Le nude mani di don Milani

Chiesa di Barbiana - foto tratta da commons.wikimedia.org

Il 6 settembre del 2020 ricorreranno i 125 anni dalla nascita di Alice Weiss Comparetti Milani, madre di don Lorenzo Milani, di cui invece ricorreranno 97 anni dalla nascita mercoledì prossimo.

Alice Weiss era triestina ed è venuto il tempo - crede chi scrive queste righe - di assegnarle un posto di centralità autonoma, quantunque non separata, nell’ambito dei riferimenti milaniani.

Nascere nella Trieste del 1895 voleva dire molte cose molto precise. Ad esempio significava essere prossimi ad una tensione politica intensissima che di lì a poco sarebbe esplosa in un conflitto mondiale e simile passione civile si traduceva in un impegno innervato di laicità, di disincanto, di lucida consapevolezza degli eventi e delle poste in gioco.

L’epistolario del Priore di Barbiana alla madre, fin dall’ingresso in seminario, ha un’importanza che è persino superfluo annotare.

La genealogia della famiglia di don Milani è peraltro talmente ricca – secondo cugino di Albano Milani, padre di Lorenzo, fu Marc-André Raffalovich, che era in confidenza con Louis Massignon, come racconta Jeffrey J. Kripal nel suo volume del 2001 Roads of Excess, Palaces of Wisdom – da suscitare riflessioni anche diverse dalla mera investigazione storiografica.

E la stessa considerazione di don Milani nell’attuale contesto pastorale della Chiesa Italiana, dopo la fiammata del 2017 in coincidenza con la visita del Papa a Barbiana in occasione dei 50 anni dalla morte del prete educatore (http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/june/documents/papa-francesco_20170620_don-lorenzo-milani.html), sembra essersi come affievolita.

Con una vistosa ed interessantissima eccezione, costituita da due pubblicazioni, comparse l’anno scorso per i tipi di EDB, dell’Arcivescovo di Modena, Mons. Erio Castellucci: una intitolata Lettera di un vescovo a don Milani e l’altra Don Milani e il Concilio.

In entrambe l’autore non usa parole di circostanza o stratagemmi ossequiosi ma affronta a pieno viso – senza mascherine di prudenza intimorita – anche i tratti più ruvidi di una testimonianza di prete tutt’altro che progressista e basta e tutt’altro che tradizionale e basta.

In don Milani c’era qualcosa d’Altro, di non precisamente identificabile con i soli strumenti delle categorie conoscitive d’uso, neppure di quelle teologiche, e riconducibile piuttosto ad un’anticipazione escatologica di quel Regno di Dio, addirittura di medievale invocazione - nelle spiritualità monastiche o francescane ad esempio -, in cui cadono le distinzioni tra sacro e profano, tra laico e religioso e compare soltanto l’amore come unica possibile cifra di senso.

E fa capolino inevitabilmente allora la domanda su questi nostri giorni ecclesiali: ma come si sarebbe comportato il Priore?

Tuttavia la storia non si fa con i “se” e perciò, non potendo esser lecito neppure l’abbozzo di una qualche risposta, resta una constatazione che però non sconta la prova della verità evidente, rimanendo interna ad una diversa prospettiva, appunto non incasellabile, che forse potremmo definire, con circospezione, “spirituale”.

A Barbiana contava la concretezza estrema, financo proprio fisica, dello stare assieme, vicini. La presenza – in sé veramente singolare – di una piscina ad uso dei ragazzi non distante dalla chiesa (https://www.donlorenzomilani.it/piscina/) attesta di un inaudito linguaggio liberatorio del corpo, dei corpi, proprio all’interno e non all’esterno dei luoghi di vita parrocchiale.

Noi invece, da domani, prima domenica in cui sarà possibile celebrare di nuovo l’Eucarestia con la presenza dell’assemblea benché limitata, dovremo evitare qualunque tipo di coinvolgimento fisico, sia pure il saluto di una stretta di mano o persino un sorriso. Al massimo uno sguardo, intorno cui sta fiorendo una retorica spiritualoide – sia permesso dirlo – affettata e stucchevole.

Però, tra guanti, mascherine e, in alcune Chiese locali, pure pinzette al momento della comunione – con il paradosso di una comunione che distanzia invece di accomunare -, un “residuo”, diciamo così, molto significativo resta e conseguentemente turba.

Da una parte la mano inguantata che tiene la pinzetta che stringe la particola, ma, dall’altra, due mani nude, di donna, di uomo, di bambino, di anziano, di ragazza.

Questo segno di una semplice e laicissima nudità prensile davanti alla sofisticata chirotecnica ecclesiastica colpisce molto: s’è detto che ipotesi non è consentito farne, ma un sorriso di don Lorenzo pare di intravederlo.

Si conoscono reazioni furibonde al pensiero della mano nuda aperta per ricevere il pane eucaristico senza nessuna alternativa consentita alla ricezione orale. Per alcuni sarebbe un sacrilegio. Per altri risulta un po’ difficile capire – mi iscrivo tra costoro – come mai la proverbiale prudenza ufficiale degli esponenti di Chiesa abbia ritenuto di dover comunque assicurare lo svolgimento della liturgia comunitaria pur in presenza di simili sconquassi in chi partecipa alla messa al di qua dell’altare. E la perplessità non è dissimile in chi, onerato da scrupoli di coscienza ma non trovando alcun pronunciamento episcopale di dispensa dal precetto festivo, non sa come comportarsi e rimane nel dubbio.

Scrive Mons. Castellucci a p. 22 di Lettera di un vescovo a don Milani: «Il vescovo deve «spiare» l’azione spesso nascosta dello Spirito nell’interiorità degli uomini, deve adottare uno sguardo penetrante, che perfori la superficie opaca delle apparenze. Può farlo solo se rimane aggrappato a Cristo e al suo vangelo, all’eucaristia e alla preghiera. Altrimenti rischia di ospitare nella sua mente e nei suoi affetti i criteri mondani dell’efficienza, del risultato, del successo e dei numeri, cadendo in una visione manageriale dell’episcopato, inevitabilmente anticamera di delusioni e amarezze.»

È milaniana dunque la mano nuda che, in qualche modo, oppone dolce resistenza – almeno simbolica (altro che simbologie del nascondimento…) - all’inguainarsi della mano sacerdotale? Sì, molto.

Ma assomiglia molto pure alle mani nude intrecciate di madre e figlio, che Alice Weiss e Lorenzo figlio avranno costantemente rievocato, non mnemonicamente, in sé. E che Lorenzo prete, ormai “don”, avrà ancora rivissuto tra i suoi ragazzi e la sua gente.

Il miracolo del cammello che finalmente passa attraverso la cruna dell’ago – furono le ultime parole del Priore – corrisponde all’evento, appartenente al solo gesto credente e non alla comprova storica, dell’Ascensione.

Perché sentirsi dire “ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” supera di molto la semplice consolazione e vanifica anche certa bulimia sacramentale.

Ha scritto don Milani: «Voler bene a uno è qualcosa di più che credere nella sua esistenza». (https://www.donlorenzomilani.it/lha-detto-don-lorenzo/).

Una mano nuda, di donna, di prete, lo sente.

Ma lo sente il Popolo di Dio, se lo si ascolta “in medio pauperum”.

Buona domenica.

 

Stefano Sodaro