Chierici e laici

Ritratto di un prete, Hermenegildo Bustos, 1854 -

immagine tratta da commons.wikimedia.org

Ancora oggi molte persone fanno confusione fra ‘sacerdoti’ e ‘preti’. Pensano che le due parole siano sinonimi che indicano entrambe il ministro del sacro culto cattolico (i protestanti hanno il ‘pastore’ o la ‘pastora’), anche se il primo termine appare più elegante mentre il secondo suona – per alcuni - quasi spregiativo.

Recita il can. n. 207 §1 del codice di diritto canonico del 1983: “Per istituzione divina vi sono nella Chiesa tra i fedeli i ministri sacri, che nel diritto sono chiamati anche chierici; gli altri fedeli poi sono chiamati anche laici”. Con le due parole (sacerdoti e preti) si indicano perciò i chierici, i ministri sacri, uomini privilegiati perché dotati di poteri sacri divini (soprannaturali) per il perdono dei nostri peccati, per la celebrazione dell’eucaristia e, in generale, per l’amministrazione dei sacramenti ai fedeli [1].

Chi è allora in realtà il sacerdote? È l’addetto al sacro. È il mediatore fra l’uomo e Dio. È colui che permette la comunicazione fra uomo e Dio. I romani avevano a capo del collegio dei sacerdoti il “pontifex” (pontefice), parola che richiama colui che faceva costruire il ponte sui fiumi [2], e il ponte – com’è noto -  serve per unire due parti distanti e separate: nel nostro caso il profano e il divino. Il pontefice massimo o sommo pontefice, è dunque il titolo attribuito a colui che più di tutti riesce ad assicurare questo collegamento fra divino e umano. Il titolo, passato attraverso gli imperatori romani, è infine arrivato al papa[3] – per espressa rinuncia dell’imperatore Graziano - nel IV secolo (vedi sotto voce Papa, in http://www.cathopedia.it/).

Tutte le religioni hanno sempre avuto sacerdoti, dalla Mesopotamia, all’Egitto, dagli Ebrei ai Romani. In Israele, in particolare, dov’è nato Gesù, la carica sacerdotale era ereditaria, perché riservata alla tribù di Levi (Es 32, 25-29; 1 Cr 5, 27ss.; Dt 33, 8-11) che era rimasta fedele a Mosè senza adorare il vitello d’oro e per di più aveva ricevuto questa compensazione sacra in esclusiva non avendo invece ricevuto, a differenza delle altre tribù, alcun appezzamento di terra. Nel giudaismo essere sacerdoti significava dunque separarsi dal resto del popolo. I sacerdoti, uomini sacri e consacrati, avevano come unico compito quello di dedicare la loro vita alle funzioni, alle cerimonie, presiedere ai sacrifici e ai rituali del Tempio, il “luogo sacro” per eccellenza, ritenuto anche l’unico luogo sulla terra dove la gente poteva incontrare Dio. Per questo, appunto, il sacerdozio era associato al “sacro”. Gesù, che non apparteneva alla tribù di Levi, non sarebbe mai potuto diventare sacerdote.

Ma con Gesù, comunque, tutto è cambiato, proprio perché non era sacerdote, non si è comportato da sacerdote, non ha nominato nessun discepolo sacerdote (neanche Pietro), e nessuno l’ha mai chiamato sacerdote. Non ha mai partecipato ai rituali sacri nel Tempio o alle cerimonie nelle sinagoghe, non si è nemmeno mai sottomesso alle prescrizioni religiose (tipo il riposo del sabato, i riti purificatori prima di mangiare, ecc.). Lui stesso non ha mai organizzato nuovi rituali o nuove cerimonie sacre. Per di più Gesù ha insistito non per la separazione, ma per l’unione e l’assimilazione. Strano allora che in non pochi ambienti ecclesiastici si dia ancora oggi più valore alla separazione, alla dignità sociale, alla differenza, che collocherebbe i chierici più vicino a Dio, anche se per il vangelo questo è anticristiano [4].

All’inizio del cristianesimo, dunque, il termine “sacerdote” non veniva mai utilizzato per nessun cristiano. Ciò vuol dire che, secondo gli scritti del Nuovo Testamento, i sacerdoti non erano tenuti in alcuna considerazione, tanto da non essere neanche menzionati in nessun momento. Pertanto nella Chiesa, stando al Nuovo Testamento, non ci sono sacerdoti perché nei vangeli non emerge, da nessuna parte, che Gesù volesse che i suoi apostoli e discepoli fossero persone “sacre e consacrate,” com’era il sommo Sacerdote nel Tempio di Gerusalemme.

In tutto il Nuovo Testamento, solo in uno scritto (nella lettera agli Ebrei), e solo una persona (Gesù Cristo), viene designata “sacerdote”, cosa che viene ripetuta più volte (Eb 2, 17; 3, 1-2; 4, 15; 5, 10; 7, 1-28). Pertanto, secondo gli scritti del Nuovo Testamento, nella Chiesa, l’unico sacerdote può essere solo Gesù. Ma come ha ben evidenziato il prof. Castillo, è chiaro che, secondo questa stessa lettera, ci sono due forme di sacerdozio: il sacerdozio rituale (secondo la legge) e il sacerdozio esistenziale (secondo Melchisedec) (Eb 7, 11-28). Il sacerdozio rituale si realizza officiando riti sacri che nessun altro può officiare; invece il sacerdozio esistenziale si realizza offrendo la propria esistenza; vale a dire, tutti possono offrire la propria vita, purché sia una vita onesta, responsabile e ricca di bontà. Gesù non ha offerto né un rituale sacro, né un sacrificio sacro. Ha offerto sé stesso (Eb 7, 27; 9, 9-14), ma la sua vita non è finita con un sacrificio, perché un sacrificio, per essere tale, doveva essere offerto seguendo un preciso rituale. Invece la morte di Gesù non è stata un rituale, bensì un’esecuzione in seguito a una condanna legale, e si è conclusa non sull’altare sacro ma in luogo profano, utilizzando non strumenti sacri ma una croce profana. Non è stata la morte di una vittima sacrificale, bensì la fine tragica di un “sovversivo,” condannato a morte dall’autorità civile.

Cosa se ne deduce? Se Gesù è il nostro unico sacerdote misericordioso (Eb 2, 17; 5, 10), non c’è motivo perché nella Chiesa vi siano sacerdoti rituali. L’unico sacerdozio che unisce gli esseri umani con Dio è il sacerdozio esistenziale, vale a dire il sacerdozio che consiste nella nostra vita intera, ossia nel nostro modo di vivere giorno dopo giorno la vita in un modo ben determinato.

Invece cosa è successo nella storia del cristianesimo? Dopo pochi secoli è successo proprio quello che Gesù aveva voluto evitare a ogni costo comandando ai suoi discepoli e apostoli di affrontare la vita lavando i piedi agli altri, ossia come schiavi al servizio di coloro che soffrono e vivono nell’insicurezza: assai presto i successori degli apostoli si sono invece trovati non solo in posizione separata dagli altri, ma perfino al di sopra degli altri, con una dignità e dei poteri che mai Gesù aveva potuto immaginare. Come ha ben evidenziato Ortensio da Spinetoli, è mutato proprio lo statuto giuridico di Gesù; è stato cioè «stabilito il suo passaggio dalla classe operaia a quella sacerdotale (che l’aveva osteggiato e fatto crocifiggere), con una reinterpretazione culturale dei suoi grandi gesti profetici. Una modifica, si può dire senza esagerazione, disastrosa per il senso della sua vita e della sua missione nel piano di Dio e della salvezza. L’esperienza di Gesù è riletta e riproposta alla luce di moduli culturali presenti nella Bibbia, nella tradizione giudaica, come nella religiosità di molti altri popoli: l’agnello pasquale, il “servo” sofferente, il capro espiatorio. La morte del profeta dissidente, ribelle, diventa l’offerta, il sacrificio “richiesto” da Dio per sentirsi ripagato dei torti ricevuti dall’umanità. (…) Il tempio è ricostruito, l’altare dei sacrifici ha ripreso il suo posto e l’accesso a Dio è demandato all’appropriazione dei “meriti” di Cristo» [7]. Il messaggio di Cristo è stato travisato e deformato.

Come si è arrivati a tutto questo? Più o meno ai tempi di Costantino (fra il III-IV secolo), nella Chiesa si sono verificati eventi che hanno portato a un cambiamento radicale. Quelli che, stando al Vangelo, dovevano essere i seguaci di Gesù e i servitori degli altri, sono stati eretti a maggiorenti importanti nella società attraverso l’ordine sacerdotale. Va precisato che nell’Impero romano l’ordo aveva il significato di classe sociale, sì che esisteva l’ordo senatorum (quello dei senatori), l’ordo equitum (quello dei cavalieri) e l’ordo plebeius (quello infimo della plebe) [8]. Inseriti nell’ordine più alto, quelli che dovevano essere i servitori della comunità si sono rapidamente trasformati in signori e dominatori della comunità plebea. Esattamente il contrario di quanto aveva detto e stabilito Gesù: “Ma non deve essere così tra di voi: anzi, chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore, e chiunque tra di voi vorrà essere primo, sarà vostro servo” [9] (Mt 20, 26-27; Mc 10, 43-44; Lc 22, 26-27). Ovviamente, non appena il gruppo è finito più in alto si è separato; vistosi in alto si è anche dichiarato superiore e sacro; come superiore ha ritenuto di avere il diritto di impartire ordini a quello inferiore, e come sacro ha sostenuto che gli ordini che lui dava erano divini. Quello che non erano riusciti a ottenere Giovanni e Giacomo (Mt 20, 20-23) l’hanno ottenuto i chierici perché gli apostoli e i loro successori, che dovevano essere i servitori della comunità stando alla volontà di Gesù (per come traspare dai vangeli), sono invece presto finiti col diventare i membri privilegiati di un ordine (ordo), capaci di imporsi sulla stessa comunità [10].

Questo profonda separazione antievangelica è giunta fino a noi e tuttora persiste:

a) ancora oggi molti vescovi sono convinti che la chiesa sia il vescovo (il quale è autorizzato ad esercitare un potere assoluto, discrezionale e non censurabile) e chi non obbedisce e non è col vescovo è fuori dalla chiesa. È stato ancora recentemente scritto che, piaccia o non piaccia, «La Chiesa cattolica si definisce per il fatto di riconoscere il Papa ed a livello diocesano il Vescovo, il centro di unità voluto da Dio stesso» [11]. Molti pii credenti sono perciò convinti che il vescovo non è solo il custode dei contenuti da trasmettere, ma è anche l’autorità designata da Dio stesso per esplicitare adeguatamente la sua volontà e i suoi insegnamenti. E questa convinzione viene ormai da una lunga tradizione, risalente già ai tempi di sant’Ignazio morto nel II secolo (Lettera agli Efesini, 1.6-VI: “Si deve guardare al vescovo come si guarda al Signore stesso,” per cui dire vescovo o dire Dio è la stessa cosa. Lettera ai Filadelfiesi 1.1.1.4. 3: “tutti coloro che appartengono a Dio e a Gesù sono col vescovo” [12], col che chi non è con il vescovo non è nella Chiesa).

b) Eppure, se si guarda al Vangelo, viene spontaneo domandarsi: visto che chi vuol essere primo deve essere servo di tutti, questi ‘tutti’ hanno il dovere di obbedire al “loro servo”? Evidentemente no. E allora come è possibile che i vescovi pretendano obbedienza [13], soprattutto quando sappiamo che Gesù non ha mai chiesto obbedienza né a Dio, né a sé? [14]

Inoltre è certo che Gesù non ha mai sentito parlare di cardinali (sono spuntati tra la fine del V e l’inizio del VI secolo), come non ha mai sentito parlare del Vaticano o del papa, e neppure di vescovi, presbiteri (da cui preti) o diaconi [15]. Quindi, dire che, piaccia o non piaccia, Dio stesso ha designato i chierici per esprimere la sua volontà è una mera congettura umana antievangelica, anche se collegata all’idea di successione apostolica, non avendo mai detto Gesù che Dio voleva che la gente obbedisse agli apostoli. Anzi, basterebbe leggere i vangeli per rendersi conto come il verbo ‘seguire’ (da cui ‘seguaci’) viene riferito 17 volte ai discepoli, ma ben 25 alla gente comune, per cui i laici dovrebbero avere ben più peso dei chierici.

La struttura gerarchica, così come ancora oggi l’abbiamo, non è stata voluta direttamente da Gesù (per come riportato dai vangeli), per cui non è di volontà divina, ma è stata ideata da Paolo ed è sorta per le sue comunità sulla falsariga del pater familias, prima ancora che venissero scritti i vangeli. L’idea che Gesù abbia eletto un gruppo di soli maschi al livello sacerdotale, costituito da papa-cardinali-vescovi-preti tutti dediti al celibato, per guidare la Chiesa non trova riscontro nei vangeli. Chi è di un’altra idea mi mostri dove Gesù parla di questo. Ma per come poi si è sviluppata la storia della chiesa, ci hanno facilmente convinto che i chierici sono gli unici eletti e i veri fedeli seguaci di Gesù, creati per volontà divina. Quindi, ancorché oggi molte persone continuino a pensare che il magistero costituito dal papa, dalla Curia romana e dai vescovi sia frutto di volontà divina, questo è sbagliato. Infatti “Magistero” viene dal latino magister, parola che significa ‘maestro’ e fa riferimento all’autorità che permette di insegnare. Parlando in senso stretto, c’è solo una di queste autorità nella Chiesa ed è lo Spirito Santo che, come ha promesso Gesù ai suoi seguaci, “guiderà gli uomini a ogni verità”» (Gv 16, 13) [16], mentre lo stesso Gesù ha raccomandato a tutti (folla e discepoli) che nessuno – proprio nessuno - si faccia chiamare “maestro,” ribadendo subito dopo che chi vuol essere il più grande deve essere il servo [17] di tutti (Mt 23, 8ss.). 

Immaginate come possano amare questo papa che cerca di far ritornare al Vangelo quei tanti alti prelati, gonfi di ego, grondanti croci d’oro, abituati a porgere la mano per farsi baciare l’anello, che non cucinano, che non fanno il bucato, che non sanno quanto costa un litro di latte o quattro uova, convinti invece di aver acquisito per volontà di Dio il sacrosanto diritto di dover essere serviti, di dover meritare il più alto rispetto, di veder esaltata la loro maggior dignità per cui, da quest’altezza superiore, sono parimenti convinti che gli altri (inferiori) abbiano solo il dovere di subire il loro potere che deriva direttamente da Dio (nn. 1897-1899 Catechismo). Non si rendono conto che così insigniti di potere, dignità e gradi che si mostrano al pubblico mediante appellativi, abiti sacri, titoli altisonanti, utilizzano cose e schemi che in realtà riproducono esattamente ciò che Gesù aveva espressamente proibito [18].

Si può replicare che nelle comunità che diventano sempre più grandi sono assolutamente indispensabili dei dirigenti. È vero, ma anche qui si può osservare che i nomi dati ai primi dirigenti non venivano dalle religioni, ma dalle organizzazioni civili: averli designati come “diaconi” (i camerieri che servivano a pranzo), “presbiteri” (gli anziani delle associazioni laiche, da cui è uscito per contrazione il termine ‘prete’ che quindi non è affatto un termine spregiativo),“vescovi” (gli ispettori che vigilavano affinché le istituzioni funzionassero correttamente), è segno evidente che un’organizzazione religiosa che non utilizza per i suoi responsabili titoli propriamente religiosi, bensì nomi riferentesi a incarichi laici, intendeva evidentemente praticare la religione “in altro modo” [19].  Ma così, alla fine, non è stato.

Va dunque ribadito che non è stato Gesù Cristo a creare i preti (da presbiteri) o i vescovi (da episcopi): Gesù ha semplicemente incaricato i suoi discepoli di annunciarlo, e sono stati gli apostoli che per poterlo meglio annunciare hanno cominciato a risolvere problemi pratici, via via incontrati, creando la prima struttura (i diaconi). Tutta la storia della Chiesa è fatta di soluzioni trovate strada facendo per risolvere problemi pratici nuovi. Gli apostoli hanno avuto l’idea dei diaconi (servitori di mensa) che hanno però fatto scegliere alla comunità (At 6, 3-6). Paolo quella dei presbiteri, anziani che ha scelto da sé. Più tardi, anche i ministri locali, episcopi (o presbiteri) sono stati scelti dalla comunità (Didachè 15,1; Ippolito, Tradizione apostolica, 11; papa Leone Magno, Epistola X: Qui praefuturus est omnibus, ab omnibus eligatur: chi poi deve presiedere su tutti, deve essere scelto da tutti). Si pensi alla nomina del famosissimo vescovo di Milano Ambrogio, che era semplicemente un governatore romano stimatissimo, però nemmeno battezzato; saputo che volevano farlo vescovo egli aveva cercato di sottrarsi appellandosi anche inutilmente all’imperatore perché lo dispensasse dall’incarico; invece è stato preso quasi a forza, battezzato in fretta e furia, e nominato vescovo a furor di popolo [20]. Non basta: il Concilio di Calcedonia del 451 (dal quale è uscito il dogma che Gesù è vero Dio e vero uomo), ha imposto col canone 6 il divieto dell’ordinazione assoluta, cioè il designare qualcuno sacerdote senza che il candidato fosse stato invitato o accettato da una comunità. Non solo, ma come si è visto nella parte finale dell’articolo Se le fonti storiche sul primato petrino romano sono traballanti (al n. 519 di questo giornale, https://sites.google.com/site/archivionumeri500rodafa/numero-519---25-agosto-2019/se-le-fonti-storiche-a-favore-del-primato-petrino-romano-sono-traballanti), la comunità poteva perfino far decadere il vescovo dalla sua carica: altri tempi!

Allora è curioso, per non dire strano, come perfino il § 32 della Lumen Gentium insista nel dire che la distinzione tra i sacri ministri e il resto del popolo di Dio è stata posta dal Signore. Dove? Come? Quando? Il Vangelo dice esattamente l’opposto (Mt 20, 26-27; Mc 10, 43-44; Lc 22, 26-27). È stato Paolo a creare la struttura, e fino a prova contraria, Paolo non è Dio.

Anche il can. 207 §1 del codice di diritto canonico sopra citato mantiene la consolidata struttura piramidale che suddivide la chiesa in due stati: chierici e laici, i quali ultimi restano dei semplici aiutanti della gerarchia, perché è sempre e solo la gerarchia che stabilisce quali sono le funzioni dei laici. Questo codice conferma, vari anni dopo il concilio [21], uno schema che ripartisce i cristiani in gerarchia e laicato, stabilendo quasi una «divisione del lavoro» tra le sfere dello spirituale e del temporale e assolutizzando la superiorità del sacerdozio ordinato quasi fosse un maggior grado di santità o vicinanza a Dio. Per questo si è tornati ad usare la parola "sacerdoti" per parlare dei ministri della Chiesa, cosa che inizialmente era stata bandita.

Ricordava bene padre Ernesto Balducci come invece il Concilio avesse avuto il pudore di non usarla, dato che essa sta bene solo a Cristo, il quale ha assorbito in sé tutte queste funzioni e le ha comunicate a tutti coloro che sono nella fede. Dopo l’ultimo concilio, in effetti, la stessa Chiesa ha riconosciuto che nella comunità cattolica tutti sono sacerdoti. Come mai? Ma perché Gesù ha detto che tutti possono rivolgersi a Dio, per cui non c’è più bisogno di sacerdoti (Lumen gentium 10). Se siamo un popolo sacerdotale non abbiamo bisogno di sacerdoti, per cui non ha senso parlare ancora di sacerdoti. Ha fatto bene papa Francesco a ricordare che la Chiesa non è una élite di sacerdoti, di consacrati, di vescovi, ma che tutti formano il santo Popolo fedele di Dio. Il clericalismo [22] dimentica che la visibilità e la sacramentalità della Chiesa appartengono a tutto il popolo di Dio (cfr. Lumen gentium §§ 9-14), e non solo a pochi eletti e illuminati [23].

Il solo battesimo, dunque, è già sufficiente per rendere sacerdoti tutti i cristiani, giacché li unisce, li innesta nel corpo di Cristo, e come ha ricordato l’ex domenicano Matthew Fox “Non confondiamo l’essere in Cristo” con l’essere “in Vaticano” [24]. Come Chiesa (perché noi popolo siamo Chiesa) dovremmo far presente ai vertici istituzionali che la Chiesa (governata dal magistero) non ha né autorità né il potere di fare alcunché contro il Vangelo: quindi dovremmo far presente ai rappresentanti altolocati della Chiesa che non devono e non possono distinguersi per i loro privilegi, titoli e dignità, cioè tutto quello che rappresenta un livello di superiorità rispetto agli ultimi e agli esclusi [25]. Ovviamente non tutti nel magistero sono così: don Tonino Bello, diventato vescovo, aveva insistito nel dire che il grembiule era l’unico paramento sacro, stando almeno ai vangeli. Per questo era stato duramente criticato per aver distorto il significato liturgico della stola (quella striscia di stoffa) o della casula (la veste, di vari colori, che si usa per celebrare la messa), che non erano affatto simbolo di potere, mentre era vera anomalia pretendere di fondare la Chiesa sul grembiule [26], simbolo di servizio. Però, se guardiamo il vangelo, aveva perfettamente ragione il compianto vescovo di Molfetta dicendo che la Chiesa aveva dimenticato il grembiule per indossare i paramenti dell’impero, simbolo di potere e non di servizio. Tanto è vero che tutti possono indossare il grembiule, ma solo i preti la stola e la casula.

Ancora oggi ci troviamo in una situazione in cui da un lato si ripete, da parte dello stesso magistero, che i laici partecipano del sacerdozio comune a tutti i battezzati, ma poi la maggior parte dei vescovi non li prende in considerazione non appena non concordano con il loro modo di gestire la comunità e la pastorale.

Siamo allora certi che Dio abbia voluto una Chiesa come quella che abbiamo? che nella Chiesa debba esistere un clero come quello che abbiamo?

Partiamo dal dato di fatto che neanche la parola clero esiste nel Nuovo Testamento. Come mai, se era così importante come oggi ci fanno credere? La parola comincia ad essere usata dopo Costantino (cfr. l’articolo I concili imperiali, al n. 448 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numeriarchiviati2/numeri-dal-26-al-68/1999992---aprile-2018/numero-448---15-aprile-2018/i-concili-imperiali) e viene usata perché sorge a quel punto un gruppo di privilegiati fra i dirigenti della Chiesa.

Dunque, neanche il clero, come l’abbiamo oggi, è stato inventato da Gesù, per cui non è dogma di fede che la Chiesa debba continuare a restare divisa fra chierici privilegiati e laici sottomessi: Chiesa docente e chiesa discente. Nella Chiesa si possono avere ministri di Dio, testimoni del vangelo e responsabili delle comunità cristiane che adempiano tali funzioni senza bisogno di essere consacrati (Gesù non era sacerdote, e non lo erano neanche gli apostoli) e senza necessità di essere privilegiati. Se solo ricordassimo come nell’ultima cena, con la lavanda dei piedi, Gesù ha imposto ai discepoli che volevano seguirlo una vita di servizio, che invece pochi vescovi e cardinali apprezzano.

Qui il laico può veramente essere d’aiuto perché la caratteristica del laico, a differenza del chierico, è «il comune» a tutti, ovvero ciò in cui tutti coincidono. E per questo, il laico è colui che unisce i cittadini e sopprime i privilegi, le categorie separate, tutte cose che rendono più difficili le relazioni umane. Gesù non ha voluto né tollerato niente di questo fra i suoi discepoli. Ecco il perché delle raccomandazioni ai seguaci di Gesù: non devono accettare titoli di distinzione o unicità, vale a dire, non devono accettare di essere chiamati «maestri», né «padri», né «signori», perché tutti sono «fratelli», ossia tutti sono sullo stesso piano di uguaglianza. Di più: se c’è qualcosa in cui devono distinguersi, deve essere nel «servizio», come colui che serve a tavola, il «cameriere» di tutti (diákonos) (Mt 23, 8-11), secondo il linguaggio che oggi si utilizza per chi esercita funzioni non precisamente di comando o di potere, ma di servitù in lavori di poca stima sociale [27].

Non si tratta allora del fatto che i “laici” assumano “ministeri ordinati”, ma di superare la distinzione tra laici e chierici (distinzione creata dai chierici) e quindi tra “ministeri ordinati” e “ministeri non ordinati”, come se i primi provenissero da “Cristo” attraverso il suo rappresentante sacro (il vescovo) e i secondi fossero “una mera delega della comunità”.

Mi piace in proposito ricordare le parole – a mio avviso premonitrici,- di Carlos García de Andoin, cofondatore dei cristiano-socialisti in Spagna: “Questa pandemia del coronavirus è una specie di stress test. Ci ha anticipato la foto di ciò che sarà la Chiesa nei prossimi dieci anni. Lì dove ci sono comunità vive, a prescindere dal lockdown, è stato possibile mantenere il servizio, la celebrazione e l’annuncio. E questo rimarrà in futuro. Dalle parrocchie invece dove si è avuta la serrata totale, ci viene il chiaro segnale che nel giro di una decade esse spariranno. È l’ora di focalizzare l’azione pastorale della Chiesa nel sostenimento e nel rinforzo di comunità vive. Spendere tutte le forze per mantenere un servizio estensivo esclusivamente sacramentale, senza il supporto di una comunità laica, è del tutto sterile. Dobbiamo potenziare comunità emancipate, capaci di funzionare con leadership proprie. Dove c’è una comunità corresponsabile e ministeriale la Chiesa durerà. La risposta del futuro non è né la centralizzazione, né la clericalizzazione. Dobbiamo aprirci a nuovi formati ministeriali. Il Nuovo Testamento ci dice che Pietro aveva una suocera (Mc 1, 30; Mt 8, 14) e che Paolo viveva del suo lavoro di fabbricante di tende (1Cor 4, 12; 2Ts 3, 7s.; Ef 4, 28). E anche per essere vescovo occorreva accreditarsi dimostrando di essere stato un buon padre di famiglia. Questo, dunque, non credo debba essere ormai più un problema. Se Pietro e Paolo hanno vissuto il loro ministero da sposati e con un lavoro pagato, anche oggi si può vivere il ministero in condizioni laiche. In questo momento credo che la Chiesa si stia privando, con assoluta cecità, di vocazioni ministeriali che oggi lo Spirito suscita.”

Voglio infine concludere con una bella domandina su cui meditare: l’orientamento sessuale è indispensabile per essere ministro sacro? O basta essere asceta se si è omosessuali? Ma se – come c’insegna lo stesso magistero -  la vocazione viene da Dio, cosa c’entra l’orientamento sessuale? L’orientamento sessuale non incide sulla dignità della persona dinanzi a Dio. Non siamo tutti indistintamente figli di Dio (Gal 3, 28)? Se cioè nella Chiesa (comunità, ekklesia) “non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (appunto Gal 3,28), non è logico pensare che qualsiasi ufficio e funzione non dovrebbe essere legato né al sesso, né all’etnia, né a qualsiasi condizione, per cui tutti dovrebbero (in astratto) poter essere preti, vescovi e papi, uomini e donne, sposati e celibi/nubili, etero e omo?

 

Dario Culot

[1] Ecco perché è stato giustamente detto che i preti, prevalentemente educati alla sacramentalizzazione, se manca la celebrazione si sentono smarriti (Lorizio P., La Chiesa italiana di fronte alla pandemia, “Famiglia Cristiana”, n.20/2020, 76).

[2] Dizionario etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli, Bologna, 2015, Voce “pontefice” 1228.

[3] Non c’è dubbio che la Chiesa si sia strutturata secondo la piramide gerarchica dell’impero romano, infatti la dignità del papa è la massima fra tutte le dignità della terra (art. 196 Catechismo Pio X), e quindi, al pari del sommo pontefice romano (massima carica religiosa pagana, da cui il papa ha preso perfino il titolo), e al pari del sommo Sacerdote di Gerusalemme, lui sta in cima alla piramide religiosa, ed è il più vicino a Dio. Sotto di lui e alle sue dipendenze stanno i vescovi, i pastori dei fedeli, che a loro volta sono i superiori di tutti i fedeli ecclesiastici e laici (artt. 206 s. Catechismo Pio X).

[4] Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, Roma, 2012, 142s. In un attimo, però, con la lavanda dei piedi, Gesù ha distrutto l’idea tanto cara alla religione di un Dio re che si fa servire dagli uomini (Maggi A., Pietro, un diavolo in paradiso, in https://www.studibiblici.it/conferenze/Pietro%20un%20diavolo%20in%20paradiso%20-%20Padova%202013.pdf) e di un suo vicario in cima alla piramide che è il più vicino al Dio re.

[5] Castillo J.M., Teología popular, III, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2013, 57s.

[6] Anche Paolo parla di immolazione sacra (1Cor 5,7), e così anche Ap 5, 6.12.

[7] Ortensio da Spinetoli, La prepotenza delle religioni, Chiare lettere, Milano, 2020, 50s.

[8] Il talento era la principale unità di misura monetaria mediterranea, ma non fu mai battuto come moneta: fungeva semplicemente da sistema di riferimento: era pari a circa 30,25 kg di argento. Un talento era pari a 3.000 sicli (shekel, nome ancora oggi usato per la moneta israeliana), e un siclo d’argento (circa cento euro di oggi) corrispondeva a 4 denari romani. All’epoca di Gesù, in Palestina circolavano molti tipi di monete diverse.

Il denario d’argento romano si divideva in 4 sesterzi (circa 6 euro l’uno) e 16 assi (circa 1 euro e mezzo l’uno). Con un asse si comprava mezzo litro di vino; con mezzo asse un chilo di pane. Un legionario romano prendeva al massimo un denario al dì, oltre ad altri fringe benefits; il mantenimento di una legione costava 3.000.000 di denari all’anno. Si tramanda che i famosi pranzi luculliani potessero costare anche 1 milione di sesterzi l’uno.

Per avere accesso all’ordo equitum (cavalieri) una persona doveva poter disporre di più di 400.000 sesterzi. Non bastava a un legionario risparmiare lo stipendio annuo per tutta la vita per poter sperare di essere ammesso all’ordo equitum. Se si voleva raggiungere il livello dell’ordo senatorum (senatori) il proprio capitale doveva arrivare a un milione di sesterzi (Knapp R., Los olvidados de Roma. Prostitutas, forajidos, esclavos, gladiatores y gente corriente, Planeta, Barcelona, 2015, 11).

Se i 30 denari incassati da Giuda per tradire Gesù (Mc 12, 15; Mt 22, 19) erano quelli romani, erano pari più o meno alla paga mensile di un soldato. La moneta con l’effige di Cesare era un denario. La monetina che la vedova butta nella cassa del Tempio era probabilmente il locale leptòn (o prutah) che valeva 1/8 di asse romano (circa 18 centesimi di euro). 

[9] Capite come ci siano anni luce di distanza fra Papa Francesco che vive a Santa Marta e la solitudine ieratica dei suoi predecessori, accuditi e riveriti in un palazzo papale.

[10] Castillo, El Evangelio marginado, Desclèe De Brouwer, Bilbao, 2018, 205-209.

[11] Lettera di sostegno al vescovo inviata a “Vita Nuova” n. 4842/2017, 3.

[12[ Entrambe le lettere in www.documentacatholicaomnia.eu, sotto voce Ignatius Antiochensis.

[13] Can. 212 - §1 del Codice di diritto canonico: I fedeli, consapevoli della propria responsabilità, sono tenuti ad osservare con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, in quanto rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa.

[14] Cfr. quanto detto all’articolo Obbedienza al n. 545 di questo giornale (https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20201/numero-545---23-febbraio-2020/obbedienza).

[15] Vescovi, presbiteri e diaconi fanno parte del clero diocesano (o secolare), che resta distinto dal clero regolare che segue le regole dei rispettivi ordini religiosi (gesuiti, domenicani, benedettini, ecc.)

[16] Bede Griffiths, OSB, “The M-word”, «The Tablet», 11 agosto 2010 (disponibile all’indirizzo https://vatican2voice.org/8conscience/magister.htm, 4 aprile 2010.

[17] Come sappiamo, Osea è il primo profeta biblico a parlare dell’amore di Dio. E nel suo libro si afferma categoricamente che il magistero, che pretendeva di far conoscere la volontà di Dio, era il primo a non conoscerla (già allora!). Ecco allora che Dio accusa i sacerdoti, non i peccatori: ‘Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza. Poiché voi sacerdoti rifiutate la conoscenza, e allora io rifiuterò voi come miei sacerdoti”. Siamo davanti a una minaccia forte per il clero, non per i laici peccatori.

E perché il sacerdote rifiuta la conoscenza di Dio? Perché Dio è amore e si può conoscere soltanto attraverso l’amore, e l’amore non è mai dottrina, dogma, ma si manifesta solo in servizio. Allora ogni sacerdote (presbitero o vescovo), che non vuole servire ma essere servito, che non vuole andare incontro all’uomo ma vuole mettersi al di sopra dell’uomo, non può conoscere neanche il volto di Dio.

[18] Ma v’immaginate se Gesù Cristo avesse partecipato al lutto per la morte di Lazzaro presentandosi pubblicamente così: “L’Arcivescovo – Vescovo di… Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor…”, come di recente si è visto sul nostro quotidiano locale. Sarei proprio curioso di sapere se un vescovo che telefona direttamente si presenta “Sono mia Eccellenza Reverendissima…” oppure se dice “Sono sua Eccellenza Reverendissima…”. Immagino comunque che sia sempre il suo segretario a introdurlo. Non mi risulta che Gesù avesse segretari.

[19] Castillo J.M., Teología popular, III, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2013, 56.

[20] Vedi http://www.santiebeati.it/

[21] Perché per molti all'interno della chiesa, particolarmente fedeli, il Concilio è un “incidente di percorsoW da dimenticare e persino da combattere.

[22] Clericalismo è un sistema oligarchico che non ha altro scopo se non quello di preservare il potere a ogni costo.

[23] In http://www.vatican.va/content/francesco/it/letters/2016/documents/papa-francesco_20160319_pont-comm-america-latina.html, Lettera del santo padre Francesco al cardinale Marc Ouellet, presidente della pontificia commissione per l’America latina del 19 marzo 2016).

[24] Una delle tante frasi che non sono piaciute alla Congregazioni per la dottrina della fede, che lo ha castigato.

[25] Il Codice di Diritto Canonico ricorda che i fedeli «hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa» (can. 212 § 3).

[26] Sul blog di apologetica cattolica del 16.2.2012, in https://www.pontifex.roma.it/

Vedasi anche la lettera sdegnata su “Famiglia Cristiana” n.43/2012, 11, che trova fuori luogo la “Chiesa del grembiule” e si scandalizza perché alcuni criticano i paramenti sacri. Peccato che il lettore non spieghi come il suo sdegno possa ricollegarsi al vangelo.

[27] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 281.