“An agreeable monk”, il diritto e la Trinità

Illustrazione per il racconto “An Agreeable Monk”, su Once a Week magazine, volume 3, page 301 -

di Percival Skelton (fl. 1849-1887 - immagine tratta da commons.wikimedia.org

«Papà, hai l’obbligo di parlare sul numero di domenica di Rodafà di cosa sta accadendo in America».

Ed il papà sa benissimo che deve obbedire ai figli. Senza, tuttavia, impartire, quasi per reazione infastidita, lezioni di catechismo o paternali di moralismo, fossero anche entrambi laicissimi – il catechismo ed il moralismo -, “civici” anzi, bensì interrogando l’intrecciarsi degli eventi. A partire da una riflessione sulla forza dell’Autorità, di qualunque Autorità si tratti, statale o religiosa, pubblica o privata, costituzionale o priva di controllo democratico. Ma il “problema” dell’Autorità, quale che sia, pone il problema del diritto. Non solo e non tanto della sua conoscenza, quanto della sua considerazione quale determinante valore in gioco, in particolare quando il gioco – tutt’altro che ludico – si fa drammatico e tragico. 

E teologizzare sugli eventi sarebbe grave errore perché la teologia della liberazione, tanto per non tacere ipocritamente di quale possa essere il quadro di riferimento, è una teologia contestuale, cioè seconda rispetto alla vita, che ha il primato anche nell’ordine della fede professata, perché la sofferenza diventa testimonianza oggettiva, eloquente di per sé, non bisognosa di parole, giacché in sé capace di rivelare la Parola.

Da una parte i nomi di George Floyd, Manuel Ellis (https://www.repubblica.it/esteri/2020/06/06/news/stati_uniti_video_shock_afroamericano_morto_arresto_marzo_new_york-258564154/) e Martin Gugino, dall’altra la Forza Governativa, il Potere Esecutivo, negli USA, che agisce a norma di legislazioni facoltizzanti l’uso della violenza per assicurare l’ordine della comunità.

La dialettica tra legittimità e arbitrio però si lacera quando la sproporzione tra necessità di controllo ed affidamento, fiducia, dei cittadini ferisce a morte lo stesso concetto di diritto. Se all’invocazione di non poter respirare non risponde alcun allentamento della presa il diritto fallisce, è già deceduto assieme a chi muore.

E l’interrogativo si contorce: che uso facciamo noi stessi della forza? Ognuna ed ognuno di noi ha un potere in senso lato “amministrativo”, volto cioè a tradurre in comportamenti concreti e precisi le esigenze di una legge che può essere anche solo familiare, di gruppo o addirittura individuale. E che uso facciamo di tale potere?

Un Paese come gli Stati Uniti d’America rischia di venir travolto dalle reazioni ad un agire amministrativo, di polizia, avvertito come ingiusto e prevaricante, pericoloso, capace di uccidere.

Sulla sofferenza di un popolo intero non si costruisce una teologia, bensì, tutto al contrario, si ascolta che cosa quel popolo insegna e annuncia con la sua passione: è un atteggiamento monastico e non accademico e da qui può nascere, piuttosto, una teologia.

Ogni teologia della liberazione è monastica, nel senso di quella “beata semplicità” di cui parlava Raimon Panikkar (http://www.raimon-panikkar.org/english/XXVIII-7-Beata-semplicita.html), che fa cogliere il senso della storia senza concettualizzarlo o razionalizzarlo ma vivendolo.

Noi abbiamo una idea di monachesimo fossilizzata su immagini precise e luoghi determinati, mentre il suo nucleo risulta corrispondere ad una quotidianità che accomuna tutte e tutti. L’espressione “buona e bella vita” ritorna nella testimonianza, ad esempio, della Comunità Monastica di Bose sui cui avvenimenti ecclesiali abbiamo svolto qualche considerazione la scorsa domenica (https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-559---31-maggio-2020/rodafa).

La violenza, anche se di polizia, diventa insopportabile e va denunciata con coraggio quando la “gradevolezza”, cioè la bellezza, il piacere proprio della nostra vita diventa oggetto di attacco, subisce una intollerabile espropriazione dall’armonia che le nostre esistenze reclamano come proprio diritto. Nessuno ha il diritto di non farci respirare, nessuno.

Un ordine amministrativo è stato impartito anche, per appunto, nella vicenda di Bose. Ed invece un atto di natura diversa, non amministrativo bensì giudiziario, si apprende essere stato adottato dall’Autorità inquirente del Tribunale Vaticano (http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2020/06/05/0322/00728.html) in esito ad indagini di estrema complessità e ramificazione (https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2020-06/vaticano-immobile-londra-arresto-torzi-risultanze-inchiesta.html). L’ordine di arresto che è stato eseguito dalla Gendarmeria Vaticana non è di provenienza amministrativa ma giudiziaria. E, per quanto paradossale possa sembrare, consente strumenti processuali di reazione articolati a fronte della mera obbedienza che richiede invece un decreto singolare approvato in forma specifica dal Papa e relativo, peraltro, non già all’ordinamento vaticano ma a quello meramente canonico.

E la riflessione si fa di nuovo pensosa. E il desiderio di una vita non più solo personale ma anche ecclesiale “gradevole”, cioè “piacevole”, cioè bella, cioè buona, subisce come uno scacco al constatare l’esistenza di carceri tutt’oggi attive presso la Sede del Vescovo di Roma. Se però subentrasse lo scandalo, l’estraniamento, ci ritroveremmo nella più completa incapacità, vera impossibilità, di capire - di nuovo - “monasticamente” il senso di ciò che accade.

Vale a dire che, questa volta, è la medesima Santa Sede, ente che esercita la propria sovranità sul territorio dello Stato Città del Vaticano – Stato che “non vive” senza il suo sovrano -, a lamentare la commissione di reati a proprio danno e ad attivarsi per reprimerli.

La storia della Chiesa ha una pluriformità talmente variegata che un approccio moralistico, esortativo, deplorante o trionfalistico, nemmeno intuisce e fa subito avvolgere in una spessa nebbia.

Nel 2019 la casa editrice “il Mulino” pubblica, di Alberto Melloni, il volume Tempus visitationis. L’intercomunione inaccaduta tra Roma e Costantinopoli sul progetto del 1970 quanto ad una possibile concelebrazione eucaristica tra Paolo VI ed il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Atenagora (https://www.mulino.it/isbn/9788815280404) e solo pochi giorni fa - e proprio in questi giorni qua - compare la notizia di una possibile riunificazione tra Chiesa Bizantina Ortodossa e Chiesa Bizantina Cattolica ad iniziare dalla terra di Ucraina (https://spzh.news/en/news/71886-v-ukraine-izuchat-obshhestvennoje-mnenije-o-prisojedinenii-ugkc-k-pcu). Si legge testualmente, all’articolo riportato nel link tra parentesi: «The grant provides for a comprehensive study in 2020-2021 and “the creation of a roadmap for the unification of Ukrainian Churches of various faiths with the subsequent use of Ukrainian experience for ecumenical reunification and the return of the Orthodox and Greek Catholic Churches of the Byzantine rite to the fold of the Ecumenical Patriarchate.” Among the referred churches that are supposed to “return” under the jurisdiction of Constantinople, the Institute indicated Albanian, Belorussian, Bulgarian, Hungarian, Greek, Macedonian, Romanian, Slovak, Croatian and other Greek Catholic Churches, as well as “separate” parishes in other countries EU, USA and Canada.”

La vita desiderata come “buona e bella” dovrebbe gioirne ma forse non ne è neppure informata. Un progetto di riunificazione ebbe anche una versione araba con la cosiddetta “Iniziativa Zoghby” - dal cognome del vescovo melkita Elias Zoghby - volta all’unione dei Patriarcati Bizantino Ortodosso e Cattolico Melkita di Antiochia e venuta alla luce nel 1995 (https://it.qwe.wiki/wiki/Zoghby_Initiative).

In una eventualità simile, di riunificazione di Chiese, ci troveremmo di fronte ad atti giuridici di Autorità Ecclesiastiche né amministrativi né giudiziari, bensì propriamente legislativi.

E, per tornare alla densa laicità della nostra liturgia del quotidiano, proprio una vicenda afferente al diritto amministrativo rischia di distruggere gli sforzi di rinnovamento e ammodernamento del Porto di Trieste, con la dichiarazione di decadenza, da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, del Presidente  dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Orientale Zeno D’Agostino (https://www.ilsole24ore.com/art/anac-cancella-presidente-porto-trieste-d-agostino-annuncia-ricorso-ADNrUpV?refresh_ce=1).

In questo affastellarsi di scontri con l’Autorità che o ricorrono alla violenza, o emettono provvedimenti singolari non impugnabili, o fanno fallire progetti irenici, o creano fratture nell’economia vitale di una città, che cosa resta dentro la comunità credente, su che cosa cioè la “meditatio” della monaca e del monaco, che ognuna ed ognuno di noi è, può poggiarsi con speranza, con progettualità, con desiderio di vita buona e felice?

L’inutilità culturale – e tuttavia esistenzialmente vitale - di un Dio trino forse fornisce la chiave di volta per non imboccare nessuna scorciatoia clericale semplificatoria. E per eccedere in salutare “gradevolezza”.

Allora rivoltiamo la domanda: esistono spazi e concrete possibilità perché l’Autorità dimostri di saper ascoltare la sofferenza, di saper fortificare e non vanificare carismi monastici, di preparare progetti di legge anche ecclesiastica che uniscano invece di dividere, di verificare con il necessario rigore di un processo amministrativo la legittimità di una decisione di decadenza da una carica importante per una intera città? Sì. Esistono. Ma, per un verso, è l’umiltà del diritto a dover essere un po’ più considerata e riscattata e, per altro verso, è la complessità intrinseca delle nostre vite – une e trine – a non poter essere sciolta e sgomitolata.

La “beata semplicità” di un monachesimo laico, celibe o coniugato che sia, in un monastero o in un appartamento che sia, non è semplicismo, infantilismo rinunciatario, ma stupore davanti ad un et et et – tre volte “et” - che la stessa fede cristiana custodisce, nel riconoscimento di un Dio inesauribile.

La vita allora sarà ancora bella, buona, felice, con il piacere abbracciato alla gioia.

Buona domenica.

 

Stefano Sodaro