Chi era Gesù di Nazaret - 1

Christ in the Carpenters Shop. Woodcut printed in colours. Proof. 8.75x7.75 inches.

Mabel Allington Royds (1874-1941) - immagine tratta da commons.wikimedia.org

Vorrei riflettere con voi lettori su un tema veramente centrale del cristianesimo:

Chi è stato Gesù in sé?

Arduo compito, perché se la domanda è semplice, la risposta non lo è altrettanto. Siamo perciò davanti a un tema che non potrà certamente esaurirsi nello spazio di un articolo, quindi ne parleremo per più domeniche.

Spero di riuscire ad essere il più chiaro possibile, e permettetemi anche un ulteriore suggerimento: potete leggere la prima volta solo il testo, e solo in seconda lettura le note; altrimenti correte il rischio d’incepparvi nella lettura che perde di scorrevolezza. E le abbondanti citazioni servono per far capire che altre persone autorevoli hanno esposto le idee che manifesto.

Ho l’impressione che il Catechismo, dopo aver dato una risposta stringata a questa fondamentale domanda, eviti in realtà di affrontare il problema perché quello che fa è semplicemente rinviare a un altro problema più a monte: il problema dell’autorità, che è discesa dall’alto. Nulla di nuovo, si dirà: già duemila anni fa le autorità religiose erano allarmate perché l’insegnamento di Gesù demoliva e gettava discredito su tutta la loro teologia. “Con quale autorità fai queste cose, chi ti ha dato questa autorità?” gli chiedevano i sacerdoti nel Tempio (Mt 21, 23), convinti di essere loro l’autorità e che tutti dovessero ossequientemente seguire il loro infallibile insegnamento. Invece Gesù reclamava il diritto di pensarla diversamente.

Ancora oggi la nostra Chiesa pretende di risolvere con la domanda sull’autorità tutte le altre domande che possono essere prospettate. Chi si oppone al papa e ai vescovi si oppone a Dio, e la Chiesa pretende obbedienza per mandato divino. Ora, se il dogma cattolico che spiega chi è Gesù in sé (Gesù è contemporaneamente vero Dio e vero uomo) si riduce a un rinvio ad obbedire all’autorità, non c’è davvero molto da discutere perché, una volta che Roma ha parlato, tutto è definitivamente deciso. Ma se per un momento accantoniamo il problema dell’autorità che ha deciso, e cerchiamo di ragionare fra di noi solo sul dogma, vedremo subito che la risposta data da Roma non è poi così lineare e convincente.

Ovviamente occorre avere il coraggio di porsi delle domande. Se non vi rendete conto che ci sono delle domande, mai ve le porrete. Porsi delle domande, però, è esattamente ciò che la Chiesa non vuole, perché tenta da sempre di vietare la riflessione al di fuori delle sue linee guida, per cui basta avere dubbi sulla dottrina ufficiale e già si compie un peccato grave. Il dubbio ostinato dopo essere stati illuminati dal magistero infallibile è già eresia, afferma il n. 2089 Catechismo. Lo stesso papa emerito aveva affermato che la fede o si professa intera o punto non si professa (papa Benedetto XVI, nel suo Ad Beatissimi Apostolorum Principem richiamato da Gnerre C., Apologetica, ed. Il settimanale di padre Pio, Castelpetroso (IS), 2004, 132). Il buon cattolico deve perciò credere a tutta la dottrina in blocco, a scatola chiusa. Non esiste il diritto di pensarla diversamente neanche su un solo punto.

Il massimo per questa Chiesa sarebbe riuscire a tenere gli adulti allo stato infantile, facendoli sentire obbligati ad aderire al suo insegnamento. A questa Chiesa non piacciono i credenti adulti, capaci di avere una propria coscienza critica ben formata e non anchilosata. Ogni dubbio, ogni domanda se veramente affrontata potrebbe diventare pericolosa e scabrosa per chi è convinto di essere l’autorità, per diretta volontà di Cristo. Invece se Gesù in persona oggi si presentasse sulla terra, la domanda della Chiesa sarebbe la stessa dei sacerdoti di allora: “Con quale autorità fai queste cose, chi ti ha dato questa autorità di dire e fare cose diverse da quelle che insegniamo noi?” In poche parole, il magistero dimentica che Gesù è nato, vissuto e morto per l’UOMO, non per la CHIESA, che non può perciò mettersi al primo posto. E se solo si guarda all’insegnamento offertoci dalla Chiesa, balza subito all’occhio una cosa: ogni qualvolta si sente un discorso che oltrepassa gli stretti limiti canonici ufficiali, la discussione che normalmente ne segue non verte più sul contenuto di quanto è stato detto, ma se la Chiesa (dall’alto della sua autorità) condivide o meno la tesi espressa; il che significa che, anziché iniziare un onesto dialogo, ci si chiede semplicemente se sia legittimo anche solo pensare a ciò che si è osato dire.

Io spero sempre che la Chiesa accetti, o prima o dopo, un dibattito libero su tutte le questioni che riguardano la comunità senza arrogarsi il diritto esclusivo e assoluto di imporre la sua volontà.

La libertà di pensiero ed espressione, pur affermata verso il mondo esterno (vediamo, ad es., a come, da Pavia il vescovo  Corrado Sanguineti, ha lanciato un appello: “Troppo grave è il rischio che, con la legge Zan sull’omofobia, surrettiziamente si introduca un reato di opinione”, sì che la Chiesa non potrebbe più dire cosa pensa) non è stata ancora digerita nella Chiesa al suo interno, per cui ogni opinione difforme al suo insegnamento è vista come un attacco alla sua autorità e come un ostacolo al dominio dei suoi dogmi, che dovrebbero durare in eterno e assicurare uniformità sotto forma di verità ufficiale.

Eppure, se è possibile imparare qualcosa da Gesù, si tratta del coraggio della disobbedienza privata nei confronti dell'autorità ecclesiastica. Gesù vuole che la gente rifletta con la propria testa (Mt 13, 1-9; Lc 12, 57), perché quando uno si abitua a pensare pensieri pensati da altri, quando si autocensura, non può vedere molto più in là del suo naso e finisce con l’indurire il suo cuore.

Guardiamo anche ai genitori di Gesù: neanche di Maria si può dire che sia stata una donna obbediente, docile all’autorità costituita (come vorrebbe la Chiesa con tutti noi), perché – violando l’insegnamento ufficiale - è andata oltre lo schema patriarcale che vigeva in Israele, e alla proposta dell’angelo non si è accontentata di risposte preconfezionate, di verità che dovevano essere accettate solo perché venivano dall’alto di un’autorità (“Come può avvenire questo se non conosco uomo?” - Lc 1, 34). Ha preteso risposte, e proprio essendo capace di liberarsi dai pensieri religiosi tradizionali (a differenza del ligio sacerdote Zaccaria - Lc 1, 8ss.) è stata capace di amore oblativo, perché amare significa disponibilità a trasformare un sentimento in un progetto di vita, che deve essere sempre personale e non guidato da altri. E al pari di Maria, anche Giuseppe ha portato su di sé, da solo, il peso delle sue scelte avendo pure lui disobbedito alla legge divina che gl’imponeva di denunciare Maria (Cugini P., Visioni postcristiane, EDB, Bologna, 2019, 17s., 22s.) come adultera. Giuseppe viene definito uomo giusto, cioè persona che si sforza quotidianamente di osservare tutte le prescrizioni della Legge per essere graditi a Dio; quando viene a sapere che Maria aspetta un figlio non suo, deve scegliere fra l’osservanza della legge di Dio (che prevedeva la lapidazione di Maria – Dt 22, 23) e il bene dell’uomo. Le persone pie e religiose, come ben risulta anche nella parabola del buon samaritano, scelgono sempre la prima; la scelta evangelica è invece sempre e solo la via dell’amore, e non appena si incrina anche di poco il muro dell’osservanza della Legge, si permette allo Spirito di irrompere (Maggi A., Non ancora madonna, ed. Cittadella, Assisi, 2004, 33).

Insomma, nessuno in quella famiglia che ci viene indicata come modello da imitare ha obbedito all’autorità. Ognuno ha continuato a usare la propria testa. Perché non dovremmo farlo anche noi?

In conclusione, le cose bisogna dirle. Se non si dicono e solo si pensano, non servono a nulla.

Personalmente, la molla che mi ha spinto a cercare, è stato scoprire, leggendo i vangeli, che Gesù non si è mai sognato di affrontare questioni circa la sua natura, questioni che hanno invece tanto affascinato generazioni di teologi. E allora mi son chiesto: ma non è forse successo che ci è stato imposto come rivelato (e persino voluto) da Dio ciò che è stato invece pensato da uomini di Chiesa?

 

Introduzione

 

La Chiesa ci ha insegnato che Gesù è contemporaneamente vero Dio e vero uomo.

Ora, come vedremo subito, non è affatto facile parlare di Dio; però, se l’argomento ci solletica anche senza essere credenti, non possiamo evitare di parlare del rapporto che viviamo con Lui. Infatti tutte le formule che noi utilizziamo quando parliamo di Dio, si riferiscono a questo rapporto, ossia al rapporto con Dio come noi lo viviamo nel nostro tempo (es.: abbiamo timore di Dio? Pensiamo che Dio sia violento e vendicativo oppure che sia sempre amorevole come una mamma?).

Le cose si complicano considerevolmente quando cerchiamo di capire la realtà di Dio in sé, e questo vale sia per i teologi che per i profani. Razionalmente di Dio possiamo dire poco, e quel poco spesso ricorrendo solo ad affermazioni negative (cioè escludendo che una certa definizione possa riferirsi al vero Dio). Concettualmente è facile da accettare l'idea che Dio sia l’Assoluto, che cioè sia Uno: non c’è che un Dio, una sola Divinità. Ma Dio e il mondo non possono essere uno (monismo). Se fossero uno non si potrebbe parlare di loro distinguendoli perché esisterebbe una sola cosa: o Dio o il mondo. Il monismo è perciò panteismo. Se però fossero due, Dio non sarebbe l’Assoluto, perché l’elemento comune che include allo stesso tempo Dio e il mondo sarebbe superiore e più comprensivo di entrambi, il che contraddice la definizione di Dio come Assoluto. Questo ci dice la mente, che funziona in base al principio di non contraddizione [1].

Se già siamo in difficoltà per l’aspetto esterno di Dio, ancora più difficile è accettare l’idea che Dio, al suo interno, resti uno anche se in Lui ci sono tre persone distinte: Padre, Figlio e Spirito santo.  Infatti tre entità personali sono per noi tali se sono tre entità limitate [2], se ciascuna mantiene la sua volontà distinta, la sua coscienza distinta; e per di più non esiste una sorta di divinità astratta (Dio) nella quale s’inseriscono tre divinità (concrete): quando ci parlano di unità-trinità di Dio si riesce solo a immaginare questo Dio come una capsula spaziale entro la quale si trova un equipaggio di tre persone  (Padre, Figlio e Spirito santo), che fra di loro si relazionano e poi parlano all’esterno, alla base-terra, con una voce sola.

Ora, una persona come noi che si trova sulla base terra ben può porsi di fronte alla capsula (chiamiamola pure Dio) come una persona che parla a un’altra persona, ma sa – perché così gli hanno insegnato - che dentro alla capsula non c'’è un’entità unica, bensì sempre tre entità, tre persone (Padre, Figlio e Spirito) che non possono trasformarsi in un soggetto unico (Dio), dovendo restare sempre distinti. Chi chiama dalla base terra interpellerà al più una alla volta queste tre persone dentro la capsula, ma mai penserà che parlando col primo membro dell'equipaggio (ad es. col Padre), abbia parlato anche col secondo e col terzo membro dell’equipaggio in base a un misterioso principio unitario. Ma un’immagine del genere porta al triteismo (di questo ci accusa, ad esempio, l’islam), mentre il cristianesimo ha la pretesa di essere monoteista, per cui esclude che vi siano tre assoluti, tre eterni, tre creatori.

Ora, se affermiamo l’esistenza di un solo Dio si deve avere in realtà un solo Essere, e poiché le tre Persone della Trinità non possono essere tre esseri, non rimane l'alternativa che parlare di un solo Essere che al suo interno si divide in tre… ‘prospettive’, ‘personificazioni’. Ma in questo caso:

- o le prospettive sono reali, e allora nessuna di esse comprenderebbe la totalità dell'Essere (il che negherebbe la Divinità di ciascuna delle tre Persone),

- o non sono reali, ma in tal caso si insinua il modalismo (le tre persone sono solo differenti modi dell’unico essere), e Gesù è semplicemente Dio che si presenta in forma umana [3]. Il Figlio è consustanziale al Padre solo in un senso modalistico, perché in realtà sarebbe sempre la stessa persona del Padre che ora si presenta in un modo (Gesù) ora in un altro (Spirito Santo).  Siamo cioè davanti alla stessa persona che indossa tre maschere diverse, a seconda dei momenti. Però qui ci incagliamo nel modalismo [4] che è stato già dichiarato eretico.

Il fatto che Gesù si identifichi come Figlio di Dio non significa automaticamente che sia la seconda delle tre persone in Dio, perché, ad esempio, nel Vecchio Testamento già il giusto è Figlio di Dio (Sap 2, 18); oppure

Dio parla della nazione d’Israele come del suo Figlio primogenito (Es 4, 22), e la nazione non è certamente una persona. Dunque, Israele è metaforicamente Figlio di Dio. Perché non lo può essere l’uomo Gesù?

Inoltre, anche la teologia più ortodossa, la quale vede nello Spirito santo la terza persona della Trinità, è costretta a riconoscere che nell’Antico Testamento lo spirito di Dio, nei vari suoi modi di azione, era semplicemente la manifestazione della potenza, della sapienza e della santità di Dio [5]: non ci sono tracce significative di uno Spirito santo in forma di persona. E nello stesso cristianesimo, anche se nella Trinità si vuole sottolineare il carattere personale di Dio con le sue tre figure le prime due - Padre e Figlio – sono molto personali; invece la terza - lo Spirito – lo è assai meno, tant’è che viene rappresentata di norma come colomba [6] e non come una persona [7].

Infine è curioso notare come la Chiesa cattolica ci abbia subissato di dogmi, mentre nessuna delle definizioni dogmatiche che troviamo nel Catechismo cristiano si trova negli insegnamenti di Gesù riportati dai vangeli.  Il grande maestro andaluso sufi Ibn al-Arabi (1165-1240) - fautore del dialogo interreligioso settecento anni prima che lo iniziasse il cattolicesimo - sosteneva che nessuna religione è in grado di esaurire la Verità tutta intera, potendone catturare solo frammenti [8]. La varietà delle credenze è ricchezza, mentre l'unicità finirebbe per condizionare Dio a una singola religione, rinunciando a captare le dimensioni del mistero [9]. Tutti coloro che s’incollano alla divinità delle convinzioni dogmatiche si fanno prigionieri delle loro stesse limitazioni, e cessano di percepire la Divinità come assoluta che, come tale, non può essere delimitata da nessun contenitore religioso umano. Negare le altre manifestazioni del Reale significa negare l’infinità del Reale [10]. Mi sembra che questo ragionamento di un grande pensatore musulmano non faccia una grinza.

Insomma, se di Dio possiamo dire poco, molto di più possiamo dire dell’immagine di Dio che noi uomini ci siamo costruiti a livello personale e sociale, e questi semplici accenni sono sufficienti per farci capire come il problema sia assai complicato anche per i teologi. Se veramente il nostro infallibile magistero avesse avuto la verità in tasca, non sarebbero stati versati per secoli fiumi d’inchiostro, e con una semplice paginetta ci avrebbero sinteticamente convinto della bontà della sua verità. 

Ma chi sono io per permettermi di affrontare un tema così arduo e complesso, che mette in difficoltà anche il fior fiore degli studiosi? Chi mi ha dato l’autorità? Devo subito dire che non sono un teologo con licenza canonica; sono semplicemente un laico che ha studiato e continua a studiare, quindi rimango sempre uno ‘studente’ curioso di capire, un teologo dilettante, ma ben consapevole che nessuno ha la verità in tasca. Però non è detto che solo i teologi con tanto di diploma appeso al muro abbiano le carte in regola per parlare di teologia, come non solo gli avvocati sono autorizzati a parlare di giustizia, come non solo i calciatori sono autorizzati a parlare di calcio. Anzi, essendo io una persona che non è stata inquadrata in base a studi teologici programmati in maniera sistematica e, direi, perfino vincolati unidirezionalmente, ho qualche vantaggio rispetto ai teologi con tanto di licenza. Infatti, i corsi di teologia in Italia, pur aperti a tutti, sono tenuti solo da istituzioni ecclesiastiche sotto il diretto controllo del Vaticano [11] e non sono ammessi insegnamenti che escano dagli schemi riconosciuti come ortodossi dal Vaticano [12].

Sapete anche che, per secoli,  la Chiesa ha chiamato l’uomo a credere, piuttosto che a pensare [13], tanto da censurare e silenziare molti teologi che lei stessa aveva diplomato, ma che volevano usare la propria testa finendo così col cantare fuori del coro [14]. Giustamente il biblista Alberto Maggi ha ricordato che nessun potere, neanche quello religioso, ama l’esistenza di persone libere che sfuggono al suo controllo [15].

Vediamo subito un esempio concreto: il cardinal Ratzinger, quand’era prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede (ex Sant’Uffizio), nel togliere l’incarico dell’insegnamento universitario al teologo americano Curran Charles aveva scritto in questi termini [16]: “le Sue tesi sono forse convincenti per Lei, ma divergono dall’insegnamento pur ‘non infallibile’ della Chiesa. Non è vero che andando contro l’insegnamento non infallibile si mette in atto un dissenso responsabile che dovrebbe essere sempre permesso. Occorre invece sempre obbedire all’insegnamento, anche se non infallibile, del magistero [17]. Quindi, non obbedendo, Lei non può più essere considerato idoneo né eleggibile ad esercitare la funzione di professore di teologia cattolica”. Un chiaro esempio di cosa intendevo dire per “teologo inquadrato” al quale è vietato pensare in proprio, e per obbligo di obbedire all’autorità. 

Se qui Ratzinger si è comportato da ‘pastore tedesco’ a guardia dell’ortodossia, in altra occasione, ad es. il 14.9.2008 parlando come papa a Lourdes, si è invece comportato da ‘pastore buono’ sostenendo: “Nessuno è di troppo nella Chiesa. Ciascuno, senza eccezione in essa deve potersi sentire a casa sua, e mai rifiutato”. Che abisso allora fra questo suo volto benevolo e il suo agire effettivo. Ma, a riprova di una sua incoerenza comportamentale, si deve ricordare che neanche nei casi di siluramento questo papa ha mantenuto una linea di condotta uguale verso tutti, perché ad esempio ha accettato e ritenuto idonei i lefebvriani, che sicuramente divergono notevolmente dall’insegnamento ortodosso del magistero romano. Per loro, dunque, non è vero che occorre sempre obbedire all’insegnamento, anche se non infallibile, del magistero, come preteso invece per il teologo Curran.

Credo allora che anche un papa, prima di ricorrere con troppa facilità al cartellino giallo dell’ammonizione, avrebbe dovuto pensare a quanto aveva detto Gamaliele parlando davanti al sinedrio (At 5, 35-39), quando la maggioranza dei componenti di quel supremo collegio era ormai determinata a silenziare e punire gli apostoli che osavano predicare in città in maniera difforme dall’insegnamento ufficiale, sì che non potevano essere considerati idonei ad esercitare la funzione di predicatori: «Uomini d'Israele, badate bene a ciò che state per fare a questi uomini… io vi dico: non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questo piano o quest'opera fosse di origine umana, verrà distrutta da sé; ma, se viene da Dio, non riuscirete a distruggerli. Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio!».

Ora, non essendo io diplomato, ho la fortuna di non poter ricevere il cartellino giallo [18], di non poter essere dichiarato non idoneo, e quindi sono completamente libero di esprimermi senza remore. E siccome io sono pieno di dubbi, il mio compito sarà quello di togliervi eventuali certezze che avete acquisito, e farvi nascere dei dubbi. Del resto, come diceva Romano Guardini: “La fede adulta è quella che sa sopportare i dubbi”.

Ma per fare questo non vi illustrerò pensieri miei; mi sarà sufficiente fare da passaparola, nel senso che richiamerò i pensieri di vari teologi, alcuni dei quali anche raggiunti dalla censura del magistero, che però mi hanno profondamente colpito non solo perché hanno avuto il coraggio di esprimere ciò che pensavano, ma principalmente perché leggerli – almeno per me –  è stato come far entrare aria fresca in una stanza dove l’aria era stretta, stantia, e non veniva cambiata da secoli.

La Chiesa ha dimostrato di aver paura dei teologi che pensano liberamente con originalità, che usano altre grammatiche, per cui li ha silenziati. Questo implica che ciò che si contrappone alla loro fede non è la non-fede o l’ateismo, ma la paura [19]. L’ortodossia ha il terrore di perdere il valore del principio di autorità.

Per fare un semplice esempio basta ricordare la reazione di fronte alla pena di morte: san Tommaso sosteneva tranquillamente che il credente che interpreta il messaggio di fede in maniera difforme dal magistero commette peccato di eresia, sicché ben può essere tolto dal mondo con la morte [20]. I tempi sono per fortuna cambiati, e come ha ricordato in tempi più recenti Messori, si riconosce che “La questione è gravissima: se ogni esecuzione capitale è un delitto, un omicidio abusivamente legalizzato (come molti teologi e anche episcopati ormai dicono) la Chiesa, per tanti secoli, se ne è resa complice. Se qui davvero ci si è sbagliati, le conseguenze per la fede sono rovinose, coinvolgendo l’autorità della Chiesa e della Scrittura stessa” [21].

Forse più di qualcuno che ha parlato contro l’insegnamento autoritario della Chiesa aveva in effetti cose interessanti da dire, forse in lui si esprimeva lo Spirito santo. Ecco, richiamandomi a Gamaliele, io non so se quanto detto da questi teologi fuori del coro venga da Dio o venga dagli uomini: lo dirà il tempo. Ma siccome le idee (per fortuna) non possono essere imprigionate, [22] il pensiero di questi teologi formalmente e brutalmente silenziati è riuscito in qualche modo a filtrare comunque nel mondo, nonostante il boicottaggio dell’istituzione ecclesiastica. Questo significa che il pensiero è come l’acqua: se trova una via chiusa da una parte, passa da un’altra, e nessuno – neanche il magistero,-  la può fermare.

 

Dario Culot 

                                                                                                                                             (continua)

 

 

[1] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, ed. Cittadella, Assisi, 1989, 67s.

[2] Dizionario Devoto-Oli, ed. La Monnier, Firenze, 1967: persona è “l’individuo umano.”  Dice il papa emerito che Dio è persona perché si manifesta contemporaneamente come Io e come Tu. Poi, c’è anche una terza esperienza di Dio, quella dello Spirito nel nostro intimo, della presenza di Dio in noi  (Ratzinger J. Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 154). Ora, se io sono un io, separato e autonomo, mi rapporto immediatamente a ciò che mi sta di fronte, e da cui sono definito, che è altro da ciò che io sono. Riconosco allora che ci sono allora molti altri ‘io’ (Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, ed. Massari, Bolsena, (VT), 2010, 87), ma sicuramente una persona non può essere contemporaneamente Io e Tu: sarà io o tu. Se poi Dio si manifesta come Io, sarà magari anche persona, ma se il termine persona è già riservato alle tre persone all’interno di Dio, come fa Dio – che contiene in sé queste tre persone - essere a sua volta ulteriore persona?

[3] Saremmo davanti a un avatar, che nel brahmanesimo e nell’induismo si riferisce alla discesa di una divinità sulla terra, e in particolare ciascuna delle 10 incarnazioni del dio Visnù.

[4] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, ed. Cittadella, Assisi, 1989, 98 e 86: nel modalismo la differenza fra le persone è solo nella nostra mente. Non c’è dunque una reale distinzione fra i soggetti all’interno di Dio, e nell’indifferenziata unità divina i seguaci di Sabellio – fondatore del modalismo nel III secolo,-  vedevano modalità varie della stessa persona (O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 112, 119 e 205).

[5] Udienza generale di papa Giovanni Paolo II del 29.8.1990: la rivelazione dello Spirito santo come persona della Trinità (in

http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1990/documents/hf_jp-ii_aud_19900829.html).

Yhwh è un Dio vivo, ha una pienezza esuberante di vita, di cui la parola, la sapienza e lo spirito sono l’espressione (Coda P., Dio, libertà dell’uomo, ed. Città nuova, Roma, 1992, 68): neanche qui si parla di una persona, ma di espressione.

[6] È curioso notare come anche coloro che vedono Gesù come seconda Persona della Trinità, e lo Spirito Santo come terza Persona, non possiedano alcuna immagine del Padre: il Figlio appare in forma umana in Gesù; lo Spirito Santo in forma di colomba, ma il Padre resta totalmente misterioso: eppure - secondo loro - c'è una perfetta uguaglianza fra le tre Persone.

[7] Un’icona di Andrei Rublev (visibile su internet) ritrae tre persone (simili agli angeli) uguali, ma distinte, attorno a un tavolo. O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014,197 ha trovato un affresco nella Chiesa gotica di San Giacomo in Urschalling  (in Baviera vicino a Chiemsee) che disegna lo Spirito come un’amabile donna abbracciata al Padre (alla sx) e al Figlio (alla sua dx), e questo affresco dà sicuramente allo Spirito l’immagine di persona, cosa che il più frequente simbolo della colomba non riesce a dare. Ma pur essendo in ebraico lo spirito di genere femminile (ruah), e in greco neutro (pneuma), nel cattolicesimo maschilista l’idea del femminile nella Trinità non è molto apprezzata. Nella Bibbia, poi, è la sapienza che viene ad abitare fra gli uomini, non la Parola (Bar 3, 37). Anche la sapienza, al pari della ruah, è femminile. È stato osservato (O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 78s.) che la legge di Mosè era identificata con la sapienza (Sir 24, 23; Bar 4, 1-49) per cui dire – nel cristianesimo - che la Sapienza era Dio e si era fatta carne poteva essere inteso nel senso che la Legge era Dio e si era fatta carne.

[8]Come ha spiegato con una immagine felice, se ben ricordo, il grande teologo cattolico indiano Panikkar, quand’anche Dio avesse fatto cadere dal cielo sulla terra la Verità tutta intera, essa, nell’impatto con la terra, si è frantumata in mille pezzi, e l’uomo è in grado di raccoglierne solo qualche frammento per volta. Quindi l’uomo è in grado di accogliere solo una serie di verità relative, senza poter mai raggiungere la verità assoluta. La Chiesa, fino a papa Francesco, ha dimostrato di aver terrore del relativismo, eppure  non è irragionevole affermare che tutto nella storia è relativo, tranne Dio (e la fame e la sofferenza degli innocenti, come ha aggiunto dom Pedro Casaldàliga). 

[9] È stato recentemente ben ribadito questo concetto: "Dio non ha bisogno di una religione esistente per manifestarsi e rivelarsi" (Higuet E.A., Fuori dalle religioni c'è salvezza, in "Per i molti cammini di Dio", a cura di Vigil J.M. e al., ed. Pazzini, Villa Verucchio (RN), 2010, 158).

[10] Richiamato, con i riferimenti bibliografici, da Teixeira F., Ecclesiologia in tempi di pluralismo religioso, in Per i molti cammini di Dio, a cura di Vigil J.M. e al., III, ed. Pazzini, Villa Verucchio (RN), 2010, 148.

Analogamente ha detto frate Vannucci che se chiudiamo il nostro rapporto di comunione con un qualsiasi settore dell’esistenza, quindi anche con le altre religioni automaticamente c’impoveriamo, siamo meno liberi, siamo più condizionati, e ci rinchiudiamo nelle valve primitive della nostra morale come molluschi. Ogni persona che non riconosce la dignità di fedele nel credente di un’altra religione, si priva della possibilità di conoscere più a fondo la realtà divina. Ogni esclusione, infatti, è una perdita di possibilità di conoscere meglio il principio divino, al quale potremo avvicinarci sempre un po’ di più, ma mai potremo conoscere veramente. Ecco il vero rischio per il cattolico perfettamente osservante della sua religione: vivere in un catino di acqua calma dove tutti osservano le sue stesse regole; fuori c’è il mare.

[11] In nessuna università statale italiana esiste una facoltà laica di teologia. Solo a Roma esiste una facoltà di teologia della Chiesa valdese. Non mi risulta ci siano in Italia altre università cristiane protestanti. Le università cattoliche romane sono: l’Università domenicana di San Tommaso d’Aquino (detta Angelicum), l’Antonianum, l’Università Urbaniana, l’Università Lateranense, il Pnac (il Pontifical North American College), la Gregoriana (dei gesuiti), il Collegio etiopico, il Seminario francese e il Germanicum (tedesco), l’ateneo benedettino Sant’Anselmo, l’Università della Santa Croce (dell’Opus Dei), il Collegio sacerdotale Giovanni Paolo II e l’Ateneo pontificio Regina Apostolorum dei Legionari di Cristo.

[12] Ricordo ad es. di aver chiesto a più preti come mai la nostra Chiesa vieta il divorzio mentre le Chiese orientali lo ammettono, eppure abbiamo tutti usiamo gli stessi vangeli. Nessuno ha saputo rispondermi: dimostrazione chiara che nei corsi ufficiali di teologia non è previsto approfondire le opinioni diverse da quelle cattoliche, il che dimostra che il pensiero degli altri viene letteralmente escluso.

[13] Salas Gumersindo Lorenzo, Una fede incredibile nel secolo XXI, Massari, Bolsena (VT) 2008, 18.

[14] Nel primo cristianesimo lo Spirito Santo poteva parlare attraverso chicchessia. Dal secondo secolo hanno cominciato ad essere silenziati coloro che non parlavano in sintonia col vescovo (Placher W.C., A history of christian theology, ed. Westminster John Knox Press, Louisville-London, 1983,48).

Papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, da soli, hanno silenziato oltre cinquanta teologi. Un elenco incompleto dei tanti teologi colpiti da censura si trova in Gumersindo Lorenzo Salas, Una fede incredibile nel secolo XXI, Massari, Bolsena, 2008, 196. Solo con papa Francesco la stretta si è allentata, il che è premessa necessaria alla sinodalità e al dialogo, da lui tanto sollecitati. Papa Francesco ha descritto come tentazione quella di risolvere i problemi della Chiesa solo con una soluzione disciplinare, restaurando condotte e forme ormai superate (Tornielli A., Intervista a Francesco in viaggio, ed. Piemme Milano, 2017, 39).

[15] Maggi A., I temi della vita nel Vangelo di Giovanni, 2010, in www.studibiblici.it.

[16] Sandri Luigi, Il papa gaucho e i divorziati, Gioacchino Onorati ed., Canterano (RM), 2018, 69s.

[17] Insomma, la Chiesa istituzione ritiene di essere il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento (Chesterton G.K., riportato da Biffi G., Pinocchio, Peppone, L’anticristo, ed. Cantagalli, Siena, 2009, 148). Chiusa nel castello delle proprie sicurezze dogmatiche la Chiesa non nega che la teologia possa comportare un dibattito oggettivo e richiedere un’apertura e una disponibilità a modificare le proprie opinioni; poiché, però, sappiamo che nessuno può spingersi fuori del recinto custodito e sorvegliato dalla Chiesa (Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, ed. Cantagalli, Siena, 2009, 98s.), si deve concludere che l’unico a dover modificare le proprie opinioni è il teologo che la pensa in maniera difforme dalla dottrina ufficiale, non certamente il magistero della Chiesa sicuro di godere della costante assistenza dello Spirito santo. La Chiesa deciderà di cambiare solo quando lo Spirito santo avrà convinto i suoi capi che è ora di cambiare. Forse essi credono di essere gli unici in comunicazione diretta con Lui, mentre lo Spirito è stato dato a tutti e ha distribuito i suoi carismi secondo il suo disegno, e non secondo l’approvazione della gerarchia.

Già qui, pertanto, si potrebbe opporre l’obiezione di frate Vannucci (Nel cuore dell’essere, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2004, 117): se le congregazioni romane che presiedono alla dottrina della fede fossero state di quel valore che pretendono di avere e che molti, oggi, riconoscono loro, questo risulterebbe dai vangeli: "un giorno a Roma si fonderanno quei dicasteri, ascoltateli!"  Invece nessun vangelo lo dice. Gesù ha soltanto detto: "ascoltate lo Spirito santo" (Mc 13, 11; Gv 14, 16.26; Gv 16, 13), che, come sappiamo, soffia dove vuole (Gv 3, 8) e non si trova agli arresti domiciliari presso i capi della Chiesa cattolica. Del resto già san Paolo ammoniva: «Non spegnete lo Spirito» (1Ts 5,19).

A riprova dell’esattezza di quest’affermazione di frate Vannucci, stando sempre ai vangeli, a chi Gesù affida i suoi seguaci al momento finale? Forse a Pietro, agli apostoli, ai loro successori, al magistero della futura Chiesa cattolica? No. Nel momento cruciale in cui pronuncia le parole di commiato (Gv 17, 9ss.), a differenza di quanto fece Mosè che nominò Giosuè suo successore (Dt 34, 9), Gesù non li affida a Pietro che non viene affatto nominato suo successore e vicario; non li affida al magistero infallibile della Chiesa (cfr. invece n. 85 Catechismo), non li affida ad una dottrina o a leggi divine insegnate dal magistero romano, non li affida nemmeno a sé stesso. Invece «Affida coloro che crederanno in lui al Padre, cioè a quella realtà misteriosa che è al di là di tutte le cose, che è all’origine e al termine di tutte le cose e che noi uomini non possiamo mai nominare senza ridurlo alla nostra piccolezza mentale di uomini. “Li affido a Te, consacrali nella verità, siano una sola cosa, come Io e Te siamo una sola cosa”; e vedete, in queste parole di Cristo, egli stesso scompare: noi siamo stati affidati alla presenza invisibile del Dio vivente» (Vannucci G., Nel cuore dell’essere, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2004, 120).

[18] Che sicuramente riceverei se fossi un teologo licenziato, visto che cercherò di farvi capire perché non è possibile affermare che «Gesù è Dio».

[19] Boff L., Soffia dove vuole, EMI, Bologna,  2019.

[20]Tommaso d’Aquino, Summa theologiae,  II-II, 11, 3.

[21] Messori V., Pensare la storia, ed. Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1992, 415.

[22] Come diceva Giovanni Falcone, gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e le idee continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.