Raimon Panikkar, marito di María Josefa González-Haba

Tavertet, il comune catalano dove morì Raimon Panikkar il 26.08.2010

- foto tratta da commons.wikimedia.org

A Tavertet, in Catalogna, il 26 agosto del 2010 chiudeva gli occhi alla contingenza del tempo il prete cattolico Raimon Panikkar che, tuttavia, una simile definizione – di prete cattolico – rischia di far defungere una seconda volta, seppellendolo nella tomba di un ruolo definito, mentre le sue ceneri, disperse nel Gange secondo il rito induista del padre, attestano di un’identità impossibile ad incasellarsi e definirsi.

Specialisti e studiosi del pensiero di Panikkar hanno le competenze per presentare, esporre ed anche criticare il suo pensiero, od argomentarne le implicazioni, o tesserne le connessioni culturali, ciò di cui il nostro giornale non è all’altezza.

Le foto di esercizio del suo ministero presbiterale sono pochissime. Forse qualcuna e qualcuno ricorderà l’immagine di un’Eucaristia da lui celebrata, molto giovane, ai piedi dell’Himalaya, in abiti appena più “pudichi” – per le nostre compostissime sensibilità occidentali – rispetto alla posa liturgica del suo amico fraterno, il monaco Henri Le Saux (Swami  Abhishiktananda, in una foto qui riprodotta). 

Ma nella vita di Panikkar è pure quasi del tutto sconosciuta una sua altra e diversa dimensione, quella matrimoniale, abbracciata sposando la teologa María Josefa González-Haba (si può leggere al link https://www.atrio.org/2010/09/maria-senora-del-silencio-esposa-del-fallecido-raimon-panikkar/ ed anche al link https://www.elperiodicoextremadura.com/noticias/opinion/mujer-extremena-raimon-panikkar_1105030.html), della quale l’Associazione Culturale “Casa Alta” sta progressivamente raccogliendo le pubblicazioni.

Nell’accuratissima biografia intitolata Panikkar. La vita e le opere, edita da Fazi Editore nel 2018, Maciej Bielawski riferisce che i due si incontrarono a Madrid alla fine degli anni Quaranta del Novecento e che avevano dodici anni di differenza. Si sposarono con rito civile a Madrid il 6 dicembre 1984. Scrive Bielawski (a p. 255): «(…) Panikkar, sposando María Gonzalez, si trovò in una posizione scorretta dal punto di vista della legge ecclesiastica. Ma il fatto rimase nascosto. Si creò una situazione confusa e imbarazzante, però non per tutti e non subito. Uno stato a cui contribuì, almeno nei primi anni di matrimonio, anche la sua situazione di uomo che era dovunque e in nessun posto. All’inizio non tutti sapevano che era sua moglie, molti la consideravano la sua assistente, dato che ne aveva avute tante durante la sua vita, o la magari la “perpetua” che nella chiesa di Tavertet suonava l’organo e si prendeva cura della casa. Il problema sarebbe emerso col tempo, facendosi doloroso e conflittuale (…). Perché María e Raimundo si sono sposati? Credo che si possano dare diverse risposte, tutte valide e nessuna soddisfacente. Nella vita molto spesso non esiste un “perché”. E penso che, soprattutto nel caso di Panikkar, a un certo punto si debba rinunciare a capire tutto. Quindi la prima risposta alla domanda è una non risposta. In altre parole, il matrimonio di Panikkar, come tante altre situazioni della sua vita, rimane un mistero che appartiene a lui solo.»

María morì l’anno successivo alla morte di Panikkar, il 21 settembre 2011, e pare caduta nel dimenticatoio della storia, che inghiotte pressoché sempre le pur presenti protagoniste donne di infinite vicende contrassegnate però solo da nomi maschili.

Quando i coniugi decisero di adottare due bambini indiani – Maria e Giuseppe -, la notizia divenne di pubblico dominio ed il vescovo locale, della diocesi cui appartiene Tavertet, vietò a Panikkar l’esercizio del presbiterato.

Ora merita prestare una qualche maggiore attenzione – per dire così – alla narrazione di Bielawski, consultabile alle pp. 266 e 267 del suo volume.

«Quasi novantenne, Panikkar, il 15 febbraio 2008, nella chiesa parrocchiale di Tavertet lesse pubblicamente la seguente dichiarazione: Sento il bisogno di fare una dichiarazione che riguarda un punto delicato, di cui mi sento responsabile, di cui vorrei chiedere pubblicamente il perdono a causa del cattivo esempio che ho potuto dare non obbedendo alla legge ecclesiale del celibato, che fermamente considero il dono di, in e per Cristo e la sua Chiesa, che è un mezzo per il servizio sacerdotale in e per il Signore. Sinceramente me ne pento e umilmente accetto l’obbedienza alla Chiesa. Mi sento membro vivo e sacerdote della Chiesa e vorrei mantenere con essa il legame fino alla fine. Liberandomi da tutti i legami che ho a causa del matrimonio contratto, bisogna tener presente il principio della misericordia e della carità cristiana.

La notificazione fu accolta dal vescovo di Vic, che in seguito mandò al clero della sua diocesi una lettera circolare in cui annunciava il reinserimento di Raimon Panikkar, finora giuridicamente sospeso, nel clero della diocesi, con il conseguente reintegro nel ministero sacerdotale e dunque la possibilità di svolgere pubblicamente le funzioni liturgiche. Raimundo non divorziò mai da María González, nonostante le pressioni delle autorità ecclesiastiche: lei rimase civilmente sua moglie a tutti gli effetti e lui suo marito fino alla morte, pur da prete cattolico.»

Su tale vicenda le riflessioni, anche sotto il solo aspetto canonistico, possono essere molte: da un lato avviene un formale reinserimento tra le fila del clero cattolico ricorrendo ad una formula di “pentimento” piuttosto scontata, dall’altro il matrimonio resta civilmente valido e Panikkar appare giganteggiare nel panorama culturale contemporaneo di certo più in abiti civili che ecclesiastici. Dunque, una mossa strategica? Bielvaski racconta anche (https://elbagolo.wordpress.com/2013/03/10/ratzinger-vis-a-vis-panikkar/) di rapporti diretti ma mediati, non dunque strettamente privati, tra Panikkar e Benedetto XVI.

Forse era radicata in Raimon e in María la convinzione che “compromettersi” ad un certo punto della vita bisogna, rendendo matrimoniale la propria esistenza del tutto a prescindere da condizioni celibatarie o coniugali, bensì dando prova di dedizione, completa, a Qualcosa, a Qualcuno, qualunque sia il proprio stato di vita.

L’impressione che si ricava non è, almeno a parere del qui scrivente, di uno scandalo, bensì di uno scarto. Panikkar dovette confrontarsi con un apparato giuridico mentre viveva del tutto proiettato in altro contesto di riferimento ideale e concreto, fatto di immersione nella sapienza hindu e nella tradizione cristiana costantemente ripensata.

Il Cristo sconosciuto dell’induismo, titolo di una sua celebre opera, fu effettivamente l’essenza, il nucleo incandescente, della sua testimonianza.

Lo scarto del resto ci fu anche rispetto ad un’ordinazione presbiterale avvenuta quale numerario dell’Opus Dei, cui appartenne sino al 1953; da prete dell’Opus Dei ad autore de Il silenzio di Dio. La risposta del Buddha, rispetto alla cui via religiosa si possono ascoltare le sue parole nel video reperibile al link di YouTube https://www.youtube.com/watch?v=EkOcMsjipMY.

L’identità ecclesiastica di Panikkar, per quanto paradossale possa sembrare, risulta progressivamente sempre più sacerdotale e sempre meno presbiterale. Vale a dire: sempre più idonea ad una capacità celebrativa laica, universale, umanissima e sempre meno prossima alla ritualità confessionale. In questa direzione sia consentito un avvicinamento, che andrà approfondito in altri momenti e con altre considerazioni, con la figura, in Italia, del Prof. Pier Cesare Bori, morto nel 2012, insigne storico, che, ordinato prete cattolico, si sposò con la dispensa dal celibato ed approdò all’esperienza dei Quaccheri, senza mai rinnegare le proprie origini, anzi intrattenendo una intensa corrispondenza, ad esempio, con il fondatore della Comunità Monastica di Bose Enzo Bianchi. La sua autobiografia, intitolata CV, edita da Il Mulino nel 2012, testimonia anche della sua partecipazione allo sviluppo dell’Istituto per le Scienze Religiose di Bologna, ove giunse negli anni Settanta chiamato da Giuseppe Alberigo (http://www.fscire.it/index.php/it/cv-pier-cesare-bori/; https://manifesto4ottobre.blog/2020/01/03/pier-cesare-bori-dopo-il-cristianesimo-lumano/).

E quale parallelismo si può – arbitrariamente, senza dubbio – abbozzare per María Josefa González-Haba? O meglio: quali ambienti e momenti in Italia appaiono adeguati ad una sua valorizzazione? Ci si permette di delineare una pista di possibile valorizzazione della sua figura, recuperandone la dimensione teologica ed approfondendone le sue tesi storiografiche che fanno particolare riferimento a Meister Eckhart, nell’ambito del monachesimo femminile. Sia le Sorelle monache delle Comunità fiorite nel postconcilio – il pensiero va ad esempio a Bose -, sia le presenze vive ed oranti in monasteri femminili di storia millenaria – il pensiero va ad esempio alle Clarisse –, potrebbero supportare e favorire una riemersione critica ed arricchente di colei che fu la moglie di Raimon Panikkar.

Vengono in mente le parole tratte dal capitolo 11 della Lettera di Paolo ai Romani che la liturgia romana prevede per oggi: “Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il contraccambio?”.

Panikkar e González-Haba ci attendono molto al di là dei nostri giudizi e delle nostre comprensioni, laddove si ama e, soltanto perché si ama, si crede. Qualsiasi cosa ciò possa significare per ciascuna e per ciascuno.

Buona domenica.

 

Stefano Sodaro