Chi era Gesù di Nazaret - II

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Mabel Allington Royds (1874-1941) - immagine tratta da commons.wikimedia.org

Inquadramento del problema

Dunque, il tema da affrontare è molto chiaro: chi è Gesù? Vero Dio? Vero uomo? Tutti e due insieme? (nn. 469-480 Catechismo [1]). Semidio, cioè mezzo dio (perché il padre è divino) e mezzo uomo (perché la madre è umana), come Achille e altri noti personaggi dell’Iliade? Ma se così fosse per quale motivo consideriamo l’Iliade un racconto fantastico e la Bibbia un racconto vero? [2]

Insomma, dobbiamo chiederci se, quando parliamo di Gesù, stiamo parlando di un Dio che si è fatto uomo, di un uomo che si è fatto Dio o, il che sarebbe la cosa peggiore, non sappiamo di cosa stiamo parlando perché non sappiamo se siamo davanti a un mito o alla realtà. Ecco perché, se la domanda è chiara, la risposta non è affatto scontata.

Quando si cerca di sapere quello che è «Gesù in sé», quando si cerca di capire qual è la sua vera natura, si entra normalmente nel campo dell’ontologia o della metafisica (settori che per comodità io unirò in un unico significato [3]). Dunque roba per filosofi, roba per teologi, non certamente materie di uso quotidiano. Semplificando, con questi due termini, intendo lo studio dell’essere in sé stesso; il voler cercare di andare in profondità per capire ciò che rende quel soggetto quello che è, e non un’altra cosa. La metafisica studia ciò che è in quanto è, e quindi si cerca di definire l’essenza; si cerca di capire qual è la sua struttura per conoscerne la realtà effettiva.

La Chiesa ha presto adottato la metafisica, mentre in contemporanea i fatti, i comportamenti di Gesù, sono stati emarginati; al loro posto la fede della Chiesa si è incentrata, appunto, sull’essere di Cristo in sé [4].

Ma allora va subito rimarcato che, se pensiamo di affrontare questo problema teologico con la metafisica, già dimentichiamo quello che Gesù aveva detto: “ti ringrazio, Padre, per aver nascosto queste cose ai sapienti…” (Mt 11, 25; Lc 10, 21); il che vuol dire che Dio non si rivela all’elite dei teologi, ai filosofi, agli intellettuali [5], ma solo a coloro che non sanno nulla e non hanno nulla da dire in questo mondo. In uno dei tipici rovesciamenti di Gesù, sono gli ignoranti che non hanno studiato, sono i «piccoli» – non i grandi -  che possono fare i dottori [6]. Infatti mentre i «piccoli» sono capaci di aprirsi umilmente al dono di Dio, i «grandi» tutti presi dalla loro autosufficienza restano chiusi e impermeabili a questo dono. Quando entrano in campo i teologi, i grandi intellettuali, non siamo ben messi, perché quello che per i «piccoli» è meravigliosamente chiaro, con i grandi diventa spesso meravigliosamente oscuro e perfino contraddittorio.

In effetti, nel Nuovo Testamento non c’è metafisica, non c’è una dottrina della doppia natura di Cristo (cfr. invece n. 481 Catechismo). Dai vangeli non risulta che Gesù abbia mai parlato della sua natura. Inutile cercare nei vangeli definizioni chiare di Dio [7], o spiegazioni su chi è Gesù: non le troviamo.

Sono stati i cristiani, quindi altri uomini come noi, a dire in seguito di Gesù molto più di quanto egli non abbia mai detto di sé stesso [8]. E stranamente lo stesso Gesù, così poco interessato a dire chi era, si è mostrato più interessato a sapere “chi dice la gente che sia il Figlio dell’Uomo?” [9] (Mt 16, 13). Eppure, neanche dopo aver sentito che le idee su di lui erano discordi e confuse fin dall’inizio, ha pensato di dover chiarire chi era effettivamente. Questo, almeno, stando al Vangelo, e i cristiani non possono staccarsi dal Vangelo. È curioso allora notare come tanti che si dichiarano apertamente cristiani difendendo a spada tratta i principi non negoziabili, non facciano mai riferimento al Vangelo. Esattamente come tanti che si dicono appassionati di montagna parlano di scalate, di gradi, di tecniche, di superamento di dislivelli in velocità (sembra che il cronometro sia il loro dio), ma poi non menzionano mai la montagna nei loro discorsi. Eppure è la montagna, non le tecniche di montagna, che può chiarire agli alpinisti cosa c’è di essenziale e cosa di superfluo nelle loro vite.

Allora, se si deve partire da qui, dobbiamo tener ben presente che la comunità cristiana non può e non deve essere un circolo intellettuale, dove si discute di argomenti teologici astratti, magari anche molto profondi ed interessanti, disancorati però dal Vangelo che, lungi dall’essere una dottrina, è una testimonianza di una comunità che si è vista trasformata dalla sequela di Gesù [10], cioè da un’esperienza che ha vissuto, attraverso la quale ha scoperto che Gesù è il Messia atteso, il Figlio di Dio [11] (Gv 20, 31) in senso messianico.

Guardiamo agli apostoli. Cos’aveva da dire Pietro agli ateniesi che di filosofia ne sapevano ben più di lui? Cos’aveva da dire ai maestri giudaici che avevano scrutato la Bibbia mille volte più di lui? Cos’aveva da dire ai romani fieri fondatori del diritto? Pietro non offriva alla gente nessun trattato eccitante per il pensiero di quella cultura mediterranea raffinata. Portava solo l’esperienza personale di Gesù testimoniando che siamo chiamati ad amare come egli ci amò [12].

La teologia cristiana, perciò, non dovrebbe caratterizzarsi per delle formule immutabili e soprattutto indiscutibili, ritenendo che le leggi divine sono per definizione immutabili e che neanche Dio le può cambiare avendo esaurito la rivelazione, ma dovrebbe fondarsi su esperienze di vita. Il punto di partenza deve essere quindi l’esperienza; l’esperienza deve essere poi la fonte della dottrina, il cui compito è poi quello di esprimere la prima in termini razionali. È invece impensabile parlare oggi di Dio quando il discorso non fila dal punto di vista umano e psicologico [13], perché vorrebbe dire che il discorso è disancorato dall’esperienza, e quindi non è razionale.

L’esperienza va poi necessariamente rinnovata in ogni generazione perché la vita è cammino, è accadere, e il cammino non si ferma mai: pensiamo a come l’esperienza dei genitori non serva mai ai propri figli. Così del resto aveva riconosciuto anche papa Giovanni Paolo II, richiamandosi a Paolo: «ogni verità [14] raggiunta è sempre solo una tappa verso quella piena verità che si manifesterà nella rivelazione ultima di Dio» [15]. Perciò dobbiamo essere sempre dinamici, evolutivi, mai statici (Paolo dice: “noi camminiamo per la fede” - 2Cor 5,7): anche in natura l'acqua stagnante si guasta; non deve ristagnare, ma scorrere in continuazione per rimanere limpida e vitale [16]. Questo, del resto, trova conferma nel Vangelo di Matteo: ricordate? I sacerdoti di Gerusalemme, convinti di sapere già tutto, non si spostano di un millimetro alla notizia che è nato il Messia; invece i maghi pagani [17], che secondo la religione ufficiale non avrebbero mai potuto salvarsi, ma che in realtà sono in ricerca costante, si mettono in cammino e non si accontentano di quello che già sanno. E noi, oggi, come ci comportiamo?  Ci sediamo come i sacerdoti convinti di sapere già tutto perché l’autorità vaticana ci ha già detto a cosa dobbiamo credere, o ci lasciamo mettere in discussione e ci mettiamo in moto per scoprire chi è per noi questo Gesù? Non dovremmo infatti comprendere solo quello che realmente è stato «Gesù in sé», ma anche quello che è «Gesù per noi».

Il centro del vangelo è dunque la sequela di Gesù, non è la dottrina, non sono i dogmi. Il cristianesimo non è un sistema di nozioni, bensì una via da seguire [18], tracciata da una persona. Aveva ben detto il cardinale Ersilio Tonini che chi parla di Gesù dovrebbe ricordarsi di essere un testimone di un’esperienza, non un insegnante di dottrine, per cui non conta tanto la verità di quel che dice, ma se quel che racconta riflette la sua vita. La gente ha bisogno di vedere preti che ci credono, non preti che insegnano [19]. La gente deve vedere che c’è coerenza nella vita di chi si proclama testimone di Dio, ed è chiaro che nessuno può accompagnare un’altra persona oltre il punto in cui è arrivato lui stesso. Se i genitori maltrattano ogni immigrato che incontrano per strada, e poi a parole dicono ai figli che bisogna rispettare tutti gli stranieri, i figli imparano quello che vedono, non quello che sentono. Ha detto ancora meglio il politico francese Jaurés Jean: “Non s’insegna quello che si vuole; non s’insegna quello che non si sa e non s’insegna neanche quello che si crede di sapere. S’insegna e si può insegnare soltanto quello che si è”. Essere cristiano, allora, non è tanto credere, quanto vivere quel messaggio che Gesù ci ha lasciato, per cui la sequela di Gesù è l’unica cosa che ci rende cristiani [20] . Aveva perciò ben detto il teologo José Castillo che si può essere un rinomato teologo senza avere la minima idea di chi è stato veramente Gesù. Dovremmo infatti domandarci: che tipo di Vangelo può trasmettere quel teologo che si limita a studiare? Quale cristologia può insegnare? Se il magistero stesso della Chiesa spiega tutto con l’ontologia, ma non trasforma le persone, ha fallito la sua missione. Se il magistero della Chiesa parla d’amore senza dimostrare amore nel caso concreto, trasmette soltanto vuote parole. È inutile parlare di amore, se poi nella comunità non si vive questo amore. Forse per questo, visto che la maggior parte dei chierici e dei teologi non danno l’impressione di essere testimoni credibili del Vangelo, le chiese si svuotano [21]. Forse è ora di prendere sul serio il Vangelo.

Oggi, dunque, è inaccettabile una religione che si basa su dogmi ufficiali senza essere personalmente vissuta col cuore. Solo partendo dalla sequela e attraverso la sequela è possibile conoscere Gesù, comprendere ciò che egli rappresenta nella teologia cristiana [22], e quindi capire chi è. E deve essere chiaro che la sequela non è una via spirituale, ma un modo concreto di vivere qui sulla terra imitando quello che abbiamo visto fare da un uomo. Questo ovviamente rende il cristianesimo assai difficile da vivere.

La caratteristica dei discepoli di Gesù non è perciò imparare bene le dottrine e i dogmi proclamati dal magistero, bensì quella di “seguire” Gesù vivendo con lui l’accoglienza del regno di Dio. Gesù non propone una dottrina su Dio, né mai spiega l’essenza di Dio. Per Gesù, Dio non è una teoria, è un’esperienza [23]. Non è neanche un dogma [24], ma è un modo di vivere sulla terra, senza guardare in continuazione al Dio nei cieli. Del resto questo traspare già dalla Bibbia. Esiste un libro della Bibbia (il Cantico dei Cantici) che non parla neanche una volta di Dio, ma parla solo d’amore, e se parli di amore “vero” non c’è bisogno di parlare di Dio, perché è la stessa cosa [25] e – come si è visto alla nota 7 - l’amore è un’esperienza, non un dogma metafisico.

Se allora Gesù è il modello [26] che dovremmo seguire (e perfino imitare), è chiaro che non arriviamo a conoscerlomediante lo studio della teologia, del catechismo o dei dogmi ma, appunto, solo seguendolo e imitandolo. Dunque, essere cristiani non è aderire a un sistema dottrinale o accettare particolari formule teologiche, bensì comportarsi praticamente nella vita in modo da ricalcare il suo [27]. E il suo modo di vivere non è stato insegnare dottrine, insegnare dogmi, insegnare principi non negoziabili, ma comunicare vita [28] e amore, perché amare è dare all’altro la possibilità di fiorire [29].

E allora colpisce vedere come anche nella spiritualità orientale si trovi un insegnamento molto simile: “Il vero miracolo non è camminare sull’acqua o camminare nell’aria, ma semplicemente camminare su questa terra e farla fiorire dove sei passato” (insegnamento attribuito al monaco buddhista Thich Nhat Hanh).

Perciò, alla domanda “Chi è Gesù?” dovremmo rispondere dicendo che Gesù è un’esperienza di vita, mentre non possiamo rispondere con un dogma [30]. Il Vangelo è infatti un progetto di vita [31], su questa terra.

Diceva Arturo Paoli: “se Dio è amore, Dio non si scopre attraverso un ragionamento teologico, lo si scopre solo se ci si sente amati, e allora più uno sente questo amore di Dio, minore è la curiosità di sapere veramente chi è, e dove sta” [32].

Questo significa che se uno sa tutto sui dogmi che riguardano Gesù Cristo, ci crede fermamente (magari sa tutto anche sulla fredda atemporalità dei ‘principi non negoziabili’ insegnati dal magistero), ma poi, fuori, fra la gente, si disinteressa degli altri, non li degna di uno sguardo tutto preso dai propri problemi, o magari anche li offende, li umilia, o li calpesta per arricchirsi, per occupare i primi posti, o anche solo perché è convinto di dover applicare dappertutto i principi non negoziabili imparati in chiesa, non può dirsi cristiano perché non sta seguendo Gesù.

Non è allora piuttosto strano vedere come tante persone pie che frequentano quotidianamente la chiesa si scandalizzano se uno fa un discorso teologico che va un po’ fuori delle righe, mentre il fatto che sia una persona poco umana nei rapporti con gli altri, questo li scandalizza molto di meno? [33]

Insomma, è da come ci comportiamo fuori della chiesa che si capisce cosa abbiamo fatto dentro [34]. Decisivo è il nostro modo di vivere. Quando esso coincide con quello che ha vissuto Gesù, significa che prendiamo sul serio il Vangelo e lo viviamo [35], e chi vive secondo il Vangelo diffonde vita attorno a sé. Chi invece si aggrappa a un’ideologia, a dei principi non negoziabili, a dei dogmi, non fa fiorire la vita, anzi spesso la toglie, per cui pratica semplicemente una religione. Ecco allora che occorre fare attenzione perché la stessa religione può diventare un idolo quando toglie la vita anziché farla fiorire.

E questo vale ovviamente anche per i vescovi e per i cardinali. Infatti quanti cardinali, quanti vescovi voi conoscete oggi che hanno il coraggio di dire: “Vivete come me e così tutti noi seguiremo Gesù”? [36] Molto più facile dire: “Se non credi che Gesù è vero Dio e vero uomo (n.464 del Catechismo), sei fuori!” dimenticando però che Gesù non ha mai escluso nessuno, neanche Giuda. In altre parole: quanti vescovi conoscete che seguono fedelmente il Vangelo rendendo così presente Gesù, e quindi anche Dio? Quando il vescovo della vostra diocesi, che si proclama successore degli apostoli, se ne sarà andato da questo mondo, sarete in grado di dire di lui che ha lasciato memoria del Vangelo?

Ora, se leggiamo i vangeli, stranamente nessun apostolo ha chiesto a Gesù di chiarire chi era, né da dove veniva. Lo hanno semplicemente seguito, vivendo insieme a lui.

Giovanni Battista [37] è stato l’unico a chiedere di sapere chi era Gesù (Mt 11, 3; Lc 7, 19 – “sei tu quello che dobbiamo aspettare, o dobbiamo aspettare un altro?”), e la cosa sorprendente è che nella sua risposta Gesù non ha detto chi è, ma cosa fa.

Quindi, di nuovo, ciò che identifica Gesù non è l’essere, la sua natura, bensì ciò che fa. Allora, se Dio si è fatto conoscere nella vita di un uomo (cioè nel suo modo di comportarsi) e nella sequenza storica dei suoi detti e delle sue azioni, capite perché si deve insistere sul fatto che neanche Dio lo scopriamo né lo conosciamo studiando l’assoluto metafisico, per cui non lo si conosce nei dogmi formulati attraverso categorie metafisiche. Questo vuole dire che in Gesù, nella sua vita e nella sua maniera di procedere, in questo conosciamo Dio, nel senso che impariamo chi è Dio, come è Dio, quello che dobbiamo fare per metterci in relazione con Dio. Si capisce allora qualcosa di Dio solo nella storia dell’accadere, cioè utilizzando un criterio storico [38], perché il pensiero evangelico è un pensiero storico nel succedersi di fatti che si possono sentire e vedere. Come è stato ben detto, è la storia di Gesù a darci l’insegnamento sul suo essere [39].

Del resto, questo è in linea col pensiero biblico: gli Ebrei non avevano mai pensato di dare una definizione ontologica del loro Yhwh, non avevano cioè mai pensato di definirne l’essenza [40]. Solo i greci avevano un pensiero metafisico, e noi occidentali che siamo eredi dei greci continuiamo ad essere preoccupati più dell’essere che dell’accadere, perché siamo convinti che solo l’essere è reale. Ecco allora che il papa emerito ci dice che Gesù ci ha lasciato guardare nell’intimità di Dio [41], cioè proprio nella sua essenza più profonda. Ma avrebbe dovuto aggiungere che l’ha fatto secondo lo schema mentale biblico, che non è affatto metafisico. In effetti i vangeli ci raccontano fatti della vita, per cui usano il verbo “accadere,” non il verbo “essere”; pertanto quando Gesù parla di Dio spiega come si comporta il Padre, non chi è il Padre. E se allora Gesù cura gli infermi, vuol dire che Dio sta lì dove un uomo lenisce le sofferenze di un altro. Questo è quanto riusciamo a scorgere nell’intimità di Dio, guardando Gesù; non che in Dio vi sono tre Persone divine, perché questo Gesù non l’ha mai detto e non l’ha nemmeno spiegato con le sue azioni.

 

Bene!  Se qualcuno è arrivato a leggermi fin qui, evidentemente spera - andando avanti - di capire qualcosa di più sull’essere di Gesù, sulla sua natura, per cui anch’io devo oggi far finta di essere sapiente e dimenticare quello che Gesù ha detto circa i sapienti (che non capiscono nulla), dimenticare quello che ha detto Arturo Paoli, dimenticare che è più importante mettere in pratica quello che ha fatto Gesù piuttosto che capire chi è stato in realtà.

Ho detto all’inizio che non ho verità in tasca, per cui non riceverete un prontuario di risposte, né un’unica risposta secca, ma piuttosto riceverete un invito a guardare la questione da più angoli visuali ad alcuni dei quali, forse, non avete mai pensato. Inutile dire che se si guarda la cosa da un solo punto di vista, la visuale resta stretta. Non esiste perciò un modo unico su come parlare di Gesù. Non a caso, dunque, fin dall’inizio esistono diverse immagini di Dio e di Gesù, e come gli uomini cercano d'impossessarsi di Dio, così molti cercano d'impossessarsi di Gesù, imponendo poi la propria teoria. Chi allora protegge questo povero Gesù dai nostri sapienti teologi? Insomma, dopo venti secoli di storia, durante i quali abbiamo visto le stesse affermazioni di Gesù utilizzate per difendere le idee più opposte, dalle crociate alle guerre giuste, fino al pacifismo totale, dovremmo essere diventati quanto meno più guardinghi quando si parla di lui [42] e si cerca di dargli un'identità precisa.

Probabilmente il modo migliore per parlare di Gesù sarebbe che ognuno di noi diventasse una risposta viva nella sequela, una risposta che probabilmente noi stessi non capiamo fino in fondo, ma che invece potrebbe illuminare chi guarda la nostra vita.

Oggi però abbiamo deciso di seguire un’altra strada: fermarci alla teoria, all’essere, e non all’accadere.

Sarò allora contento se, al termine della lettura, penserete di non aver proprio sprecato il vostro tempo, e ancora più contento se anche uno solo di voi penserà: “Toh! a questo che ho letto non mai avevo pensato, e ora voglio rifletterci un po’, con calma”. 

E allora entriamo nel vivo dell’argomento.

 

Dario Culot

                                                                                                                                        (continua)

 

 

 

[1] Dice il teologo Lorizio P. (“Famiglia Cristiana” n.39/2019, 100): affermare che Gesù è solo Dio, o che è solo uomo, è sostenere un’eresia. Perché eresia non è tanto una falsità della dottrina, ma radicalizzare un solo aspetto della verità di fede a scapito del tutto.

[2] Citando la Bibbia, la Chiesa ritiene di aver fornito argomenti decisivi per provare la verità di ciò che afferma. L'autorità divina è garanzia, e ogni parola della Bibbia, da lei interpretata, è tabù: nessun uomo può contestarla. La Chiesa, non ritiene l’Iliade di origine divina, ritiene illusoria anche l'origine divina delle parole del Corano. Eppure Corano e Bibbia ordinano la lapidazione delle donne adultere. Perché due pesi e due misure? Non pensate che rigettare il Corano e dire che solo la Bibbia è Parola di Dio non è affatto prova né di verità, né di errore? Che invece è solo un'opinione. E dire che la Bibbia è parola di Dio non significa sottintendere che Dio parla? Ma questo non è antropomorfismo? (Lenaers R., Benché Dio non stia nell’alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 169s. e 175s.). In poche parole, avete notato come nelle religioni c’è un atteggiamento di superiore sufficienza per i creduloni delle altre religioni, ma mai per la propria?

[3] Certamente un filosofo che eventualmente mi leggesse interverrebbe subito per puntualizzare meglio. In effetti si può puntualizzare meglio: per alcuni i due termini (ontologia o metafisica generale) sono equivalenti, ma per altri no. Alcuni intendono per ontologia lo studio dell’essere in sé, in quanto tale.Metafisica, invece, è ciò che sta al di là della fisica, al di là della materia; la riflessione su ciò che si situa al di sopra e al di là delle cose e degli esseri fisici; oltre il dato dell’esperienza, e quindi al di là della scienza. Al di là anche dell’essere e non essere, la metafisica studia l’assoluto, e quindi aspira a superare ogni limite.

[4] E va qui ricordato che l’interesse di Gesù si è invece incentrato non sul problema ontologico della sua identità con Dio, ma sul problema pratico e concreto dell’annuncio e della messa in pratica del Regno di Dio (Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 99 e 102).

[5] Gli evangelisti presentano più volte un capovolgimento della situazione: colui che era cieco vede (Gv 9, 1-41), coloro che pretendono essere guide dei ciechi (Rm 2,19) non vedono. Pensiamo solo all’episodio della samaritana al pozzo (Gv 4, 1ss.): la ben strutturata, gratificante, prestigiosa fede giudaica impedirà o almeno ritarderà a molti di credere in Gesù.  L’impoverita, annebbiata credenza samaritana, per questo eretica secondo i giudei, favorisce un passo avanti (Passalacqua L., Commento al Vangelo di Giovanni 15.3.2020). Insomma, più si è lontani dalla religione ufficiale, più facile è accogliere il messaggio di Gesù.

[6] Come scrive papa Francesco nell’Introduzione al libro di Tello Rafael  (Popolo e cultura, ed. Messaggero, Padova, 2020), è il popolo di Dio che va visto come soggetto della Storia della salvezza e come «luogo privilegiato» di manifestazione del cuore di Dio, mentre c’è il rischio per la Chiesa di rimanere lontana dallo stesso popolo, lontana dalle amorevoli dinamiche di Dio. L’amore di Dio si rivolge con priorità alle sue creature più deboli, alle persone semplici e disagiate. Per questo il teologo Tello, piuttosto che appoggiarsi sulla cultura illuminista moderna o sulle sottigliezze accademiche o ecclesiastiche, preferisce guardare e fare attenzione prioritariamente alla cultura del popolo.

[7] L’unica definizione di Dio la troviamo nella lettera di Giovanni (1 Gv 4, 8): ma se Dio si definisce come «amore», tale definizione non è, né può essere, una definizione metafisica. Perché l’amore non è una verità di carattere ontologico, bensì un’esperienza, che ci rinvia al procedere, o più esattamente, all’accadere della vita. Ma allora attenzione! l’amore non può essere imposto, per cui se qualcosa viene imposta in nome di Dio, non viene da Dio.

[8] Theissen G., La religione dei primi cristiani, Claudiana, Torino, 2004, 65.

[9] Questo è il titolo che Gesù ha usato più spesso parlando di sé, che è stato però presto dimenticato perché incomprensibile (Küng H., Dio esiste? Mondadori, Milano, 1979, 760). In effetti non lo si trova mai nella liturgia e neanche nelle preghiere, nel senso che non è arrivato neanche a far parte di una confessione di fede: è semplicemente sparito in poco tempo (Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, ed. Queriniana, Brescia,1976, 48).

[10] Sequela significa collegare la propria vita alla persona di Gesù (Castillo J.M., I poveri e la teologia, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 237-246), ma non necessariamente significa accodarsi fisicamente a lui. L’essenza della sequela è la conversione, cioè cambiare modo di pensare. Gesù non chiama tutti alla sequela fisica, chiede però a tutti di convertirsi: ad es. l'indemoniato di Gerasa, una volta guarito, chiede di seguirlo, ma Gesù lo manda a casa, dove diventerà partecipe della storia di Gesù annunciando nel suo ambiente ciò che Gesù aveva fatto per lui (Mc 5, 19-20); lo stesso accade con la samaritana incontrata al pozzo, che converte molti concittadini (Gv 4, 30.40s.). La famiglia di Lazzaro rimane sempre a casa sua senza mai seguire Gesù nei suoi spostamenti continui (Gv 11, 3-35). Il cieco Bartimeo viene invitato a tornare a casa, e invece segue fisicamente Gesù (Mc 10, 46-52). Da ricordare anche che il primo divulgatore della Buona Novella non è un apostolo, non è un sacerdote, ma un lebbroso (Mc 1, 45), cioè un peccatore anonimo che è stato purificato perché ha semplicemente accolto il messaggio di Gesù; e lo fa autonomamente, non accodandosi a Gesù. Un peccatore anonimo (e tutti possiamo identificarci nel personaggio anonimo) comincia a predicare il messaggio evangelico attorno a lui. E qual è questo messaggio? Che non è vero che Dio discrimina le persone e allontana da sé gli impuri e i peccatori, ma l'amore di Dio è rivolto a tutti.

Quindi molteplici sono le forme di partecipare alla causa di Gesù, di collegare la propria vita a Gesù. C’erano i Dodici. C’era il gruppo più ampio dei discepoli. C’erano gli aderenti stanziali che mettevano a disposizione le loro case. C’erano individui che avevano aiutato in una determinata occasione, fosse solo porgendo un bicchier d’acqua. Non appartenere al gruppo vero e proprio dei discepoli non è affatto indizio di mancanza di fede. Ciascuno può contribuire a modo suo e secondo le sue possibilità alla costruzione del regno di Dio. Nessuno è di seconda categoria (Lohfink G., Gesù di Nazaret, ed. Queriniana, Brescia, 2014, 120ss.).

[11] Ortensio da Spinetoli, Bibbia e catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999,45: Gesù ha dichiarato di essere figlio di Dio, ma non si è preoccupato di spiegare il senso della sua affermazione; a questo hanno pensato i teologi, che forse hanno frainteso il suo pensiero.

[12] Tolentino Mendonça Josè, Una bellezza che ci appartiene, Romena Accoglienza, Pratovecchio Stia (Ar), 2020, 89.

[13] Drewermann E., Funzionari di Dio, ed. Raetia, Bolzano, 1995, 12.

[14] Sono ancora in molti (cfr. Fontana S., Esortazione o rivoluzione? Tutti i problemi di Amoris Laetitia, ed. Fede&Cultura, Verona, 2019) convinti di aver ormai raggiunto la Verità, che non sopportano papa Francesco accusato di relativismo e di por fine alla Verità preferendo la prassi alla dottrina. Ma giustamente papa Francesco ha detto: “Se uno ha risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui. Vuol dire che è un falso profeta, che usa la religione per sé stesso. Le grandi guide del popolo di Dio, come Mosè, hanno sempre lasciato spazio al dubbio. Si deve lasciare spazio al Signore, non alle nostre certezze” (Papa Francesco, La mia porta è sempre aperta. Una conversazione con Antonio Spadaro, Rizzoli, Milano 2013, 97). Dire che nessun uomo raggiungerà mai la certezza assoluta della sua conoscenza non è relativismo, ma è l’unico dato certo che, come esseri limitati, abbiamo. Cfr. quanto si dirà in seguito al §(6).

A coloro che sono convinti che la Verità Assoluta è già incamerata nel Depositum fidei della Chiesa, che quindi la fede consiste nel credere alla dottrina insegnata dal magistero, e chi non obbedisce all’autorità del magistero deve essere allontanato dalla Chiesa, ricordo semplicemente questo: il cieco nato, una volta guarito e cacciato dalla sinagoga (cioè dalla chiesa) perché non ha voluto ammettere pubblicamente che Gesù era un peccatore avendolo guarito di sabato, rincontra Gesù e fa l’affermazione fondamentale di fede: “Credo, Signore” (Gv 9, 38). E allora, se il Vangelo ci sta dicendo la verità, arriviamo a questa conclusione tremenda: la fede in Gesù e nel suo Vangelo è possibile e autentica quando uno si comporta in maniera tale da vedersi rifiutato e scomunicato dalla religione ufficiale (Castillo,J.M., El Evangelio marginado, Desclèe De Brouwer, Bilbao, 2018,119).

[15] In http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_14091998_fides-et-ratio.html Dice il Sal 62, 12: “Una parola ha detto Dio, io ne ho udite due”; ciò significa che la vicinanza di Dio viene tradotta in parole umane in modo sempre imperfetto, talora anche ambiguo.

[16] Vede la Chiesa come un «porto chiuso al traffico», proprio perché c’è tanta paura dei laici, delle donne, dei gay, dei teologi non inquadrati (vescovo Pedro Casaldáliga, “Another Way to Being Church”, luglio-agosto 1997, in http://theolibrary.shc.edu/resources/sedos_casalda.htm. Ma il Depositum fidei non dovrebbe essere una cisterna di acqua stagnante sempre ferma, ma una sorgente da cui sprizza acqua fresca e viva.

[17] Cfr. l’articolo I re magi, al n. 434 de “Il giornale di Rodafà”, https://sites.google.com/site/numeriprecedenti/numeri-dal-26-al-68/199998---gennaio-2018/numero-434---7-gennaio-2018/i-re-magi

[18] Ratzinger J., Introduzione al cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 91.

[19] Parole del Cardinal Tonini riportate nel quotidiano “Il Piccolo” 29.7.2013, 5. Del resto, aveva già detto Evagrio Pontico, un monaco del IV secolo, che a una dottrina – che è pura teoria - si può rispondere con un’altra teoria; ma chi può confutare una vita?

[20] Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 538.

[21] Avendo visitato negli anni ‘30 gli Stati Uniti, già Bonhoeffer aveva scritto: «A New York si può sentir predicare quasi su tutto: c’è una sola cosa su cui non si predica o su cui si predica comunque tanto di rado che a me non è riuscito proprio a sentir parlare, cioè il Vangelo di Gesù Cristo, … solo nelle Chiese negre ho sentito predicare il Vangelo».

[22] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer,Bilbao, 2018, 92.

[23] Idem, 338. O come ha chiarito un vescovo americano della Chiesa Episcopale: “Noi dobbiamo cercar di fare l’esperienza di Dio e l’esperienza va separata dalla spiegazione, mentre va riconosciuta sempre più l’inadeguatezza delle parole antiche a captare l’essenza di una esperienza che pretenda di essere valida per tutti i tempi” (Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, ed. Massari, Bolsena, (VT), 2010, 41).

[24] In effetti la parola scritta, cristallizzando un contenuto più vasto della sua espressione linguistica, favorisce la formazione di dogmatismi rigidi, per i quali il testo è immutabile nella sua lettere per sempre. Il tragico contrasto tra Cristo che si appella alla vita e i farisei che fondano le loro convinzioni su ciò che è scritto, è ricorrente nella storia delle religioni (Vannucci G., Pellegrino dell’assoluto, ed. Cens, Liscate (MI), 1985, 193).

[25] Verdi L., Bambini e innamorati ci salveranno, Romena Accoglienza, Pratovecchio Stia (AR), 2020, 37.

[26] La Chiesa ci ha insegnato che Gesù Cristo è il modello che dobbiamo seguire (Mt 8, 22; 9, 9; 19, 21;  Lc 5, 27; Gv 1, 43) e perfino imitare (1Ts 1, 6).

[27] Ortensio da Spinetoli, Bibbia e Catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999, 89. Dio si è fatto conoscere “in Gesù di Nazareth”. A Natale quello che in realtà ricordiamo è come Dio è entrato nella storia. A prescindere dal giorno esatto e dall’ora esatta quello che veramente è avvenuto in un certo giorno di un certo anno è che Dio si è fatto conoscere dall'umanità. Così che il bambino nato è la Parola di Dio; è la risposta di Dio alle innumerevoli domande che gli uomini si sono sempre fatti sul senso della vita, su com’è Dio, chi è Dio, cosa vuole Dio e cosa Dio spera da noi mortali. Gesù ha detto: “chi vede me vede il Padre” (Gv 14, 8-9). Quindi, vedere Gesù è vedere il Padre, incontrare Gesù è incontrare Dio. Pertanto, nella vita vissuta da Gesù, nelle sue idee, nelle sue convinzioni, è dove vediamo e apprendiamo ciò che Dio vuole, ciò che a Dio piace, ciò che Dio non sopporta. Un’ulteriore annotazione: non sappiamo né il giorno né l’anno della nascita di Gesù: le date che seguiamo sono semplicemente tradizionali. Nell’emisfero settentrionale la nascita di Gesù (25 dicembre) è associata al ritorno della luce nel solstizio d’inverno. Ma nell’emisfero meridionale la nascita della luce che viene dalla tenebre è alla fine di giugno, che sarebbe il suo solstizio d’inverno. Prendere come vera data di nascita il 25 dicembre significa legarsi ad uno stupido letteralismo (Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, ed. Massari, Bolsena, (VT), 2010, 305). Già qui vediamo la stoltezza di aggrapparsi alla lettera.

[28] Panikkar R., La pienezza dell’uomo, ed. Jaca Book, Milano, 2000,  153.

[29] Verdi L., Bambini e innamorati ci salveranno, Romena Accoglienza, Pratovecchio Stia (AR), 2020, 39.

[30] È stato correttamente osservato che c’è un fosso tra quello che si può sapere scientificamente della storia di Gesù compresa la predicazione degli apostoli, e quello che da lì ha dedotto la Chiesa con i suoi dogmi (Moingt J., El hombre que venia de Dios, I, ed. Desclée, Bilbao (E), 1995, 8). Insomma non è più Gesù a dirci come è la religione, ma è stata la religione a dirci com’è Gesù. Ricordo anche che Roger Garaudy, quando in Europa ebbe inizio il dialogo tra cristiani e marxisti, negli anni successivi all’ultimo concilio, si rivolse ai cristiani con queste parole: “Voi, gente di chiesa, restituiteci Gesù!”

[31] Infatti i primi discepoli che hanno seguito Gesù (Mt 4, 18-22- Mc 1, 16-20; Lc 5, 1-11; Gv 1, 37) non hanno cominciato ad ascoltare sue lezioni di dogmatica, né a pregare insieme a lui, né a praticare certe norme: ecco perché il vangelo è un progetto di vita e non un libro di religione (Castillo J.M., La laicità del Vangelo, ed. La Meridiana, Molfetta (BA), 2016, 100). Questo concetto l'hanno capito forse meglio i musulmani di noi cattolici: «Gesù figlio di Maria incontrò un tale e gli chiese: “Cosa stai facendo?” Rispose: “Pratiche religiose.” Chiese: “Chi si prende cura di te?” Rispose: “Mio fratello”. Disse: “Tuo fratello è più religioso di te”» (IbnQutayba, in I detti islamici di Gesù, a cura di Chialà S., ed. Fondazione Valla-Mondadori, 2009, 31 n.94).

[32] Paoli A., Leggerezza, ed. Romena, Pratovecchio, 2017, pp. 55 e 58. Vannucci G., Gandhi, la sperimentazione della verità, Romena, Pratovecchio (AR), 1981, 17: ‘Scopriamo Dio non leggendo libri su Dio, ma dilatando continuamente il nostro cuore nell’amore per tutti gli esseri’.

[33] Perché c’è tanta gente che è più rispettosa della sacralità del tempio che della laicità dell’incontro con qualsiasi essere umano (come ci spiega l’episodio della samaritana al pozzo - Gv 4), soprattutto se si tratta di un escluso, un detenuto, uno straniero, un peccatore (cfr. Mc 25, 31-46)? È evidente che nella Chiesa abbiamo emarginato il Vangelo. Ed emarginandolo nella Chiesa, l’abbiamo pure emarginato nelle nostre vite e nella società (Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2018, 117).

[34] Wilma Chasseur, riportata da Antonioli F. Un eremo è il cuore del mondo, ed. Piemme, Milano, 2011, 170. ‘Tutti sapranno che siete miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri’ (Gv 13, 35). Vedendo come l’Occidente sedicente cristiano si è comportato e si comporta col resto del mondo, tutto il mondo sa che noi non siamo veramente discepoli di Gesù.

[35] Castillo ,J.M., El Evangelio marginado, Desclèe De Brouwer, Bilbao, 2018, 194.

[36] Gesù non aveva neanche un luogo dove posare il capo (Mt 8, 20). Cfr. in punto mega-appartamenti utilizzati da vari cardinali Nuzzi G., Via Crucis, ed. Chiarelettere, Milano, 2015, 62s (e in particolare l’elenco a p.143s. degli appartamenti occupati dai vari cardinali con le rispettive metrature); l’autore conclude che i 50 mq occupati da Papa Francesco sembrano quasi una capanna.

[37] Da notare che i dubbi di Giovanni non erano motivati da possibili nuove teorie che potessero giungergli sulla persona o sulla natura di Gesù. Ciò che aveva sconcertato Giovanni erano le opere che Gesù poneva in essere. Questo dato di nuovo sposta la nostra attenzione dalla metafisica dell’essere alla storia dell’accadere.

[38] Se ciò che il Battista vuole sapere è se Gesù era o non era il Messia, è chiaro che Gesù non presta attenzione a questa domanda, tant’è che neanche risponde ad essa. Ciò che a Gesù interessa è mettere in chiaro che lui si identifica mediante un criterio storico. Non si tratta, pertanto, di ciò che le speculazioni umane possono formulare in teorie teologiche, ma di qualcosa di così pratico e concreto che si «si sente» e «si vede»: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete» (Mt 11, 4). Perciò, quando dobbiamo dare una risposta sull’identità di Gesù, tale risposta non la possiamo dare mediante una formulazione «dogmaticamente corretta», bensì «accogliendo realmente l’esperienza della storia di Gesù». Questo è quanto correttamente si è denominato «cristologia narrativa» che coinvolge le persone (Luz U., Vangelo di Matteo, vol. 2, Paideia, Brescia 2010, 234). Una teologia, pertanto, che si esprime non attraverso teorie, idee astratte, statiche, speculazioni di ordine metafisico, ma una teologia che viene fuori da una vita, da una storia, da un accadere piuttosto che da una teoria dell’essere. È la vita di quell’essere umano che è stato Gesù di Nazareth. Cfr. l’articolo I binari della Chiesa al n. 428 de “Il giornale di Rodafà”, in https://sites.google.com/site/numeriprecedenti/numeri-dal-26-al-68/199996---novembre-2017/numero-428---26-novembre-2017/i-binari-della-chiesa.

[39] Paola Giani in https://www.landino.it/blog/la-chiesa-non-muore-la-religione-si-sta-spostando-di-paola-giani.

[40] von Rad G., Teologia dell’Antico Testamento, Paideia, Brescia 1972, 212.

[41] Benedetto XVI, La gioia della fede, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2012, 68.

[42] Panikkar R., La pienezza dell'uomo, ed. Jaca Book, Milano, 2000, 217.