Predestinazione

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Papa Francesco, aprendo la sera del 16 giugno il convegno della diocesi di Roma in san Giovanni in Laterano, ha fatto riferimento al capitello medievale della chiesa di Maria Maddalena in Vèzley (Borgogna – Francia). Da un lato si vede Giuda impiccato, con la lingua di fuori, circondato dai diavoli. E fin qui nulla di strano. La sorpresa arriva dall’altro lato del capitello. Si vede un uomo che porta sulle spalle il corpo di Giuda. Quest’uomo ha una strana smorfia sul volto: metà bocca appare corrucciata, l’altra metà sorridente. L’uomo è un pastore. È il Buon Pastore che porta sulle sue spalle la pecora perduta, la centesima pecora per cercare la quale ha lasciato le altre 99. Quindi, secondo questo insegnamento scultoreo neanche Giuda sarebbe finito male, all’inferno, perché la misericordia divina prevale su tutto.

Se avete notato, dopo il concilio Vaticano II non si è quasi più sentito parlare di predestinazione, che viene definita come l’atto col quale Dio destina in anticipo gli eletti alla salvezza, in modo tale da muovere infallibilmente il loro atto libero al compimento della volontà divina. Tale atto, sotto l’impulso divino, non può non essere posto in essere, ma si attua come atto libero [1]. Sinceramente mi sfugge come un atto che ‘non può non essere realizzato’ possa essere libero: se sono spinto a fare qualcosa senza che me ne accorga sono semplicemente una marionetta in mano ad altri.

Comunque, chi parla di predestinazione sostiene che, con una grazia irresistibile ma imperscrutabile, Dio darebbe la fede solo ad alcuni [2]. La dottrina della predestinazione trae origine da Rm 8, 28-30: “quelli che”, e quindi non tutti; ma anche i vangeli parlano spesso di “eletti” (Mt 24, 22; Mc 13, 27; Lc 18,7; Gv 17,9 e 17, 24; 18, 9). Ora, se la fede fosse veramente un dono di Dio, che bussa al cuore di chi vuole, si dovrebbe riconoscere che c’è la predestinazione perché concedendo il dono solo a chi vuole Lui, finirebbe per salvare solo chi vuole Lui. I salvati sarebbero stati dunque scelti ben prima della fondazione del mondo. Solo essi sarebbero stati anche predestinati ad essere adottati come figli di Dio, perché la predestinazione riguarda ovviamente le persone e non tutto ciò che accade nel mondo [3].

Ma che la fede sia un dono di Dio è ormai tesi che non viene più facilmente accettata (cfr. l’articolo al n. 498 di questo giornale di cui al link https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-498---31-marzo-2019/cosa-e-la-fede).

Già l’apostolo Giacomo nella sua lettera (Cap.2, 14) scriveva: “Fratelli, a che serve se uno dice: «Io ho la fede!» e poi non lo dimostra con i fatti? Forse che quella fede può salvarlo?” Se ci fosse la predestinazione la risposta sarebbe ovviamente positiva, mentre Giacomo sottintende il contrario. È che in realtà le persone religiose hanno presto preferito far coincidere la fede col loro bisogno di certezza, vedendo in ogni novità che la vita porta con sé un attentato alla loro sicurezza. Ecco perché si è cercato di inquadrare il tutto in modo da avere il massimo della chiarezza senza lasciare nulla all’incertezza, arrivando così anche alla predestinazione: tutto è già determinato, organizzato da Dio in persona, tutto prosegue su quei binari prestabiliti, nulla dipende da noi e questo dà sicurezza (almeno a qualcuno).

Del resto, uno spunto per la predestinazione si poteva cogliere nell’impero romano, dove l’imperatore (a sua totale discrezione) poteva adottare come suo successore chi reputava degno di succedergli nella gestione dell’impero. In questo modo l’adottante organizzava il futuro, e dava la certezza che alla sua morte non sarebbe sopravvenuto il caos, ma tutto sarebbe proseguito con ordine. E allora, come l’adozione nell’impero romano dipendeva dall’assoluta e insindacabile discrezionalità dell’imperatore, c’è stato chi ha cominciato a sostenere che l’adozione a figlio di Dio dipendeva dall’iniziativa discrezionale e imperscrutabile di Dio. Perché è così? Non si sa e non ci interessa. Dobbiamo solo credere, tacere e ringraziare. Dio è sommamente giusto non solo quando premia, ma anche quando castiga. Mah! Sarà.

A dire il vero, l’idea della figliolanza divina era stata intravista già da Socrate, secondo il quale chi giunge nell’Ade da purificato vivrà in compagnia degli dèi; però poi aggiunge che “molti sono che portano piante, ma Bacchi pochi” (Platone, Fedone, XIII, c-d). E Clemente Alessandrino (Strom. I, 19), in maniera più esplicita, ha richiamato in proposito l’analogo Mt 20, 16: “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti!”, pericope interpretata normalmente nel senso che grande è il numero degli uomini che si dannano. Qui ha trovato terreno fertile l’idea di predestinazione riservata a una piccola élite: ai cocchi di mamma, anzi di Dio, cioè ai prediletti di Dio.

Ma oggi si preferisce pensare che fede non è un dono imponderabile che scende dall’alto, bensì è la risposta all’offerta di amore che Dio riversa su tutti. Fede significa allora fiducia, cioè quell’atteggiamento di abbandono fiducioso in Dio per cui giungiamo a vivere in modo nuovo situazioni difficili, cercando sempre di giungere a qualità nuove di amore e di misericordia. Intesa in questi termini l’esperienza di fede, scopriamo che vivendo in un determinato modo possiamo crescere nelle qualità di relazioni, nelle capacità di esprimere doni di vita per gli altri, alimentando la vita degli altri, mettendo in circolo dinamismi e forze vitali che fanno crescere le persone, per cui giungiamo a forme di armonia, a forme anche nuove di relazione profonda con le persone che incontriamo. Queste sono oggi le dinamiche della fede [4].

Accettando un’idea del genere diventa allora irrazionale pensare che chi si muove su questo piano di fede è forse predestinato a diventare figlio di Dio, ma forse anche no. Infatti sarebbe una intollerabile ingiustizia vedere che colui che, per tutta la vita, si dà da fare come un matto per aiutare gli altri, per far fiorire la vita attorno a sé, vivendo lui stesso come un santo, alla fine non essendo predestinato finisce comunque all’inferno, mentre magari colui che non ha fatto alcun bene in tutta la vita finisce in paradiso per un imperscrutabile preventivo disegno divino.

Inoltre chi si sente già predestinato potrebbe essere facile preda di orgoglio e senso di superiorità (Gv 8, 39-45; 1Sam 15,17), proprio come san Paolo temeva potesse succedere con chi fa opere buone (cfr. la nota 2).

Non basta ancora: la stessa Chiesa ha sempre invitato a pregare per gli altri. Ora, se tutto fosse già prestabilito, non avrebbe ovviamente alcun senso pregare per uno che è già salvo o già condannato.

Non solo: se tutto fosse prestabilito, non ci sarebbe neanche più bisogno di evangelizzazione (Rm 10, 14), né di santificazione e perseveranza (Col 1, 22s.), per cui sarebbe reale il rischio di pigrizia e inattività in chi si crede già predestinato.

Quando la gente chiede a Gesù: «Cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?» (Gv 6, 28), egli risponde dicendo che l’opera di Dio è credere in colui che Dio ha mandato (Gv 6, 29), credere dunque a quello che egli dice, ma soprattutto credere a quello che egli fa. E cosa fa Gesù? Compie le opere di Colui che lo ha mandato (Gv 9, 4) comunicando vita, come risulta anche dalla risposta che Gesù dà agli emissari di Giovanni il Battista (Mt 11, 4; Lc 7, 22). Dunque Gesù vuole collaboratori attivi per il Regno di Dio [5], che a quel punto diventano figli di Dio, e non lo diventano perché predestinati. La salvezza non dipende da un insondabile fato che bussa dove gli pare. Occorre che ogni uomo collabori, si dia da fare.

Sulla predestinazione aveva insistito in particolare Giansenio (1585-1638), il quale aveva costruito tutta la sua dottrina teologica (detta “giansenismo” [6]) in cui, radicalizzando le idee di sant’Agostino [7], sosteneva che dopo il peccato originale l’uomo nasce sostanzialmente corrotto e incline male; può solo peccare non essendo più in grado di volere o compiere il bene con le sole sue forze; l’intervento della grazia divina come dono gratuito di Dio, concesso però imperscrutabilmente ai soli predestinati, rappresenta per l’uomo l’unica possibilità di salvezza, indipendentemente dai suoi meriti e dalla sua buona volontà. La cupa dottrina giansenista ammetteva il valore delle opere, ma precisava che l’uomo è capace di opere buone solo in virtù della fede donata da Dio, mentre le virtù umane degli altri uomini senza fede (perché non hanno ricevuto questo dono) si rivelerebbero necessariamente peccaminose. Le loro opere, anche se buone, non varrebbero quindi nulla ai fini della salvezza [8].

Questo però cozza frontalmente contro l’insegnamento della parabola del buon samaritano. Questa famosa parabola (Lc 10, 29ss.) dimostra da una parte che la religione è stata incapace di formare uomini in grado di amare e ha prodotto soltanto degli inutili praticanti religiosi, obbedienti e ossequienti alla legge nella convinzione che quest’osservanza sia essenziale per la salvezza [9]. Dall’altra dimostra che la religione sbaglia a dire che l’eretico samaritano non poteva essere amato da Dio ma era destinato alla dannazione. Gesù al contrario fa vedere che proprio colui che sembra predestinato alla dannazione è il più vicino a Dio; invece il sacerdote e il levita, considerati come uomini virtuosi ed esemplari, sicuri di essere nella grazia di Dio anche perché adempivano alle norme divine e osservavano i riti, sono i più lontani da Dio. Chi parteggia per la predestinazione afferma che senza il dono della fede elargita da Dio non si può compiere alcuna cosa che poi giovi alla nostra vita eterna, e che tutte le buone azioni fatte senza essere in grazia non hanno alcun valore per la vita futura [10]. Stando alla parabola del samaritano, non è affatto così, perché l’atto di amore servizievole di un cristiano in grazia e col dono della fede e di un impuro agnostico o ateo che vive nel peccato risultano avere esattamente lo stesso valore. E non basta ancora: la predestinazione presuppone il governo del nostro mondo terreno totalmente nelle mani di un essere trascendente rispetto a noi esseri umani, che interviene a suo piacimento in questo mondo parallelo al suo. Però così, si apre subito un problema enorme: l’inesistenza della libertà umana [11], e anziché il Padre del figliol prodigo che lascia liberi anche di sbagliare, ecco l'immagine di un Dio capriccioso ed arbitrario. Perché a te viene assicurata la salvezza e a me no?

Se al contrario è vero che Dio vuole che tutti siano salvi (1Tm 2, 4), a prescindere dal discorso sul peccato originale oggi in forte crisi [12], tutti devono potersi salvare.

Va ricordato che, con Giovanni Battista, la salvezza dipendeva dall’iniziativa dei singoli: occorreva immergersi nel Giordano e confessare i peccati. Ma con Gesù si fa un passo ulteriore, perché il regno di Dio viene gratuitamente per tutti (sotto il profilo dell’offerta), senza dipendere dalla nostra iniziativa. Gesù ci rivela un Dio che non è disponibile a lasciarsi intrappolare nelle maglie di un sistema religioso dove tutte le regole del gioco sono già decise [13]. Siamo liberi, per cui il Dio raccontatoci da Gesù opera con la collaborazione dell’uomo. Dio ha preparato ogni cosa per la nostra salvezza e ci invita tutti alla sua mensa, se solo noi accettiamo di stare seduti a tavola con tutti i nostri fratelli, come appunto fa l’eretico samaritano.

È vero che, stando alla Bibbia, Geremia (Ger 1, 5) risultava chiamato già prima della nascita e quindi, sotto un certo aspetto, può sembrare che era predestinato a compiere la propria missione. Ma questa predestinazione è dovuta a un Dio che ama, mentre noi pensiamo alla predestinazione come a un gioco a dadi, dove tutto è dovuto al mero caso, o all’insondabile decisione di Dio.

L’amore gratuito di Dio, invece, precede ogni pretesa o merito umani. Tutto questo non va assimilato a un determinismo casuale perché ha la sua motivazione profonda in un atto d’amore. Non è un insondabile fato greco o un destino sacro deciso imperscrutabilmente da Dio quello che governa la storia della salvezza, ma un processo vivo di amore gratuito [14]. Dio adotta gli uomini non perché ha bisogno di un erede come accadeva all’imperatore romano, ma perché ama coloro che vuol adottare. E siccome ama tutti gli uomini, a prescindere dal loro comportamento (il sole splende sui buoni e sui cattivi – Mt 5, 45) tutti possono diventare suoi figli se collaborano alla realizzazione del Regno, magari solo con un bicchier d’acqua (Mt 25, 35).

Gesù ha creato sconcerto e scandalo perché si è mischiato con prostitute e peccatori; nel suo gruppo non ha fatto entrare i puri, ma solo gli impuri: «non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2, 17; Lc 5, 32). Si faceva accompagnare da un gruppo misto di uomini e di donne, alcune addirittura scappate dai propri mariti [15], altre guarite da sette [16] demoni (Lc 8, 23): si mischiava con gente di dubbia reputazione, almeno dal punti di vista morale. Non ha speso una parola contro la sodomia e la fornicazione; ha perdonato l’adultera in maniera sconcertante (Gv 8, 3-11). Insomma, Gesù non si è mai scagliato contro i peccatori, né li ha mai minacciati. Secondo la dottrina di allora, la colpa del ritardo nell’arrivo del Regno di Dio, era dovuta all’immoralità delle prostitute, al ladrocinio dei pubblicani collaboratori dei pagani invasori, e degli impuri pastori: evidente che gente del genere non poteva essere predestinata alla salvezza, eppure Gesù dice espressamente che proprio questo tipo di persone disprezzate hanno già preceduto quelli che si consideravano l’élite dei salvati nel Regno dei cieli (Mt 21, 31). Non c’è il rischio che precedano in futuro: hanno già preceduto.

La teoria della predestinazione divide gli uomini in prima e seconda categoria, chi si salva e chi si danna. Gesù chiama tutti alla conversione, cioè a cambiare modo di pensare, e a collaborare nella creazione del Regno. Questo è sufficiente per essere salvati. Da ricordare anche che il primo divulgatore della Buona Novella non è un apostolo, non è un sacerdote, non è un santo, ma un impuro lebbroso (Mc 1, 45), cioè un peccatore anonimo che è stato purificato perché ha semplicemente accolto il messaggio di Gesù. Un peccatore anonimo (e tutti possiamo identificarci nel personaggio anonimo) comincia a predicare il messaggio evangelico attorno a lui. E qual è questo messaggio? Che non è vero che Dio discrimina le persone e allontana da sé gli impuri e i peccatori, ma l'amore di Dio è rivolto a tutti: non c’è distinzione fra prima o seconda categoria. Quindi non ci può essere predestinazione.

Non occorre neanche essere uomini virtuosi per salvarsi. Di fronte a questo amore gratuito, offerto indistintamente a tutti, il credente, per salvarsi, non deve sforzarsi di diventare un uomo virtuoso ed esemplare come pensava di essere il sacerdote che scendeva a Gerico. Teniamo presente che per i protestanti l’uomo virtuoso è colui che si oppone all’autorità che pretende di insegnare la dottrina rivelata. Il cattolico, all’inverso, vede invece nella virtù una sottomissione non solo alla voce di Dio manifestata nella sua coscienza, ma anche all’autorità della Chiesa che è depositaria della rivelazione [17]. Il cattolicesimo spiega che la virtù è una disposizione interna la quale, con la sua forza, permette all’uomo di compiere il bene (art. 856 del Catechismo maggiore di Pio X), nell’osservanza delle regole poste ovviamente dalla Chiesa.

Ma se con Gesù, come si è detto la settimana passata parlando della reincarnazione, si abbandona la categoria del merito e si entra nella categoria del dono gratuito dell’amore da parte di Dio, anche l’idea di virtù deve essere dimenticata perché appartiene al linguaggio religioso, e non a Gesù. In effetti, mai Gesù parla di virtù nei vangeli: questa è una nozione che appartiene di nuovo al merito, dove l’amore di Dio deve essere meritato attraverso lo sforzo: occorre essere bravi, occorre essere virtuosi, e soprattutto occorre obbedire alle norme divine e ai legittimi pastori della Chiesa.

È anche vero che le Scritture parlano a volte di necessità (es. Lc 24, 26: non bisognava che il Cristo…). Non si tratta però neanche qui di predestinazione deterministica, ma del fatto che il percorso della storia della salvezza deve, a un certo punto, passare attraverso quella determinata porta. Ho già richiamato una volta l’esempio dell’autostop per dimostrare che Dio riesce a raggiungere la sua meta pur lasciandoci completamente liberi. Perciò, anche se la storia deve passare attraverso quella determinata porta, tutti gli uomini restano sempre liberi.

Ripeto l’esempio: io sono a Trieste e voglio andare a Torino. Chiedo il passaggio a uno, ma me lo rifiuta perché deve andare a Rimini; a un altro, che mi porta solo fino a Padova; ad un altro che me lo rifiuta perché non si fida; e poi ad un altro ancora; di auto in auto arrivo fino a Torino. Alla fine, dunque, io sono arrivato dove volevo, senza costringere nessuno a deviare dal suo percorso, o a prendermi sulla sua macchina. Tutti sono rimasti liberi, ma, allo stesso tempo, io sono arrivato dove volevo, senza costringere nessuno. L’uomo, dunque, come nell’esempio dell’autostop, resta sempre libero, per cui può accettare o rifiutare la possibilità offerta a tutti da Dio. Pensiamo solo che se Maria avesse rifiutato, forse saremmo ancora oggi in attesa del Messia. 

Perciò se si usa il termine predestinazione possiamo al massimo intenderlo nel senso che Dio conosce in anticipo il nostro destino di salvezza o condanna [18], senza però mai incidere sulla nostra libertà di agire, e potremo ottenere o meno la salvezza in base a come collaboreremo.

E a questo punto è bene anche ricordare che i criteri di valutazione nel giudizio universale (Mt 25, 31ss.) sono totalmente laici, e nulla hanno a che vedere con la fede o con la grazia, o con insondabili pensieri divini. Un bicchiere d’acqua dato a un assetato da un ateo o da una persona religiosissima è sempre un bicchiere d’acqua e l’assetato trova ristoro a prescindere da chi glielo offre; non occorre neanche pensare a Dio nel momento in cui si soccorre l’assetato, come del resto non pensava a Dio il samaritano che si è fermato a soccorrere l’uomo ferito.

Da ultimo va fatto notare che neanche Gesù è una vittima predestinata in terra perché il Padre, fin dall’eternità, avrebbe deciso di sacrificare il Figlio in riscatto per tutti. Si è già chiarito, infatti, che Dio non influenza la scelta delle persone non precludendo la nostra libertà di scelta, ed è per questo che, probabilmente, la maggior parte degli eventi di questo mondo avvengono in modo perfino contrario al volere di Dio [19]: così è per la crocifissione di Gesù [20]. Del resto, anche dal prologo di Giovanni risulta che la volontà di Dio non era affatto quella di ammazzare suo figlio, ma - al contrario - far diventare tutti gli uomini figli suoi: “A quanti l’hanno accolto, il Verbo ha dato la capacità di diventare figli di Dio” (Gv 1, 12). La teoria di Paolo, essenziale forse in passato per far accettare la crocifissione che veniva interpretata come una maledizione di Dio, oggi deve essere abbandonata.

E nemmeno la frase «nessuno (dei discepoli) sarebbe andato perduto tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura» (Gv 17, 12) dimostra che il tradimento di Giuda era stato previsto e voluto da Dio, per cui Giuda non sarebbe stato libero, ma predestinato «perché si adempisse la Scrittura». Infatti, se il tradimento di Giuda fosse stato direttamente pilotato da Dio per completare il percorso salvifico di Gesù, dovremmo coerentemente concludere che nessuna responsabilità può essere fatta ricadere su Giuda, il quale sarebbe stato un mero strumento di attuazione del disegno divino, una marionetta in mano di Dio. Se Giuda è finito all’inferno per il suo tradimento, ed il suo tradimento era un gradino necessario nella morte di Gesù Cristo per la salvezza umana, allora Giuda è stato punito per la salvezza umana. Se Gesù ha sofferto soltanto mentre moriva sulla croce ed è poi asceso al paradiso, mentre Giuda deve soffrire per l’inferno per l’eternità, allora bisogna riconoscere che Giuda ha sofferto per i peccati dell'umanità molto più di Gesù. Quindi, più di Gesù, dovremmo venerare Giuda che ha contribuito alla nostra salvezza col suo sacrificio.

E allora è più logico pensare che la frase indica semplicemente che la libertà dell’uomo non viene bloccata neanche quando egli sta compiendo il male, ma la stessa azione negativa può essere utilizzata da Dio in un disegno superiore [21].

In conclusione, la dottrina della predestinazione non trova alcun solido aggancio nel Vangelo.

 

Dario Culot

[1] Cavalcoli G., L’inferno esiste, ed. Fede&Cultura, Verona, 2010, 17s.

[2] “Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti; infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Efesini 2, 8-10).

[3] Best E., Efesini, Paideia, Brescia, 2001, 164.

[4] Molari C., conferenza Gesù chi? Trieste chiesa di santa Teresa del bambino Gesù,  27 febbraio 2016.

[5] La vite, per poter far uva, ha bisogno dei tralci; se noi togliamo tutti i tralci alla vite, ci potrà essere tutta la linfa che volete, ma l’uva non nascerà. Quindi trasferendo l’immagine al Signore, Dio è amore, ma se questo amore non trova la collaborazione delle persone (libere) non può diventare realtà concreta, non può manifestarsi. È vero che il tralcio staccato dalla vite non porta frutto, ma è altrettanto vero che la vite senza tralci non porta frutto; quindi noi dipendiamo dal Signore per avere linfa, ma Dio stesso è condizionato (non è onnipotente), dipende dalla nostra collaborazione perché questa linfa poi si manifesti e porti frutto. Dio non può fare tutto da solo, ed ha bisogno della collaborazione degli uomini per essere veramente un Dio che manifesta il suo amore.

Anche l’Apocalisse, che sembra così terribile, fa capire che la collaborazione è indispensabile per il mondo, che i credenti hanno la responsabilità di essere luce nel mondo, e alla fin fine il mondo si conserverà e la catastrofe cosmica in realtà non si verificherà (Ap 7 ss.) perché ci saranno sempre dei collaboratori di Dio, e la catastrofe viene fatta vedere solo come una possibile ipotesi in mancanza di collaboratori.

[6] Questa dottrina, condannata come eretica dalla Chiesa cattolica, si contrapponeva a quella gesuitica, sostenuta da Luis de Molina (1535-1600) e perciò detta “molinismo”, che concepiva invece la salvezza come sempre possibile per l'uomo, il quale si attivava con buona volontà; di fronte alla libertà dell'uomo, cioè, la grazia divina diventava efficace unicamente in virtù dello sforzo della volontà umana.

[7] Sant’Agostino è stato ritenuto a lungo un seguace del Manicheismo, dottrina che esclude l’esercizio della libertà, ritenendo la salvezza opera di Dio e l’umanità distinta in dannati ed eletti (predestinati).

[8] E questa dottrina è giunta fino ai giorni nostri, perché anche a noi (oggi anziani) era stato insegnato che solo la grazia santificante (artt. 526 ss. Catechismo di Pio X), quel dono di cui eravamo privati appena nati a causa del peccato originale, che si poteva riacquistare col battesimo (n. 1997 Catechismo) e poteva essere conosciuto solo con la fede (n. 2005 Catechismo), era in grado di comunicarci una radiosa bellezza, di spingerci verso il bene, di renderci puri e santi oltre che partecipi della natura divina, per cui solo questo dono ci portava a un livello soprannaturale,  e – secondo la dottrina ufficiale – solo quel dono era anche l’unico che permette a un atto naturalmente onesto di essere elevato all’ordine soprannaturale e quindi di valere poi ai fini della vita eterna (Olgiati F., Il sillabario del Cristianesimo, ed. Vita e Pensiero, Milano, 1956, 69 s. e 76 s).

[9] Questa presunta essenzialità viene smentita anche dall’episodio in cui Gesù perdona la prostituta, che continua a fare la prostituta (cfr. l’articolo Extra Ecclesiam nulla salus. O anche no, al n. 475 di questo giornale, https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-475---21-ottobre-2018/extra-ecclesiam-nulla-salus-o-anche-no).

[10] Anche per i musulmani chi non crede manca del ponte (fede) per arrivare a Dio, per cui il suo atto pur buono, compiuto su questa terra, non ha effetto per l’aldilà.

[11] Se l’uomo potesse solo amare, sarebbe una macchina pre-programmata e predestinata, non un uomo. La grandezza dell’uomo, allora, sta nella possibilità di costruirsi, nella capacità di scegliere. Dunque, immensa libertà, ma anche immensa paura di perdersi. Pèrez Márquez Ricardo (nella sua opera, L’Antico Testamento nell’Apocalisse, ed. Cittadella, Assisi, 2010, 333s.) sottolinea come il messaggio contenuto nell’Apocalisse, che deve essere reso noto a tutti (non deve essere sigillato), riconosce il ruolo libero e attivo dell’uomo nei confronti del disegno divino, il quale può essere accolto o rifiutato. Contro ogni forma di determinismo l’Apocalisse rivendica l’impegno di ciascun uomo a intervenire in favore del piano di Dio, la cui proposta di salvezza è aperta a tutti.

[12] Cfr. l’articolo Il peccato originale al n. 456 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numerigiugnoluglio2018/numero-256---10-giugno-2018/il-peccato-originale.

[13] Penna R., Gesù di Nazaret nelle culture del suo tempo, ed. EDB, Bologna, 2012, 98.

[14] Fabris R., Le lettere di Paolo, 3, Borla, Roma, 19902, 218s.

[15] Come Giovanna, moglie del ministro delle finanze di Erode Antipa.

[16] Si ricorda che il n. 7 indica la perfezione completo (Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, ed. Cittadella, Assisi, 1997, 79), sì che quella donna era completamente preda dei demoni.

[17] Russel B., Perché non sono cristiano, ed. Longanesi, Milano, 1972, 82.

[18] Il che esclude anche che noi uomini siamo in questo mondo per prova, perché si prova solo ciò che non si conosce, mentre Dio conosce già che fine faremo e quale sarà la nostra condotta.

[19] Molari C.,Sui nuovi linguaggi della fede, seminario tenuto a Trieste il 17-18.3.2012.

[20] Cfr. Gli articoli Chi ha causato la morte di Gesù, https://sites.google.com/site/numeriarchiviati2/numeri-dal-26-al-68/1999992---aprile-2018/numero-446---1-aprile-2018/chi-ha-causato-la-morte-di-gesu, al n. 446, e Sofferenza, https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-553---19-aprile-2020/sofferenza, al n. 553 di questo giornale.

Dio è certamente coinvolto nell’avventura di Gesù, ma la sua fine tragica è decisa dagli uomini. Gesù perciò ha vissuto la sua morte come un’ingiustizia e, come tale, contraria al volere di Dio (Molari C., Quei tanti Gesù. Approcci recenti in cristologia e soteriologia, in internet più siti: digitare Carlo Molari approcci recenti).

[21] Ravasi G., Il bacio di Giuda, “Famiglia Cristiana”, n.34/2012, 113.