Le tentazioni di Cristo

Tentazione di Cristo, parte di icona russa del 1682 di Simeon Holmogorec - 

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Tutti hanno sentito parlare delle tre tentazioni di Gesù nel deserto ad opera di Satana, che poi sono le tentazioni che anche ciascuno di noi è chiamato ad affrontare nel corso della sua vita. Le tre proposte di Satana sono cioè quelle che ogni uomo prova quando ambisce a salire in alto nella piramide sociale, e che accetta volentieri e pratica largamente [1]. Devo però subito sottolineare che, quando ho cominciato a pensare con mente più critica al racconto, la cosa che più mi ha stupito è che non c’era la tentazione del sesso, eppure al catechismo ci avevano martellato soprattutto su questo punto, perché il magistero ha fatto giganteggiare il sesto comandamento fra tutti gli altri comandamenti [2].

Ora, mentre nei Vangeli di Matteo (4, 1-11) e di Luca (4, 1-13) si leggono le tentazioni di Gesù nel deserto, queste sono del tutto assenti nel Vangelo di Giovanni. Anche qui, però, Gesù viene tentato, e il ruolo del satana, del diavolo, viene svolto in maniera assai chiara e diretta dai suoi fratelli in carne ed ossa, i quali gli dicono: «Vai via di qui e va’ nella Giudea, perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu fai» (Gv 7, 3-5). La seduzione è sempre la stessa: sei il Messia? sei l’atteso? E allora va’ dove c’è la gente che conta, fai vedere qualcosa di straordinario, fai vedere i prodigi che sei capace di compiere, e che possono dimostrare la tua potenza, e allora tutti ti seguiranno.

Emerge allora prepotentemente che lo stesso termine tentazione è improprio, perché è più appropriato parlare di “seduzione” visto che il diavolo dei sinottici e i fratelli del vangelo di Giovanni si presentano come coloro che vogliono aiutare Gesù nel suo progetto: “Sei il Figlio di Dio e devi organizzare il regno di Dio? Non ti preoccupare, ti diciamo noi cosa serve! Per organizzare il regno di Dio ci vuole ricchezza, ci vuole potere, ci vuole successo”. Evidente il parallelismo nei diversi vangeli perché il diavolo nel deserto dice sostanzialmente le stesse cose che dicono i fratelli di Gesù (e che, sinceramente, avremmo detto anche noi). Sappiamo tutti che la gente si sottomette facilmente a chi si dimostra potente, e a quel punto rinuncia senza difficoltà pure alla propria libertà. Come mai?

Forse è stata la stessa religione a orientarci così e la gente ha accettato sicurezza in cambio della propria libertà. Ricordiamo cosa dice il Grande Inquisitore a Gesù, quando gli dà una vera e propria lezione di filosofia del potere [3]: l’unica preoccupazione degli uomini è davanti a chi genuflettersi e consegnare la propria libertà; consegnare a qualcuno la propria libertà è considerato urgente ed è idea condivisa dalla massa delle persone. Tre sono le forze che regolano l’umanità: il miracolo, il mistero e l’autorità. Gesù, ingenuamente, si è invece appellato alla coscienza di ciascuno individuo e alla sua libertà, ha parlato di servizio e non di obbedienza sottomessa, riuscendo con ciò solo ad aggravare i tormenti dell’uomo. Diciamo pure che Gesù non ha capito nulla di come funziona il mondo. In effetti, il mistero ti consegna o alla libertà o all’autorità, e si può dire che tutte le religioni [4] sono riuscite a portare con abilità nella direzione dell’autorità: “Tu fidati di noi, obbedisci e vivrai in tranquilla sicurezza”.

Come nel libro di Giobbe il satana biblico è un collaboratore di Dio, anche nel vangelo il diavolo non invita a fare il male, ma solo a percorrere un’altra strada per raggiungere l’obiettivo che Gesù si è prefissato.

Naturalmente l’incontro i Gesù col diavolo in persona non va letto come fosse una realtà storica. Satana in ebraico (diablos in greco, diavolo in italiano) è un nome comune al pari di adam, che significa uomo; ma noi invece abbiamo personalizzato sia satana, sia adam facendolo diventare la prima persona creata da Dio. In proposito voglio richiamare quanto avevo scritto nell’articolo Il diavolo: essere spirituale invisibile o uomo in carne e ossa? al n. 473 di questo giornale (https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-473---7-ottobre-2018/il-diavolo-essere-spirituale-invisibile-o-uomo-in-carne-e-ossa), con l’invito a rileggerlo. Per chi non ha voglia di rileggerlo, ricordo che il racconto delle tentazioni nel Vangelo di Luca termina dicendo che il diavolo tornerà un’altra volta per tentarle Gesù al momento opportuno. Ma nel prosieguo del vangelo, non troviamo più una nuova apparizione del satana in persona (Lc 4, 13). L’evangelista se ne forse dimenticato? No. Gli evangelisti passano semplicemente dal termine diavolo al termine tentatore, e questo termine, nei vangeli, verrà attribuito da Luca allo scriba (Lc 10, 25: ed ecco un dottore della legge si alzò per tentarlo) [5]; da Marco principalmente ai farisei (Mc 10, 2: alcuni farisei si avvicinarono per tentarlo). Anche nel noto episodio dell’adultera, uno dei tentativi meglio escogitati per far perdere a Gesù la sua credibilità e popolarità, non si può far a meno di evidenziare come gli scribi e i farisei, i massimi rappresentanti di Dio in terra, facciano in realtà le veci del diavolo, perché l’evangelista usa in greco esattamente la stessa parola (Gv 8, 6) che Luca usa nelle tentazioni di Cristo (Lc 4, 2): “tentare,” non ben tradotta con “mettere alla prova” come sottolinea Alberto Maggi. I vangeli ci stanno cioè dicendo che gli esperti delle cose di Dio sono in realtà, con le loro azioni, assimilati all’azione del diavolo nel deserto.

E questo accostamento si ripete più e più volte nei vangeli: ad es. in Gv 8, 44-47, quando Gesù rampogna il magistero dicendo loro che non sono da Dio, ma sono dal diavolo, anche se si proclamano rappresentanti di Dio in terra.

Altre volte sono le folle (Gv 12, 13) a fare le veci del diavolo, perché vogliono un Gesù che si comporti da Messia figlio di Davide e prenda il potere con la forza. La folla è un potente diavolo. Ricordiamo la difficoltà incontrata da Mosè per liberare il suo popolo dall’Egitto. Gli ebrei non avevano alcuna ferma volontà di uscire dall’Egitto e più volte in cammino verso la libertà si erano rivoltati contro Mosè dicendo: “perché ci hai portati in questo deserto a morire, quando potevamo vivere servendo gli egiziani” (Es 14,11-12). Quindi la folla non fa altro che rinnovare le seduzioni del Satana. “Mostrati finalmente in tutta la tua potenza, fa miracoli e allora tutti ti seguiranno! Altrimenti, è meglio che te ne torni a casa tua!” E in effetti gli ebrei si calmano solo quando Mosè picchia la roccia con la verga e ne scaturisce l’acqua, o quando cade la manna dal cielo. Oppure: “Osanna al Figlio di David!” (Mt 21, 9). Ma non appena la folla si accorge di avere sbagliato persona, che Gesù non si comporta come il Figlio di David, cioè colui che, con la forza, va a conquistare il potere a Gerusalemme sbaragliando i nemici, la stessa folla, che ha appena gridato “Osanna al Figlio di David!”, cambia d’umore e griderà “crocifiggilo!” (Mt 27, 22-23).  

Infine, quel che è peggio, all'interno del gruppo, i diavoli sono i suoi stessi discepoli. Tutte persone in carne ed ossa. Sempre. Pensiamo al Satana-Pietro, che non vuole assolutamente che Gesù vada a Gerusalemme per morire, ma per uscirne vittorioso (Mt 16, 23). E Gesù lo blocca: «…vattene satana, torna a metterti dietro di me». Pensiamo a Giuda, pure lui chiamato espressamente satana (Gv 13, 27). E noi, dopo duemila anni, facciamo ancora fatica a comprendere perché si dovrebbe seguire la via tracciata da Gesù, facciamo ancora fatica a comprendere chi è il satana (o diavolo in greco). Chi è in realtà il diavolo? Se Dio è amore che si mette al servizio degli uomini, il satana è semplicemente l’esercizio del potere che domina [6]. Il diavolo è colui che intende tracciare lui la strada del Signore, sicuro che il Signore lo seguirà, proprio come Pietro, come Giuda o come la folla che invocava un Messia liberatore ma violento.  

Anche nella lettera alla Chiesa di Smirne dell’Apocalisse, si parla di satana e del diavolo con preciso riferimento a uomini concreti: la sinagoga dei giudei è detta di Satana, perché i giudei accusavano i cristiani davanti all’autorità [7], svolgendo la funzione di accusatore che Satana svolgeva davanti a Dio; i giudici romani, che invece imprigionano i cristiani, sono equiparati al diavolo (Ap 2, 9-10).

Ma come Satana non va inteso come fosse uno spirito potente dotato di propria personalità, neanche il deserto va inteso in senso storico-geografico, ma sempre in senso teologico-simbolico, come dimostra la qualità dei suoi abitanti: Satana (appunto il diavolo in greco), le fiere, gli angeli. L’immagine del deserto rappresenta quindi la rottura con i valori della società che opprime [8]. Il deserto è la dimensione dove tutte le forme sono state abolite, e dove l’uomo può finalmente vivere nudo da tutte le vesti della cultura e sentire la parola che risuona al di là di tutti i linguaggi. Il deserto è l’annullamento di tutte le forme, è opera di distruzione in noi che permette di trovarci nella solitudine totale dove potremo finalmente contemplare il volto dell’Invisibile e ascoltarne la voce [9].

Le tentazioni cui è sottoposto Gesù sono allora le proposte di imboccare vie alternative per la sua missione messianica rispetto alla strada che gli ha indicato il Padre (Ravasi G). A prescindere dal sesso, il mondo vive nel peccato dell’ingiustizia: il sistema ingiusto si è eretto a giudicare condannando Gesù a morte (Gv 16, 8). Il peccato del mondo, come si è visto nell’articolo È possibile che la Bibbia sia sbagliata? al n. 558 di questo giornale (https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-558---24-maggio-2020/e-possibile-che-la-bibbia-sia-sbagliata), è rifiutarsi di riconoscere il progetto del Creatore (Gv 16, 9; Gv 1, 10). Ecco perché le tre proposte del diavolo seduttore sono quelle che, ancora oggi, ogni uomo che mira al potere cerca di praticare. Nei vangeli, dunque, Satana assume il ruolo figurato della mentalità corrente che si contrappone a quella di Gesù: non è un individuo con le corna che cerca di sedurre Gesù. Siamo davanti a uno scontro fra due opposte mentalità: diciamo Forze del Bene e Forze del male, oppure energie positive ed energie negative. Le forze del male e della morte sono impersonate dal simbolo culturale di Satana. Nel mitico satana dunque sono identificate, personificate e proiettate le terribili forze distruggitrici e violente presenti in noi tutti.

Ciascuno di noi nella sua vita si definisce per la sua opzione: o si pone incondizionatamente in favore dell’uomo come fa Gesù, o si pone contro l’uomo, rendendosi complice dell’oppressione, del potere (complice di satana). O si pone a favore di chi fa fiorire la vita, o si pone a favore di chi distrugge la vita. O cerca il potere, o si mette a servizio. Quale che sia l’opzione di ciascuno, essa si rivela dal modo in cui uno opera, a prescindere da ciò che le parole o i suoi ‘credi’ affermano. 

Se poi teniamo presente che i vangeli non sono un elenco di fatti storici veramente accaduti, ma pura teologia per cui dobbiamo sempre chiederci quale verità vogliono trasmetterci, quando si legge il vangelo occorre sempre distinguere quello che l’evangelista vuol dire (e questo è un messaggio senza tempo, che deve essere valido anche per oggi), da come lo dice. E gli evangelisti ci stanno dicendo che durante tutta la sua vita Gesù è stato tentato ininterrottamente.

Allora non ha senso dire che la tentazione del diavolo è assurda perché è fantasioso ed irreale pensare che Gesù sia stato sollevato e trasportato dal diavolo in cima al pinnacolo del Tempio [12]. Cosa ha usato: un tappeto volante? Certo che è fantasioso ed irreale se la mettiamo sul piano del fatto storico. Ma questo racconto delle tentazioni vuol solo esprimere una verità valida anche oggi dopo duemila anni, e non deve essere inteso come il resoconto di un episodio avvenuto realmente duemila anni fa; tant’è che questo stesso episodio, come si è visto, non è presente negli stessi termini fantasiosi nel Vangelo di Giovanni.

Vediamo allora un attimo più da vicino queste tre tentazioni:

Come è stato sinteticamente ben spiegato [13], la 1a tentazione (Lc 4, 3;  Mt 4, 2 s.: trasformare le pietre in pane) implica l’uso delle qualità che uno possiede per il proprio beneficio invece che per il servizio agli altri, o l’utilizzo dei beni materiali a proprio uso esclusivo. Per aver successo – dice satana,- occorre essere egoisti. Un grande scrittore russo [14], neanche teologo, ha forse reso ancora meglio il senso della tentazione: «Tu vuoi andare nel mondo… con le mani vuote, con non so quale promessa di libertà, che quelli, nella loro semplicità e nella loro ingenita sregolatezza, non possono neppure concepire, e ne hanno timore e spavento – giacché nulla mai fu per l’uomo e per la società umana più insopportabile della libertà! Ma vedi codeste pietre, per questo nudo e rovente deserto? Convertile in pani, e dietro a Te l’umanità correrà come un branco di pecore, dignitosa e obbediente, se anche in continua trepidazione che Tu ritragga la Tua mano e vengan sospesi loro i Tuoi pani. Ma Tu non hai voluto privare l’uomo della libertà, e hai rifiutato la proposta: giacché dove sarebbe la libertà (hai ragionato Tu) se il consenso fosse comperato col pane?» Pazzo questo Gesù, perché non si rende conto che gli uomini si fanno volentieri schiavi di chi dà loro da mangiare [15] e che non appena l’uomo diventa libero «non c’è preoccupazione più assillante e più tormentosa…che quella di cercarsi al più presto qualcuno innanzi al quale genuflettersi».

La 2a tentazione (Lc 4, 5: che è la 3a in Mt 4, 8-18: lo portò sopra un alto monte [16] e gli mostrò i regni del mondo) è la seduzione del potere: invita al possesso egoistico di tutte le cose del mondo, a prendere sé stessi come Dio. L’ambizione del potere equivale ad omaggiare Satana, che si trasforma nel simbolo stesso del potere (come si è visto alla nota 11). C’è più di qualche credente che è convinto che si possa realizzare il Regno di Dio basandosi sul compromesso con i potenti, sul dominio, sullo splendore e sulla ricchezza: ma non è questo il progetto di Dio. Il potere sente sempre l’esigenza di assorbire le cose di Dio, ma si guarda bene dal farsi assorbire da Dio.

Nella 3a tentazione di Luca (che è la 2a in Mt 4, 5-7) è sempre il diavolo a condurre Gesù nella città santa di Gerusalemme (Lc 4, 9) e dall’alto del pinnacolo lo invita a buttarsi giù e a mostrare alla gente che gli angeli verranno in suo soccorso prima di schiantarsi al suolo. A ben guardare, nella sua entrata finale a Gerusalemme, Gesù è come preso in ostaggio, viene trascinato dalla corrente, trasportato dalla folla. Non è più Gesù che a quel punto determina il suo cammino ma, come il satana nel deserto lo ha preso e portandolo sulla città santa lo ha invitato a fare secondo quello che si aspetta la gente, nell’identico modo ora la folla lo circonda, lo sospinge lungo la strada e lo invita a mostrarsi in tutta la sua potenza, a dimostrare di essere veramente il Messia che tutti si aspettano. Siamo chiaramente davanti a racconti paralleli, per cui questo trasporto rocambolesco sul pinnacolo della città santa va inteso in senso metaforico, e non come fatto storico realmente accaduto.

Poi c’è l’invito a far intervenire Dio stesso per cose che dovremmo risolvere noi, c’è il suggerimento a lasciare tutto nelle mani di Dio, rinunciando alla propria responsabilità. Questo riguarda il proprio “io” ma, con riferimento agli altri, viene suggerito che per avere successo occorre investire molto sui miracoli: la gente è attratta dai miracoli. L’uomo si aspetta i miracoli, va in cerca di miracoli più che di Dio, e se Gesù gli rifiuta il prodigio impressionante e inspiegabile, facilmente rifiuterà anche Dio [17].

Questa è forse la più grave delle tentazioni che solletica anche chi si dichiara molto credente e non cerca affatto il potere, perché cerca di mettere alla prova Dio (ma non si ricorda che è stato detto: «Non tenterai il Signore Dio tuo» - Mt 4, 7), esigendo che intervenga in situazioni compromesse create dalla sua stessa irresponsabilità. L’autista che guida come un pazzo perché deve rientrare in tempo per assistere all’ultima messa, e pensa che Dio lo proteggerà da un incidente perché sta facendo una cosa molto pia e religiosa; la coppia, che pur sapendo di correre il gravissimo rischio di mettere al mondo un figlio ammalato, non prende alcuna precauzione convinta che tanto, se Dio non vuole, provvederà Lui a che la donna non resti incinta (e così facendo è pure convinta di obbedire al chiaro ordine Siate fecondi e moltiplicatevi - Gen. 9, 1- e al precetto religioso che la sessualità deve esprimersi nel matrimonio sempre e solo a fini procreativi - artt. 2363, 2366 Catechismo), sono tutti esempi che ricadono nella terza tentazione. E che dire del coronavirus? Dopo aver smosso la terra in ogni angolo del mondo, dopo aver distrutto delicati ecosistemi, molti si stupiscono se vari tipi virus sono stati a loro volta smossi dall’imprevidenza umana e cominciano a farsi vedere dalle nostre parti, e invocano a gran voce l’intervento divino per porre fine al disastro cui essi stessi hanno dato inizio. Poi vogliono andare subito tutti a messa, perché seguire il culto è gradito a Dio per cui sicuramente Lui li proteggerà dal virus. Che bell’esempio di totale affidamento a Dio, quando la forma dottrinale che mette il culto al primo posto finisce con lo sconfessare la salute che è il bene di tutti.

Qui si entra in un tema molto delicato e molto più ampio, perché la situazione critica non sempre è creata solo da chi poi la subisce. L’uomo si trova spesso fra Scilla e Cariddi, nel senso che non sa mai quanto deve contare su Dio e quanto invece deve aiutarsi da sé. Ancora oggi questo è un problema irrisolto. Il problema era già presente nella Bibbia: Giosuè, Davide, i Maccabei sono tutti gente d’azione, non solo di preghiera: anche confidando nel loro Yhwh, i personaggi più noti della Bibbia non gli si affidano passivamente, ma si attivano concretamente in prima persona per venire a capo dei problemi che li assillano. Per fare qualche altro esempio concreto: sotto il dominio dell’impero pagano il popolo ebreo corre un pericolo di sterminio. Tutto il popolo, che ha percepito il pericolo, prega (Gdt 7, 29), ma non agisce. Anche Giuditta prega (Gdt 9, 1 ss.), ma poi passa all’azione in prima persona (Gdt 10, 1 ss.), uccide Oloferne comandante dell’esercito di Nabucodonosor (Gdt 10, 13) e salva il suo popolo, sì che sembra che sia la sua azione, non le preghiere, a portare al risultato. Analogamente, quando il re Antioco muove contro gli israeliti, essi pregano per tre giorni, ma poi agiscono e attaccano per primi ottenendo una vittoria per la sorpresa (2Mac 13, 10-17). Al contrario, quando impaurito dalla potenza dei suoi nemici, il re Acaz cerca la sicurezza che gli può dare un’alleanza con il grande impero di Assiria, Isaia gli suggerisce di contare solo su Dio per la difesa di Gerusalemme e del suo trono, forte della promessa di Dio fatta a Davide; il re preferisce invece affidarsi ai patti militari più che all’alleanza con Dio, chiama in aiuto gli Assiri (che non aspettavano altro), ed è la fine. Il monito del profeta: «Ma se non crederete, non resterete saldi» (Is 7,9) [18] sembra privilegiare il quieto affidamento a Dio per ottenere il risultato.

Anche nel cristianesimo san Paolo sostiene la tesi che la giustificazione dei singoli e la salvezza del mondo sono legate alla fiducia in Dio: tutto dipende da Dio e non da ciò che l’uomo vuole e si sforza di fare. Dunque nella fede è essenziale il coraggio di affidarsi sempre e totalmente a Dio. Ma da una parte è evidente che nell'affidamento totale a Dio si rischia il fatalismo, che lascia che le cose vadano da sole (per lo più male): ecco Scilla. Dalla parte opposta c’è Cariddi, perché affidandosi a Dio solo a parole, ma in realtà contando prevalentemente sulle proprie forze, si finisce nell’intimismo di una spiritualità autoreferenziale; e comunque, neanche puntando tutto sui nostri sforzi si riesce poi sempre a rimediare ai mali che ci minacciano o ci affliggono. Quindi non sempre l’azione umana porta ai risultati sperati, ma allo stesso modo non sempre la preghiera a Dio, seguita dalla fiduciosa attesa, risolve i problemi. E allora, che fare?

Se in nessuno dei due casi è assicurato il successo, qual è l’atteggiamento giusto con cui affrontare i problemi della vita, quando sappiamo che agendo con determinazione si corre il rischio di contare troppo sugli uomini e poco su Dio, ma all’estremo opposto, quando ci aspettiamo tutto da Dio, si finisce col non fare nulla in attesa del suo intervento? La terza tentazione evangelica sembra spezzare una lancia non a favore del quietismo religioso, ma a favore della responsabile attivazione personale, non solo nel caso in cui il male ce lo siamo andati a cercare, ma anche nel caso in cui il male ci piova addosso per motivi che non possiamo controllare. Alla fin fine, forse hanno ragione i Gesuiti i quali invitano ad impegnarci nelle cose come se la loro riuscita dipendesse solo da noi; poi, al tempo stesso, aggiungono di confidare totalmente in Dio, sapendo bene che tutto dipende da Lui [19].

Sicuramente è grave correre dietro a un messianismo miracolistico. Nei vangeli, le storie di guarigioni miracolose vanno lette in realtà come storie di liberazione. Certo, come suggerisce il diavolo, se ragionassimo in termini di miracoli sarebbe più facile far riconoscere a tutti il divino, e ancora oggi s’insegna che i miracoli sono finalizzati a suscitare la fede, e si enucleano nei vangeli i miracoli-segni (come la moltiplicazione dei pani o le nozze di Cana), i miracoli-guarigioni (come la guarigione del paralitico o dell’emorroissa), i miracoli di esorcismo (come la liberazione degli indemoniati), i miracoli di resurrezione (come la resurrezione di Lazzaro) [20]. Ma se così fosse, di fronte a simili dimostrazioni di strapotente forza soprannaturale, come mai non si sono convertiti tutti? Ecco perché si è cercato di spiegare più razionalmente come nei vangeli non ci sono affatto miracoli storici in questo senso, e come Gesù abbia invece scelto un messianesimo povero, fragile e non miracolistico. Gesù, sotto questo aspetto, non ha fatto niente di eclatante, non ha ragionato in termini di pane, di potere, di miracolo, e anche per questo i risultati finali sono apparsi scarsini: sono scappati tutti, anche gli apostoli. Dal punto di vista del messianesimo forte, proposto dal diavolo, Gesù non ha fatto niente. Si può però obiettare parafrasando Eduardo De Filippo: “La gente crede che sia facile non far niente. Gesù non ha fatto niente, ma quel niente lo ha fatto in modo perfetto,” perché poi quel chicco che ha lasciato in terra è marcito ed è diventato spiga.

Dunque, si può concludere dicendo che nonostante tutti gli avversari, Gesù è rimasto fedele al progetto del Padre, e conseguentemente si può dire che ha sconfitto la tentazione, ovverosia il diavolo; non si è fatto convincere dall’avversa mentalità e ha sconfitto satana, per cui non c’è da avere paura del diavolo, visto che si può sconfiggerlo semplicemente rimanendo fedeli al progetto del Padre. Soprattutto non c’è da farsi il segno della croce ogniqualvolta si sente il suo nome (lo ha detto anche papa Giovanni Paolo II all’udienza generale del 18.8.1999), perché satana non è un essere spirituale subdolo che si mimetizza per indurci meglio in tentazione, senza quasi che ce ne accorgiamo, e che noi dobbiamo allontanare con riti o segni scaramantici che lui non tollera. Anzi, già Giacomo affermava che se solo ci si oppone al diavolo, egli fugge (Gc 4, 7), per cui ognuno di noi è responsabile se lascia invece che la mentalità (del diavolo) s’impossessi della nostra cabina di comando.

 

Dario Culot

[1] Come diceva Oscar Wilde, nel suo libro “Il ritratto di Dorian Gray”, l’unico modo per resistere alle tentazioni, è cedervi.

[2] Immaginate perciò come devono essere rimasti spiazzati tutti quei pii credenti che hanno sempre seguito questa linea e che oggi sentono dire da papa Francesco che “il sesso è un dono divino” (cfr. Corriere della sera, 29.1.2019, p.1-17), perché questo papa segue l’idea che Dio è Amore, segue i vangeli, e non la dottrina dei teologi. Ma se dal IV secolo (305 d.C.), col Concilio di Elvira (oggi Granada), è stata imposta al clero la continenza sessuale nella convinzione che la sessualità carnale e profana fosse cosa impura che impediva l’avvicinamento all’altare, se quindi il sesso non si addiceva alla persona consacrata, oggi, caduto questo presupposto, dovrebbe conseguentemente cadere anche il celibato dei preti (a dire il vero  imposto definitivamente nella Chiesa d’Occidente, mai in quella d’Oriente, solo col concilio Lateranense II, oltre otto secoli più tardi, nel 1139). Evidente che col celibato siamo davanti a un ulteriore segno di separazione fra clero e laicato, mentre il Vangelo tendeva all’unione, e non prevedeva affatto il celibato: il primo papa (Pietro, secondo la Chiesa) era sposato.

[3]  Dostoevskij F., I fratelli Karamazov, ed. Einaudi, Torino, 1993, 335ss.

[4] Per fare esempi al di fuori della Chiesa cattolica, si pensi all’estromissione di Tolstoj nella Chiesa ortodossa; all’espulsione di Spinoza da parte del magistero rabbinico per aver sostenuto che la Bibbia non rappresenta alla lettera la parola divina; alla condanna al rogo di Serveto da parte dei protestanti, che sono arrivati a bruciarlo prima che lo facesse la Chiesa cattolica che lo inseguiva per mezza Europa, perché non credeva all’insegnamento ufficiale sulla Trinità sostenendo che Gesù è inferiore a Dio.

E non è che, nel campo della politica, sia andato diversamente: si pensi al fascismo, al nazismo al comunismo di Stalin o del cambogiano Pol Pot. Quando l’uomo cerca di realizzare da sé l’utopia della perfezione dell’uomo nuovo, della pienezza della vita, di solito combina disastri.

[5] Maggi A., Parabole come pietre, ed. Cittadella, Assisi, 2007, 43.

[6] Maggi A., Pietro, un diavolo in paradiso, Padova, 20.8.2013, in https://www.studibiblici.it/conferenze/Simon_Pietro_un_diavolo_in_paradiso.pdf

[7] Nel secondo capitolo dell’Apocalisse, dalla letture delle lettere vi evince che le chiese vivono situazioni di difficoltà:

1. C’è la persecuzione,

2. Sono i giudei che denunciano all’autorità i cristiani perché non vogliono essere confusi con essi, e non vogliono che godano dei loro privilegi (ad es. esonero servizio militare);

3. I cristiani gnostici (nicolaiti) vogliono il compromesso con le autorità locali: visto che i giudei si sono perfettamente integrati, partecipano ai riti civili in cui c’è sempre una dimensione religiosa, anche diversi cristiani pensavano di comportarsi allo stesso modo. Ma i cristiani più ortodossi si oppongono anche ai confratelli gnostici.

[8] Mateos J. e Camacho F., L’alternativa Gesù e la sua proposta per l’uomo,ed. Cittadella, Assisi,1989, 65.

[9] Vannucci G., Pellegrino dell’Assoluto, ed. Cens, Liscate (MI), 1985, 89ss.

[10] Barbaglio G., Dio violento?, Cittadella, Assisi, 1991, 198.

[11] L’ambizione del potere equivale ad omaggiare Satana, che si trasforma nel simbolo stesso del potere (Mateos J. e Camacho F., L’alternativa Gesù e la sua proposta per l’uomo, ed. Cittadella, Assisi,1989, 58).

[12] La tradizione religiosa insegnava che il messia si sarebbe manifestato sul pinnacolo del Tempio. Ovvio allora che se Gesù si fosse buttato da basso e non si fosse schiantato, tutti l’avrebbero visto come il Messia atteso.

[13] Mateos J. e Camacho F., L’alternativa Gesù e la sua proposta per l’uomo, ed. Cittadella, Assisi,1989, 56-58.

[14] Dostoevskij F., I fratelli Karamazov, ed. Einaudi, Torino, 1993, 337ss.

[15] Come il cavallo, che non si affeziona particolarmente al padrone, ma piuttosto a chi gli dà da mangiare.

[16] Da notare il parallelismo con Gesù che porta i tre discepoli riottosi (fra cui il Satana Pietro) sull’alto monte della Trasfigurazione (Mt 17, 1).

[17] Dostoevskij F., I fratelli Karamazov, ed. Einaudi, Torino, 1993, 341. 

[18] “Se non crederete, non comprenderete” (Is7,9). La versione dei Settanta della Bibbia traduceva così le parole del profeta Isaia al re Acaz. Nel testo ebraico, invece, si legge: «Se non crederete, non resterete saldi». C’è qui un gioco di parole con due forme del verbo ’amàn: "crederete" (ta’aminu), e “resterete saldi” (te’amenu) (Enciclica Lumen Fidei § 23 di Papa Francesco). Il profeta, allora, lo invita ad affidarsi soltanto alla vera roccia che non vacilla, al Dio di Israele. Poiché Dio è affidabile, è ragionevole avere fede in Lui, costruire la propria sicurezza solo sulla sua Parola. È questo il Dio che Isaia più avanti chiamerà, per due volte, “il Dio-Amen” (Is 65,16), fondamento incrollabile di fedeltà all’alleanza, tradotto con Dio veritiero nella Bibbia dei LXX. Nell’Apocalisse, il nome Amen viene attribuito come nome proprio a Cristo (Ap 3, 14).

[19] Prv 21, 30-31: Non c’è sapienza, né prudenza, né consiglio di fronte a Yhwh. Il cavallo è pronto alla battaglia, ma a Yhwh appartiene la vittoria.

[20] Crepaldi G., I miracoli di Gesù, i miracoli della fede, Messaggio per la Quaresima, §§ 5ss., allegato a “Vita Nuova”, n. 4464 del 15.2.2013.