Dialogo interreligioso

Da http://www.bellaumbria.net/it/la-fiorita-castelluccio-di-norcia

Cosa è più bello: un campo ricco di varietà di fiori o una monocoltura?

Papa Benedetto XVI ha detto che “Quando si parla del Dio Trascendente, non sappiamo sostanzialmente nulla e riusciamo solo ad accennare alla verità, che tuttavia nella sua totalità non coglieremo mai in questa vita, appartenendo noi a un ambito diverso”,[1] quello immanente”. Se allora perfino un papa, non certo tacciabile di sfegatato progressismo, riconosce che Dio non sta alla nostra portata, se ciò che possiamo sapere di Lui è solo un’approssimazione assai lontana, ne consegue che nessuno, proprio nessuno, neanche il magistero lo può concepire nella sua vera essenza, e ancor meno analizzare e poi descrivercelo con esattezza [2]. Ma se le cose stanno così, non diventa illogico e assurdo voler insegnare (con dogmi) concetti di cui ‘non sappiamo sostanzialmente nulla’ come se si sapesse già tutto, per di più tacciando di relativismo e di mancanza di fede tutti coloro che non aderiscono ciecamente a questo insegnamento? Giustamente aveva detto papa Francesco che, escluso che tutto ciò che non è fisso e immutabile sia relativismo, Dio è sempre una sorpresa, sì che non si sa mai dove e come lo si incontrerà, né siamo noi a fissare i tempi e i luoghi dell’incontro con Lui [3].

È chiaro che solo se si abbandona l’assolutismo e si accetta il relativismo, si può iniziare un dialogo con gli altri. Però non tutti i cattolici sono d’accordo su questo punto. C’è chi ha sostenuto con sussiego che nel dopo concilio “si è cominciato ad accontentarsi del dialogo alla pari con tutti, spesso inconcludente, un dialogo che non solo rinuncia ad operare la correzione fraterna e la confutazione degli errori, ma acconsente all’errore dell’errante, anziché mostrare esplicitamente agli uomini, con una dovuta argomentazione, la superiorità della vita cristiana e la necessità, per salvarsi, di entrare nella chiesa cattolica” [4]. Altri hanno affermato con convinzione che il dialogo può esser condotto, ma solo con la certezza che la Chiesa è stata ed è l’unica via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza, perché Gesù è l’unico Salvatore e l’unico Mediatore fra Dio e gli esseri umani [5].

Dovrebbe risultare evidente a tutti che affermare che Cristo è l’unico salvatore di tutti gli uomini pone seri problemi al dialogo interreligioso, anzi questo è probabilmente uno dei motivi principali per cui il dialogo resta sostanzialmente fermo [6], girando a vuoto. La Chiesa ha fatto diventare l’incarnazione di Dio un’incarnazione nella religione cattolica, invece dovrebbe essere l’incarnazione di Dio in un uomo che rappresenta tutti gli uomini. Ovvio allora che con simile idea di superiorità del cattolicesimo rispetto alle altre religioni, con atteggiamenti tipo “Sono qui, ti ascolto, ma ricordati che io ho ragione e tu hai torto!” (magari poi guardandosi allo specchio e auto-lodandosi perché si è già così tolleranti per il solo fatto di aver dato udienza agli altri) non si va molto lontani, perché in realtà con quest’atteggiamento si fa solo finta di ascoltare. Dialogare vuol dire invece ascoltare col cuore e la mente aperti, e soprattutto prendere l’altro sul serio. Ora, è ovvio che, nel momento in cui si vincola Gesù a una religione che si pone al di sopra delle altre, esiste il concreto pericolo che il vangelo divida, separi, allontani e faccia scontrare gli uomini fra di loro, anziché unirli (perché questo dovrebbe fare il cattolicesimo, visto che cattolico significa universale), pur con le rispettive culture e tradizioni religiose.

Al contrario di Gesù, che non ha rifiutato mai nessuna persona di altre credenze religiose diverse dalle sue (il che vuol dire che anche Dio si comporta così), il Cristo della religione cattolica è diventato presto il giudice irremovibile che rifiuta gli infedeli, gli eretici e i peccatori. Mentre i vangeli portano all’incontro con le persone, la religione dei gruppi più ortodossi, in un modo o nell’altro, finisce col marcare le differenze, aumentando distanze e provocando divisioni. Ma è chiaro che un Dio Amore (e la Chiesa ufficiale riconosce che questa è la corretta definizione di Dio) non può essersi incarnato in Gesù per poi separare, distanziare e far entrare in conflitto le persone. Mi sembra perciò logico che si debba rifiutare l’idea di un Dio che s’incarna, si umanizza per poi disumanizzare gli esseri umani. Eppure in realtà a questo ci ha portato il magistero, anche se inconsapevolmente, con la sua pretesa di possedere la Verità Assoluta che va imposta a tutti. Tutti devono essere evangelizzati secondo il suo pensiero unico [7].

Dunque, il primo rischio, dove c’è una visione assolutistica, è quello della divisione, e dove c’è divisione è impossibile accostarsi a Dio [8], camminare tutti assieme visto che il progetto di Dio è quello di armonizzare il mondo (e almeno su questo spero che tutti concordino). Questo rischio, poi, non è meramente astratto, ma una triste realtà che ha macchiato la storia del cristianesimo e che continua a essere motivo di incessanti scontri, perfino tra gli stessi credenti in Gesù Cristo. Stando così le cose, tutti dovrebbero rendersi conto che un Gesù escludente e causa di scontro non può essere il vero Gesù [9]. Eppure non è così.

È un dato di fatto che le persone pie di ogni religione, più sono ortodosse, più preferiscono accentuare le differenze e più vedono nel dialogo interreligioso un pericolo di contaminazione piuttosto che una possibilità di arricchimento: occupata una certa area geografica, al pari degli animali, non sopportano che altre religioni entrino a scorrazzare col rischio di fare proseliti in quello che ormai considerano proprio esclusivo territorio di caccia; perciò i cristiani puri e duri non vogliono moschee a casa loro, e i musulmani puri e duri non vogliono chiese a casa loro [10]; sempre per lo stesso motivo il patriarca ortodosso di Mosca non vuole che il papa cattolico venga in visita in Russia, e così via [11].

Mi sembra abbia ben evidenziato un illustre teologo francese, che la certezza che solo nel cristianesimo si trovi la salvezza è una tesi che accontenta e lusinga troppo i cristiani per non essere sospetta [12]. Aggiunge questo stesso teologo che fra gli ebrei e i musulmani che aveva frequentato, alcuni lo avevano fortemente impressionato per la loro fede e la loro saldissima convinzione della presenza di Dio. Si può sostenere con certezza che si è davanti ad una loro pia illusione e che essi ignorino tutto, ma proprio tutto, di Dio? [13] E d’altra parte, se qualche ateo o agnostico entrasse in chiesa durante la messa, magari una messa solenne celebrata dal vescovo, ne riceverebbe un’impressione forte che lì c'è gente che sente veramente la presenza del Signore?

Tutti dobbiamo crescere, magari insieme. Allora forse sorprenderà far sapere che già prima di papa Francesco, noto per le sue aperture al dialogo, un altro papa aveva ufficialmente affermato che il dialogo è componente essenziale della missione della Chiesa[14]. Il dialogo interreligioso, dunque, deve far parte della missione evangelizzatrice della Chiesa e va inteso come metodo e mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco. Questo significa che tutte le religioni hanno elementi che possono essere utili alle altre, e bisogna far convergere le diverse strade per cui si va a camminare insieme, invece di allontanarsi irrimediabilmente.

Se la Chiesa si pone come portavoce «esclusiva» di Dio, e impone il suo pensiero religioso come «assoluto», è evidente che non c’è spazio per qualsiasi «diverso». Sta qui la discriminante tra «assoluto» e «relativo». Teniamo presente che la religione non è Dio, ma un mezzo per avvicinarsi al Dio Trascendente. Perciò tutto ciò che è immanente, umano e caduco, come le chiese, le religioni, le rispettive dottrine, è «relativo» e deve accettare il limite proprio della creaturalità. La Chiesa non possiede Dio, ma vive della ricerca di un Dio che sfugge ad ogni classificazione e possesso. Invece proprio la pretesa della Chiesa di possedere già Dio l’ha indotta a uccidere perché quando uno è certo di possedere Dio s’identifica con Lui e ne assume la rappresentanza totalizzante; poi si mette a difendere i diritti di quell’immagine di Dio che lui stesso si è creato, contro quei tanti che non la vogliono accettare. Teniamo perciò presente che etichettare ogni diversità come relativismo significa chiudersi al dialogo, rifiutare il pluralismo, il che va non solo contro le affermazioni del concilio Vaticano II [15], ma anche contro il comune modo di sentire: infatti, cosa è più bello: un campo ricco di varietà di fiori o una monocoltura? E come non ricordare che, se libertà e dignità sono certamente anche valori cristiani, solo la tolleranza completa la libertà, e la tolleranza in Europa è emersa piuttosto tardi, come salutare reazione alle guerre di religione imposte da implacabili credenti fondamentalisti e integralisti [16] che si vedevano come gli unici veri cristiani, e che una volta preso possesso delle istituzioni hanno sempre negato ogni spazio all’opinione diversa. Quando finalmente la povera gente, stufa di ammazzarsi in nome dello stesso Dio, ha accettato di relativizzare le rispettive verità, si è cominciato finalmente a vivere meglio [17].

Diceva frate Vannucci – e non mi sembra gli si possa dar torto – che se chiudiamo il nostro rapporto di comunione con un qualsiasi settore dell’esistenza, automaticamente c’impoveriamo, siamo meno liberi, siamo più condizionati dai pregiudizi, e ci rinchiudiamo nelle valve primitive della nostra morale come molluschi. Ogni persona che non riconosce la dignità di fedele nel credente di un’altra religione, si priva della possibilità di conoscere più a fondo la realtà divina. Ogni esclusione, infatti, è una perdita di possibilità di conoscere meglio il principio divino, al quale potremo avvicinarci sempre un po’ di più, ma mai potremo conoscere veramente [18]. Ecco il vero rischio per il cattolico ligio osservante della sua religione.

In effetti appare difficile negare ad altri la possibilità di conoscenza di Dio indipendentemente dalla rivelazione evangelica: come dubitare che l’azione di Dio sia più vasta dell’area di proprietà della Chiesa, senza che nessuna spiritualità possa pretendere di esaurire la perfezione umana? [19] Ben ricordava santa Teresa Benedetta della Croce: “Non mi è mai piaciuto pensare che la misericordia di Dio si fermi ai confini della Chiesa visibile”. La Chiesa cattolica vuole modellare tutto il mondo secondo un unico criterio, ma come ha detto non ricordo quale filosofo, il mondo è un vaso spirituale che non può essere modellato; chi cerca di modellarlo lo distrugge.

Se dalla nostra spiritualità fioriscono qualità umane, è un bene per tutti, giacché poi tutti possono assumere questa nostra scoperta, e possono acquisirla come propria. Il compito della Chiesa, allora, dovrebbe essere quello di diffondere le sue qualità, i suoi talenti, in favore di tutti, ben sapendo che Dio non ha consegnato solo a lei tutti i talenti. Don Carlo Molari aveva fatto questo esempio pratico: si pensi alla creazione degli ospedali per i poveri nei secoli passati. Il luogo genetico è stato sicuramente il cristianesimo, ma oggi tutti possono approfittarne. Allo stesso modo, però, noi dovremmo poter acquisire i caratteri di spiritualità del buddhismo, dell’islam, dell’ebraismo o di altre religioni. Da qui nasce la necessità del dialogo affinché, attraverso il dono reciproco, alcune caratteristiche positive si possano espandere fra tutti i popoli. Ci sono luoghi sorgivi nella storia, ma poi non bisogna vantare alcun copyright, ma lasciare che tutti utilizzino quello che di positivo siamo stati capaci di creare [20]. Per riuscire in questo si richiede un grande spirito di riconciliazione. Oggi anche noi cristiani siamo in grado di accogliere elementi di vita provenienti da altri che ieri non potevamo accogliere, perché non eravamo maturi, perché è impossibile accogliere tutto nell’attimo presente. Ecco perché lo stesso papa Giovanni Paolo II aveva riconosciuto che il dialogo interreligioso fa parte della missione della Chiesa [21], accettando come segno di questa apertura che un simbolo buddhista fosse posto sull’altare durante l’incontro di preghiera di Assisi (ovviamente con grande scandalo dei cattolici integralisti) [22].

E a questo proposito, ben ottocento anni prima della Chiesa, il grande mistico musulmanoIbn’Arabi già aveva propugnato il dialogo interreligioso [23], partendo dall’idea che il principio è unico, anche se poi ogni religione segue modalità diverse. 

Purtroppo ancora oggi, nel cd. dialogo interreligioso, la maggioranza dei cattolici sostiene sempre l’esclusività del proprio Credo, per cui difende la tesi secondo cui da questo dialogo la Chiesa – che già possiede tutta la Verità -  non può acquisire assolutamente nulla di nuovo [24]. Non riesce ad accettare il pluralismo: vedendo sé stessi come assoluto, questa frangia ritiene che non c’è bisogno degli altri; al più li si guarda con tollerante sufficienza. Ancora troppo debole è nella Chiesa la schiera dei pluralisti, i quali pensano che il dialogo sia necessario per completare ciò che il cristianesimo non è riuscito a far fiorire, sì che non può neanche stupire il vicolo cieco, la stasi, in cui oggi si è cacciato questo dialogo interreligioso [25]. Più uno è un fervente ortodosso, più è chiuso. Più uno è convinto di avere già tutto quello che gli serve, meno è disposto ad aprirsi agli altri. Lo stesso avviene ovviamente con i musulmani più ortodossi: che bisogno c’è di dialogo quando sanno di avere l’ultima e definitiva rivelazione? Non si rendono conto che solo Dio non ha bisogno di niente: tutti noi abbiamo bisogno degli altri, e dobbiamo convergere verso gli altri.

La convergenza, che qui menziono, non è convergenza di religioni. Vale a dire, non si tratta di convergenza di credenze, di rivelazioni, di idee su Dio o sulla salvezza. E ancor di meno convergenze su rituali, cerimonie, culti sacri o norme relative a osservanze che hanno a che fare col sacro. Non è neanche questione di sottomissione a una stessa autorità religiosa. Niente di questo è costitutivo della convergenza che emerge dal Vangelo. Senza dubbio le religioni si differenzieranno sempre nelle loro tradizioni, riti e cerimonie, nelle loro diverse organizzazioni e nei loro differenti modi di interpretare e oggettivare il Trascendente. Ma niente di questo è centrale e decisivo nella religione. Se siamo persuasi che Dio, per incontrare l’essere umano, è disceso fino a umanizzarsi e farsi come uno di noi, solamente facendo ciò che ha fatto Dio (incarnarsi rendendosi uguale a tutti, e considerando tutti gli uomini propri fratelli), la religione diventa autentica e assolve la sua ragion d’essere, che non è altro che portarci a Dio [26].

Pertanto, il dialogo e l’incontro con le religioni non si localizza, né si raggiunge nella coincidenza di una stessa descrizione di Dio, di una stessa morale, di una stessa etica. Il dialogo e l’incontro con le religioni si localizza e si raggiunge nei desideri e nell’anelito di vita e felicità che sono comuni a tutti gli esseri umani. Detto in altre parole, l’incontro delle religioni non si realizza nel minimamente sacro o nel minimamente etico, bensì nel minimamente umano. Vale a dire, nella misura in cui le religioni difendono e promuovono la necessità e il desiderio di vita e felicità, che è comune in tutti gli esseri umani, in questa stessa misura le religioni risultano coincidenti [27]. Al contrario, vivere il vangelo come monolite religioso diventa la negazione del vangelo [28].

Chissà se un domani arriveremo a una co-appartenenza religiosa, come oggi si ha una doppia cittadinanza.

 

Dario Culot

 

[1] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 163s. Anche la Chiesa ufficiale ha dovuto riconoscere questa verità: cfr. quanto detto da papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI in proposito, nell’articolo È possibile discutere di un dogma?, al n. 538 di questo giornale (https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20201/numero-538---5-gennaio-2020/e-possibile-discutere-di-un-dogma). Cfr. anche l’articolo Immanente e Tracendente, al n. 494 di questo giornale (https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-494---3-marzo-2019/immanente-e-trascendente).

[2] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 76.

[3] Spadaro A., Intervista a Papa Francesco, “La Civiltà Cattolica” n. 3918/2013, 469.

[4] Così il domenicano Cavalcoli G., Progresso nella continuità – La questione del Concilio Vaticano II e del postconcilio, ed. Fede&Cultura, Verona, 2011, 109.

[5] Documento Dialogo e Annuncio 19.5.1991 del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, §48 in http://www.internetica.it/dialogo-annuncio.htm. Cfr. anche Mondin B., La Trinità: mistero d’amore, ed. ESD, Bologna, 1993, 40: “il  cristiano sa che solo Cristo è Via, Verità e Vita”.

[6] Come riconosce il cardinale Etchegaray, ex presidente della Pontificia Commissione Justitia et Pax, nell’intervista rilasciata a “Famiglia Cristiana”, n. 44/2011, 37. Vedasi ancora segnali in tal senso dalla Commissione Pontificia Internazionale del 2014, la quale continua a sostenere che solo in Gesù Cristo si trova la verità (http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140116_comunicato-monoteismo-cristiano_it.html), Cap.1.4 § 16: “la purezza della religione e della giustizia viene da Gesù Cristo”; ergo all’infuori ci sarebbe solo impurità e ingiustizia).

[7] Non è questa un’esclusività della Chiesa cattolica. Per fare un altro esempio, ricordo che cosa aveva detto tanti anni fa lo scrittore indiano Khushwant Singh (intervistato su il Corriere della sera, 29.7.1991 p. 5): non appena si comincia a voler imporre una lingua nazionale o a voler subordinare le fedi minoritarie alla religione della maggioranza, come vorrebbe il Bjp (nda: si trattava del partito nazionalista indù oggi al potere, ma all’epoca non c’era ancora l’attuale premier Modi,-) si comincia a distruggere l’unità del Paese.

Il cuore del problema in tutta questa storia è ciò che si è già detto prima: tutte le religioni - se si prendono sul serio - separano, dividono, contrappongono e, in definitiva, creano violenza. Per questo, se desideriamo por fine alle disuguaglianze, dobbiamo modificare la maniera d’intendere e vivere la religione, tutte le religioni. Perché attualmente le religioni danno più diritti agli uomini rispetto alle donne, danno più diritti e dignità ai chierici rispetto ai laici, trattano meglio i fedeli rispetto agli infedeli, e guardano con favore chi osserva i propri comandamenti mentre minacciano i disobbedienti, ecc.

[8] Castillo J.M., Simboli di libertà, ed. Cittadella, Assisi, 1983, 326.

[9] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 13s.

[10] Ovviamente il discorso va relativizzato: in Arabia non ammettono chiese, ma queste convivono perfettamente accanto alle moschee negli Emirati Arabi, in Marocco e, almeno prima della guerra, in Siria. Ecco perché è priva di senso l’affermazione dei fondamentalisti cattolici: “lasceremo che costruiscano moschee qui da noi, quando loro lasceranno che costruiamo chiese lì da loro”. In tanti Paesi musulmani ci sono già.

[11] In passato il concetto che ha dominato nella nostra cultura occidentale è stato: ‘l’Io deve negare il Non-Io, cioè l’alterità’. Questo concetto è stato focalizzato dal filosofo Hegel, dopo che da secoli l’Occidente aveva distrutto civiltà “Non-Io”, ritenendo che solo lui (cioè Io) avesse cultura, civiltà, vera religione, ecc.  Oggi l’Occidente si sente debole, ha esaurito la forte spinta del passato, e teme di essere a propria volta invaso e assimilato da culture più forti della sua, come i musulmani. I musulmani apprezzano la nostra tecnologia ma non i nostri valori, e ci vedono come ricchi, tecnicizzati, istruiti, ma anche come atei, aridi, cinici, vuoti dentro, senza ideali, senza regole di morale, sono convinti che abbiamo prodotto una civiltà corrotta e fiacca, che conduce alla morte. Ritengono perciò di avere come missione da compiere quella di venire in Occidente per dare un'anima alla nostra civiltà, convertendoci all’islam (Gheddo P., La sfida dell’Islam all’Occidente, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2007, 122ss.). E in effetti noi abbiamo paura dell’islam, ma “Il problema – è stato giustamente osservato,- non è tanto nella forza dell’islam, quanto nella debolezza del cristianesimo in Europa”. A dirlo è stato il cardinale svizzero Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, in http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/07/20/islam-europa-religione-cristiana-koch-schonborn___1-v-144632-rubriche_c227.htm.

[12] Gounelle A., Parlare di Dio, ed. Claudiana, Torino, 2006, 51 e 49.

[13] Gounelle A., Parlare di Dio, ed. Claudiana, Torino, 2006, 50 s.

[14] Papa Giovanni Paolo II, Enciclica Redemptoris Missio 7.12.1990, §55.

[15] Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes § 92 – del 7.12.1965. Eppure, ancora nel 2014 la Pontificia Commissione Teologia Internazionale (http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140116_comunicato-monoteismo-cristiano_it.html/ Cap.1.4 §68) riteneva che l’intolleranza arrivasse sempre e solo dal relativismo che sta fuori della Chiesa e non dal suo assolutismo.

[16] Integralismo è la pretesa di avere un sistema unitario per tutti, escludendo la possibilità di pluralità di concetti e di programmi, e si differenzia dal fondamentalismo che esige semplicemente l'applicazione letterale dei principi scritti nelle Sacre Scritture senza concessioni alle interpretazioni.

[17] Si pensi solo alla guerra dei trent’anni, nel 1600 combattuta per principi religiosi. Cfr. Romano S., Radici cristiane dell’Europa, Erasmo e la Chiesa romana, “Corriere della sera”, 19.6.2013, 41. Vedasi sopra la nota 15 per quanto sostenuto dalla Pont. Comm. Teol. Intern.

[18] Ogni religione si struttura su definizioni, e ogni definizione è di per sé un limite. La Chiesa, che ha la preoccupazione dottrinale di superare questo limite, pretende di obbligarci a credere in certi concetti strutturati razionalmente da suoi uomini in passato; pretende di obbligarci a credere in certe sue definizioni e dogmi fissati in un tempo ormai remoto, e giunti statici nel tempo fino a noi. È però scontato che non appena si concepisce una forma, si pongono anche dei limiti e si perde il principio che non ha limiti; come si è detto, maggiore è la definizione, maggiore è la lontananza rispetto al principio. Dunque, hanno ragione i musulmani a dire che l’intelletto è in grado di portarci solo fino alla porta del re; poi occorre abbandonarsi e affidarsi a Dio, che è sempre a un livello ultraformale.

[19] Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 155.

[20] Molari C., Nuovi linguaggi della fede, relazione tenuta al Centro Veritas di Trieste, il17.3.2012.

[21] Enciclica Redemptoris missio, n.55, del 7.12.1990.

[22] Scontro analogo si vive oggi nella Chiesa fra l’apertura evangelica di papa Francesco e il richiamo alla tradizione religiosa che si tocca con mano nel clericalismo integralista (Castillo J.M., El Evangelio marginado,  Desclée De Brouwer, Bilabo, 2018, 263).

[23] Vedasi l’articolo Se Gesù è l’unico mediatore, il dialogo è impossibile, al n. 514 di questo giornale, (https://sites.google.com/site/archivionumeri500rodafa/numero-514---21-luglio-2019/se-gesu-e-l-unico-mediatore-il-dialogo-e-impossibile).

[24] Con ciò opponendosi frontalmente al Concilio, il quale ha ricordato che la Chiesa non ha solo qualcosa da insegnare, ma anche da ricevere dal mondo, dai credenti e dai non credenti (Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo - § 44 Gaudium et spes -  del 7.12.1965.

[25] Di recente Papa Francesco ha detto che è impossibile dialogare se non si riconosce che lo Spirito ha seminato negli altri un dono di cui anche noi possiamo godere (Spadaro A., Intervista a Papa Francesco, “La Civiltà Cattolica” n. 3918/2013, 466).

[26] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 323.

[27] Idem, 322s.

[28] Idem, 331.