Spiritualità indiana

Privo d’anima?

Ho fotografato questa foto a casa di un amico circa 40 anni fa, ma neanche lui sapeva chi fosse il vero autore

Dario Culot

Vorrei proporvi oggi alcuni pensieri provenienti dai popoli nativi delle Americhe, che noi bianchi occidentali abbiamo a lungo snobbato, considerandoli altezzosamente inferiori, primitivi, idolatri. Perciò l’uomo bianco, dall’alto della sua posizione, si sentiva in dovere di portare in quei luoghi la nostra civiltà superiore e anche la nostra religione, ovviamente sapendo perfettamente che era l’unica vera.

Proprio la scoperta dell’America e l’incontro con popolazioni nuove e mai incontrate prima dall’uomo bianco, che aveva fino a quel momento incontrato solo popolazioni nere e gialle, fece dubitare i conquistatori bianchi di una natura umana comune.

Oggi la Gaudium et spes [1] afferma che “tutti gli uomini, dotati di un’anima razionale e creati ad immagine di Dio, hanno la stessa natura e la medesima origine; tutti, redenti da Cristo godono della stessa vocazione e del medesimo destino divino: è necessario perciò riconoscere ognor più la fondamentale uguaglianza fra tutti”.

Ma in passato non era così. La conquista dell’America da parte degli Spagnoli nel XVI secolo si risolse nella distruzione della civiltà conquistata. I conquistadores reputavano gli indigeni degli esseri inferiori, a mezza strada fra l’uomo e l’animale [2], e pertanto privi di anima.

Quando i cristiani spagnoli conquistarono il Nuovo Mondo rimasero inorriditi dai sacrifici umani che le religioni di quei luoghi compivano con frequenza. Per non saper né leggere, né scrivere, gli spagnoli cominciarono subito a imporsi con la violenza per civilizzare e cristianizzare queste “primitive” popolazioni locali, di fatto rendendole schiave [3], ottenendo en passant anche un evidente ritorno economico.

Già agli inizi del Cinquecento, però, cominciarono a levarsi le prime voci di condanna degli abusi commessi dai bianchi contro gli indiani: a Hispaniola (odierna Haiti), ad esempio, il domenicano Antonio de Montesinos denunciò le gravi vessazioni di cui era stato testimone, annunciando «io sono la voce che grida nel deserto di quest’isola, ed io vi dico che voi siete in stato di peccato mortale a causa della vostra crudeltà contro un popolo innocente». Nel 1511, vent’anni scarsi dopo l’arrivo di Cristoforo Colombo, questo rompiscatole di Montesinos, che non esitava a rifiutare i sacramenti agli encomenderos [4] violenti, venne  richiamato in Spagna, ma tanto si diede da fare anche lì che riuscì ad ottenere delle leggi (che comunque vennero disattese) che almeno in teoria imponevano migliori condizioni di lavoro per gli indiani. Tolto di mezzo Montesinos emerse Bartolomeo de Las Casas, che diventò «difensore degli Indiani» [5].

Nel frattempo, anche papa Paolo III, con la sua bolla Sublimis Deus del 1537, era intervenuto affermando: “… Consideriamo gli stessi indiani come veri uomini, non solo capaci di ricevere la fede cristiana, ma come ci hanno informato, prontissimi ad accorrere alla stessa fede.

E volendo a queste cose provvedere con congrui rimedi (determiniamo e dichiariamo) che i suddetti indiani e tutte le altre genti delle quali giungerà notizia in futuro ai cristiani, anche se sono fuori della fede in Cristo, non siano privati della loro libertà e del dominio delle loro cose.

Di tali libertà e dominio, possono usare e possedere e godere, liberamente e lecitamente, e non devono essere ridotti in servitù. E se accade il contrario, sia invalido e nullo” [6].

Presa di posizione chiarissima, ma non sufficiente a risolvere il problema. Certo, se avesse vinto il partito “indios=animali” non si sarebbe dovuto operare nessun tipo di conversione, cosa che interessava in special modo il Vaticano, specialmente in quel momento in cui la riforma protestante stava mettendo a dura prova il cattolicesimo.

Re Carlo V, preso così fra due fuochi dai gruppi che difendevano gli interessi economici degli encomenderos e da quelli che ne denunciavano gli abusi, proibì la schiavitù e nel 1542 promulgò una legge che metteva gli indiani sotto la diretta protezione della Corona di Spagna, esigendo che le autorità reali intervenissero contro gli abusi degli encomenderos e vietando la costituzione di ulteriori encomiendas. Queste leggi, come è facile immaginare, provocarono però una generale sollevazione degli encomenderos, niente affatto soddisfatti delle nuove disposizioni. Juan Ginés de Sepúlveda, richiamandosi ad Aristotele, scrisse il trattato De justis belli causis apud indios, in cui difese la conquista come una necessità e un dovere, perché la Spagna aveva il dovere morale di governare, se necessario con la forza, le popolazioni locali così prive di senso morale, che praticavano sacrifici umani [7]. Las Casas replicò col trattato Treinta proposiciones muy jurídicas, sostenendo che soltanto col buon esempio poteva essere promossa una colonizzazione, la quale doveva restare rispettosa dell’identità e dignità delle popolazioni e della società precolombiana. A quel punto Carlo V riunì un collegio di teologi, giuristi ed ecclesiastici ed ordinò il dibattito di Valladolid sulla legittimità della conquista. Il dibattito di Valladolid del 1550-51 (che oppose essenzialmente la tesi del domenicano Bartolomeo de Las Casas e del teologo Juan Ginés de Sepúlveda [8]) finì con un sostanziale nulla di fatto.

Tenuto però conto del fatto che, fra il 1519 e il 1595, le popolazioni del centro America passarono da 25 milioni circa a 1.375.000 [9], si dimostra che, con la scusa religiosa di eliminare l’orrenda pratica del sacrificio umano propria di una religione falsa, e in nome di un’altra religione ritenuta superiore, non ci si fece scrupolo di continuare a trattare i popoli precolombiani come inferiori da sottomettere e da sfruttare.

Due sono le cose strane che penso di dover sottolineare:

- La prima è che, stando al Vangelo, Dio non vuole sacrifici. Però, per la Chiesa, noi abbiamo il santo sacrificio della messa. Di più: la Chiesa ci ha insegnato che Gesù è la vittima sacrificale, è l’agnello immolato. Eppure abbiamo considerato al pari di ‘animali’ quei popoli che realmente immolavano un uomo come vittima sacrificale. Quindi, in realtà, la nostra religione riconosceva in astratto quello che poi vietava di fare in concreto. Vuol dire che, in realtà, si scherzava parlando di Gesù come l’agnello-uomo immolato e del santo sacrificio della messa che ricorda questa immolazione, visto che è assolutamente immorale e pagano sacrificare un uomo. Se poi s’insegna che quell’immolazione è stata chiesta dallo stesso Dio, come si fa a dire che gl’indiani erano privi di morale mentre questo Dio è amore perfetto?

- La seconda è che, nell’arco di più o meno un secolo, mentre si è riconosciuto il diritto degli spagnoli di liberare la Spagna indebitamente conquistata dagli arabi, non si è riconosciuto lo stesso diritto agli indios conquistati dalla Spagna [10].  Vedi, in effetti, il pensiero indiano sub 18.

Certo, con la mentalità di oggi si può affermare che i conquistadores non si comportarono da veri seguaci di Cristo, ma trovarono facile sponda proprio nella convinzione che la loro religione doveva essere imposta a tutto il mondo, anche con la violenza quando s’imbatteva in oppositori che non l’accettavano [11]. Non c’è allora da stupirsi se ancora oggi in Centro e Sud America si vede il cristianesimo, che alla fine si è imposto, come una religione che ha appoggiato una conquista violenta da parte degli europei: se andate nelle Americhe del sud i nativi non parlano di scoperta dell’America, ma di conquista dell’America. Poi, i bianchi civilizzati hanno civilizzato anche gli indiani del nord America, sostanzialmente annientandoli anche qui.

E oggi come ci si comporta con le popolazioni indigene dell’Amazzonia? Oggi come ieri, dietro le quinte si celano sempre interessi legati all’economia, al denaro, al potere [12].

Ma c’è ancora qualcos’altro da dire: non si può neanche sostenere che la Chiesa cattolica abbia mantenuto chiara e ferma la propria linea in punto uguaglianza e pari dignità fra tutti gli uomini (sostenuta da papa Paolo III), se ancora nel 1878 papa Leone XIII, nella enciclica Quod Apostolici Muneris [13] considerava un vero e proprio attentato all’ordine costituito sostenere “l’aberrante tesi socialista secondo cui tutti gli uomini sono uguali per natura, visto che Dio stesso ha disposto che siano disuguali” [14]. Tesi che sarebbe piaciuto moltissimo agli encomenderos, che invece non vennero supportati da papa Paolo III.

In sintesi, perfino nella Chiesa, ci sono voluti vari secoli per far accettare il principio della pari dignità fra tutte le persone, e ancora oggi questo resta spesso solo un principio astratto, perché la globalizzazione economica imperante non porta di certo automaticamente all’uguaglianza.

Comunque oggi, in tanti si sono ormai accorti che forse avremmo anche noi da imparare qualcosa dalla spiritualità indigena che consideravamo inferiore. Forse l‘indio, anche se analfabeta, può insegnarci molte cose[15]. Oggi pian piano stiamo accettando l’idea che se non si partecipa all’esistenza degli altri, se non si è sempre aperti agli altri, se non si è sensibili agli altri, anche se non commettiamo un peccato già viviamo in una situazione di peccato. Ma quanta strada c’è ancora da fare.

Ecco allora qui di seguito una serie di pensieri indiani su cui soffermarsi a meditare:

1. L’uomo appartiene alla terra, ma la terra non appartiene all’uomo.

2. Non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli.

3. Io non ho mai rivendicato il diritto di poter fare con la terra quello che ritengo giusto. L’unico che ha un tale diritto è colui che l’ha creata.

4. Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, ucciso l’ultimo bisonte, abbattuto l’ultimo albero, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro.

5. I nostri antenati erano saggi. Sapevano che il cuore di ogni essere umano che si allontana dalla natura si inasprisce. Sapevano che la mancanza di profondo rispetto per gli esseri viventi e per tutto ciò che cresce, conduce in fretta alla mancanza di rispetto per gli uomini. Per questa ragione il contatto con la natura, che rende i giovani capaci di sentimenti profondi, era un elemento importante della loro formazione.

6. In tutto il Creato nulla assomiglia al Sacro Spirito come il silenzio.

7. Una cosa che noi già sappiamo, e che forse un giorno l’uomo bianco scoprirà…il nostro Dio è lo stesso Dio. Ora voi bianchi pensate di possederlo, come volete possedere la nostra terra, ma non potete. Egli è il Dio degli uomini, e la sua compassione è uguale per l’uomo rosso e per l’uomo bianco. Questa terra gli è preziosa e offendere la terra significa mancare di rispetto al suo Creatore.

8. Sapete che gli alberi parlano? Eccome se lo fanno! Parlano tra di loro e loro vi parleranno se solo voi li ascoltate. Il problema dei bianchi è che loro non ascoltano! E così non hanno mai ascoltato gli indiani come non ascoltano le altre voci della natura. Ma vi assicuro, gli alberi mi hanno insegnato molto: sul tempo, sugli animali, sul Grande Spirito.

9. Per un occidentale, tagliare un albero è un gesto freddo. Egli calcola soltanto i soldi che ne ricaverà. Non pensa mai se l’albero che taglia può compromettere la vita dei boschi, della terra. L’albero è un essere vivente, ha una sua essenza spirituale, una sua storia e un nome, come noi. Gli alberi chiacchierano fra di loro e se la raccontano. L’albero esiste perché deve servire agli altri, oltre che crescere per sé stesso. Ti sei accorto che le sue foglie servono come cibo per gli insetti e che questi, a loro volta, sono cibo per gli uccelli? Ma non solo… all’interno di questi alberi crescono lombrichi, commestibili per altri animali. Perciò, quando si taglia un albero, dobbiamo pensare agli animali che non avranno cibo, o allo spirito della pianta che priviamo di una parte di esistenza terrena. Ecco perché dobbiamo chiederle permesso, facendole comprendere che il suo sacrificio è necessario per migliorare la nostra esistenza.

10. L’uomo bianco crede di essere stato creato per dominare e sfruttare, ma si sbaglia. Ogni uomo è parte del tutto, e la sua funzione non è quella di dominare o sfruttare, bensì quella di sorvegliare e curare. L’uomo non ha potere, ma ha solo responsabilità.

11. Per voi uomini bianchi il paradiso è in cielo, per noi il paradiso è la terra. Quando ci avete rubato la terra ci avete rubato il paradiso.

12. Se il grande Spirito mi avesse voluto bianco mi avrebbe creato bianco. Invece ha messo nei vostri cuori alcuni desideri, e nei nostri altri, ed essi sono diversi: non è necessario che un’aquila sia un corvo.

13. I bianchi sono semplicemente dei pazzi perché dicono di pensare con la testa: noi pensiamo col cuore.

14. Sei nato senza niente. Morirai senza niente. Quindi non perdi niente. Eppure voi bianchi vi ammazzate con ferocia per cercar di avere, avere e ancora avere; accumulate di tutto in questo breve intervallo fra nascita e morte.

15. Il tuo corpo invecchia senza il tuo permesso. Il tuo spirito solo se glielo permetti.

16. Solo l’amico di un uomo che non ha più nulla è un vero amico.

17. Un vecchio Cherokee era seduto davanti al tramonto con suo nipote.

“Nonno, perché gli uomini combattono?”

Il vecchio rispose con calma: “Ogni uomo, prima o poi, è chiamato a farlo. Per ogni uomo c’è sempre una battaglia che aspetta di essere combattuta, da vincere o da perdere. Perché lo scontro più feroce è quello che avviene fra i due lupi.”

“Quali lupi, nonno?”

“Quelli che ogni uomo porta dentro di sé.”

Il bambino non riusciva a capire. Attese che il nonno rompesse il silenzio che aveva fatto scendere fra di loro, forse proprio per accendere la sua curiosità.

Infine, il vecchio che aveva dentro di sé la saggezza del tempo, riprese con tono calmo: “Ci sono due lupi in ognuno di noi. Uno è cattivo e vive di odio, gelosia, invidia, egoismo, risentimento.”

“E l’altro?”

“L’altro è il lupo buono, che vive in pace, con compassione, amore, generosità, fede.”

Il bambino rimase a pensare un momento, e poi domandò: “Ma quale lupo vince?”

Il vecchio Cherokee si girò verso di lui e guardandolo negli occhi rispose: “Quello che hai nutrito di più.”

18. Quando un esercito dei bianchi combatte gli indiani e vince, questa è considerata una grande vittoria, ma se sono i bianchi ad essere sconfitti, allora si parla di massacro o strage.

19. Prima che arrivassero i nostri fratelli bianchi per fare di noi degli uomini civilizzati, non avevamo alcun tipo di prigione. Per questo motivo non avevamo nemmeno un delinquente. Senza una prigione non può esservi alcun delinquente. Non avevamo porte chiuse a chiave e perciò, presso di noi, non c’erano ladri. Quando qualcuno era così povero da non possedere un cavallo, né una tenda, né una coperta, allora egli riceveva tutto questo in dono. Noi eravamo troppo incivili, per dare grande valore alla proprietà privata. Noi non conoscevamo alcun tipo di denaro e di conseguenza il valore di un essere umano non veniva misurato secondo la sua ricchezza. Noi non avevamo delle leggi scritte depositate, nessun avvocato e nessun politico, perciò non potevamo imbrogliarci l’uno con l’altro. Eravamo messi veramente male, prima che arrivassero i bianchi, ed io non mi so spiegare come potevamo cavarcela senza quelle cose fondamentali che, come ci viene detto, sono così necessarie per una società civilizzata.

20. Un padre Cherokee porta il figlio adolescente nella foresta, gli mette una benda sugli occhi e lo lascia là da solo. Lo avverte che deve rimanere seduto su un tronco tutta la notte, senza togliersi assolutamente la benda finché i raggi del sole non lo avvertiranno che è mattino. Non può e non deve chiedere aiuto a nessuno. Se sopravvive alla notte senza andare a pezzi, sarà finalmente un UOMO. Comunque non dovrà raccontare la sua esperienza a nessuno neanche ai suoi amici, perché ogni giovane deve diventare uomo da solo.

Il ragazzo è ovviamente terrorizzato, sente tanti rumori strani attorno a lui. Alcuni li riconosce, altri no. Ci sono senz’altro bestie feroci che lo circondano. Forse anche uomini pericolosi che possono fare del male.

Il vento soffia forte tutta la notte e scuote il tronco su cui è seduto, ma lui stringe i denti e va avanti coraggiosamente, senza togliere la benda dagli occhi. Sa che questo è l’unico modo per diventare vero uomo!

Finalmente dopo una notte terrificante esce il sole e può togliersi la benda dagli occhi.

Ed è a quel punto che si accorge che suo padre è seduto sul tronco vicino a lui. È stato di guardia tutta la notte proteggendo suo figlio da qualsiasi pericolo.

Il padre era lì anche se suo figlio non lo sapeva.

Anche noi non siamo mai soli. Nella notte più terrificante, nel buio più profondo, nella solitudine più completa, anche quando non ce ne rendiamo conto, il Grande Spirito non ci abbandona mai, e fa la guardia seduto sul tronco vicino a noi.

Ci sarà un’altra occasione per parlare della saggia spiritualità orientale. 

 

Dario Culot

[1] Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo del 7.12.1965 – Gaudium et spes § 29.

[2] Cfr. Livi Bacci M., Conquista. La distruzione degli indios americani, Bologna, il Mulino, 2005.

[3] Si rinvia in proposito allo scritto di Canova P., Guadalupe – dalla parte degli ultimi, ed. Villadiseriane, Villa di Serio (BG), 2008, 9ss., che essendo scritto da un monsignore cattolico non sarà certamente contestato di eccessività anticattoliche.

[4] Gli abitanti di una zona venivano affidati a un colono spagnolo (encomendero) cui spettava il compito di cristianizzarli e proteggerli, ma finivia soprattutto coll’utilizzarli. 

[5] Ancora oggi, egli ha mantenuto questo titolo, e in Messico, nella regione del Chacas, la città di San Cristobal aggiunge il suo nome, e ancora oggi si chiama San Cristobal de las Casas. Ma va anche ricordato che, secondo la tradizione, quando i conquistadores stavano per essere sopraffatti dalle forze soverchianti degli Incas, sarebbero stati sbaragliati dalla Madonna guerriera – una bianca fanciulla, secondo le cronache incaiche -  che li avrebbe messi in fuga (Camilleri R., Le lacrime di Maria, ed. Mondadori, Milano, 2013, 143). Dunque, Dio stava dalla parte dei conquistadores, il che rafforzava in essi l’idea di aver tutte le ragioni per continuare a comportarsi come si comportavano.

[6] In  https://it.cathopedia.org/wiki/Sublimis_Deus.

[7] Sappiamo che l’atto del sacrifico esprime innanzitutto la consapevolezza di essere al contempo vulnerabili e violenti. L’azione sacrificale, tipica delle religioni, è cioè un modo per incanalare la violenza.

Ma la cosa che in proposito mi colpisce di più è che, per il Vangelo, Dio non vuole sacrifici. Però, per la Chiesa, noi abbiamo il santo sacrificio della messa. Di più: la Chiesa ci ha insegnato che Gesù è la vittima sacrificale, è l’agnello immolato. Eppure abbiamo considerato al pari di ‘animali’ quei popoli che realmente immolavano un uomo come vittima sacrificale. Quindi, in realtà, la nostra religione insegnava in astratto quello che poi vietava di fare in concreto. Vuol dire che noi, in realtà, scherzavamo quando parlavamo di Gesù come l’agnello-uomo immolato e del santo sacrificio della messa che ricorda questa immolazione, visto che si considerava immorale e pagano sacrificare un uomo.

[8] Per Sepulveda, in sostanza, la morte di migliaia di persone non contava quanto la salvezza di un'anima sola. Quest’affermazione è uno dei punti di contrasto più forti che il filosofo avrà con Las Casas, il quale invece conferiva un valore superiore alla morte di un uomo piuttosto che alla salvezza della sua anima, andando ad assumere un posizione teologica proto-moderna.

[9] Boff L, Teologia della liberazione e opzione per i poveri, oggi, in Con i poveri della terra, a cura di Vigil J.M., ed. Cittadella, Assisi, 1992, 160.

[10] Castillo J.M., La chiesa e i diritti umani, ed. Gabrielli editori, S.Pietro in Cariano (VR) 2009, 136.

[11] Cfr. l’articolo Verità e violenza del mese scorso, https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-563---28-giugno-2020/verita-e-violenza

[12] «Con la gravità dei tuoi delitti, con la disonestà del tuo commercio hai profanato i tuoi santuari» (Ez 28,18).

[13] Enciclica reperibile in http://www.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_28121878_quod-apostolici-muneris.html.

[14] È curioso notare come nella concezione di Nietzsche, il cristianesimo, visto come fonte nichilistica di corruzione e di infiacchimento dei valori aristocratici della forza e della fierezza, della bellezza e dell’ardimento, permea l’intera modernità. Ed uno dei tratti decisivi di questa azione di décadence inusitata e corrosiva è rappresentato dall’idea di eguaglianza tra gli uomini, che è stata fatta propria anche dalle principali ideologie della modernità, come il liberalismo, il socialismo, la democrazia, viste da Nietzsche, anche quando si danno atteggiamenti anticristiani, come il risultato di un cristianesimo infiacchito e recondito (Centro studi storico-filosofici di Marsciano, 2011-2012, relazione di Guarente S., L’Anticristo di Nietzsche e la “grande politica” contro la décadence nichilistica della modernità, in https://www.morlacchilibri.com/universitypress/allegati/chiatti_estratto.pdf, p. 177).

[15] Huarache Mamani H., Negli occhi dello sciamano, ed. Piemme, Casale Monferrato (AL), 2007, 156s.