ASIANOMADS

Lettere agli amici   1999 - 2005

Lettere agli amici   1999 - 2005

Sommario

2005

Dopo la malattia.  Natale 2005   

Cari amici, 

L'avvicinarsi del Natale, speciale tempo di Grazia è anche l'inizio di un nuovo anno con tante speranze  e quindi auguri che si realizzino per ciascuno di voi. Dicembre è anche fine di un anno, con tante gioie (che spesso dimentichiamo) e anche lacrime. Nei nostri paesi dell'Asia si è continuato a far fatica a vivere in pace. Si sono poi aggiunte calamità  come il maremoto di aprile (anche se minore dello Tzunami di dicembre '04). Si è continuato a credere di distruggere il terrorismo uccidendo i terroristi o creando panico nella popolazione (in Bangladesh, 400 bombe se pur non di grande dimensione, in una volta).  Si sono  aggiunti cicloni, allagamenti ed edemie molto gravi. Le sofferenze sembrano sempre pesare di più sulla  bilancia anche se non è così. Un'espressione che Ernesto Olivero ripete spesso è sempre vera: "Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce".  Se in ogni caso avessi mezz'ora di tempo per prendere un caffè in casa vostra probabilmente non  parleremmo di politica asiatica o di calamità, ma voi mi fareste una domanda molto semplice:"Come  stai? Come va adesso la tua salute?" Posso rispondere in modo molto personale perché questa lettera è rivolta solo agli amici che mi  seguono da vicino.

Introduco questa cronaca e riflessione dicendo che sono stato molto malato con 40 giorni di degenza in  ospedale. In questi 33 anni in cui sono prete non ho visto eserciti di missionari/e lasciarsi uccidere per il Regno di  Dio, anche se sono stato testimone indiretto di molti, sia in Brasile che in India; però ho visto molti  dare la salute per il Regno giorno per giorno come fate anche molti di voi, nella vostra missione, nella  vostra comunità o nella vostra famiglia. Dico questo perché voglio parlarvi di due preti missionari. 

Mentre sono stato malato di malaria (popolarmente chiamata malaria cerebrale, da cui è difficile scampare vivi) nella stanza dell'ospedale si vedevano di tanto in tanto circolare zanzare e voi sapete che  quando questo insetto pizzica una persona con l'infezione malarica poi la può facilmente trasmettere  all'altra persona che punge. Era quindi pericoloso starmi vicino e assistermi. Ebbene, due giovani  preti per le due settimane più problematiche, mentre ero in semi coma, si sono dati il turno giorno e notte  senza lasciarmi un' ora. E il rischio era grande per loro. lo ormai ero malato e non potevo far nulla ma  essi vedevano quanto stavo male e che cosa rischiavano, eppure sono rimasti là ugualmente.

Nella prima settimana del mio ricovero un'epidemia di malaria cerebrale aveva colpito 5000  persone e in quella stessa settimana mille erano già morte. Ho detto questo per testimoniare il  coraggio di tanti missionari/e che, in certi momenti, anche solo assistendo un paziente  rischiano la vita. ( E questo capita in India, in Italia e in ogni parte del mondo)

Proprio nei giorni in cui molti di voi pregavano per me io facevo una gran fatica a respirare. In  60 anni non avevo mai pensato (un solo giorno) che stavo respirando. E quante migliaia di volte  riempiamo i polmoni di ossigeno per dare vita all'intero corpo! Non ho mai ringraziato il buon Dio come in questi giorni per il dono del respiro.

Spesso qualcuno dice: "desidererei avere la fede, ma se non ce l'ho non posso andare a  comprarla al mercato." Io risponderei:"Se tu desiderassi davvero la fede quanto in quei giorni  io desideravo l'ossigeno, il respiro, in poco tempo riceveresti una fede da gigante."

Continuo a prendere il caffè con voi e chiacchierare.

Nelle giornate e notti in cui ero in camera di rianimazione, mentre ero legato ai monitor, alle  flebo, all'ossigeno, ricordo con fatica che l'ossigeno non arrivava più ad irrorare il cervello (era  una sensazione fisica) e l'infezione ai polmoni e all'esofago complicavano il tutto, ero assillato  dal pensiero di quei 5000 colpiti da malaria che lottavano come me, ma molti in villaggi senza  medicine adatte, senza una ragionevole assistenza medica, senza nemmeno un ventilatore per  facilitare la respirazione. È per questo che vi invito a pregare per i malati poveri senza  assistenza e medicinali. È questa una preghiera che dovrebbe diventare più costante nella  nostra vita. Dico questo perché riconosco che la preghiera è in definitiva la miglior medicina e  io mi sono sentito sostenuto dalle vostre preghiere forse come non mai.

Sia chiaro e bisogna pur dirlo che Dio non abbandona coloro per i quali nessuno prega, anzi è  certo altrettanto vicino a loro e forse con preferenza, ma accetta anche che la nostra  intercessione venga esaudita per farci sentire la sua presenza e il suo intervento nella storia e  ancora il valore della preghiera stessa.

Continuando a chiacchierare vi dico anche che dal giorno in cui ho ricevuto il sacramento  dell'unzione degli infermi ho veramente iniziato a migliorare e ho iniziato a pensare che forse  ce l'avrei fatta.

Il Signore in quell' occasione mi ha regalato una riflessione che mi ha molto aiutato: "Se  accanto a me c'è il miglior Medico del mondo che sa di quali medicine ho bisogno e Lui le ha  tutte e se non bastasse sarebbe disposto anche a fare miracoli e questo Medico mi vuole un  bene senza fine, perché avere paura? Se mi permette della sofferenza è solo perché questo  è bene per me ed è solo Grazia" (questo non è fatalismo). E così ho cominciato ad essere  molto più sereno, anche se la malattia doveva fare il suo decorso e non sono stato risparmiato  da una paura che però è legittima, che è la paura della sofferenza.

Ora, mentre scrivo, sto certamente meglio e la malaria diventata cronica mi dovrà far prendere dovute precauzioni per evitare regioni altamente malariche. La malattia mi ha poi lasciato un Peribronchitismo (COAD) diventato cronico in 15 giorni.  Qualcuno dice che si può guarire in tre mesi, qualcuno in tre anni. Lasciamo fare alla  provvidenza con serenità.

In quei giorni di febbre, mentre le normali medicine non reagivano  più, è stata usata come ultimo tentativo una overdose di Clorochina e come vedete sono  sopravvissuto. In coma sono stato poche ore, ma in coma parziale 15 giorni, di cui ho vaghi ricordi.

La pulsazione del cuore è arrivata a 32 battiti al minuto e la sensazione di non farcela era  evidente. Il tutto poi è tornato relativamente normale. Mi ha lasciato il fegato e il cuore un  poco ingrossati, i polmoni con il COAD. Fortunatamente tutti gli esami cerebrali sono risultati  negativi (peccato che il mio cervello non sia migliorato, ma non lo pretendevo). In conclusione  dovrò parlare di meno, camminare più adagio e magari pregare di più.

Se riuscirò a realizzare questo ultimo desiderio ringrazierò ancora di più il buon Dio per avermi permesso questa  esperienza. È vero che in questa storia ho anche le mie colpe che riconosco: nelle tre settimane  che hanno preceduto la malattia avevo viaggiato per oltre 230 ore in treno e questo è  imprudente, però il lavoro c'era e io ero perfettamente in forma, per questo ho esagerato. Ma  adesso compiendo 60 anni a dicembre assicuro che sarò più prudente.

Ancora due brevi  riflessioni prima di finire la "predica"

Il mio è un invito a prepararci a ringraziare per quel grande giorno quando si aprirà il Sipario  non per la rappresentazione, ma per la "Presentazione, la Rivelazione della Gloria". La nostra vita è questa mezz'ora di attesa in questo speciale Teatro di fronte al Sipario della  Gloria e come dovremmo essere insofferenti per l'attesa che si apra..

Mentre pensavo che il Sipario si poteva aprire sono riuscito a farmi dare un pezzo di carta che  sto decifrando a fatica. Ero in semicoma, difatti non ricordo quel momento, ma mi è stato  riferito.

Sul foglio c'é scritto: "Se fosse il tempo dell'ultima chiamata voglio ancora scrivere CRAZIE, Gesù e Maria, Grazie  per le infinite grazie concessemi. Solo grazie per tutto e per sempre" e mi ha fatto del bene al cuore rileggerlo.

Un secondo motivo di gioia per prepararci a quella festa è il seguente: Sembra che Michelangelo per scolpire la bellissima statua della "Pietà" abbia lavorato per due  anni.. All'inizio le martellate su quel marmo, penso io, saranno state abbastanza facili e ci si poteva  permettere anche qualche disattenzione. Era facile anche correggere le martellate distratte, ma man  mano che la statua prendeva fisionomia le martellate certo si facevano più attente. Negli ultimi  mesi non ci si poteva permettere nessun tipo di errore. E così è la nostra vita.

Michelangelo in quei due anni quale desiderio poteva avere se non quello di vedere l'opera  terminata? Arrivare all'ultima levigatura? Le ultime settimane non potevano che riempirlo di  gioia nel vedere ormai il lavoro finito. Certo la fatica, l'attenzione, il timore di sbagliare  aumentavano per certi aspetti, ma anche l'attesa: così dovrebbe essere per noi...

"Sorella  morte", così la chiama Francesco, è anche questo: la "Statua" finita o ogni lavoro compiuto da offrire nelle mani del Padre..

In questi mesi non  potevo che fare questo tipo di riflessione che ho condiviso con voi. E in ogni caso vi assicuro che sostare in preghiera di fronte al Sipario in attesa che si apra è una  grande Grazia.

Mi sembra che Natale sia questo Gesù che scende tra la platea a spiegarci già che cosa  contempleremo oltre il Sipario. 

Vi auguro un Natale santo  

Don Renato 

P.S. In questi giorni io sto "lavorando" di meno, ma sto vicino a chi lavora di più. I miei  collaboratori si sono molto responsabilizzati, per questo penso di poter dire che i vostri progetti  che state sponsorizzando stanno andando avanti bene.

Lo "Tsunami" del Bangladesh

marzo 2005 

Dopo che i mass media hanno ampiamente documentato il maremoto Tsunami e dopo che ormai si è quasi dimenticato il tutto, ho preferito riesumare qualche pagina scritta l'estate scorsa (8 mesi fa) in seguito all'alluvione annuale avvenuta in Bangladesh.

Se confronterete le cifre con altre calamità naturali potrete costatare che sono molto ridotte: esse si riferiscono a una regione di 26.000 km2 e non a un maremoto come lo Tsunami che colpì regioni dell'India, Sri Lanka, Tailandia e Indonesia.

Essendo però un fatto non dico quotidiano, ma annuale, merita la pena guardarlo in faccia. Ecco il testo che avevo abbozzato: 

"Arrivando in Bangladesh nel luglio 2004, ho avuto la stessa impressione che ebbi 7 anni fa nello stesso periodo: dall'aereo vidi solo acqua e un'infinità di isolette minuscole senza comunicazione, case e alberi sommersi.

Uscito dall'aeroporto sotto la pioggia e mettendo poco dopo i piedi nel fango, mi sono reso conto di che cosa significava l'ultima alluvione. Dal '45 è una delle più gravi (dopo quella del 1950, 1988, 1998). Oggi molte case sono in mattoni, figuriamoci se le case fossero state gran parte in fango come qualche decennio fa. In questi giorni le cifre delle statistiche riguardanti la calamità sono salite all'inverosimile.

L'alluvione non è una bomba che scoppia improvvisamente, per cui le persone generalmente hanno tempo a mettersi in salvo. Nonostante questo, 480 persone sono morte perché sorprese dall'acqua mentre cercavano scampo.

Saranno molti di più i morti a causa di malattie nei prossimi giorni. Nelle sole 24 ore del 31 luglio sono stati registrati 6.338 casi di gastroenterite (814 nella sola capitale) che, aggiunti a quelli degli ultimi 15 giorni, hanno raggiunto i 46.899

Le persone colpite da malattia sono generalmente denutrite e per salvarsi anche solo da una diarrea hanno bisogno di un trattamento particolare. Le comunicazioni per soccorsi sono difficili a causa della pioggia torrenziale.

Sempre il 31 luglio la caduta dell'acqua è stata di 23 mm a Sheola, 33 mm a Kushtia, 45 mm a Durgapur e 82 mm a Sylhet.

Le famiglie colpite dalla calamità sono oltre 6 milioni per un totale di oltre 31 milioni di persone. Essere vittime di un'alluvione non significa solo malattia, ma isolamento dagli altri centri urbani e mancanza di cibo.

Vedere poi crollare la propria casa (155.142 case per lo più in fango si sono accasciate su se stesse) o vederle crollare in parte (28.893 case irrecuperabilmente danneggiate), è ciò che gli occhi dei Bangladesi si sono abituati a vedere.

Alluvione vuol dire ancora veder distrutto il proprio raccolto nei campi (oltre 13 milioni di ettari completamente distrutti).

L'alluvione di luglio in Bangladesh vuol dire ancora oltre 13.000 capi di bestiame annegati, 12.320 km di strade distrutte e 38.751 Km di strade gravemente danneggiate, che spesso continueranno a rimanere in quella situazione per lungo tempo.

Si aggiungono a queste cifre oltre 1000 scuole (non in fango) crollate e circa 3000 Km di dighe-argini con 5000 ponti in cemento o tralicci di ferro completamente distrutti.

Attualmente (inizio agosto) un milione e mezzo di persone sono provvisoriamente rifugiate in 5.036 centri (costruzioni solide di diverse istituzioni).

Mancano poi acqua potabile, medicine, elettricità.

Gli unici ad avere pochi problemi sono i miei amici jajabor (zingari) che, vivendo in tende, appena avvertito il pericolo si sono spostati in un luogo qualche metro più alto; oppure coloro che vivono in case galleggianti, i quali in questi giorni si danno da fare a soccorrere gli altri.

Essi non fanno questo lavoro da eroi, ma quasi giocando, solo perché è bello poter aiutare gli altri.

A differenza di loro i politici sono preoccupati non nell'aiutare, ma nel farsi vedere mentre distribuiscono viveri. Offrono qualche chilo di riso o qualche capo di vestiario, poi subito di corsa in un altro posto per farsi fotografare con un altro gruppo, e così fanno dell'alluvione una buona campagna elettorale. 

Quando si dice che Venezia sarà la prima città ad immergersi nel mare o il Bangladesh il primo stato a sparire se non ci preoccupiamo del nostro pianeta, potremmo riflettere un poco di più su queste calamità.

Questa alluvione si è estesa anche all'India, alla Cina e al Giappone. È un sintomo del nostro pianeta malato?

Possiamo fare qualcosa?

Sì. Fumare di meno, piantare qualche albero in più, tagliarne di meno, utilizzare di più i mezzi pubblici e buttare meno ossido di carbonio in strada; in una parola rispettare di più il nostro pianeta se non lo vogliamo perdere".

Testo della prima settimana di agosto 2004. 

E' bene sottolineare che se ho parlato di un'alluvione che si ripete ogni anno e lascia conseguenze per 365 giorni all'anno è solo per dire che il feriale, il "tutti i giorni" dell'Asia e di questo Terzo Mondo (ormai lo chiamiamo così), non è molto visibile, non commuove più nessuno, ma è un bagaglio di sofferenza di dimensioni inimmaginabili.

Non dimentichiamoci che i bambini che muoiono a causa della fame ogni giorno sono molti di più dei bambini morti nello Tsunami ; fortunatamente di questa calamità si e parlato molto e spero che questo abbia affinato la nostra sensibilità. Non dico che lo Tsunami non è importante, ma che bisogna pensare ad esso senza tralasciare di pensare allo Tsunami di tutti i giorni, che si scatena sulle coste dei mari, nei fiumi, nei villaggi e città dell'Africa, Asia, America Latina, tutti i giorni, dico tutti i giorni. 

Amici carissimi, vi desidero una Santa Pasqua.

Don Renato  

2004

Raccontiamoci storie d'Amore

Dicembre 2004 

Cari Amici, 

si avvicina il compleanno di Gesù. Le nostre riflessioni e azioni possono diventare più profonde proprio perché cominciamo a respirare l'aria di Betlemme.

Raccontiamoci storie d'amore, sono le uniche che fanno bene al cuore. 

Sono passato da poco in Jarkan e nel piccolo villaggio di Shantal: sessantaquattro persone si erano ammalate di malaria celebrale e kalajar, due brutte malattie generalmente mortali. Negli ultimi due mesi quarantadue tra bambini e adulti erano già morti e ventidue stavano disperatamente lottando per sopravvivere e là tre suore di Sant'Anna (congregazione indiana) correvano da una famiglia all'altra con iniezioni e medicine varie, tentando di salvarne qualcuno. Quel luogo di missione é ad alto rischio di vita, ma le suore sono là e non lasciano soli i loro pazienti. 

Nella stessa regione, lo scorso anno, due sacerdoti giovani sono morti per la stessa malattia.

Le zanzare non guardano in faccia a nessuno, ma per fortuna ci sono cristiani che non guardano in faccia nemmeno le zanzare della malaria celebrale e vanno avanti nella loro missione. 

Mi sono poi fermato a Madurai, dove vivono duecento famiglie di zingari, molto poveri. Essi non sanno fare particolari lavori produttivi e per dare da mangiare ai propri figli si flagellano in pubblico e con un rasoio si tagliano quattro o cinque volte su un braccio e mentre il sangue esce chiedono un po' di soldi alla gente, che riceve per questo una speciale benedizione. E' come dire: "io prego per te" oppure "io do un po' del mio sangue a Dio per te, perché Dio li benedica e tu dammi qualcosa da mangiare per me e per i miei figli". Le donne percuotono i tamburi, mentre i mariti o figli fanno questo rituale che ripetono due o tre volte la settimana. 

In ciascuno di noi c'è una gran voglia di vivere e di far vivere i "propri figli".

Nella stessa periferia c'è una famiglia di zingari indiani, i quali hanno avuto la fortuna di andare a scuola e sono diventati insegnanti. Quattro anni fa volendo fare qualcosa per il loro gruppo, hanno adottato trenta bambini tra i loro parenti e hanno iniziato ad offrire migliore alimentazione, salute e specialmente scuola. La gelosia di alcuni vicini ha messo a fuoco la bella casa in bambù, costringendoli a testa bassa a lasciare il villaggio dopo aver riportato i bambini alle rispettive famiglie. Dopo due anni di vita in un appartamento affittato, essi vogliono tornare con il gruppo. Hanno adottato solo cinque bambini che si sono aggiunti ai loro due. I bambini accolti nella nuova famiglia sono orfani e di fatto senza famiglia. Maria Maheshwari ha già lasciato il lavoro per fare la mamma a tempo pieno, il marito Rajangam continuerà a fare l'insegnante e sostenere la famiglia ingrandita. E' il regalo che si sono fatti per Natale. 

Intanto, mentre questi preparavano la loro nuova capanna, in Italia, una coppia di sposi astigiani con due figli, al momento di acquistare un alloggio più grande con la stanza per i bambini, hanno preferito dividere il loro alloggio e ricavare una stanza dalla cucina e dal corridoio. Cosi hanno solidarizzato con Maria e Rajangan e hanno fatto adozione a distanza dei nuovi cinque bambini che si sono aggiunti a quella famiglia. Adesso le due famiglie, una ad Asti e l'altra a Madurai in India viaggeranno in tandem con i loro figli, figli adottati e figli adottati a distanza. 

Un ultimo regalo di Natale. 

La famiglia Bent ha continuato a lottare e sperare quando per la loro bambina non c'erano più speranze: un tumore aveva compresso il cervello fin dalla nascita. I medici hanno ripetuto per trentadue volte: "Se volete tentiamo un "altra operazione In sei anni trentadue interventi chirurgici al cervello. E' stata finalmente dichiarata: "fuori pericolo". Che Natale! 

I regali fatti tra i genitori e figli di cui ho parlato, siano uno stimolo e un augurio, se abbiamo bisogno una spinta per deciderci a partire. 

Don Renato

Uova di Pasqua

aprile 2004 

Cari amici,

in questa vigilia di Pasqua non vorrei parlare di guerre, né di fame né di altri grandi problemi dell'Oriente e Sud del Mondo, anche se non li potremo dimenticare nemmeno il giorno di Pasqua. Gesù risorto, infatti, mostra ai suoi amici i segni delle ferite per ricordare che quelle non si possono mai dimenticare.

In alternativa vorrei spendere un minuto a parlare di quell'oggetto che in questi giorni è negli occhi di tutti: l'uovo diventato simbolo della Pasqua. Esso ha raggiunto tutti gli angoli del mercato presentandosi nelle forme più originali, più colorate e di ogni dimensione. A dire il vero preferisco di gran lunga le uova vere, colorate e confezionate dai bambini nella scuola e regalate poi ai genitori, ai nonni o a grandi amici.

L'uovo è certamente uno dei  più preziosi simboli della vita perché dopo essere stato fecondato e messo a covare per un numero di giorni o dopo essersi dilatato nel corpo della madre per lunghi mesi ecco l'incanto di una nascita. Poco tempo dopo, se è un uccellino comincerà a volare, se è un pesce a fare le sue prime “nuotate” e se è un bambino qualche tempo più tardi farà i primi passi. È così che con tante storie diverse  l'uovo è diventato simbolo della vita e della Risurrezione.

Da parte mia vi ripropongo quella storia raccontata molti secoli fa in Oriente e editata poi con tante varianti che molti di voi conoscono.

“Un uovo di aquila era stato deposto in un nido con le uova di una gallina. La chioccia li covò e tutti si schiusero. Uno per la verità era un poco diverso, infatti era figlio di un'aquila. La chioccia insegnò a tutti a razzolare nel cortile: era tutto ciò che sapeva. Il figlio di aquila pur irrobustendo le ali per il volo, i suoi artigli e il becco per la caccia, non si alzò mai un metro da terra, pensando di essere una gallina”

Se a uno sono stati dati due talenti, il buon Dio non ne pretenderà più di quattro e se a un altro ne sono stati dati cinque non ne chiederà più di dieci , ma gai se avendone ricevuti cento non ne porterai almeno il doppio. È bene specialmente per un giovane, fermarsi qualche volta a pensare: "che cosa sono?". Nulla di male se sono un passerotto, un cardellino o una gallina, ma guai se Dio mi ha dato le ali di un'aquila e io mi accontento di razzolare in un cortile.

Se Francesco d'Assisi non si fosse accorto in tempo di essere un'aquila sarebbe rimasto un mediocre per tutta la vita e tutti i suoi preziosi talenti sarebbero andati sprecati.  Se Santa Chiara della stessa città dopo aver iniziato la vita in un convento come migliaia di altre suore, non si fosse accorta in tempo di essere un'aquila sarebbe  rimasta per tutta la vita una mediocre povera donna. Teresina del Bambino Gesù capì che poteva essere una grande missionaria nel suo convento pregando, offrendo, perdonando e amando e lo capì proprio quando si rese conto che non era un a gallina ma un'aquila.

Buona Pasqua 2004!

Gesù è già in cima al Monte; Lui, la grande Aquila e aspetta che anche noi ci decidiamo a spiccare il volo.

Don Renato Rosso

2003 

Il mio presepio

Novembre 2003 

in questo mese vi voglio parlare un poco del mio presepio: esso occupa uno spazio molto ampio e mi ci vuole un momento per dirvi almeno qualcosa circa i personaggi che lo compongono.

All'ingresso c'è un'ampia cava di pietre: 38 bambini lavorano là con molte delle loro mamme  Essi spaccano grosse pietre per 12 ore al giorno al prezzo di mezzo euro alla giornata. Qualche tempo fa essi erano figli di re o meglio persone che vivevano da re: erano i  famosi  Banjara  (probabilmente  cugini  dei  nostri  zingari europei). Essi si spostavano in carovane di 3000 (tremila) fino a 5000 carri trainati da bufali e cammelli o cavalli e trasportavano i beni di commercio da un regno all' altro.

Oggi grandi strade offrono ai camion la possibilità di sostituire i  carovanieri,  che nel  frattempo sono diventati  mendicanti  o schiavi in gran numero

Nei presepio ho messo solo questi 38, ma in India ce ne sono altri tre milioni che fanno lavori simili.

Sulla destra, lungo il binario di una stazione ferroviaria, ci sono una decina di "Rag  Pickers", raccoglitori di cose varie, specialmente oggetti di plastica, che buttano in un enorme sacco più grande di loro: gli oggetti possono essere buste,  cordicelle, bicchieri , bottiglie. I luoghi dove questi  bambini si muovono di più sono appunto stazioni , centri commerci ali e luoghi di raccolta di immondizia.

La settimana scorsa, nella stazione di corriere di Indore, ho trovato due di questi piccoli con meno di cinque anni  Adesso una suora cerca di portarli fuori dalla strada , ma è un lavoro non semplice.

Nel presepio ci sono pure due giovani ragazzi che da poco hanno finito gli studi e hanno raccolto in un capannone 60 di questi bambini di strada, senza più legami con la famiglia; hanno poi aggiunto a questi una trentina dì bambini ammalati dalla nascita, per lo più mongoloidi , e fanno famiglia tutti insieme.

Questi due giovani non accettano soldi da stranieri e nemmeno da Agenzie di aiuto, ma accettano solo la provvIdenza dei poveri che vogliono condividere con altri poveri.

I due ragazzi del presepio non sono religiosi ma, per fortuna, cristiani.

Su una collina del presepio ci sono circa duecento giovanissimi scalpellini che stanno terminando un tempio indù. Tra i tredici e i quindici anni diventano professionisti e ogni martellata sul marmo è di una sicurezza assoluta. Per intere giornate scolpiscono capitelli, statue di tutte le dimensioni, colonnine, travicelli. Ogni parte del tempio è precostruita in migliaia di pezzi scolpiti ,            che poi vengono semplicemente incastonati uno nell'altro.

Alcuni di questi ragazzi hanno frequentato almeno qualche anno di scuola elementare, ma hanno dovuto iniziare presto il lavoro per acquistare prima la manualità professionale.

Ho poi messo quasi sullo sfondo alcuni villaggi senza bambini: sono stati letteralmente comprati per la prostituzione a Bombay, Delhi e Calcutta.

Annoto qui che il 40% della prostituzione professionale in India è fatta da minori e 15%  sotto i 15 anni. E il 40% dei minori riscattati negli ultimi due anni da una Organizzazione sono HIV positivi.

C'è  poi  un  altro villaggio,  anche questo senza  bambini:  le famiglie di  Dalit miserabili  hanno venduto i loro figli ai proprietari terrieri. Se volete, si può dire che i Dalit hanno ricevuto del denaro in prestito (circa 60 euro) e hanno dato i figli in garanzia. In pochi anni, a causa di un interesse altissimo, nessuno è in grado di restituire denaro più interesse e riprendersi i figli. Questi bambini, diventati schiavi, devono lavorare nei campi fino a 15 ore al giorno. 

C'è poi una regione nel presepio tutta verde e c'è un numero senza fine di villaggi dove ci sono solo bambini. Durante sei sette mesi all'anno i genitori sono andati ad accamparsi alle periferie di Bhopal, Sagar,  Indore, Kota, Ahmedabad e là sono impiegati in lavori giornalieri di costruzioni.

I bambini nei loro villaggi provvedono a tutto: andare al pascolo, preparare il cibo, fare le pulizie, giocare e dormire.

Da qualche tempo alcuni vanno anche a scuola, o meglio la scuola va al pascolo con loro. 

Proprio dietro la grotta di Betlemme ho messo un cimitero e ho scelto quello di Madia vicino a Mysore. In esso, nel mese di settembre sono stati seppelliti oltre 200 uomini , donne e bambini, che a causa della secca si sono suicidati . Tra essi alcune intere famiglie e in questi casi i genitori hanno preferito non lasciare i loro figli soli

Durante la disperata attesa della pioggia, essi avevano preso in prestito denaro, sperando in un raccolto, anche se povero, ma le piccole piante di soia, lenticchie, riso, appena nate sono bruciate sotto il sole, mentre la pioggia non è proprio arrivata.

In casi come questi, la persona che si indebita a causa di alti interessi può solo sperare  nell'aiuto tempestivo di  parenti stretti o grandi amici perché, se aspettano, l'interesse diventa impossibile. In questo caso però familiari e amici erano tutti indebitati e non trovarono altra via di scampo. I creditori non lasciano sfuggire nessuno al loro controllo.

Alcune famiglie non trovano altra strada che "vendere" i figli, che possono essere ingaggiati nel commercio della prostituzione; questi però hanno preferito morire.

Proseguendo, dopo il cimitero di Madia potete vedere le 2500 donne che sono state "suicidate" dai mariti per non aver pagato la dote nel 2003. (Generalmente capita così: una corda al collo e subito un grido: "Mia moglie si è impiccata".).

Mi fermo qui.

Voi sapete che nel mio presepio ci sono ancora tanti altri personaggi, ma non posso continuare all'infinito.

Vi basti sapere che in questo paesaggio non ci sono solo fiumi di lacrime, ma anche di acqua fresca, con campi , alberi , fiori e frutti meravigliosi. Ancora nel mio presepio ci sono migliaia di famiglie serene, dove si lavora, si riposa, si prega e si fa festa;  i  bambini  giocano e vanno a scuola,  ma non sono la maggioranza. Per questo vi ho parlato di più degli altri.

Se voi volete vedere proprio il Bambino di Natale 2003, entrate in una qualunque dei milioni di capanne del mio presepio.

Il primo bambino che incontrerete è Lui, il Gesù che cercate. Adesso sapete che Lui è venuto a costruire la sua tenda, la sua capanna in mezzo a noi , ma fino a quando noi non decideremo di costruire anche la nostra capanna accanto alla sua, il presepio non sarà finito. 

Buon Natale     Don Renato Rosso 

P.S.  Questa nota è per coloro che l'anno scorso hanno voluto condividere con me la loro solidarietà. A voi dico che nel presepio ci sono anch'io presentando a Gesù i cinque pani e i due pesci che mi avete dato da portare ai bambini poveri dell'India e del Bangladesh.

Gesù li ha benedetti e sono stati sufficienti per mandare a scuola circa undicimila bambini e bambine: un bel regalo di Natale, vero? Per la vostra generosità Dio continua a benedirvi. 

Paura di una guerra

Marzo 2003 

Cari amici,

all’inizio di questa Quaresima c’è nel mondo una grande paura di guerra che potrebbe diventare realtà. (purtroppo divenuta triste realtà NDR)

Vorrei tanto dire a tutte le persone di buona volontà di continuare a fare azioni per la pace e a tutti i violenti vorrei dire di abbassare i fucili e di togliere le bombe dai loro cannoni, ma da un po’ di tempo mi sto interrogando su che cosa sto facendo io per la pace e con tutta sincerità vi dirò che non sono soddisfatto di me stesso.

Posso comprare una bandiera arcobaleno con la scritta Pace, sfilare in una manifestazione gridando slogan contro la guerra, fare un discorso, scrivere un articolo sulla pace, condurre una trasmissione radiofonica o televisiva, preparare un CD, dirigere un film o scrivere un libro per predicare con più forza NO alla guerra, SI' alla pace, ma tutto questo non mi dà pace.

Sento che dovrei fare di più.

Il solo fatto che bambini e adulti rischiano di essere distrutti mi scuote terribilmente, ma che fare?

Mi sento così impotente!

In qualche momento mi affiora la tentazione di desiderare un posto di prestigio nelle decisioni del mondo per poter coalizzare in favore della libertà, della giustizia e della pace, ma questi pensieri si sbriciolano tra le mie mani come semplice follia.

Poi penso alle vittime, a coloro che non hanno un luogo sicuro,  un bunker antinucleare, ma a chi ha solo una casa o nemmeno quella: i miei fratelli nomadi.

Quale prezzo hanno pagato i nomadi nella guerra del Golfo e poi in Afghanistan e ora potrebbe essere la volta degli Iracheni?!

E io solo mi lamento, mentre sento che Dio chiede azioni concrete per vincere la violenza nel mondo.

Ecco una risposta che abbozzo in punta di piedi.

Noi siamo di natura ancora molto istintivi come quando si viveva nella foresta.

Chi è morsicato istintivamente vuole mordere.

Facciamo ancora molta fatica a fare il primo passo nella misericordia, come era richiesto nell’Antico Testamento.

Le legge ebraica chiedeva infatti di non togliere più di un occhio a chi ne ha tolto solo uno a me, io invece istintivamente lo vorrei accecare o tagliare a pezzi.

Poi Gesù ci ha fatto scuola di pace. Egli ci ha parlato del Padre come di uno che abbraccia un figlio poco di buono, scappato di casa e pieno di peccati.

Gesù con la sfottente samaritana non perde la pazienza e sa che la deve amare così com’è.

Levi, un peccatore pubblico, lo chiama per essere suo apostolo e a chi tra gli apostoli aveva il difetto della cleptomania Gesù consegna i soldi della comunità.

Quando Gesù ha voluto dare un nome alla pace, quindi all’amore, lo ha chiamato PERDONO.

Gesù ha iniziato una nuova campagna contro la guerra.

La più grande manifestazione di tutti i tempi a favore della pace è la sua, sul Calvario, mentre continua a perdonare e amare i suoi carnefici.

Francesco d’Assisi, che ha tradotto nel linguaggio più attuale le parole di Gesù, in una lettera a un frate scrive: “Voglio conoscere se tu ami il Signore, se ti diporterai in questa maniera e cioè: che non ci sia alcuno al mondo che abbia peccato quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono se egli lo chiede, e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo ancora di più, proprio per questo…”

Questa è la guerra alla guerra.

Al giudizio finale saremo interrogati non se abbiamo amato i nostri amici, ma quanto abbiamo saputo amare chi può averci offeso.

Ho cercato nella mia memoria se avevo dei nemici. Ho trovato quattro persone: tre uomini e una donna che proprio davanti a miei occhi hanno offeso e tradito degli zingari, e per questo io mi ero sentito tradito e offeso.

Li avevo aggrediti per difendere la mia gente.

Istintivamente li avrei fulminati.

Non escludo che si possa punire la persona che si ama, ma bisogna sempre continuare ad amarla davvero.

All’inizio della Quaresima, quindi, con una fatica immensa, ho cercato di ricuperare queste persone nella mia amicizia. Ho subito programmato di andarle a trovare e portare qualche semplice regalo, come biscotti e caramelle ai loro bambini.

A uno dovrò cercare di offrire  nuovamente un lavoro, proprio perché ha tradito la mia fiducia.

Ferendomi, è diventato mio PROSSIMO e dovrebbe diventare mio prossimo privilegiato.

Prima avrei potuto interessarmi di lui oppure no, ma adesso mi devo occupare di lui proprio perché mi ha offeso.

Posso non occuparmi degli Esquimesi o dei Pigmei che non ho mai incontrato, ma non posso non ricostruire amicizia con queste quattro persone che indirettamente mi hanno offeso. 

Ecco, adesso anche voi sapete che cosa io farò in questa Quaresima per manifestare contro la guerra.      Don Renato    

2002

Razzismo: allarme dall'Asia 

Novembre 2002 

Questo non è un bilancio di fine anno visto dall’Asia, ma un allarme.

Premetto che in passato la Storia era raccontata attraverso le guerre e anch’io sono d’accordo che non sono le guerre a fare la storia, ma durante i conflitti gli uomini che fanno la storia vengono uccisi o uccidono.

Così anche quest’anno molta “Storia” è andata persa, perché molte migliaia di persone sono morte in conflitti.

Una delle grandi cause di conflitto all’inizio di questo secolo, sono gli stranieri, le minoranze in casa nostra.

Essi vengono trattati male, essi rispondono male; nascono le repressioni, le vendette, il razzismo e la nuova ideologia emergente di purificare la razza buona che è sempre la nostra per ciascuno.

L’Afghanistan si era comportato male, l’America peggio e così che cosa ha pagato in sofferenza e morte lo stesso Afghanistan nessuno lo saprà mai, ma non ci si è fermati qui.

Dopo il 28 febbraio u.s. in seguito ad un vagone di treno incendiato, dove c’erano Indù pellegrini, sono iniziate in Gujarath rappresaglie a non finire contro la minoranza musulmana.

Alcuni numeri danno la dimensione della tragedia.

Alcuni parlano di 2500 musulmani uccisi. Altri hanno parlato di “incontabili” i bruciati con le loro case.

Sull’autostrada da Vapl a Vadodara e di qui a Palampur, oltre 1150 hotels sono stati bruciati o distrutti, oltre 1000 camion, 4000 macchine e 20000 moto sono stati bruciati. Molte fabbriche danneggiate e 17 distrutte.

A lato dell’autostrada n. 8 il 90% di stabilimenti commerciali, negozi, capannoni è stato spazzato via.

Migliaia di case e condomini sono state arsi. Nelle grandi città come Ahmedabad, Rajkot, Vadodara, Surat, Bhavnagar, Junagadh, Palampur, Nadiad, Himmtnagar i danni sono incalcolabili in perdite di vite e di proprietà della minoranza musulmana.

Questi pochi esempi di un vero e proprio genocidio non devono farci puntare il dito su questi o quelli cattivi più degli altri, ma ci devono far meditare su una nuova cultura fascista emergente. La minoranza è un disturbo sociale e deve essere eliminata o almeno rimossa.

In India gli Indù vorrebbero spazzare via tutti i musulmani (che sono minoranza), ma in Bangladesh i musulmani vorrebbero buttar via la minoranza Indù. 

In Europa e in America capita la stessa cosa.

In Francia J. M. Le Pen afferma che la grande disgrazia francese sono gli immigrati del Nord Africa e Asia che avrebbero occupato il 20% del lavoro ai francesi che sarebbero rimasti disoccupati (senza dire che molti di questi lavori i francesi non li vogliono proprio fare).

Lo stesso dichiara che se sarà eletto Presidente deporterà tutti gli stranieri fuori dalla Francia.

In Danimarca la Pia Kjaersgaard leader del D.P.P. vuole salvare il paese dagli immigrati rimpatriandoli tutti entro il 2010.

In Germania Ronald Schill leader del German Far Right Party grida che se non si buttano via dal paese Africani e Turchi la Germania diventerà presto un paese del terzo mondo.

In Inghilterra il capo del partito B.N.P. predica: “l’ultimatum da raggiungere è una società tutta bianca”.

In Belgio Filippo del D.V.B.P. e in Norvegia Carlo del H.P.P. predicano lo stesso vangelo.

In Italia non è mancato il politico che ha proclamato: “Gli immigrati sono musulmani invasori e criminali comuni del terzo mondo”.

Bush con la sua guerra al terrorismo, è sulla stessa linea: la soluzione per lui è mandare gli immigrati al loro paese d’origine. 

Dobbiamo metterci in guardia perché il partito di Hitler di settant’anni fa predicava le stesse cose contro gli ebrei e zingari e di fatto ha poi cercato di mandarli via dal territorio tedesco, ma facendoli passare per i camini dei campi di concentramento. 

Parlo di questo non per far puntare il dito verso gli Indù che hanno perpetrato un genocidio in Gujarath o contro i musulmani in Bangladesh o gli europei, ma per riflettere sul razzismo come malattia umana.

Anche i più pacifisti possono diventare razzisti e violenti come ci ha dimostrato ultimamente l’India.

Anche i più tolleranti possono diventare intolleranti.

Nella città di Hyderabad c’è un monumento che sopra i suoi ampi archi sorregge una grandiosa moschea con 4 minareti che dal tetto si alzano alti 24 metri. La costruzione del re musulmano M. Q. Q. Shah del 1591 ospita in un angolo un bel tempietto Indù.

Pur essendo stato fatto dopo, quanti anni di tolleranza!

E adesso si fa fatica. 

Saluti a tutti  

Don Renato Rosso 

Scuole cristiane in India

Ottobre 2002 

Quest’anno in India abbiamo una ragione in più per rallegrarci.

I cristiani nel sub-continente indiano sono propri una piccola minoranza numerica. Non siamo più di venti milioni tra cattolici e protestanti, su una popolazione che supera il miliardo.

In ogni caso i cristiani non sono poi così invisibili e l’impatto nella società indiana non è indifferente.

Le scuole cristiane sono apprezzate da tutti e anche coloro che fanno parte  di associazioni o partiti anticristiani spesso mandano i loro figli nelle scuole cristiani, perché ne riconoscono la serietà.

La persona comunque che ha predicato con più profezia il signore Gesù Cristo e lo ha predicato nel dialogo e in un modo tutto speciale con la carità, rivolgendosi, insieme al suo esercito di suore, a tutte le categorie di emarginati poveri dell’India, coloro che non valevano nulla per la società, coloro che in una parola dovevano solo morire; questa figura che ha tradotto così bene cos’è il cristianesimo oggi, ha incantato l’India.

E’ stata fatta un’inchiesta per capire chi sono le persone che in questi 55 anni di Indipendenza indiana hanno dato il maggior contributo alla Nazione. Anche i giornali che preferiscono non parlare dei Cristiani se non possono parlarne male, hanno dovuto pubblicare il risultato. La persona dell’Indipendenza indiana, quella che ha dato il maggior contributo alla Nazione secondo i cinquantamila indiani che hanno risposto, è una suora: Madre Teresa.

Al secondo posto Nheru, considerato il padre della patria, che ha guidato la Nazione negli anni difficili appena ottenuta l’indipendenza.

Mahatma Ghandi non entrava nell’inchiesta, perché prima dell’Indipendenza stessa, anche se ne è stato l’artefice.

Si può concludere che il ventesimo secolo ha avuto due grandi nomi in India: nella prima metà Ghandi, nella seconda metà Madre Teresa.

Le reti vuote  

Settembre 2002

(dedico queste righe di settembre ai bambini delle elementari miei carissimi amici) 

Quando mi si chiede come vengono sovvenzionate le scuolette dei nomadi, dico che vengono adottate dai miei amici e da aiuti vari, ma sempre molto personalizzati.

Qualche volta mi è capitato di citare tra i miei benefattori tre giovanissimi che si sono appassionati alla missione (un bambino di sei anni, una bambina di otto e una bambina rumena di undici): avevano dipinto bottiglie e oggetti vari, preparato collane e diversi lavori di artigianato e infine avevano allestito una banco alla fiera del mio paese totalizzando 350 euro per aiutare i bambini del Bangladesh ad andare a scuola.

Da quest’anno devo aggiungere un benefattore particolarmente originale: è un cane.

Una famiglia di amici che vive sulle belle colline dell’albese voleva contribuire alle scuolette e, preparato un salvadanaio, cominciarono a pensare come poterlo riempire. Poiché i soldi non cadono dal cielo ma si sudano sulla terra, hanno pensato che all’epoca dei tartufi, avendo un cane molto bravo, avrebbero potuto di tanto in tanto mettere qualcosa per le scuole. L’epoca è arrivata, ma i tartufi erano rarissimi. Vennero alla decisione che metà del ricavato dei tartufi sarebbe andato nel salvadanaio,  ma la stagione proprio non favoriva. Decisero infine che tutto il ricavato del cane Bill e del suo padrone sarebbe andato in Bangladesh.

Si vede che gli angeli custodi dei bambini bengalesi hanno intercettato la proposta e si son dati da fare con i colleghi del cielo.

Non si trovavano tartufi in quella vasta regione, ma Bill cominciò a trovare almeno un paio di tartufi al giorno, diventati oltretutto molto più preziosi. Ai miei amici sarà pur venuto in mente di smettere la promessa, ma avranno temuto (con un pizzico di superstizione) di non trovare più tartufi.

Così Bill è riuscito a pagare due insegnanti per un intero anno ai bambini nomadi bengalesi.

La conclusione è che anche un cane può diventare missionario.

Un monastero di barboni

Agosto 2002 

Anche quando sto fuori per poche settimane l’impatto del rientro è sempre forte. Questo mi dice che è importante di tanto in tanto lo stacco della realtà in cui si è immersi ventiquattr’ore al giorno per essere capaci di continuare a vedere il bello e il brutto che ci circonda. Io poi ne ho particolarmente bisogno, perché ho una gran paura di lasciar pietrificare il mio cuore per il ripetuto spettacolo della sofferenza altrui.

Vedi l’ala di un corvo spezzata, un cane morto a lato della strada, un bambino con la gamba rotta appena fasciata con una benda, una madre con alcuni bambini e lei è visibilmente malata, i ciechi che chiedono l’elemosina, un lebbroso che canta vicino al suo piattino con il gatto che, mentre dorme, lo difende dai topi che potrebbero rosicchiarlo in quanto i suoi piedi e le mani sono diventati insensibili.

Specialmente nelle città trovi malati mentali che hanno cancellato tutto dalla loro mente, si sono persi, non chiedono nemmeno più l’elemosina, raccolgono qualcosa tra le immondizie, vestono gli stessi abiti per lungo tempo, spesso impregnati di urina, sudore, feci. Queste creature hanno solo più gli occhi.

Poi ci sono i poveri “normali”, che non mostrano più di tanto la loro miseria, fatta di mancanza di cibo, di medicinali, di istruzione, degli elementari diritti umani.

E ci sono anche coloro che non si accorgono degli altri, anche questi sono poveri, anzi i più poveri di tutti.

Ci sono poi alcuni che non hanno ancora pietrificato il cuore e si danno da fare nel modo in cui sono capaci, e questo è molto bello.

Camminando quindi tra poveri e chi si occupa di loro, ho incontrato una realtà molto nuova che riguarda dei nomadi particolari: sono coloro che hanno perso tutto, casa, famiglia, gruppo o tribù di appartenenza, camminano senza saper più dove andare, sono simili ai “barboni” in Italia. Ebbene, fortunatamente qualcuno ha iniziato ad occuparsi di loro, sono accolti in comunità. Hanno imparato a pregare. Hanno scoperto che Qualcuno li ama ed essi possono amare questo Qualcuno che è Gesù Cristo. E le comunità degli ultimi sono diventate dei veri e proprio monasteri con l’Eucarestia esposta e adorata ventiquattr’ore al giorno.

Riuscite ad immaginare un monastero di “barboni”!?

Sto scrivendo da una di queste comunità che sto incoraggiando con tutte le mie forze.

Ancora un particolare di queste comunità è che vivono di provvidenza, ma non ricevono aiuti da agenzie di stranieri, perché la stessa società che li ha buttati via si deve prendere carico di loro.

Padre George (a cui è capitato un fatto simile a quello delle api) qualche tempo fa era stato a Bharatpur in Rajasthan, dove c’era un istituto di ornitologia con diversi ricercatori che raccoglievano con grandi reti gli uccelli migrati dalla Siberia. Essi venivano pesati e studiati sotto tutti gli aspetti. Venivano loro somministrati medicinali e, dice padre George, che l’amore e la cura per questi uccelli era genuina e personale e che a ciascuno era dato un nome, poi numerato, e sia la cartella clinica che i documenti di identità e gli allegati vari erano raccolti in altrettante cartelle spedite ai colleghi ricercatori siberiani, che a loro volta contraccambiavano con lo stesso servizio.

Padre George ha ricevuto una grazia:  ha iniziato a pensare alle migliaia di persone create a immagine di Dio, che valgono più di molti passeri, e sono abbandonate a sé stesse.

Da questa grazia sono nate le Comunità dell’Eucarestia che io chiamo i monasteri dei “barboni”

Nomadi bengalesi e api italiane 

luglio 2002 

Ripassando in Italia, quest’anno un episodio mi ha molto fatto pensare: non è un avvenimento politico, né sociale, né religioso, riguarda semplicemente delle api.

Una famiglia era rientrata al paese per le ferie estive, ma appena entrati si resero conto che la casa era stata occupata non da manifestanti sindacali, ma da una grande famiglia di api che aveva posto il suo quartier generale proprio sopra la porta di ingresso.

L’alveare era tutto chiuso e lo si intravedeva solo da una fessura nel cassettone là in alto.

Prima gli sfortunati inquilini hanno riparato dai parenti, poi hanno avvisato un apicoltore della zona che consigliò due altri veri professionisti del lavoro. Anche questi, fatto un sopralluogo, conclusero che bisognava uccidere le api per evitare gravi rischi, ma le api sono animali protetti, e allora?

Intanto si avvisò il sindaco che già aveva avuto notizia nella mattinata. Andarono poi nella caserma dei carabinieri, ma questi non potevano dare autorizzazioni. La questura intanto ha fatto fare un sopralluogo e nessuno voleva prendersi una responsabilità di liberare la casa e condannare le api.

Pure una macchina con due vigili del fuoco erano venuti a vedere se potevano intervenire.

Era tempo di ferie così il caso non andò sul giornale, ma mi ha fatto riflettere molto: i miei nomadi bengalesi e le cari api italiane.

Esse avevano interessato apicoltori, sindaco, consiglieri, carabinieri, pompieri e questura e la mia gente non interessa nessuno: essi possono vivere o crepare e nessuno trova motivo di difenderli. Le api potevano vantare di avere una regina con loro, ma erano pur sempre insetti. La mia gente sarà stracciata, barboni o mendicanti, ma sono pur sempre figli di Dio.

E così queste api continuano a ronzarmi nelle orecchie e nel cuore

Scuole per gli zingari

Gennaio 2002 

     Poiché qualcuno mi ha chiesto informazioni sulle scuole per gli zingari, in questa pagina dico qualcosa sui due ultimi progetti: il primo riguarda le scuole mobili dei Jajabor in Bangladesh.

     Oltre alle scuole semi residenziali quest'anno si aggiungeranno 11 scuolette mobili alle 13 dello scorso anno: 24 insegnanti in movimento.

     Durante il periodo di unione tra Bangladesh e Pakistan alcuni bambini erano riusciti ad andare a scuola per alcuni anni stando da dei parenti. Questi, diventati adulti, sono stati riconosciuti capi delle comunità viaggianti. Sono stati scelti questi per insegnare ai bambini dei loro gruppi. Essi hanno il carisma dell' autorità e simpatia del gruppo, ma non sarebbero insegnanti specializzati.

     Per questo ogni mese si riuniscono a Dhaka e a Bharishal per organizzare il mese e 4 insegnanti d'appoggio molto ben preparati si affiancano ad essi.

Ogni insegnante d'appoggio passa 5 giorni con ogni gruppo convivendo con loro e facendo diventare scuola tutta la giornata, intervallando matematica, bengalese, storia, canto, danza, ginnastica, disegno, gioco, ecc.

     ln questi giorni si insegna non solo ai bambini, ma specialmente all'insegnante del gruppo che ha meno esperienza.

Ogni due mesi l'insegnante d'appoggio passa 5 giorni con lo stesso gruppo e verifica anche il lavoro fatto dall'insegnante e dagli scolari nei due mesi precedenti.

     Ora accenno brevemente all'ultimo progetto in India.

..." Sono sulle colline di Thandla con un gruppo di nomadi pastori o piu' precisamente pastori lo sono solo i bambini. Premetto che questi pastori appartengono al gruppo tribale dei Bhills che vivono in quest'area in villaggi dove coltivano qualche pezzo di terra per un periodo di cinque o sei mesi dopo di che le famiglie generalmente vanno ad accamparsi nella periferia di città in cerca di lavori stagionali.

     Qualche bambino va alla scuola statale, ma uno per famiglia è impegnato a pascolare bovini e capre senza possibilità di andare a scuola né di seguire i genitori nei sette mesi quando questi si accampano nelle città distanti per lavoro

     Con degli amici stiamo preparando un progetto con i cow boys e cow girls tra i Bhills; ebbene sono proprio qui adesso con questo gruppo per condividere e specialmente per capire bene la vita di questo popolo e così fare meno sbagli possibile in questo nuovo lavoro. Si tratterà di mandare gli insegnanti al pascolo con i bambini e là sul posto di lavoro fare scuola. Poiché i bambini vanno al pascolo in gruppi da tre a sei o sette, l'insegnante va ogni giorno con un gruppo diverso e a sera gli scolari si riuniscono ancora un' ora tutti insieme. In sintesi immaginate sei gruppetti che ogni mattina vanno al pascolo in posti diversi e ogni giorno l'insegnante si aggrega a uno di essi. Dalle nove del mattino a mezzogiorno l'insegnante sta con un singolo gruppetto come dicevo prima da tre a sette bambini/e mentre gli altri cinque gruppetti senza insegnante fanno una specie di "compito" dato la sera precedente. A sera, dalle cinque alle sei, c' è poi l'ora tutti insieme per verificare il lavoro fatto ed organizzare la giornata seguente.

     Durante il mese di giugno e luglio gli animali sono liberi. In questo periodo l'insegnante può fare scuola a tutti i bambini insieme per quattro ore al giorno durante i dieci mesi di lavoro. Un giorno alla settimana tutti gli insegnanti vengono alla missione dove hanno un giorno di scuola per loro e programmazione della settimana.

     Due mesi di vacanza sono fissati all'inizio delle piogge estive perchè in questo periodo la scuola all' aperto avrebbe notevoli difficoltà e gli insegnanti che sono pure proprietari di qualche piccolo terreno possono dedicarsi di più al lavoro dei campi.

Penso sarà un progetto molto importante perché in India ci sono non migliaia, ma milioni di bambini in questa condizione che potrebbero essere organizzati in questo modo.

     In Thandla ci saranno trenta insegnanti per questa scuola. Due insegnanti d'appoggio che guideranno i colleghi, una suora e un sacerdote che si alterneranno specialmente per il corso di catechesi a questi insegnanti che saranno anche catechisti del gruppo."

     Dopo aver descritto brevemente gli ultimi due progetti di scolarizzazione per i nomadi, accenno a qualche notizia di cronaca.

     Dal 17 al 20 ottobre si è svolta la V Assemblea Pastorale dei nomadi in India. Al primo incontro eravamo una quindicina; quest'anno 83 di cui 42 erano sacerdoti, suore e laici rappresentanti di istituzioni che si occupano dei nomadi.

     Esempio: una era stata aiutata con un salario nel '98 e l' anno seguente aveva già raggiunto 10 salari per le scuole nomadi dei Paban. Parlando con un gesuita fondatore di una grande istituzione (Afarm) gli avevo parlato dei nomadi e lui sensibilizzò la sua organizzazione che oggi segue oltre 80 scuolette per i nomadi in Maharastra.

     Così l'organizzazione di un altro gesuita ha lavorato nella ricostruzione di 180 villaggi dì Lamdadis semisedentarizzati offrendo da 200 a 500 casette in ogni villaggio che rimane un punto di riferimento nei loro spostamenti. Le iniziative sono molte.

     Lo scorso anno il Presidente del Pontificio Consiglio Monsignor Ahmao ha partecipato al nostro incontro nazionale a Madras incoraggiandoci molto. Quest' anno Monsignor Cherayath, segretario dello stesso Pontiflcio Consiglio sì è fatto anello tra la Santa Sede e noi.

     In setternbre la Pagni (Pastorale dei nomadi in India) è stata registrata come istituzione nazionale. E' probabile che nel 2002 la Pagni venga riconosciuta come istituzione della Conferenza Episcopale Indiana.

    Chiediamo una preghiera per il primo incontro nazionale della Pastorale dei Nomadi in Bangladesh, che avverrà il 27 aprile 2002 a Dhaka, nella sede della Conferenza Episcopale del Bangladesh.

In Bangladesh si cammina più adagio, ma bisogna rispettare i tempi diversi da luogo a luogo. 

2001

Cara brutta America 

Dicembre 2001

Ho aspettato del tempo prima di scriverti questa lettera. Non volevo essere travolto dalle emozioni facili e, meno ancora, dalla rabbia. Devo innanzitutto ricordarti che sei maledetta da tutti i poveri della terra. L' indomani dell' 11 settembre, prima ancora di parlare di precauzioni o di difesa e lotta contro il terrorismo, il 91% dei tuoi abitanti ha chiesto la guerra come grido di vendetta.

Mi dispiace che tu ti chiami cristiana. Durante la guerra del golfo i bengalesi mussulmani, quando vedevano un missionario bianco, e quindi un cristiano, gli gridavano: "Bush! Bush! Bush!" ed adesso si è purtroppo ripetuto lo stesso triste ritornello. Tutti noi cristiani siamo diventati testimoni e sinonimi di violenza. E' pur vero che il 9% avrebbe preferito evitare il conflitto, ma è troppo poco per dare il coraggio ad un novello Abramo di chiedere all' angelo sterminatore di risparmiarci. 

Alcuni anni fa c' era lo spauracchio del comunismo che, insieme al razzismo ed in nome di una "guerra quasi santa" provocò l' esplosione del più grande massacro ed olocausto della storia.

Oggi il nuovo nemico da combattere è l' Islam e tu lo stai combattendo facendo credere a molti che stai facendo una partita di caccia, con copertura in diretta di tutte le televisioni del mondo. Io so che non sei così ingenua da credere che si possa trovare un ago nel pagliaio, sai bene che un' eventuale uccisione di Ben Laden sarebbe avvenuta solo per incidente. Ma tu volevi fare ben altro, cara brutta e sporca America!

Tu hai paura dell'impero islamico, che cerchi in tutti i modi di dividere, con i tuoi intrallazzi ed intrighi di corte, mentre mandi i tuoi cittadini ad assistere al bel film a colori di una guerra terribilmente vera. E temo tanto che la coincidenza di data di Lepanto ed Afganisthan sia qualcosa di più di un semplice caso. In questi mesi avete cercato di mettere in cattiva luce tutto ciò che è islamico intervistando anche fondamentalisti che avrebbero soltanto parlato male di te, dei tuoi usi, della tua religione, e così qualcuno ha enfatizzato quanto ha detto un teologo mussulmano, che Gesù Cristo altro non è che un cadavere in miniatura appeso ai muri, dai quali dovrebbe essere rimosso; e come questa tante altre espressioni affinchè tutti ci sentissimo indignati, offesi e feriti dal mondo mussulmano ed alimentassimo l' odio contro questo popolo. Tutti dovevamo pensare che tu, America, avevi ragione, eri la vittima e dovevi vendicarti. A sangue caldo qualcuno disse che " non era il momento di pensare, ma di agire rapidamente con la forza delle armi" ed io aggiungerei, semplicemente per non renderti conto di quanto sei debole e vulnerabile. In ogni caso, se proprio non avessi pensato, avresti almeno un' attenuante ed anch' io direi " Padre, perdonala perchè non sapeva quello che faceva", ma ne dubito tanto.

Ed adesso lascia che mi serva del rimprovero di un Papa che all' inizio fece fatica anche Lui a capire, ma poi gridò e gridò forte. Era il 1943 quando Pio XII disse: " .. ma guai a coloro che in questo tremendo momento non assurgono alla piena coscienza della loro responsabilità per la sorte dei popoli, che alimentano odii e conflitti tra le genti, che edificano la propria potenza sull' ingiustizia, che opprimono e straziano gli inermi e gli innocenti; ecco che l' ira di Dio verrà su di loro sino alla fine ". Il Papa lo disse al nazismo ed io ora lo ripeto a te.

E, nel 1968 M.L. King, commentando il ricco Epulone e Lazzaro diceva: "..ora io vengo qui per dire che anche l' America andrà all' inferno, se non usa la sua ricchezza. Se l' America non userà le sue immense risorse per mettere fine alla povertà e rendere possibile a tutti i figli di Dio di soddisfare i bisogni elementari della vita, andrà all' inferno anche lei. Sentirò l' America parlare attraverso i suoi storici, per le generazioni future: "Abbiamo costruito ponti mastodontici, per attraversare fiumi e mari; con le nostre navicelle spaziali siamo riusciti a creare autostrade nella stratosfera, con i sottomarini siamo riusciti a penetrare gli abissi degli oceani".... ma poi mi sembra anche di udire il Dio dell' Universo che dice: " Anche se avete fatto tutto questo, io ero affamato e voi non mi avete dato da mangiare. Ero nudo e non mi avete rivestito. I miei bambini avevano bisogno di sicurezza e voi non la avete fornita... e dunque non potete entrare nel Regno."

Cara America, io ti ho chiamata brutta e sporca, ma M.L. King, che ti conosceva meglio di me ti ha mandato all' inferno. E se tu America mi dici che sono di parte e non vedo la tua disgrazia devo dirti " Si, li ho visti i tuoi morti dell' 11 settembre ed ho pianto per loro; sono tutti miei fratelli e sorelle, ma la disgrazia sei tu stessa che l' hai provocata ed ora vai a chiedere ad un terrorista afgano: " Ma perché prendervela proprio contro di noi; che cosa vi abbiamo fatto?" e la risposta potrebbe essere questa: " Il nostro terzo mondo nel lontano passato era un mondo non ricco, ma dignitoso e sereno, ed ha iniziato ad entrare nell' abisso della miseria solo quando gli imperialismi e le colonizzazioni si sono avventati su di noi come degli avvoltoi, cominciando a dividere il mondo tra quelli "sempre più ricchi" e quelli " sempre più poveri". Oggi su cento bambini che muoiono nei primi 28 giorni di vita, ben 98 (novantotto!) appartengono ai nostri paesi del terzo mondo!" 

A conclusione di questa lettera ti dico, o America, " non cercare di uccidere le persone che ritieni sbagliate o violente, altrimenti quanta parte del mondo dovresti distruggere?" Avevamo già chiesto a Gesù se non fosse stato bene strappare la zizzania nel campo di grano, ma Egli disse di no, perché assieme alle erbe cattive avrebbero strappato anche il buon grano. Tu ti sei dimenticata degli insegnamenti cristiani e ti sono rimasti soltanto quelli del potere, per questo ti chiedo: "Cospargiti il capo di cenere e fa penitenza, ma sopratutto convertiti". Ti dico questo senza rabbia, pur con i tuoi peccati tu sei sempre la mia sorella. Non chiedo nessuna vendetta per te, perché sono cristiano. Amo l' Afganisthan, il Bangladesh ed anche te perché Dio stesso, finché ci sarà un essere umano in te, o America, amerà anche te. Ma non continuare a suicidarti come Sodoma e Gomorra altrimenti non resterà più di te una pietra sull' altare e chi, da altre parti del mondo, affascinato dai tuoi peccati, si volterà indietro a guardarti per seguire i tuoi passi diventerà, come Sara, una statua di sale.

don Renato 

Lettera della partita

Ottobre 2001 

Carissimi,

Vi invito a ringraziare il Signore con me perché ci ha dato una  Chiesa missionaria, una Chiesa che non si accontenta di essere felice  da sola per aver ricevuto la salvezza, ma vuole condividere questo  dono fino ai confini del mondo. Voi sapete meglio di me che i  missionari non sono solo quelli con la barba lunga che vanno in paesi  lontani ma sono tutti i cristiani indistintamente, uomini e donne, e tutti  abbiamo ricevuto non solo l'invito ma il comando di essere missionari nella propria famiglia, nell'ambiente di lavoro, nella scuola, nella propria comunità e anche nelle terre che non conoscono ancora il  Vangelo.

Lo scorso anno un mio amico del nord del Bangladesh viveva in  una zona dove non è rara la zanzara della malaria cerebrale. Vittima di  questa malattia non diede particolare importanza ai primi sintomi e in una settimana ci ha lasciati. Aveva 54 anni.

Ma il fatto che voglio sottolineare è che due mesi dopo due  sacerdoti andarono a sostituirlo, pur con gli stessi pericoli e rischi per la sola ragione che la Chiesa è missionaria e non si arresta.

Mentre ero in Brasile un giovane sacerdote era stato ucciso nel  nord del Paese. Egli era un missionario inviato dal sud del Paese. Era  stato minacciato diverse volte, specialmente da un grande proprietario  terriero che impediva la riforma agraria nella sua zona. Il sacerdote  era un militante che difendeva i poveri. Avvisò il suo Vescovo poche  ore prima di morire dicendo che probabilmente era alla fine della sua  lotta, ma non scappò dal campo di battaglia. Ciò che però mi colpisce  di più è il fatto che seguì.

Poche settimane dopo il Vescovo del Rio Grande do Sud arrivò nella comunità del sacerdote  martire a presentare il nuovo parroco. Privatamente prima della funzione un signore si presentò al  nuovo missionario e gli disse:  "Non aver paura di restare in questo paese però ricordati bene: celebra Messa, fa il catechismo e stai in  Chiesa il più possibile e non immischiarti nella vita di questi miserabili e non ti capiterà nulla,  altrimenti se farai come ha fatto lui ti capiterà ciò che è capitato a lui". 

La risposta fu: "Non so se sono capace di lavorare bene come il mio predecessore, ma è certo  che farò di tutto per seguire lo stesso cammino".  E durante l'omelia il Vescovo, presentando il nuovo candidato alla missione, aggiunse: "Se  qualcuno avrà intenzione di uccidere anche questo missionario che vi presento sappia (e aprì un foglio)  che ho qui scritto su questo foglio altri sette nomi dì altrettanti sacerdoti che sono venuti da me a  presentarsi volontari per sostituire il nostro martire quindi se qualcuno vuol disfarsi della nostra  presenza di Chiesa scomoda sappia che ne dovrà uccidere altri sette prima di liberarsi di noi. Questo è  avvenuto perché la nostra Chiesa e missionaria. 

Lo scorso anno sette monaci in Algeria avevano creato una presenza preziosa di Chiesa tra i  musulmani. All'interno del Monastero costituirono pure una piccola moschea perché i musulmani si  sentissero a casa loro anche nella casa dei cristiani. Qualcuno non capì il messaggio e i sette monaci  furono tutti sacrificati. 

Ma ho sentito pochi giorni fa che altri cinque monaci sono già ad Algeri per andare a  sostituire i confratelli uccisi. E non sono degli adolescenti entusiasti ma uomini adulti che conoscono il  rischio che corrono ma il cuore della Chiesa batte più forte del cuore della paura e questo perché la  Chiesa è missionaria. 

Cari amici se già non ci siete invito anche voi ad andare in missione. Quando sentite qualche martirio  tipo quelle che ho appena comunicato, fatelo proprio. Il fatto di uno che soffre, che crede, che si lascia uccidere è un fatto che vi appartiene, che ci appartiene per il fatto che siete un unico corpo con la Chiesa e con il mondo.

Assistete con passione a tutti i fatti che leggete nei giornali, nel computer, nella  televisione. Non lasciate perdere nulla perché tutti questi fatti vi appartengono se li fate  vostri e li portate nella vostra preghiera e li fate diventare solidarietà.

Qualche settimana fa ero appena arrivato in Italia e alla sera volevo sentire le  notizie del telegiornale nella mia lingua, ma avevo sbagliato orario e mi trovai sullo  schermo gli ultimi minuti della grande per la Coppa Europa. Al termine, in  mezzo alla folla delirante dei vincitori, quindi in mezzo ad un caos non indifferente,  qualche giornalista fece le solite domande alle solite persone: presidente della squadra,  allenatore e tifosi. Le risposte erano generalmente: "Siamo veramente contenti per la  vittoria." "Abbiamo rischiato in qualche momento, ma nel secondo tempo eravamo già  quasi sicuri della vittoria". "Dopo l'ultimo goal che abbiamo fatto...", "Appena  abbiamo fatto il primo goal..." e molte risposte di questo tipo.

E dire che nessuno aveva toccato il pallone; nessuno aveva corso avanti e  indietro rincorrendo il pallone, però tutti dicevano: "Abbiamo fatto i primi due goal, dopo di ché...", "Ma prima che facessimo l'ultimo goal..", ecc.

Eppure queste persone che parlavano al plurale: "Noi abbiamo vinto" non dicevano nulla di falso. Di fatto non i loro piedi, ma il loro cervello e il loro cuore  aveva inseguito avanti e indietro il pallone per i due lunghi tempi di gioco. Avevano  guardato, avevano sentito, avevano gridato, incitando i giocatori, quindi potevano  gridare a ragione: "Abbiamo vinto!".

Durante la partita potevano gridare con ragione: "Goal!!!....", "abbiamo fatto  goal!!!...". Così possiamo fare noi nella Chiesa, giocando la stessa partita della missione.  Quando sentiamo che una piccola suora in India a Calcutta ha fatto cose bellissime, si è  occupata dei moribondi, degli handicappati, dei figli di nessuno, dei più poveri tra i  poveri. Quando sentiamo queste cose possiamo gridare: "Goal!!!...", "Abbiamo fatto goal!!!...", "Stiamo vincendo". Se qualcuno infatti nella Chiesa vince tutti siamo  vincitori, anche se materialmente non siamo noi che abbiamo fatto quell'azione. Quando  sentiamo che qualcuno per la fedeltà si è lasciato uccidere, che qualcuno è riuscito a perdonare chi lo ha calunniato, in tutti questi cori possiamo gridare: "Goal!" "Stiamo  vincendo!"; tutte le preghiere e tutte le azioni buone ed eroiche della Chiesa ci  appartengono e sono proprio nostre se abbiamo coscienza di essere giocatori della  stessa partita. Quando l'attaccante segna un goal anche il suo portiere vince e grida di  gioia. Però non sempre stiamo vincendo. E dobbiamo avere il coraggio di assumere anche le sconfitte. Quando alla domenica mattina veniamo in Chiesa e sappiamo che in  una sola regione italiana oltre 700 discoteche hanno invitato i nostri figli non solo a  cantare o danzare (che sarebbe tanto bello) ma ad ubriacarsi e consumare droghe  pesanti e leggere che cuociono il cervello di tanti nostri giovani.

Dobbiamo a quel punto in ginocchio dire: "Signore Pietà! Stiamo perdendo!",  "Ci hanno fatto goal!". Qualcuno mi potrà dire: "Tu non sei andato ad ubriacarti!", "E  che importa se sono andato io o il mio vicino? Siamo un tutt'uno! Per cui anche io che  ho dormito questa notte devo chiedere perdono per essermi un poco suicidato. Stiamo giocando la stessa partita: io e il mio vicino. Quando ci hanno fatto goal  poco importa se è stato a causa del difensore o del portiere, il fatto è che stiamo  perdendo".

Quando sento che ogni giorno in India sette donne vengono suicidate dai mariti a  causa della dote e che nel solo Bangladesh ogni giorno 32 adolescenti muoiono di parto all'età di 12-14 anni, quando sento queste cose devo gridare "Cristo Pietà. Signore Pietà! Stiamo perdendo. Ci hanno fatto un altro goal!".

O quando sentiamo che due milioni di minori sono coinvolti nella prostituzione e pornografia professionale, dobbiamo gridare ancora: "Signore pietà. Stiamo perdendo!"

E così, sfogliando le pagine della nostra storia contemporanea.

E ad ogni notizia bella o brutta non possiamo mai sentirci estranei, perché stiamo giocandola stessa partita.

Se però a qualcuno venisse la tentazione di scoraggiarsi e di pensare che nonostante la nostra Chiesa sia missionaria, in alcuni momenti ci sembra andare verso l'irreparabile sconfitta, c'è una notizia di incoraggiamento: tra noi c'è un giocatore, o meglio due, che giocano molto bene, li conoscete: "Gesù è il miglior attaccante e Sua Madre me la immagino volentieri in porta a  difendere la nostra storia." E non solo il Signore ci ha garantito che vincerà, ma addirittura ha già vinto anche se a noi tocca ancora giocare la partita. 

don Renato

Le reti vuote 

settembre 2001

Questa non è una notizia che arriva dal Bangladesh, ma da molto, molto vicino. 

Leggevo in questi giorni la pagina del Vangelo che ci narra la fatica di Pietro e gli apostoli (Lc.5,5): una notte intera a pescare e nemmeno un pesce. 

Mentre leggevo ho avuto una visione (non pensiate che sia diventato un veggente), anzi, era molto più di una visione, era la constatazione di una amara realtà. 

Mi sono visto accanto un mucchio di reti, tante proprio, tutte reti per la pesca e nemmeno un pesce. 

Da piangere! 

Non so se anche a voi qualche volta è capitato di dare un’occhiata alle vostre reti e di esservi accorti che non c’erano pesci. 

Questo può essere capitato dopo una lunga notte. 

In questi momenti è facile scoraggiarsi, vero? 

Io, al vedere le mie reti vuote, mi sono detto: “Forse ho pescato male? Forse ho sbagliato posto? Forse ho lavorato troppo in fretta o forse troppo adagio?” 

Poi vedevo altri che arrivavano con buona quantità di pesce e le mie reti... vuote! 

Forse anche voi vi siete fatti le stesse domande o siete stati percorsi dalla stessa gelosia che è entrata in me; quella gelosia perché gli altri hanno più pesce e voi, noi, così vinti. 

Ho spostato per un momento lo sguardo (come capitò anche a Pietro) e ho capito la causa del mio fallimento: nel mio lavoro avevo guardato solo reti e mare, barca, reti, mare e mi ero affidato alla mia abilità e alla mia fatica; non avevo alzato la testa tutta la notte e non avevo preso nulla. 

Dicevo che ho capito quando ho spostato per un momento lo sguardo e ho visto Lui che mi diceva: “Perchè non peschiamo insieme?” 

Vi ho raccontato questo perché se a voi e a me dovesse ancora capitare di fare l’esperienza delle reti vuote, guardiamoci subito attorno se è già arrivato Lui, il Signore, e se tarda a venire aspettiamo a pescare, non peschiamo da soli! 

Questo è l’augurio che faccio a me e a voi e per questo preghiamo a vicenda. 

Dopo le due torri abbattute in America si sono scritte così tante parole che mi pare superfluo aggiungere qualcosa. 

Nel mio diario ho parlato del Bangladesh come il paese più corrotto del mondo, adesso bisogna aggiungere anche l’ Afganisthan e quanti altri. 

I miei amici sanno che sono amico dei musulmani e mentre sono sconvolto per tutti quei morti nel disastro dei grattacieli crollati, non riesco ad allearmi con l’America se questa non si converte. 

Quella notizia fu più grave di una bomba atomica, che è proprietà solo di alcuni Paesi, mentre le bomba che ha spaventato il mondo ce l’ hanno anche i paesi piccoli, poveri e miserabili (e corrotti). Paolo VI ci aveva messo in guardia di non stancare la rabbia dei poveri. 

Invito i miei amici a pregare per gli Stati Uniti perché si decidano a combattere il terrorismo, ma non con altro terrore, né buttando altre bombe, ma cominciando a vivere la giustizia e la solidarietà con i paesi del Terzo, Quarto e Quinto Mondo, invitando, per esempio, i paesi più ricchi a condonare tutti insieme il debito estero dei paesi più poveri. Oh, se l’America fosse capace di fare gesti come questi dimostrerebbe di saper combattere il terrorismo e potrebbe ancora dormire anche nei suoi grattacieli, altrimenti dovremo ancora piangere molto sia per l’ Afghanistan che per gli Stati Uniti. 

Ciao, amici, preghiamo per tutti 

don Renato  

Coraggio di un padre 

agosto 2001

Passando per Calcutta sono sceso in Madia Pradesh e il primo lavoro è stato quello di andare con padre Chinnapan dove sono accampati i Bhils, nella foresta vicino a Dhamkera. 

Anni fa era stata costruita una grande diga per dare l’acqua alla città vicina e i Bhils si accamparono in quell’area forestale, dove hanno lavorato e continuato a viverci dopo. 

Sono diventati anche punto di riferimento per gli altri Bhils nomadi che ogni anno vengono per circa sei mesi in quella regione. 

In quella regione sono state mandate tre coppie di Bhils insegnanti che hanno pure fatto un corso di catechesi per insegnare e preparare i bambini in modo più efficiente. 

Siamo andati a visitare il gruppo e l’insegnante, in più abbiamo visto il coraggio di questo popolo in uno di essi. 

Due settimane fa, di mattina presto, un bambino di circa tre anni stava su una stuoia sotto un albero, altri due bambini erano vicino alla mamma che iniziava i lavori del giorno. Il papà, un giovane di pressappoco 25 anni, si stava lavando. 

E’ arrivato un leopardo (dalle indicazioni doveva essere ben grande) e, avvicinatosi al più piccolo quasi senza rumore, lo prese per la testa e se lo trascinò via. 

Dalle ferite, prima lo ha preso per i capelli ferendo con i denti anteriori tutto il cuoio capelluto, ma poi si è preso tra le fauci l’intera testa, perchè le orecchie sono trapassate dai denti da ambo le parti. 

Sembra che il bambino non abbia nemmeno gridato. 

Quando il padre vide il piccolo trascinato dai denti del leopardo, vinto dall’istinto paterno, corse una ventina di metri e con urla si avventò contro il leopardo che, spaventato di fonte a questa furia, lasciò la preda. 

Cose simili capitano nei circhi, ma con animali addomesticati. 

Non avevo mai sentito che un giovane avesse usato tanto coraggio, 

Trasportato subito il bambino all’ospedale, in 10 giorni è ritornato là, nella sua “casa”. 

Quando ho chiesto: “E adesso il leopardo dov’è?” 

Mi indicarono: “E’ là”, puntando il dito in direzione della parete di pietre a circa 100 metri. 

E poco prima che io arrivassi in India nella provincia di Dimapur, sono entrati alcuni uomini armati nel noviziato salesiano di Imphal e chiesero al maestro dei novizi di consegnare i giovani appartenenti alla Tribù dei Naga e anche qui il padre Paliakara, responsabile per la sua paternità, disse no davanti ai fucili spianati, e questi lo freddarono all’istante. 

Subito padre Kindo e il novizio Shinu sono corsi in aiuto del confratello e il fuoco si aprì anche su di loro, per dare tre altri martiri alla Chiesa. 

Beati noi se facciamo parte di quel Regno dove un giovane sfida un leopardo per salvare il figlio e qualcuno, per la sola ragione che ogni uomo è fratello, sfida le armi da fuoco e si consegna. 

don Renato

Il paese più corrotto 

luglio 2001  

Al mio rientro in Bangladesh sono stato particolarmente scosso da una notizia che ha occupato spazio su tanti giornali e riviste del mondo: “Il Bangladesh è il paese più corrotto del mondo”. 

E’ come quando ti dicono che tuo figlio è in prigione per omicidio e tu sai che è vero. A dare la notizia è stata la apprezzatissima agenzia di inchiesta “Transparency International” (Trasparenza internazionale), che si è basata anche sulle inchieste di ben sette istituzioni indipendenti. 

Si dovrebbe concludere che è dogma di fede. 

Aggiungo alcuni dati raccolti che mi confermano quanto l’inchiesta dovrebbe essere vera: nel solo mese di giugno 2001 sono state arrestate 52.461 persone, di cui 236 erano “terroristi identificati”, 14.164 già accusati in casi precedenti e 34.642 criminali ricercati, ma non un “padrino”, non un “mandante”, non un “capo”. 

Furono sequestrate in quello stesso mese 950 armi da fuoco, tutte costruite localmente, in vecchie macchine, ma non fu trovata una sola delle tante armi sofisticatissime, straniere e illegali. Sono tutti numeri che dicono quanto è corrotto questo paese (questo film l’abbiamo già visto tante volte in Italia). 

Nello stesso mese centinaia di licenze per arma da fuoco sono state firmate e consegnate a studenti i quali combattono nelle stesse Università tra partiti diversi o entrano nelle manifestazioni con una violenza impressionante. 

Si aggiungono poi uccisioni da parte di fondamentalisti, corruzioni in tutte le istituzioni, particolarmente quelle della educazione e della salute, con conseguente paralisi dell’intero sistema sociale. 

Non ho risparmiato nessuno dei peccati di questo paese, eppure voglio gridare di fronte all’affermazione che il Bangladesh è il paese più corrotto del mondo. 

Sono sempre i paesi più poveri ad essere i paesi più corrotti e più cattivi. 

Coloro che in Bangladesh sono diventati ricchi opprimono i meno ricchi e i poveri opprimono i più poveri e i più poveri a loro volta cercano di opprimere i miserabili. 

Ma perchè capita questo? 

Non solo Paulo Freire, ma anche il buon senso ci dice che se qualcuno per lungo tempo è stato oppresso, con molta probabilità diventa un oppressore. 

Questa è la ragione per cui il Bangladesh, l’India, il Brasile etc. sono molto corrotti. 

Ho trovato uno in Italia con 270 automobili. Lui non le ruba e quando vuole aggiungerne una alla sua collezione, la paga in contanti. Lui non è nella lista dei corrotti. 

Il mese scorso ho trascorso un po’ di tempo con un bambino di 7 anni che cercava uomini per sua madre al prezzo di mille lire. Lui sì che è un bambino maleducato, cattivo, sfacciato, veramente corrotto. Con alcuni suoi amici dicevano parolacce che mi facevano arrossire con i miei 56 anni. 

Questi sono i bambini cattivi, e chi lo nega? 

Il Bangladesh è corrotto come quel bambino, sì, proprio come lui. 

Questi paesi del Terzo Mondo tolgono il pane di bocca ai propri figli per pagare anche il debito estero! E chiedono pure il condono! Come se lo permettono? Certo che sono corrotti, perché non vogliono pagare il “giusto” prezzo. 

In Europa generalmente sono i genitori che pagano volentieri l’università per i figli. 

Qui i giovani si devono comprare una licenza per arma da fuoco, iscriversi a un gruppo di partito politico e sparare, rischiare di uccidere o di essere uccisi, per pagarsi gli studi e per finire l’università.

Tutti questi entrano nella lista dei violenti e corrotti. 

Nessuno degli studenti italiani fa parte di questa lista criminale. 

Quando leggiamo nel Vangelo “Beati i poveri”, non pensiamo che i poveri siano degli angioletti che stanno sulle nuvole con le mani giunte; essi spesso sono maleducati, sono cattivi, violenti, volgari e corrotti, corrotti come il Bangladesh, ma Gesù non esitò a chiamarli “beati”.

don Renato  

Id-Nul-Ajha

Lemukalì marzo 2001  

Cari amici,

indipendentemente da quando vi raggiungerà questo scritto, è bene sapere che lo sto scrivendo durante la seconda settimana di Quaresima.

In questi giorni in Bangladesh si celebra una delle più significative feste musulmane, l’ID-HUL-AJHA: il ricordo del sacrificio di Abramo.

Anche gli zingari sono tornati “a casa”, cioè al luogo dove si riuniscono ogni anno con tutti i parenti per celebrare specialmente questa festa.

Vicino alla Capitale, nel municipio di Savar, c’è una grande area accanto al fiume dove, durante l’anno, vivono alcune centinaia di zingari in tende, in baracche e in barche, ma in questi giorni sono rientrate parecchie migliaia di parenti che erano in viaggio da una decina di mesi.

Oltre alla festa religiosa, si celebrano i matrimoni  e per un mese, durante lunghi incontri quotidiani di tutti i capi, si risolvono tutti i problemi dell’anno passato e si fanno progetti per il futuro

In questo periodo si ricompongono i gruppi da  dieci a venti famiglie e si riparte.

Quest’anno io sono accampato a Lemukalì, dove si sono riuniti una decina di gruppi. La festa consiste in momenti di preghiera e l’offerta ad Allah di un toro, una mucca o un capretto.

Nei giorni precedenti la festa, gli animali destinati al sacrificio sfilano per le vie della città o del paese, colorati con fantasie originali e caricati di ghirlande di fiori.

Il sacrificio di animali, nelle diversi religioni, è molto comune dalla preistoria ad oggi.

Mi viene alla mente  il rito dei nomadi RABARI, che offrono un agnello in sacrificio per l’ospite, che rappresenta la visita di Dio al gruppo, o ancora presso i nomadi NARIKORAVAS  che sacrificano i loro bufali, scuoiandoli mentre sono ancora vivi e bevono il sangue, segno di vita divina.

Qui, presso i nostri zingari bede, durante questa festa, vengono sgozzati gli animali e la parte che si vuole offrire ad Allah la si dà ai poveri che lo rappresentano.

Vedendo nel campo vicino questi tori carichi di fiori e sgozzati in un mare di sangue, mi torna in mente il Salmo che dice come Dio non gradisce questo sacrificio di animali, ma desidera un cuore pulito, affranto e umile, e così penso a ciò che Padre Martin disse il giorno della sua ordinazione sacerdotale, sorprendendo i parenti, il Vescovo, i sacerdoti, alcuni dei quali non apprezzarono  il suo intervento in quella circostanza.

I parenti stavano esplodendo di gioia e di orgoglio per avere un prete in famiglia: uno di loro aveva fatto carriera (così è visto il prete dalla maggioranza in Bangladesh).

Avevano finito le processioni, le celebrazioni, avevano mangiato; i bambini avevano danzato e cantato; Padre Martin, dopo la  consacrazione presbiterale, era stato applaudito e abbracciato da tutti, caricato di ghirlande di fiori e portato in trionfo.

Alla fine chiesero al festeggiato di dire “due parole” all’assemblea e spiegare come si sentiva in quel momento, e Padre Martin all’incirca disse:

 “Grazie a Dio, al mio Vescovo, alla mia famiglia e a tutti voi, oggi sono diventato prete.

Se poi mi chiedete come mi sento, qual è l’emozione di questo momento, dirò  (senza emozionarmi) che mi sento come uno di quei bovini inghirlandati di fiori per la festa musulmana dell’ID-NUL-AJHA.

Le ghirlande di fiori me le avete messe; sull’altare del sacrificio mi ci avete portato; anch’io mi sono preparato tanti anni per questo momento, adesso vi chiedo di starmi vicino”.

Qualcuno distante, che non aveva capito, iniziò a battere le mani e così si concluse la celebrazione.

Questo prete è il più intelligente bengalese che io abbia incontrato in questo paese.

Egli aveva capito che presto sarebbe arrivato il tempo della solitudine, la fatica di comunicare messaggi che alla maggioranza non interessano, l’essere attorniato da gente che esige soluzioni  di mille problemi che lui non può risolvere, il sentirsi impotente di fronte a una società semireligiosa che lo vuole potente.

Lo stesso Gesù, nel momento forse il più esaltante per gli apostoli ed amici, quando avrebbero voluto farlo re, li deluse parlando di persecuzione, passione e morte.

Il giovane Martin aveva capito che solo quando firmiamo la nostra disponibilità al martirio, possiamo realizzare in pienezza la nostra vocazione.

Rimane comunque velato di incomprensione il fatto che la sofferenza continui ad essere questa misteriosa compagna della nostra vita che vorremmo sempre rifiutare e nello stesso tempo riconosciamo preziosa.

Ho appena scritto a un amico e dopo avergli augurato di star bene, mi sono  detto: che strano! Preghiamo per stare bene, ci auguriamo gli uni agli altri di stare bene, eppure guai se stiamo sempre bene!

Ce lo dice anche un Salmo: “L’uomo nel benessere non capisce  e diventa come una bestia”.

Siamo fatti per la vita e per la vita in pienezza, però vediamo sotto i nostri occhi che se il chicco di frumento non muore non porta frutto e se non si è potati si rimane sterili.

In questo momento ho tre amici che stanno soffrendo e morendo: il più adulto ha meno di trent’anni e io, mentre sto soffrendo solo nel vedere la loro sofferenza, mi rendo conto che  ci sono momenti in cui sostiamo accanto alle Stazioni della Via Crucis degli altri, ma viene il tempo in cui noi stessi diventiamo Stazione, e se prima è stato importante resistere con tutte le forze, quando giunge il momento sapersi arrendere è forse il segno più grande della maturità raggiunta.

Poiché Pasqua è annunciare  la sua morte, proclamare la sue Risurrezione, nell’attesa della sue venuta, vi auguro 365 giorni di Pasqua

Ciao,  

don Renato     

2000

800 milioni in più?

settembre 2000 

Cari amici,

mi trovo accampato a Katakalì. Nel mio gruppo di zingari ci sono venti famiglie in altrettante tende. Ciò che mi ha impressionato di questo gruppo dal primo giorno in cui sono arrivato qui è l’estrema miseria in cui questo gruppo vive.

In tutte le famiglie ci sono ammalati. Le pance dei bambini sono piene di vermi. Le donne chiedono sempre medicine per mal di testa, dolori allo stomaco e per complicazione per la gravidanza.

Due bambini, in una tenda, ieri, avevano febbre altissima: chiesi ai genitori se erano andati dal dottore, se avevano preso medicine e se ne avrebbero preso; la risposta alle tre domande fu no.

I malati di tubercolosi, maschi, hanno interrotto tutti il trattamento iniziato perché troppo costoso, mentre le donne non lo hanno nemmeno iniziato, né fatto gli esami, pur avendo gli stessi sintomi della malattia.

Le donne e i bambini qui a Katakalì vengono poco

La settimana scorsa è morto un bambino di 12 anni di anemia plastica: il giorno dopo nessuno, arrivando in quel campo, si sarebbe accorto di quella disgrazia.

La vita qui vale poco.

Un adolescente è appena arrivato dall’accampamento dei suocera dove in sei mesi ha perso il bambino di poche settimane, dieci giorni fa ha perso anche la moglie che era una bambina di tredici anni, il problema è un’alimentazione insufficiente che rende la gente incapace di combattere anche una malattia molto semplice, infatti il mese scorso è morta una bambina di diarrea.

Per capire questi fatti bisogna aggiungere che nel mio accampamento nessuno beve acqua potabile e le condizioni igieniche sono quelle che si incontrano nelle situazioni di particolare calamità ed emergenza.

Così si capisce come la peste chiamata small pcx, che in India quando attacca un paese o una regione , lascia una vittima su 10.000 (diecimila), nell’accampamento poco distante da me, ma più grande, con 500 persone, hanno avuto 10 morti per questa stessa malattia,

Si aggiunge un’altra povertà: soltanto uno in tutto il campo sa un poco leggere e per questo ci siamo preoccupati con urgenza di iniziare una scuola alfabetizzazione tra  loro.

Qui a Katakalì almeno una quindicina di famiglie sono costantemente presenti, così quando alcune di esse si spostano, secondo il loro costume nomade, possono lasciare i bambini dai parenti che restano e così i bambini possono continuare la scuola.

Per evitare in parte le malattie, abbiamo pure provveduto ad una pompa di acqua potabile, a visite mediche e distribuzione di medicinali. Lentamente il gruppo stava prendendo un’altra fisionomia, ma due giorni fa, in occasione di una grande festa,c’è stato uno dei quotidiani bisticci con bilancio più pesante del solito : 4 morti.

La maggior parte delle famiglie sono fuggite e ne restano appena  7, con cui si cercherà di continuare  il lavoro ( pur con l’amarezza nel cuore).

Quello che ho appena descritto non sarebbe così tragico se fosse un’eccezione, ,a purtroppo, guardando all’intero paese, la situazione non è molto diversa.

Le statistiche più recenti ci dicono che l’80% della popolazione vive in uno stato di povertà grave o di miseria senza avere accesso agli elementari  diritti umani.

L’alimentazione è insufficiente e specialmente le donne che durante la gravidanza usano la stessa dieta di sempre a base di riso e poco altro, arrivano al momento del parto fisicamente impreparate ad affrontarlo. Una statistica molto seria ci dice che ogni anno 600.000 donne soffrono di complicazioni per gravidanza e quel che è peggio, di queste, solo il 5% ha accesso a cure mediche. Le conseguenze sono che in Bangladesh se  muoiono ancora 54 donne di parto, ogni giorno e ogni anno in Bangladesh 3 milioni di bambini nascono sottopeso, mentre in Giappone muoiono di parto da due a tre bambini ogni mille, in Bangladesh ne muoiono ottanta.

Si aggiungono poi altre conseguenze, come quella che in questo paese 90 bambini all’ora nascono cerebrolesi, quindi la maggior parte destinati a morire nei primi 5 anni di vita e pochissimi raggiungono un’età adulta.

Un’altra conseguenza  della miseria è l’analfabetismo.

 All’inizio del 98 il  60% dei bambini non andava a scuola e a questi si dovrebbe aggiungere il gran numero di coloro che erano iscritti senza partecipare o solo con partecipazione saltuaria.

Una recente inchiesta nella regione di Rajshahi, su 16 province (mentre in tutto  il Bangladesh ne esistono 64), i bambini in età scolare che non vanno a scuola sono ancora 2.600.000. E’ chiaro che la regione di questi numeri allarmanti è  la miseria: è veramente troppa.

Sono ormai 40 anni che sono iniziate le campagne  “contro la fame”, eppure in una parte così grande del pianeta  il problema non è ancora risolto.

In questi giorni leggevo la pagina evangelica del Sig Epulone e di Lazzaro  e là anche i cani avevano da mangiare, mentre Lazzaro moriva di fame.

Anche i maiali del figlio prodigo avevano da mangiare, mentre il loro pastore sfortunato faceva la fame, e mi dicevo: beati i cani di Epulone e anche fortunati quei maiali !

Quanti bangalesi sarebbero contenti di potersi nutrire come qualunque cane che vive in Italia.

Mentre sono passato in Italia, proprio per caso mi è capitato tra le mani un volantino con una foto di un cane dietro una rete e una scritta in rosso che invitava a fare un’adozione a distanza di un cane; questi poveri cani, per mancanza di fondi, rischiano di essere denutriti. Il volantino invitava a portare scatole di cibo confezionate o “croccantini”. Seguiva indirizzo e telefono.

Io non ho nulla contro i cani, ma ho delle preferenze per i bambini.

Per altro io non faccio nemmeno adozioni a distanza per bambini, ma invito ad adottare una scuola per un anno, che costa un milione (tre o quattro famiglie insieme, a volte , lo fanno).

Ho saputo che un bambino delle elementari  costa allo Stato Italiano 7 milioni di  lire. Con l’equivalenza si possono mandare a scuola 210 bambini zingari in Bangladesh.

Quando  ci si chiede: “che differenza c’è  tra primo e terzo mondo?”, queste cifre rispondono più che sufficientemente.

Si  deve  poi aggiungere che dono molti i paesi  a condividere la sorte del Bangladesh  e  insieme fanno quel mondo che noi classifichiamo “terzo mondo” e qui le cifre si ingigantiscono ogni giorno sono ben 40.000 i bambini a morire per malattie come diarrea, malaria e polmonite, curabili con medicine che dovrebbero essere alla portata di tutti  già da molti anni e ogni giorno 30.000 bambini muoiono per denutrizione.

Si dovrebbe ancora  aggiungere i250 milioni di bambini costretti a lavorare   per vivere, senza nemmeno andare a scuola, e li vedo tutti i giorni, mentre lavorano nei “bar”, nelle bettole, sulla strada o in vere e proprie officine   di produzione; e si dovrebbe aggiungere un altro centinaio  di milioni di bambini  che vivono sulla strada a chiedere l’elemosina, raccogliere rifiuti, rubacchiare, con o senza famiglia.

Questo è un quadro pesante da   accettare, che ci presenta una parte di bambini sfortunati e per gli adulti basta citare ciò che dice la Banca Mondiale secondo la quale ci sono 800 milioni  di persone in “più”, senza futuro. 

Sono così passato dal mio accampamento, al Bangladesh, al sud del mondo; ripetendomi questi numeri, che però corrispondono ad altrettante persone, mi sono posto di fronte  all’ immagine del Calvario e del terzo mondo che muore. Sul Calvario ci sono tre modi di morire: uno muore a causa dei propri e altrui sbagli, un altro muore arrabbiato e disperato, il terzo è l’innocente che muore: Gesù.

Questo terzo mondo che muore è pure davanti a noi, e noi come  ci poniamo? Come chi è impotente, ma resta in piedi

-come Lei Maria, condividendo tutto quello che è possibile?

-come chi, spaventato di fronte a un problema troppo grande, scappa?

-come chi non fa nulla e dice: “vediamo come va a finire” e aspetta   il miracolo?

-come chi con un panno asciuga almeno un po’ di sudore?

-come chi solleva almeno per un pezzo la croce di questo terzo mondo condannato?

-come chi riconosce e dice “veramente costui è figlio di Dio

-come chi non crede più a  nulla e mercanteggia il terzo mondo, meritando quella pesante condanna “meglio per lui se non fosse mai nato”?

 

Alla fine di questa revisione di vita mi azzardo a dire ho una speranza Che cioè il terzo mondo, nella morte dei suoi innocenti pronunci per noi quelle parole di misericordia “Padre perdona loro, perché non sanno, non  capiscono, non  possono immaginare quello che fanno”.

E se è vero che il chicco di frumento, morendo porta frutto, noi siamo disposti ad accogliere il sacrificio del terzo mondo e lasciare almeno che porti frutto e non sia soffocato dalla nostra presunzione di non averne bisogno !!!

BUON  CAMMINO A TUTTI.

Don Renato Rosso 

Lettera del leopardo 

marzo 2000  

Carissimi, 

ero stato con Padre Chinnapou nella regione di Bimbetta a un paio di ore di motocicletta  da Bhopal. Dopo la prima ora di viaggio eravamo già fuori dalla strada vera e propria. La pista  appena tracciata tra pietre e arbusti ci portò a un fiume con poca acqua che scorreva tra le  pietre.  La tentazione di risparmiare tempo ce lo fece attraversare ma nel bel mezzo slittammo  noi e la motocicletta con qualche conseguenza che poi mi tenne immobilizzato per un mese, ma  sul momento non mi resi conto più di tanto e proseguimmo il cammino. 

Lasciammo poi la moto e camminammo l'altra ora nella foresta fino ad arrivare a una  parete rocciosa alta un centinaio di metri che dice alt a tutti, uomini e animali, che vogliono  addentrarsi nel cuore della giungla.  Quella roccia, visibile da lontano, era l'indirizzo che ci avevano dato. Arrivammo e là un buon gruppo, con una trentina di famiglie di Bhil era accampato, ma non con le solite tende,  bensì con capanne un poco più robuste, anche se non arrivavano ad essere vere e proprie case. 

Questi nomadi erano là perché impegnati nel lavoro di un acquedotto non molto  distante. Appena arrivammo ci venne incontro una donna con un bambino, poi alcuni uomini e  uno ci raccontò la storia per la quale ci eravamo recati in quel posto. 

L'accampamento si stava svegliando e la famiglia di cui racconto la storia stava già iniziando la  giornata. La mamma davanti alla capanna preparava la colazione, due bambini più grandi  mettevano in ordine le stuoie e il papà si stava lavando. Il bambino più piccolo era ancora  addormentato a pochi metri su una specie di letto fatto di corde intrecciate davanti alla capanna,  forse a cinque metri sotto un albero. Il papà aveva dormito con lui e adesso lo aveva lasciato solo.  Durante la stagione calda si dorme volentieri all'aperto. 

In quel momento arrivò dalla macchia verde un leopardo che in grandezza doveva superare la  norma, visti i terribili segni lasciati. Si avvicinò al bambino che dormiva, cercò di prenderlo con i denti,  dapprima per gli abbondanti capelli e, non riuscendo, prese la testa del piccolo tra le sue fauci che  perforarono entrambe le orecchie e si diresse verso le rocce. 

Un grido della madre mentre si accorse e uno scatto disperato del papà quando vide il suo figlio  trascinato nella bocca del leopardo. Mi spiegava che in quel momento cercò qualcosa, un oggetto,  almeno un bastone, ma non trovando nulla istintivamente strappò dell'erba, la cosa meno adatta a  spaventare una fiera, e corse all'impazzata dietro al leopardo a reclamare il figlio. 

Quando arrivò vicino (mi indicò la distanza di un metro) lanciò un urlo, un urlo che quell'uomo  non mi seppe spiegare quanto intenso fosse, ma il fatto è che riuscì a spaventare l'animale che lasciò la  preda e corse via. 

E dire che i leopardi non si lasciano spaventare dagli uomini eccetto che in un circo siano inibiti  da fruste e spuntoni d'acciaio. 

In ogni caso il papà del bambino raccolse il figlio e corse a lavare quella piccola testa  insanguinata e col fratello subito si diresse verso l'ospedale di Bhopal. Quindici giorni dopo il bambino  ritornava all'accampamento. 

Quando raccontai questo fatto in Italia, a un gruppo di fidanzati che stavano facendo preparazione al  matrimonio, dissi ai ragazzi: "Fermatevi un momento e pensate se voi avete il coraggio non solo di  mettere al mondo un figlio ma di difenderlo a costo di andarlo a reclamare a un leopardo che ve lo sta portando via nella foresta. Se sinceramente, in coscienza, vi sentite di dire sì, allora siete  sufficientemente maturi per fare questo passo così coinvolgente della vostra vita e voi ragazze se  pensate che il vostro fidanzato, oltre alle belle parole che vi dice, credete che sarà capace di  difendere voi e i vostri figli come ha fatto quello zingaro, non abbiate nessuna paura, altrimenti aspettate". 

Non vorrei diventare noioso, moralista, ma bisogna pur ricordare che molti genitori,  dopo aver giurato di essere disposti a morire per i loro figli non hanno nemmeno la forza di  restare loro vicino quando la fatica del restare uniti come famiglia richiede un coraggio non  comune ma eroico.

E di giungle ce ne sono tante, troppe con leopardi di diverso tipo, pronti a  divorarci i figli.  

Don Renato Rosso 

1999

Beati i poveri di spirito

India, dicembre ‘99 

Cari amici, 

alcuni amici incontrati recentemente mi aiuteranno a scrivere questa lettera.

Passando per Teofilo Otoni ho incontrato uno dei miei insegnanti.

L’ ho ritrovato con i capelli più bianchi, ma non ancora stanco di lottare. Non stava insegnando filosofia come quando io facevo il liceo ad Alba, ma era a una cattedra con un gran numero di giovani, uomini e donne, alcuni poco più che alfabetizzati e spiegava il Vangelo.

Mi sono seduto anch’io per due ore a prendere lezione come facevo trent’anni fa.

Quella sera spiegò le beatitudini e diede anche un compito da fare a casa: rispondere se è possibile per l’uomo, con tutta la sue fragilità, vivere questa pagina del Vangelo. Sono in ritardo nel mandare la risposta e chiedo scusa al mio professore, ma mentre lo faccio condivido con voi questo compito. 

Partendo dagli elementi che il mio professore ha dato quella sera comincio dicendo: “Oso rispondere di sì”, così come oso dire “Padre nostro”, come oso dire che Gesù è mio fratello e come oso dire che lo Spirito Santo abita anche in me e mi può dare la forza di fare ciò che da solo non potrei.

Questa pagina non è un paradosso per dire altre cose, ma vuol dire semplicemente ciò che dice: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli, beati... “  etc.

Si è tentati di pensare che è una pagina impossibile, infatti lo stesso Lutero come tanti altri aveva detto che l’uomo non può vivere questa pagina di Vangelo, per questo solo la misericordia di Dio può colmare questa incapacità umana.

Se io oso pensare che è possibile vivere le beatitudini è perché in primo luogo le ha vissute Gesù in pienezza e se quando ha perdonato i peccati lo ha fatto come Dio, quando ha vissuto le beatitudini lo ha fatto come uomo.

Parafrasando una risposta del Vangelo potremmo dire che ciò che è impossibile all’uomo da solo, è possibile all’uomo con Dio.

Nel mio compito mi fermo alla prima beatitudine: “Beati i poveri in spirito”, traducendo “Beati coloro che hanno lo spirito del povero” e non essendo questo un comandamento come certi imperativi del decalogo, si potrebbe dire: “Nella misura in cui avrai lo spirito del povero il Regno di Dio entrerà in te” e per capire  che cosa sia lo spirito del povero bisogna rifarsi a un grido che viene da molto lontano, dall’Antico Testamento: Nessuno tra voi sia povero!” Deut. 15.4. 

Non solo il mio professore ma anche Carlo Mesters, un grande teologo popolare, ha invitato le comunità di base brasiliane a riflettere su questo grido: “Nessuno tra voi sia povero!”.

Ora a questo punto paradossalmente devo dire: “Dobbiamo combattere tutta la vita contro la povertà, per vivere le beatitudini, per avere lo spirito del povero, per essere uno che sa cosa vuol dire essere povero e si comporta  di conseguenza con il suo prossimo”.

Se noi condividiamo ciò che abbiamo significa che abbiamo lo spirito del povero, per questo possiamo essere beati. Ma, chi è ricco? E chi è povero? Il ricco non è chi ha cento pecore a differenza di chi ne ha una decina appena, ma chi ha una pecora in più del vicino.

E dal punto di vista biblico, ricco è chi crede di essere potente, pensa di aver raggiunto il fine della sua vita perché ha i granai pieni, pone fiducia nelle proprie ricchezze e sostituisce i beni a Dio stesso.

I poveri invece sono Gesù inchiodato ad una croce e quanti lo seguono(vivendo la pagina delle beatitudini).

Diventare con lo spirito di povero per essere beati significa diventare con Lui.

Se poi è difficile dare il sovrappiù che abbiamo in quanto non conosciamo mai qual’è la linea di demarcazione dal necessario, è più facile dare ciò che all’altro manca, così nessuno sarà povero tra noi e noi saremo beati. 

Mentre scrivo sono in un accampamento di Gadhia Lohar (sono zingari indiani che forgiano il ferro e costruiscono vari strumenti di lavoro).

Essi hanno tutti una famiglia una tenda, un carro, un cammello, una forgia, una incudine, una pinza e un martello.

Quando uno si sposa gli si procura tutto questo, altrimenti non potrebbe vivere e non ha bisogno di altro. Strettamente parlando, tra di loro nessuno è ricco, ma nessuno è povero; essi hanno lo spirito del povero, per questo si avvicinano alle beatitudini e mi suggeriscono che le beatitudini sono possibili. 

Quando poi i nostri beni non sono solo pecore o cammelli, ma salute, istruzione, eredità culturale, solo se metteremo tutto questo a servizio dell’altro con spirito di povero, saremo beati. 

E ora per sottolineare un altro aspetto delle beatitudini racconto una storia sentita da una bambina di dieci anni:

“Un gruppo di colonizzatori arrivati in Nord America aveva deciso di raggiungere un luogo ad alcune giornate di distanza oltre la grande foresta. Per questa spedizione si fecero accompagnare da alcuni Indios che conoscevano la regione. Dopo tre giorni di cammino, con pochi momenti di sosta, gli Indios improvvisamente si fermarono in mezzo a quella foresta. I bianchi dapprima promisero vari tipi di ricompense, per invitarli a ripartire, ma inutilmente. Infine li minacciarono, ma a nulla valsero le minacce. Da ultimo anche i bianchi si rassegnarono a sostare. Tentarono di capire con segni la ragione di quella sosta prolungata e gli Indios fecero intendere che bisognava fermarsi per aspettare le loro anime: i loro corpi infatti avevano camminato troppo veloci e le anime erano rimaste indietro”.

La bambina poi mi spiegò che anche sua madre si era fermata dopo aver corso troppo e quando gli amici chiedono spiegazioni, lei racconta la storia. 

A distanza di due settimane ho incontrato un amico che dopo l’università e alcuni anni di insegnamento alla facoltà stessa, anche lui si è fermato: non è diventato un barbone, nè un ..., ma si è fermato ad aspettare l’anima che aveva perso. 

Una delle domande che la gente si fa correndo mentre passa di fronte ad un monastero è la seguente: ”Perchè questi monaci si sono fermati qui, con tanto lavoro che c’è da fare per la giustizia, la pace, i diritti umani?”(É ovvio che chi aspetta l’anima, e perché aveva l’anima del povero e questa tra le ricchezze e la corsa si perde).

Spesso sento amici che dicono: ”Capisco, viviamo in una società sbagliata, ma che cosa si può fare? Non ci sono alternative se non continuare a correre anche se abbiamo perso l’anima, ma non ci si può fermare; ormai il mondo è così”. 

Ripensando ancora alla storia degli Indios d’America, mi ricordo che nella terribile colonizzazione del Sud America, gli Indios si erano rifiutati di fare gli schiavi ai bianchi. Non riuscivano a capire perché dovessero produrre 200 sacchi di caffè se a una famiglia ne bastava mezzo sacco. Si rifiutarono di lavorare. Furono frustati, puniti in mille modi; non c’è stato verso. Molti hanno smesso di prendere cibo e si sono lasciati morire, ma non hanno accettato la schiavitù.

La dignità umana merita un rispetto che non ha prezzo: non si può vivere senza anima.

E'  il prezzo che gli Indios d’America hanno pagato è stato molto alto: nove milioni di morti tra uccisi, lasciatisi morire e morti per malattie: è meglio morire con l’anima che vivere senza di essa. 

In passato qualche teologo si era chiesto se i neri di pelle avevano già l’anima e oggi dobbiamo chiederci se i bianchi ce l’ hanno ancora. 

A conclusione dico.

Se non ho più l’anima che mi rende umano, se non ho quindi lo spirito del povero non sono nulla.

Se anche so parlare tutte le lingue degli uomini, ma non ho lo spirito del povero, che mi giova?

Posso anche vivere vicino ai poveri, ma se non ho lo spirito del povero sono come una campana rotta, un cembalo e non ho nulla da dire a nessuno.

Se sto con i poveri e costruisco scuole, università, ospedali, fabbriche per dare lavoro e distribuisco pane e companatico a tutti i poveri del mondo e brucio la mia vita per loro, ma se faccio questo con spirito di ricco, di chi è potente e si vuol costruire un regno su questa terra, sono un potente capace di fare miracoli e spostare le montagne, ma tutto questo non giova a nulla.

Se ho lo spirito del povero, so accettare tutto, comprendere tutto, sopportare tutto.

Se ho lo spirito del povero che condivide ogni cosa, non mi sarà difficile saper accettare la conseguenza di perdere i miei privilegi, saprò sopportare una vita più austera e comprendere chi non ce la fa.

Se ho lo spirito del povero sarò paziente di fronte ai processi storici che hanno tempi lunghi.

Se ho lo spirito del povero il regno di Dio sarà in me, io non avrò più fine e sarò beato.

Qualcuno potrebbe obiettare che se l’entusiasmo ci può anche aiutare ad avere lo spirito del povero per qualche momento eroico nella vita, è difficile perseverare a tempi lunghi.

Rispondo con la storiella sentita da poco da un amico:” Un cane cominciò ad abbaiare perché aveva visto un gatto che si era riparato su un albero. In meno di dieci minuti, uno dopo l’altro, tutti i cani del paese sentendo abbaiare fecero la stessa cosa; ma lentamente, dopo altri dieci minuti, si zittirono tutti e solo uno continuò ad abbaiare: quello che stava vedendo il gatto”. 

Se i poveri non li vediamo, se non li vogliamo incontrare, se non mangiamo, preghiamo, piangiamo con loro, non “abbaieremo” più di dieci minuti. 

Spedisco in fretta il compito al mio professore, il quale certamente mi dirà ”insufficiente”, ma io lo rifarò e rifarò tante volte, meditando questa pagina spero per tutta la vita. 

Ciao.

Don Renato Rosso 

Buon Natale!