Migrantes

Una nave in difficoltà

scoperta dalla US Navy (USN) Oliver Hazard Perry Class Guided Missile Frigate USS RENTZ (FFG 46)

a 300 miglia dalla costa con 90 persone a bordo, comprese donne e bambini.

La RENTZ ha fornito assistenza e ha portato i cittadini ecuadoriani in Guatemala,

da dove sarebbero stati rimpatriati - 18 giugno 2005 - foto tratta da commons.wikimedia.org

I morti nel Canale di Sicilia

passano tra le maglie dei soccorsi

evitano la scia dei pescherecci

e scivolano via dalle tonnare.

 

Galleggiano nel blu. E galleggiando

gravidi d’acqua lievi si diradano

vagando lenti nel Mediterraneo.

 

Haruni arriva lesta a Salonicco.

Riposa sulla rena ascoltando

farfuglii di Nâzım Hikmet-Ran…

Senti la tristezza dell’animale

ferito che rantola… il dolore

dell’uomo… vagabondo sognatore….

Ti sei spiaggiata morta, poesia

e non sai consolare il mio dolore!

Guardati intorno e poi mettiti in coda

insieme ai disperati allo sportello,

con i disoccupati, con i miseri,

con gli intellettuali aristotelici.

E io muoio, ma tu mi sopravvivi?

 

Dio buono, signore dell’ingiustizia

signore della fame e della sete

accogli questo corpo naufragato.

 

Paolo Boi, rarefatta anima inquieta,

avvista da lontano Ruwayd

lento e gentile verso Siracusa.

“Perché avete voluto intrappolarci?

Cosa valse ingannarci? E poi perché

mani di ferro hanno rovesciato

la barca, la mia sposa, la mia vita?”

“Per i vostri peccati, per le colpe

che non avete mai confessato”

“Noi non abbiamo colpe, né peccati”

Tutti son peccatori, tutti sono

colpevoli di vivere la vita”

“Io più di altri? E tu forse meno?”

 

Dio buono, signore dell’ingiustizia

signore della fame e della sete

accogli questo corpo naufragato.

 

 

Amal, la figlia bella di Adila,

ferma a un miglio dal porto di Marsiglia

si erge fiera e grida all’Europa

il nome di un aiuto rifiutato

e chiede quanti euro, quanti rubli

la cremazione dell’anima costi

e quanti dollari, quanti yuan…

Ma nessuna voce, da quella immensa

terra anestetizzata, le risponde.

Su molo, muove un accenno di danza

compassionevole Maurice Béjart

e - pallida lacrima in un anfratto -

la maschera di Antonin Artaud.

 

Dio buono, signore dell’ingiustizia

signore della fame e della sete

accogli questo corpo naufragato.

 

 

Il sole già si adagia rosseggiando

sul profilo fenicio di Melilla

stretta d’assedio sempre e sempre invitta

ora fronteggia la spoglia di Shafi:

dell’arabo suo padre ha l’acutezza

della sua madre inglese i silenzi.

Racconta ai musulmani meligliensi

i cento giorni tristi del sultano

Muhammad ibn Abd Allah, l’alte trame

e tutti i vani suoi respingimenti;

e celebra il confine d’entroterra

che separa Marocco e marocchini;

e chiede asilo, e chiede pietà

per sé e per tutti gli altri fluttuanti

all’ispanico re imperturbato.

In questa terra d’Africa spagnola

nessuno contrabbanda l’accoglienza?

Nella Cala del Morillo risuona

la eco lugubre e affievolita

d’un pianto tarifit inascoltato

e note rock di Mohamed Toufali.

 

Dio buono, signore dell’ingiustizia

signore della fame e della sete

accogli questo corpo naufragato.

 

Troppo alcol e troppa marijuana

nascondono ai giovani vaganti

per le fugaci vie di Barcelona

il cadavere squisito sul lido

ciò che resta del viaggio di Bashiri,

profeta non ancora decomposto.

“Uomini senza più sangue verranno:

seduti sopra troni abbandonati

culleranno con canti l’agonia

di uomini senza specchi né volto”.

Solo Mirò è scosso dal presagio:

la gioventù africana sorbirà

vino nuovo dall’otre di Bashiri.

 

Dio buono, signore dell’ingiustizia

signore della fame e della sete

accogli questo corpo naufragato.

 

Il pianto moribondo di Wa’el

nella notte di Tripoli sgomenta

l’abisso muto dei cuori braccati

e la progenie dei traghettatori.

La peregrinazione di Wa’el

e il suo ritorno molto inopportuno

ribaltano le tavole del gioco:

è possibile tornare alla casa!

Non è l’Europa l’unico approdo

nemmeno è un buco nero il Mare Nostro!

L’estremo soffio di Wa’el morente

impietra il tempo al tempo dell’estate

del Millequattrocentotrentasei

 

Dio buono, signore dell’ingiustizia

signore della fame e della sete

accogli questo corpo naufragato.

 

Gonfia di gravidanza, d’acqua e sale

naviga Newka lungo le costiere:

è già passata tra Scilla e Cariddi,

pianto sulla rovina di Tropea

e su quella di Napoli più atroce.

Alla foce del Tevere di Ostia,

incurante dei clamori d’Enea,

muove rapidamente verso Roma

per proclamare al Golgota del mondo

il cammino dolente di una madre

e la sete lo stupro le catene

il destino corale del deserto,

dei corpi rinsecchiti dall’arsura

dai marosi ghermiti e rigettati.

 

Ma quel suo urlo è troppo prepotente

e la pelle principia a lacerare.

Nell’esitante alba tiberina

s’adagia Newka sulla riva bruna

in un’ansa del fiume desolata:

già sa che non potrà mai proclamare

le sue parole ataviche africane

al popolo distratto di San Pietro

radunato per la celebrazione

di un qualche nuovo santo protettore.

 

E sente forte tendersi il suo ventre

e l’incombente spira dell’eterno…

 

... Ma un vecchio accovacciato lì vicino

con voce sussurrante l’accarezza:

“T’aspetto da quando l’onda sommerse

il gommone e rubò la tua bisaccia:

trentatré giorni sono già trascorsi

tanto è durata la tua lunga erranza

di onda in onda per sabbie negate.

E ora che il tuo ventre si sta aprendo

più non ti resta che l’ultimo tempo

per apporre il sigillo del suo nome

al nuovo uomo che partorirai.

Più non temere: lo difenderò”.

 

Un cane le si approssima ringhiando.

 

Un rantolo, un ansito: “Okwui”!

poi dal collo al pube Newka si squarcia.

 

Le mani gentili del vecchio allora

levano l’uomo dal grembo dissolto.

 

Signore della perpetua giustizia

deponilo nel cuore di ciascuno.

Stefano Talamini

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per gentile concessione di Stefano al nostro giornale