo il battesimo di due bambini e tre adulti: la preparazione è stata fatta negli incontri quando ci si riuniva nella tenda per la preghiera della notte. La celebrazione è stata suggestiva e Kitoco è diventato padrino di Vanderli (suo alunno di scuola di 18 anni).

La mamma della Pasóca è stata una dei battezzati e ieri mattina quando era ancora catecumena è stata protagonista di una scena da Circo: i genitori adorano i bambini e fanno di tutto per loro, sono disposti a fare la fame pur di soddisfarli, ma in certi momenti, quando la vita è troppo pesante e specialmente la sofferenza delle mamme supera ogni misura umana, in questi casi appunto anche i genitori perdono le staffe. Il giorno del battesimo cominciò con discreta agitazione più presto del solito. La mamma della Pasochina ieri mattina aveva già gridato più volte alla bambina di alzarsi, perché bisognava pur mettere in ordine la tenda. In seguito gridò più forte e scosse con forza la bambina, ma senza risultato al punto che perse il controllo della situazione e dei propri nervi e prese il “facão” coltellaccio che usano normalmente gli uomini per tagliare legna (circa 70 o 80 centimetri di lunghezza) e gridò “Ti taglio in pezzettini!”. A quel punto la bambina ha fatto un salto ed è corsa in direzione del campo di calcio che è proprio vicino. La madre la inseguì e a pochi metri tirò il “facão” che passò a pochi centimetri dalla bambina; sempre correndo la madre prese una seconda volta quella spada così pericolosa e la tirò nuovamente, e così fece per la terza volta: quest’ultima volta non passò a più di un palmo dal viso. 

La causa di questo non è la cattiveria sia ben chiaro, ma la stanchezza e l’esaurimento delle forze perché tutto pesa sulle spalle della donna. Sia chiaro che dopo due ore questa mamma ricevette il battesimo.

Giovedì passato, poco dopo la mezzanotte, Rocha sognò che uno scorpione tentava di morderlo, si svegliò di soprassalto e spaventato si sedette sul sacco a pelo, ma nel buio in una tenda senza luce non si può pretendere di vedere uno scorpione nero (già Hegel parlava della notte in cui tutte le vacche sono nere), ma vicino a Rocha c’era un pezzettino di giornale e proprio là è riuscito a vedere qualcosa di nero che si muoveva; con scaltrezza, servendosi di una bomboletta spray antinsetticida ha ucciso il malcapitato poi ha acceso la candela per vedere cos’era ed era proprio uno scorpione, perdippiù ben sviluppato. 

Abbiamo concluso che potevamo stare tranquilli perché sufficientemente protetti da tanti angeli custodi(infatti dei tre scorpioni e sette serpenti uccisi in questo mese in accampamento, appena un ragno è riuscito a mordere uno di noi e con poco effetto). 

Gli ultimi giorni sono stati caratterizzati da un dialogo sempre più intenso con gli zingari e tra di noi. 

Molti elementi hanno contribuito alla nostra convivenza fraterna. Un primo elemento è stato il gruppo zingaro che con il passar del tempo è diventato sempre più accessibile e amico. L’altro elemento è il lavoro che fino ad ora ci ha offerto la possibilità di sederci vicini per diverse ore al giorno. Le stesse differenze di personalità tra noi quattro sono diventate una preziosità. Il buon umore di Murialdo e di Rocha hanno aiutato ad alleggerire certi momenti che avrebbero potuto diventare pesanti. E il carattere di Renì molto riservato ha favorito legami di amicizia molto profondi con alcuni zingari accogliendo i loro momenti di sfogo e fiducia molto autentici.

Lunedì mattina Muraldo stava raccogliendo alcune erbe per la tisana, Rocha era andato a comprare al mercato e Renì terminava le ultime coroncine. Io sono uscito per comprare il giornale e incontrai Murialdo che mi chiese di accompagnarlo, e continuammo il cammino insieme. Essendo che questa uscita di Murialdo non era stata decisa insieme ma improvvisata (e Renì era rimasto in tenda lavorando) Murialdo al ritorno si preoccupò, come prima cosa, di buttar via l’acqua che restava nel secchio e subito invitò Renì ad andare con lui per prendere acqua; in quel momento non era tanto importante l’acqua e meno ancora andarla a prendere in due, ma era importante per la comunità, e chi conosce la vita comune sa che sono queste piccole cose che fanno respirare la comunità a pieni polmoni. 

L’ultimo venerdì siamo andati in Porto Alegre per fare una celebrazione penitenziale e confessarci. Dopo aver chiesto perdono siamo andati sui gradini della scalinata della Cattedrale stessa e là ci siamo seduti per riposarci un poco a causa del gran calore e del digiuno del venerdì. Abbiamo tolto le scarpe e semisdraiati abbiamo continuato a discorrere e comunicarci qualcosa del rinnovamento che volevamo fare in comunità ma non è tardato molto che arrivasse un signore che ci ha “gentilmente” invitati a cambiare posto, e il motivo era più che chiaro. 

Come scusante per il signore che ci mandò via c’era il fatto che i tre seminaristi (21-23-25 anni) avevano usato gli stessi pantaloni e la stessa camicia per un mese intero, giorno e notte con una media di 38-39 gradi di calore. Questo fatto non faceva parte dello stage, ma io che ero un po’ più responsabile non trovai motivi per proibirlo.

In questo modo i seminaristi avevano voluto dire agli zingari “Noi non vi consideriamo sporchi” o meglio “Voi non siete più sporchi di noi”. E’ stato un modo per dire che noi non li disprezziamo per essere appena un poco diversi dagli altri; è stato pure un modo di sentire almeno una volta, sulla propria pelle, che cosa significa essere povero, sporco, marginalizzato e disprezzato. A offrire l'occasione di questo comportamento è stato pure un lutto in una famiglia di Rom nostri amici. Il gruppo di questi zingari non soltanto apprezzano il pulito, ma lo ostentano addirittura e ci tengono a mostrare anche agli altri quanto siano scrupolosi nel mantenere una igiene oltre il buon senso stesso. Quando muore qualcuno in quel gruppo essi facendo lutto si privano di ciò che considerano più prezioso cioè l'igiene e per quaranta giorni gli uomini ne si lavano, ne radono la barba, né cambiano i vestiti e le donne dovendo cucinare tengono sempre vicino una bottiglietta di alcool per bagnare la punta delle dita quando devono prendere in mano alcuni degli alimenti da cucinare. I tre seminaristi hanno voluto solidarizzare con quella famiglia che faceva lutto e hanno voluto dire al loro gruppo, noi non siamo diversi da voi. 

Spero comunque, in una prossima lettera raccontarvi più in dettaglio la straordinaria esperienza che abbiamo fatto in questo "strano" Seminario di plastica, nella periferia di San Paulo,vivendo in un accampamento di zingari.


Bangladesh, 1990

E’ già passato un anno da quando ci siamo visti. Per me è stato un anno intenso. Uno dei principali lavori è stato quello di conquistare la fiducia dei nomadi bengalesi per riuscire a stare con loro ed eventualmente fare qualcosa di bello insieme. Sul mio diario ho notato 60 città e paesi dove esistono concentrazioni significative di seminomadi, o meglio luoghi dove per almeno tre mesi i nomadi si fermano durante la stagione delle piogge. In uno di questi centri, a 30 km dalla capitale, sono circa 10.000 i “jajabor”(zingari) nel periodo di pioggia. 

A Goghe dove ho abitato per circa tre mesi, erano 80 famiglie ma i gruppi veramente nomadi che si spostano ogni tre o quattro giorni sono invece piccoli, generalmente 15-20 famiglie. Il gruppo che vive sulle barche con cui ero nel periodo di Natale era piccolo: una decina di barche che poi è cresciuto ed è diventato di 22. Con essi rimasi in dicembre e gennaio. Una barca è diventata scuola e adesso i bambini di quel gruppo possono frequentare regolarmente la scuoletta in barca. 

Attualmente sto con un gruppo che si sposta con tende e anche qui è nata una piccola scuola dove mattino e sera l’insegnante che da ragazzo ha potuto studiare presso parenti, adesso insegna lui a sua volta. Questo giovane mi disse che aveva già tentato qualche volta di fare un poco di scuola, ma poi il tutto moriva. Egli riconosce che il segreto sta nella sistematicità: tutti i giorni, stessa ora e con l’appoggio dei genitori. Ci sono pure tre giovani adulti che tentano con tutte le forze di imparare. La scuola in “costruzione” non esiste. Ci sono tanti tappetini sotto un albero, quando c’è, e i bambini che siedono in cerchio. Spesso c’è un secondo cerchio di alunni speciali e sono i genitori che vogliono imparare per poi far lavorare il figlio durante la giornata. Fino a tarda notte, ora in questa tenda, ora in quest’altra, sento ripetere lettere e sillabe a voce alta come si usa qui. 

Da due mesi in questo accampamento tutto è diventato scuola. Sono modificati i tempi di lavoro e le stesse soste sono più prolungate. E poi tutta quella gente che viene a vedere. Non è novità assoluta per questi zingari la visita della gente dei villaggi vicini però adesso mi sembra eccessivo, e i miei amici hanno una pazienza infinita nel salutare tutti, nel parlare e rispondere le stesse cose a tutti. 

Le domande su di me e sulla scuola sono di prassi comune. Qualcuno poi viene a lamentarsi con me e dice: “Qui nel nostro paese non c’è nemmeno una scuola per i nostri bambini, e voi la fate per gli zingari; non potete fare qualcosa per noi?”. Sottinteso: “Ne abbiamo più diritto degli zingari!. E nascono discorsi interessanti. Però nelle ultime due settimane ci stiamo accampando su una arteria stradale importante e qui si incontrano molte scuole, anche «scuole superiori» che corrispondono ai nostri licei, magistrali e istituti tecnici che danno poi accesso alle università. 

Al mattino e alla sera le visite che abbiamo sono degli insegnanti di queste scuole e degli studenti. Nel parlare con loro, specialmente con gli studenti, non sono mica troppo mite, anzi cerco di scuoterli quando ho la possibilità. Il discorso spesso comincia con una domanda molto realista e semplice: «Perché sei venuto qui? E qual’è il tuo vantaggio?». Ovviamente prima abbiamo già parlato di missione, di stipendi, di sicurezze e specialmente di gratuità così posso dire: «Quando vedo due bambini contenti perché vanno a scuola e i loro genitori contenti perché i loro figli possono andare a scuola, questo è il mio guadagno, il mio stipendio: è tutto. Vedere la gente contenta, non vi pare bello? E poi voi mi chiedete perché sono venuto qui. Vi posso dire che sono venuto a fare un lavoro che non è mio, ma vostro! Però voi non lo fate: questo è il fatto. In Bangladesh ci sono almeno 450.000 zingari Bede; essi sono senza scuola, senza assistenza sanitaria etc., e voi che cosa fate per loro? Voi che avete avuto la possibilità di studiare o la state avendo, che cosa fate? Scuole viaggianti come questa dovevate averla cominciata 200 anni fa, ma non l’avete fatto e avete aspettato uno straniero che non conosce la vostra lingua, fa fatica per questo clima, deve stare lontano dalla sua terra per fare questo lavoro! Questo è lavoro vostro! E poi dite che non avete lavoro, che volete andare in Italia, in America perché qui non sapete che fare. No, il lavoro lo avete, e come se lo avete! Ma non lo fate e state ad aspettare la fortuna che vi venga incontro!».

Ovviamente non mi risparmiano le affermazioni: «Ma ci vogliono soldi per fare queste cose!», e allora riparto io: «Non ci vogliono soldi, ci vogliono idee e ideali; ci vuole qualcosa qui dentro, nel vostro cuore, nella vostra anima, nella vostra testa, ma non ce l’avete. Soldi ne arrivano tanti in Bangladesh specialmente per l’industria dei cicloni, ma gli ideali sono pochi. Se tu volessi fare una scuola come questa, se proprio lo volessi, e se veramente credessi che è bello non avresti bisogno nemmeno di stipendio. Vieni qui domani mattina, ti do la mia tenda; vai nei villaggi a fare l’incantatore di serpenti come faccio io, ti guadagni da vivere e fai due ore di scuola ad mattino e una alla sera. Vedete, il Bangladesh potrebbe diventare il più bel paese del mondo, solo lo voleste, ma forse non vi interessa». 

Negli ultimi mesi a molti che mi chiedevano se li portavo in Italia rispondevo che non è possibile per il visto. «Vi ho sempre detto che da tempo è quasi impossibile ottenere un visto regolare, però non sono stato abbastanza sincero, non è vero affatto. E’ solo vero che è difficile, ma se volete potete andare in Italia, in America, potete andare all’inferno e anche in Paradiso. Solo volerlo. Certo Dio vi ha dato queste possibilità di scegliere, perciò potete andare sia all’inferno che in Paradiso, figuratevi se non potete andare in Italia, o in Australia o non so dove. Ma voi aspettate che vi ci portino, non volete andare voi. 

Alcuni anni fa uomini come noi, fatti di carne e ossa come voi vollero andare sapete dove? Sulla luna! E ci sono andati. Non avevano il visto, ma avevano qualcosa qui dentro, avevano la volontà di andare sulla luna. E non c’era bisogno di altro per andare sulla luna. Quando un desiderio o una volontà diventa una verità profonda in qualcuno di noi nessuno la potrà arrestare: sarà diventata come un bambino che ha raggiunto i 9 mesi: è diventato una verità, non è più solo un desiderio e adesso nascerà in ogni caso e nessuno lo potrà impedire: qualcuno potrà anche non essere contento ma nascerà. Lo potranno uccidere subito dopo o anche prima, nel caso nascerà morto ma il bambino deve nascere perché da desiderio è diventato una realtà vera». 

Di tanto in tanto si accendono discussioni tra di loro e dimostrano di saper pensare e questo è molto bello. Poi ritorno ad essere sorridente, intanto andiamo a bere un thè che pagano sempre loro. I miei interlocutori non si offendevano affatto, anzi ritornavano la sera o il mattino seguente con i loro colleghi a continuare il discorso. Qualcuno a volte mi dice: "Ripeti anche a questi miei amici quello che mi hai detto ieri" o cose simili. Quindi significa ce sanno pensare. In queste discussioni i più soddisfatti mi sembrano proprio gli zingari i quali avendo sentito queste cose più volte quando chi viene la prima volta e fa un po’ di fatica a intendere il mio bengalese essi si fanno in quattro a ripetere il tutto nei loro propri dialetti più accessibili. 

Dopo le discussioni, se è mattino partiamo per i villaggi a fare gli incantatori di serpenti che è il nostro lavoro quotidiano.

1997

Lettera personale – Stralcio 

Il 29 giugno è stato il mio 25° anniversario di prete e di vita zingara. 

Ho celebrato al mattino verso le 4 “da solo” per poi ricevere più tardi una sorpresa che un po’ già mi aspettavo. Premetto che ero accampato nella periferia di Bhopal da un paio di giorni. Alla sera dunque il regalo: Padre Cinnapenn è arrivato per concelebrare con me, ma non solo, anche cenare con me e poi fermarsi a dormire nella mia stessa tenda (abbastanza ampia).

E’ la prima volta che un prete indiano esce da un certo mondo in questo modo e cerca di identificarsi con questi “poveri” per poi tornare il giorno dopo al suo ufficio di procuratore nella casa del Vescovo. Intanto matura l’idea di passare un mese insieme a me utilizzando il suo mese di ferie. 

Oggi siamo al secondo giorno. Ci troviamo in Jaipur e stiamo visitando insieme. 

una serie di comunità zingare. Penso sia importante per lui rendersi maggiormente conto di ciò che esiste di questa realtà nomade in India prima di una eventuale « total immersion». E poi lasciamo guidare il tutto dallo Spirito Santo. Ieri abbiamo meditato insieme il Vangelo del giorno, Mt (…) che ci ha parlato di come si parte in missione e quale attitudine avere. Oggi sempre Matteo (…) ci spiega come stare nella missione. Queste pagine ricchissime ci aiutano specialmente in questo momento particolare della vita del nostro fratello Cinnapenn. 

Dopo aver incontrato i Gadia Lohar a due ore da Jaipur in zona quasi desertica nel pomeriggio di ieri, oggi dovremo incontrare il gruppo dei Bopas e Kalibilia. Vedremo se si può pensare a qualche lavoro di sensibilizzazione tra essi per iniziare una scuoletta. 

Oggi, undicesimo giorno. 

Dopo il Rajasthan, ricco di incontri specialmente con i nomadi pastori del Sud Rajastan e Gujarat, i Rabaris, P. Chinnapenn addirittura riconobbe un gruppo che aveva incontrato precedentemente a 2000 km di distanza. Alcune comunità Cristiane, sacerdoti e Vescovi ci fanno pensare che ci potrà essere un discreto interessamento verso questi gruppi. 

Riprendo la lettera 

Incontrando questi diversi gruppi le settimane scorse e vedendo tutta la ricchezza che esiste in ciascuno, e anche la loro povertà, la fatica per vivere e le soluzioni incontrate per sopravvivere anche in regioni e in condizioni che potrebbero apparire impossibili, mi sono interrogato con il mio compagno di viaggio F. Chinnapenn: potrebbe Dio aver rinunciato di parlare a questi popoli Indù?

Comincio col dare una risposta prima di fare una qualsiasi riflessione. Dio da quando i suoi figli esistono e sono capaci di intendere e volere non ha mai smesso di parlare ad essi in diversi modi con diversi linguaggi. Dio non ha mai fatto differenze di popoli che si sono spesso creduti diversi. Tutto questo lo incontriamo persino nei testi sacri. E certo lo stesso Signore come potrebbe aver fatto differenza di religioni se queste sono state proprio i linguaggi di cui si è servito per parlare ad essi? 

Mi pare di poter dire che le diverse religioni sono le lingue diverse con cui Dio comunica con i suoi figli. La Parola di Dio spesso si fa fuoco, pietra, templi, celebrazioni, si fa immagine, si fa racconto, celebrazioni, si fa storia e si fa anche carne per abitare tra i suoi. 

Le scritture cristiane ci parlano di Angeli, Arcangeli, troni e dominazioni: in una parola le potenze del Cielo di cui abbiamo persino dei nomi – Gabriele, Michele, Raffaele. in altre sante scritture invece di tre nomi se ne danno trecento o tremila. 

Può un cristiano entrare in un tempio indù con rispetto, riverenza, e “amore a quel linguaggio” usato da Dio con quel popolo? So bene che il linguaggio di Dio arriva all’uomo attraverso molteplici mediazioni e quindi molto imperfetto, quindi anche il linguaggio che ho incontrato oggi al tempio indù era imperfetto ma era l’unico che Dio aveva per comunicare con quel popolo e come potevo io non celebrare con loro la loro stessa vita, la loro fede? Il mio Dio era là a ricevere le loro preghiere. Noi siamo andati a portare corone di fiori e ricevere benedizioni. 

Se mettere un grano di incenso di fronte a una statua di una qualche divinità dovesse significare tradimento della mia fede, chiedo a Dio che mi dia la forza del martirio 100 volte in un giorno, ma se questo segno significa solidarietà con la fede del mio popolo, lasciate che dopo avere celebrato messa, recitato il breviario, rosario e fatto l’ora di adorazione, dopo questo quindi lasciatemi andare al tempio con loro. 

Se il tutto fosse ancora poco chiaro racconto un altro fatto che può aiutare.

Nella Chiesa Cattolica, San Giorgio è stato molto venerato. E’ un santo che ci insegna il coraggio, ci educa alla lotta contro il male, ci insegna ad essere difensori dei poveri, degli indifesi, dei carcerati, ci insegna ad essere liberatori di tutti gli schiavizzati. Questo santo ci insegna a lottare con tutte le forze. Come lui si serve del suo cavallo e della lancia per lottare contro il drago così ci insegna che dobbiamo lottare con tutti i mezzi che il buon Dio ci mette a disposizione per vincere a tutti i costi, a costo della propria vita se è necessario. 

Questo santo è stato invocato da giovani ragazze nei momenti di paura, è stato invocato da coraggiosi soldati e dai Papi nelle litanie per tanti secoli e noi Chiesa abbiamo sempre risposto: prega per noi. 

Alcuni storici poi hanno scoperto che forse questo santo non è esistito e la Chiesa giustamente lo ha tolto dalla lista dei nomi di santi.

Pensiamo però quanti miracoli sono stati concessi dal buon Dio per intercessione di S. Giorgio! Quante grazie spirituali sono state fatte nel cuore di tanti cristiani. Vicino a casa mia un intero paese poco più di cinquant’anni fa ricevette una grande grazia, un vero miracolo. Durante l’ultima guerra, stavano per incendiare il paese, quando gli abitanti tutti si riunirono e fecero un voto a S. Giorgio per avere salve le loro case. All'ultimo momento fu sospeso l'incendio. Terminata la guerra, i fedeli fecero costruire una statua del Santo, come promesso nel voto. La grazia era stata fatta fatta, la statua e la grande processione inaugurata con il Vescovo e tutto il popolo con lacrime di gioia ringraziò il Santo. Se poi, qualcuno mi ha spiegato che quel santo non è esistito per me le cose non cambiano molto. Nessuna preghiera sincera fatta con quel nome è andata persa ma tutte sono scritte nel cuore di Dio. 

Né San Giorgio né altri Santi hanno mai fatto miracoli, i miracoli li fa solo Dio per la fede dei suoi figli. 

Allora: potrò andare alla processione di S. Giorgio? Anche se penso che non è esistito, posso portare fiori e gettare incenso sui carboni per riempire di solennità la statua di S. Giorgio perché è solo un segno, ma è pure un segno di u n santo che però non è esistito? potrò andare ad accendere candele di fronte a quel cavallo più alto del santo che uccide il drago e magari toccare lo zoccolo del cavallo che è la parte più accessibile della statua per chi non è molto alto e così solidarizzare con la fede del mio popolo? 

Qualcuno mi dirà che però è una fede molto bambina. Sono d’accordo, ma se questo è il linguaggio che Dio ha per parlare al suo popolo, lo dovrò parlare anch’io altrimenti dovrò voltare la spalle e dire «io non credo queste cose» e testimoniare di essere ateo di fronte ai miei fratelli.

Per evitare equivoci nel leggere queste righe avrei dovuto premettere che non nutro nessuna simpatia per l’«orientalismo» (insieme di filosofia e religione orientali) venduto a basso prezzo in Europa e in America ma riconosco che siamo stati troppo chiusi e lo siamo tutt’ora. E’ difficile intendere come nelle scuole di Teologia si sia fatto a meno di uno studio del Corano della B. Ghita, quindi dei profeti come Maometto, Buddha, etc.

1999

Mini Diario nell’Arcipelago 

Lettera agli amici

Partenza da Torino per Francoforte: 

Dopo il saluto a pochi amici, mi dirigo per la sala di attesa del volo per Francoforte. E’ come entrare in un deserto nel quale fisicamente sono solo. Le persone mi passano accanto (funzionari dell’aeroporto controllano il mio passaporto, il biglietto, il bagaglio, ma io sono nel deserto). Si aggiunge il fatto che nelle oasi no so che cosa e chi incontrerò, poiché pretendo passare nella zona degli arcipelaghi sud asiatici per un primo contatto che, se Dio vuole, potrebbe svilupparsi in futuro.

Alle 16.30 arrivo a Francoforte. 

Ci sarà da aspettare sei ore, ma l’aereo è in ritardo e si partirà solo a mezzanotte. Rivedo le ultime cose non fatte, annoto alcuni promemoria da inviare poi a Edda e Marilde che risolvono sempre tutti i miei problemi. 

Poco prima delle ore 16.00 ora locale arrivo a Bangkok. Ritiro i bagagli, cambio un po’ di soldi in moneta locale e cerco di raggiungere una chiesa cattolica. Le informazioni sono molto complesse. Decido di partire il giorno stesso per Kuala Lumpur. C’è un aereo alle 17.15. Forse ce la posso fare. Corro a chiedere se c’è un posto, corro a fare il biglietto, arrivo, spedisco il bagaglio, ma l’aereo sta partendo, mi danno il volo successivo, due ore dopo. Correndo ho sudato un poco e mi rendo conto che le maglie sono già tutte nella valigia spedita. Spero di non prendermi la febbre con quest’aria condizionata e la maglia sudata. 

Arrivo a Kuala Lumpur prima di mezzanotte.

Durante il viaggio ho ricevuto, per due ore, ricche informazioni sulla Malesia da un giovane che vive nella capitale. E’ tardi, non posso più andare dai Gesuiti di cui ho un indirizzo. Cerco un albergo a prezzo minimo e il 27 mattino mi presento alla Xaverian House. Il prete che cerco è appena partito. Fr. Jojo arriverà domani. Aspetto. 

I Gesuiti che non hanno più stanze libere mi mettono in una stanza dei Padri Maristi ed essi mi offrono i pasti. Cerco di fare amicizia con le due comunità: è il lavoro del primo giorno. 

La messa con sacerdoti e studenti Gesuiti è stata bellissima. 

C’è comunque una difficoltà: che sia dai maristi dove dormo che dai Gesuiti dove mangio non c’è né il Superiore né l’Economo della casa, quindi si finisce per essere ospite di nessuno. Mi muovop in punta di piedi. Dopo due giorni arriva il Padre Joko, ci parliamo, ma lui, pur essendo – per così dire – esperto dei popoli indigeni non ha mai sentito parlare di zingari del mare, né di nomadi. 

E’ un tipo molto asciutto, giovane, senza esperienza, ma molto intelligente, e tutti lo apprezzano. In pochi minuti mi dà una serie di indirizzi e numeri di telefono molto preziosi poi riparte perché deve preparare un incontro abbastanza importante. 

Intanto Padre Jojo mi ha indicato uno zingaro di Kuala Lumpur che mi potrà dare delle informazioni circa la regione est della Malesia e specialmente circa il Sarwak. Non so che fare, da che parte muovere. La notte non dormo nulla, prego e mi domando “Ma perché il buon Dio mi ha messo in questo cammino?”. Aspetto 

Il giorno seguente incontro il signor Lee che mi informa sui nomadi del Sviwak. Mi parla del Vescovo di Miri. Non riesco però a contattarlo telefonicamente e penso sia conveniente sentire prima. Infatti dopo l’incontro con Lee Kuós mi incontro per altre due ore con un gesuita che vive a sud della China, Nel Taiwan vive in una parrocchia, la sua gente era nomade, ma adesso si sta sedentarizzando. Questo prete è interessante e il nostro incontro lo è ancora di più. 

Vive a poche ore da Taipé sulla montagna dopo Chutûla sua parrocchia è a Chíngchuã. Speriamo di incontrarci perché è proprio sulla strada per Manila. 

Incontrai pure a tavola un Gesuita fratello, che non è superiore, non è autorevole nella Casa, non è importante, ma fa un po’ il servo nella casa, va a fare la spesa, lui non è uno “specialista” ma conosce i nomadi Bajjáo, i Doiat e mi dà preziose informazioni. 

Il giorno seguente vado all’Università e spendo quel giorno e la vigilia della partenza in biblioteca. Per il momento ho un buon bagaglio di informazioni. 

Un ultimo dettaglio: quasi tutti i cristiani di Kuala Lumpur sono cinesi o (pochissimi) indiani. Ho trovato una grammatica di cinese che costava poco ed era attraente, il titolo tradotto è “Parla cinese oggi stesso” ma son già passati tre giorni e io il cinese non lo so ancora. 

Sono arrivato nuovamente a Bangkok nella Thailandia dove passerò qualche giorno in attesa del volo per il Bangladesh. Qui ho l’indirizzo del Nunzio che per fortuna indirettamente conosco, ci eravamo scritti quando stava in Pakistan e adesso ci vedremo. Era stato uno degli alunni di Mary di Londra. Arrivo ma lui non c’è, è stato spostato da due mesi a Vescovo di Trento. E qui cominciano le trattative. I due preti della nunziatura non sanno che fare di me, ma anche non vogliono buttarmi fuori in malo modo. Cercano qualche posto: in Curia non rispondono, è sabato; i Missionari del Pinne non hanno più posto. Alla fine, dopo essersi ben accertati che sono prete, mi danno il pranzo. Nasce un bel dialogo. Diventiamo quasi amici. Parlano in Vescovado. Mi danno una lettera di raccomandazione e arrivo in Vescovado. 

Lasciamo perdere le peripezie. C’è un prete caro che mi guarda e cerca di capirmi, ma non riesce. Qui l’inglese non sarà molto importante. Cerco di farmi capire, ma inutilmente. Ho questa lettera in mano ma … alla fine scopro (il giorno dopo) che lui sa l’italiano benissimo. Ma lui aveva pensato tutto eccetto che io fossi italiano.

Mi hanno preparato una sala da principe, nel Vescovado con aria condizionata, tappeti: c’è di tutto, ma non c’è nessuno. Mi hanno letteralmente chiuso qui e sono spariti. Sono in attesa di futuro e il futuro poi è arrivato, e anche il presente (è stato comunque un mese molto intenso). 

Senza contare il viaggio Italia-Bangkok – 4 viaggi internazionali, uno già pagato prima, spese di locomozione, permanenza vitto e alloggio, fotocopie, latte di soia, tutto compreso, costo:sulle 700.000 lire italiane.


Bangladesh, Febbraio 1999 

Carissimi amici, 

oggi vi scrivo in una simpatica palafitta di un accampamento di nomadi nella periferia di Dhaka. Lo so che nomadi e palafitte non vanno molto d’accordo. Mi spiego, perché il tutto è molto strano. Qui ci sono barche che vanno e vengono e palafitte. E’ vero che le palafitte non possono andare e venire, ma la gente che vi abita dentro va e viene, per questo sono nomadi. 

Quando sono arrivato per restare con questo gruppo in cinque minuti i miei amici hanno trovato una palafitta libera per me. Fra una settimana diverse famiglie partiranno e forse in meno di due giorni un altro gruppo arriverà e occuperà quelle minuscole casette come se fossero proprie. Quando una famiglia occupa questa casa la tratta bene e se è il caso la ripara come se ci dovesse stare per sempre, quando poi due settimane dopo va via la lascia con indifferenza come non l’avesse mai posseduta e rimane pronta per altri. Vorrei dire che le porte sono sempre aperte, ma generalmente non esistono proprio. Qui si sta molto più ravvicinati che in un accampamento normale perché questo “spazio sull’acqua” è affittato. Siamo a circa tre metri sul livello dell’acqua perché bisogna pensare alla stagione delle piogge. Tra una palafitta e l’altra pochi centimetri sono sufficienti. Ci si sposta camminando sulle piccole “verande” di pochi centimetri o piccoli ponticelli di bambù. 

Non c’è comunque nemmeno pericolo di cadere nel vuoto perché il vuoto non esiste. Lo spazio è tutto occupato da pioli, scalette, minuscoli assicelli: il tutto serve per salire scendere e camminare. Quando qualcuno deve rispondere a un insulto si sta sulla porta di casa ed è a solo dieci centimetri dal nemico/a. Se c’è un bisticcio in tre minuti tutto l’accampamento si incendia di grida e l’agitazione fa pensare che fra un momento tutte queste palafitte possano andare in frantumi, ma in un momento si rifà la pace necessaria per la sopravvivenza della comunità. In Italia ormai si bisticcia poco perché non c’è più bisogno di vivere in comunità con i vicini. Ciascuno si può isolare e fare a meno degli altri; qui non è così: si deve vivere insieme. 

Questo bellissimo accampamento ha tanti fasci di saggina su cui si arrampicano i bachi da seta a costruire le loro case dorate appese un po’ ovunque, oppure un bellissimo albero di Natale carico di colori: uomini, donne, giovani, adulti bambini, tanti bambini, e in un angolo, è superfluo dirlo, questa settimana stiamo costruendo una scuola. 

Dopo aver detto dove sono vi dico cosa faccio: mi sto preparando alla Quaresima, il tempo penitenziale. 

Vorrei scrivere specialmente queste righe per alcuni miei amici missionari che come me a volta si possono sentire incapaci di amare la loro gente. A volte divento nervoso, teso, mi lamento con me stesso che la gente non capisce, che pensa solo al proprio interesse e non quello di tutti. Mi arrabbio perché non si entusiasmano nel mandare i bambini a scuola quando nasce la possibilità. Mi lamento e divento a volte furioso quando non curano i bambini malati, quando i mariti picchiano le mogli, quando qualcuno si rovina la vita del corpo e dell’anima per i vizi. Mi viene voglia di maledirli quando maledicono, di bastonarli quando bastonano. Poi in alcuni momenti li giudico indolenti, senza volontà di risolvere i problemi, li giudico di vivere istintivamente e non con la ragione. 

Ecco la mia anima all’inizio della Quaresima. Io so che tutti questi giudizi di condanna sono sbagliati e io li ho dentro per una ragione. Io vorrei risolvere tanti problemi, anzi vorrei risolverli tutti, ma non sono capace e non accetto di essere incapace. Tutte le fibre del mio corpo si ribellano all’idea di non essere capace di risolvere tutto. Allora ecco che istintivamente riverso la colpa su qualcuno: gli altri. Essi sono sbagliati, non mi capiscono, non corrispondono con me; in realtà sono io che sono sbagliato e non accetto il fallimento di saper fare poche cose. 

Allora avrò un grande lavoro per la quaresima: PERDONARMI e PERDONARE.

Ieri stavo perdendo le staffe con uno che rischiava di mandare a monte tutto il lavoro di una scuola perché voleva essere lui l’insegnante anziché un altro più preparato di lui. E io mi gridavo dentro. “Ecco, a me interessa il bene dei bambini a lui interessa solo il salario, solo se stesso… etc. etc.”, ma mi sono fermato in tempo. Ho pensato: in fondo cerca un lavoro, e che lo voglia più per se stesso che per un altro non sarà un delitto che meriti la ghigliottina, e lentamente ho cercato di farmelo amico dentro. 

Alla fine lui forzatamente accettò di essere un povero in cerca di lavoro e io accettai di essere un povero che non sa risolvere tutti i problemi ma non mi sono più arrabbiato con lui: ci siamo lasciati da veri amici. 

Da un paio di settimane ero in conflitto con il mio vicino di tenda: Mohà, è appena maggiorenne con tre mogli e tre figli. E ciò che mi urta è la violenza che usa quando letteralmente bastona queste ragazze poco più che bambine, mogli e madri dei suoi figli. Più volte lo avrei fulminato di rabbia e lo avrei distrutto. Ho cercato di perdonarlo dentro di me, (tutti lo chiamano Satana e lui si comporta di conseguenza come se lo fosse). Me lo sono rifatto amico dentro. Ho cercato di capire le sue difficoltà nel gestire una situazione così difficile dal punto di vista psicologico, affettivo, con una immaturità totale quando non sa più che fare urla e bastona. Io sono suo vicino, ho cominciato a considerarlo un povero ragazzo che fa fatica a vivere, come fanno fatica le sue moglie con lui. Ho prima accettato di non poter risolvere totalmente i loro problemi. Questa settimana ho parlato di più con lui e queste tre mamme. Nell’accampamento sono l’unico amico di questa famiglia. Ho parlato a lungo specialmente con lui. L’altro ieri a causa dello sciopero molti non sono andati a lavorare e ho visto Mohà con le mogli e i loro bambini legati ai fianchi mentre giocavano con birilli di terra: erano sereni e perdonati. 

Fu questa una delle poche volte in cui ho visto giocare delle donne sposate.

Così continuerò a chiedere al Signore ciò che Lui ha chiesto a noi: perdonare. Quando Gesù dice «Ciò che perdonate sulla terra è perdonato anche in Cielo» non è solo rivolto agli apostoli, ma a tutti, ai papà, alle mamme, ai figli, agli sposi, ai giovani e agli adulti. Se noi che siamo cattivi riusciamo a perdonare questo o quell’altro peccato vicino a noi, quanto più il Padre dei Cieli.

Nella mia parrocchia mussulmana nessuno verrà a confessarsi in questa quaresima, per questo, cominciando da questa quaresima vorrò celebrare i miei vicini, perdonandoli di tutto, nel profondo del mio cuore, nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, e cercherò di far pace con ciascuno. 

Se qualcuno di voi ha un figlio che non va più in Chiesa e non crede più, che per coprire uno sbaglio vi sembra che ne faccia altri dieci, perdonatelo voi, con l’autorità di papà e mamma che avete, con l’autorità sacerdotale che vi viene dal battesimo, perdonatelo voi questo figlio/a e se voi che non siete “buoni” riuscite a perdonarlo tanto più il Padre nei cieli , e sarà allora Pasqua di resurrezione.

Buona Quaresima e Buona Pasqua!

APPENDICE 

Il 90% dei bisticci, delle rabbie, delle maledizioni e delle liti nasce dall’incapacità di accettare i propri limiti. 

Che cosa pensate generalmente di uno straniero in Missione? Un Italiano, un Americano, in Costa d’Avorio, in Bangladesh o in India, come può non aver sempre ragione? Come possono essere dalla parte della verità la gente “in via di sviluppo” quando cercano di far valere la loro ragione con uno “già sviluppato?”. Lo straniero “già sviluppato” che arriva in un paese del terzo mondo anche dopo soli tre mesi ha già ragione lui di tutte le cose. 

Non sto parlando di altri, parlo di me, della mia confessione. 

Vi racconto due brutti sogni: mi trovavo in un’area con 40 villaggi: 2 sacerdoti e sei suore. Hanno lavorato per sette anni facendo un lavoro capillare di educazione igiene, salute tra tutti questi villaggi. Facendo però una revisione del lavoro hanno capito che questo lavoro non “rendeva” ed essi erano sempre e solo missionari da villaggio mentre i loro colleghi/e avevano ormai già fatto carriera. 

Tra questi villaggi ce n'è uno dove vivono tutti i proprietari terrieri degli altri 39: è il villaggio più grande e più ricco. Ecco la decisione dei nostri missionari: “Costruiamo una bella scuola qui, dobbiamo mettere radici profonde al nostro lavoro, dobbiamo preparare gente valida per una società diversa”. La ragione in realtà era che questi avrebbero potuto pagare e il prestigio sarebbe stato diverso. Pensato e fatto, come avviene nei sogni. Una bella scuola e tutti i bambini in divisa. Un sacerdote è stato occupato e l’altro è diventato “Direttore” e le suore insegnanti. Hanno smesso ovviamente tutti gli altri lavori. 

Quel villaggio prima era già il più ricco, più potente nei confronti degli 39 fatti di gente dipendente da esso. Adesso sarà ancora più forte, con la bella scuola, sarà più prestigiosa e potrà opprimere con più forza gli altri diventati ancora più deboli senza più nessuna attenzione. 

In certe situazioni sociali, LAVORARE PER I RICCHI NON SIGNIFICA SOLO NON LAVORARE PER I POVERI MA VUOL DIRE LAVORARE CONTRO I POVERI.

Permettetemi un altro brutto sogno: un bravo ragazzo ha studiato teologia, ha studiato tutte le verità, i dogmi e le eresie della Chiesa, poi è diventato prete, là nel “Terzo Mondo”. u mandato a Roma per approfondire tutti i dogmi le verità e le eresie ed è diventato dottore in Teologia, per poter aiutare i cristiani nella sua Diocesi. E’ tornato e dopo due mesi è diventato Preside di una scuola prestigiosa. 

E per fare scuola della fede e evangelizzazione? Mandò i primi due cristiani disoccupati come catechisti a “predicare il Vangelo” nei villaggi, con un salario 16 volte minore di quello del Preside. Ma perché non mandarono i catechisti a studiare teologia a Roma? 

LAVORARE PER I RICCHI (specialmente nella Chiesa) SIGNIFICA PRENDERE IN GIRO I POVERI. 

E adesso in attesa di svegliarmi sto pensando che non sono stati due brutti sogni ma cruda realtà, poiché così è, noi Chiesa, in alcune nazioni dovremmo fare per il 2000 una grossa revisione di vita. 

Quindi avete capito che in questa Quaresima mi restano tanti da perdonare. 

- Quelli che hanno rubato sei bambini nel Kamatoko in un accampamento di zingari per associarli a quei due milioni di minori vittime professionali della violenza sessuale venduti ogni giorno a pederasti ed altri malati. 

- Devo perdonare le 225 famiglie che detengono i beni economici di due miliardi e mezzo di abitanti del terzo mondo (cioè mezzo mondo). 

- Dovrò perdonare quelli che mandano i bambini dalle cinque del mattino fino a notte a spaccare pietre e mattoni, a vendere sigarette, the in piccoli negozi di periferia, a chiedere elemosina e rubare nella stazioni, sui treni, nelle case invece di mandarli dignitosamente a scuola.

- Dovrò perdonare coloro che impediscono alle donne di recuperare la loro dignità, e i padroni dei cento milioni di schiavi che esistono nel mondo. 

- Dovrò in particolare perdonare la mia Chiesa in cui ci sono io che fa fatica ad accorgersi dei poveri e lavorare per loro. 

Questo sarà il lavoro di questa Quaresima: chiedere perdono e perdonare. 


Se queste righe ci invitano a pensare che “gli altri” sono cattivi, buttiamole via, se ci aiutano a fare revisione di vita in casa nostra possiamo anche rileggerle ancora.