Reincarnazione

Ruota della reincarnazione, Baodingshan, Distretto di Dazu, Cina; 

particolare della follia (simboleggiato da una scimmia) e del desiderio (simboleggiato da una donna) 

che sostiene la ruota della reincarnazione – foto tratta da commons.wikimedia.org

 

 

Certamente una buona parte dell’umanità crede alla reincarnazione, la quale significa che lo stesso “io,” dopo essere morto, rinasce in questo stesso mondo, ma in un altro essere. La reincarnazione tenta di spiegare, sulla base di una colpa e di demeriti precedenti, le miserie, le privazioni e le ingiustizie di questo mondo [1]. 

Con questa idea si applica anche una giustizia retributiva che normalmente non si vede applicata nel corso della vita terrena, dove magari chi fa del male se la spassa, e chi fa del bene soffre. ‘Sei stato un dittatore e hai ucciso a sangue freddo milioni di persone? Nella prossima vita striscerai come un verme’.

Però già Kushwant Singh, uno dei più battaglieri e provocatori scrittori indiani del secolo scorso, aveva detto molti anni fa: “Le credenze sulla reincarnazione? Uomini che si reincarnano in scimmie, in scarafaggi? Ma dove sono le prove? Le prove non c’interessano, sono roba da occidentali. Noi siamo l’oriente misterioso. Niente prove, solo fede. Del pensiero facciamo a meno. Noi sappiamo raggiungere le vette più sublimi sulle ali della fantasia… Ecco perché non sono orgoglioso di essere indiano. Come si fa ad essere orgogliosi dell’ignoranza e dei pregiudizi?” (intervista sul Corriere della sera, 29.7.1991 p.5).

Però forse anche qualche cristiano crede che, dopo tutto, la reincarnazione sia vera, anche se secondo la tradizione cristiana (e anche musulmana) ogni persona passa una sola volta in questo mondo, e muore una sola volta (Eb 9, 27).

Perché non dovremmo credere alla reincarnazione? In base a quale spiegazione logica, oltre alla totale assenza di prove già evidenziata da Singh?

Qui si può fare anche un semplice discorso teologico. Come ha ben spiegato il biblista Alberto Maggi [2], la dottrina della reincarnazione appartiene al mondo della religione, ma non ha diritto di cittadinanza nell’ambito della fede in Gesù. Perché? Perché nella religione, si sa, l’amore di Dio deve essere meritato. Allora, se io in questa vita non sono riuscito a meritare l’amore di Dio perché mi sono comportato male, quando muoio mi reincarno, e quindi rivivo una seconda volta, senza però poter trarre utilità dall’esperienza della prima volta, per cui potrò fallire di nuovo; tant’è che se alla fine di questa seconda esistenza non ho ancora meritato di entrare nell’amore di Dio, mi reincarno di nuovo, e così diverse volte, anzi entro in un ciclo che può non finire mai.

Questa è chiaramente una dottrina che appartiene alla religione, perché è stata la religione a dividere gli uomini fra meritevoli e non meritevoli dell’amore di Dio, fra puri e impuri, fra santi e peccatori. Se accettiamo però l’idea (più attuale del cristianesimo [3]) secondo cui Gesù ci ha liberati dalla religione fondata sul merito, dall’idea che l’uomo deve meritare l’amore di Dio per andare in paradiso, non c’è più spazio per il merito. Gesù infatti ci ha fatto capire che l’amore di Dio non va più meritato ma semplicemente accolto, sì che la vita eterna non è più un frutto dei meriti dell’uomo, ma un dono gratuito da parte di Dio. Ecco perché il concetto di reincarnazione non è solo incompatibile, ma perfino inutile con il messaggio di Gesù: non si possono assolutamente mettere le due cose insieme, si inquinano l’uno e l’altra; quindi l’idea della reincarnazione non ha diritto di cittadinanza nella spiritualità cristiana, perché attiene al merito: “non hai meritato la promozione, sei bocciato e devi ripetere la vita!” Ma visto che ancora in tanti pensano che la giustizia divina non possa essere disancorata dal merito [4], ecco che si può credere anche alla reincarnazione, perché è difficile credere che chi ha fatto del male su questa terra non la paghi, magari dopo morto. Sempre in base a quest’idea il cattolicesimo si è inventato ‘idea del purgatorio.

Eppure già le Scritture avevano ammonito che i pensieri di Dio non sono i pensieri umani, le vie di Dio non sono le vie umane (Is 55, 8; Mt 20, 1-16). Quello che per noi non è giusto, perché il metro per valutare è dato dal merito, sembrerebbe che per Dio sia giusto, perché per Dio il metro è l'amore gratuito.

Inoltre, la teoria della reincarnazione si scontra con l’unicità e l’importanza che ogni singola persona ha agli occhi di Dio. Se oggi sono un uomo, domani una zanzara e dopodomani un serpente, vuol dire che la mia dignità di uomo non è stata presa in particolare considerazione (con tutto il rispetto per la zanzara). 

Inoltre, se tutti dovessimo diventare di un bel color celeste per poter entrare nel Regno dei cieli, saremmo tutti perfettamente livellati, l’unicità dell’individuo perderebbe ogni significato, e per di più si perderebbe la differenza che è una delle più belle caratteristiche delle persone. Dio ama le differenze: la prova sta nel fatto che su miliardi di persone che esistono, non esiste una sola persona esattamente uguale a un’altra.

Da ultimo si può ricordare qui anche la teoria giansenista, dichiarata eretica nel 1600. Secondo questa teoria, il dono gratuito della grazia di Dio, concesso da questi – nella sua volontà imperscrutabile – ai soli predestinati, rappresenta per l’uomo l’unica possibilità di salvarsi, indipendentemente e prima di ogni previsione dei meriti. 

Anche in tal caso resta perciò evidente che – se c’è predestinazione, - non ha senso parlare di merito, per cui anche seguendo questa teoria non c’è ragione perché sussista la reincarnazione.

Della predestinazione però parleremo un’altra volta.

 

Dario Culot

 

 

[1] Mancuso V., “Predestinazione e reincarnazione: quanto c’è di vero?”, in Ma c’è l’Aldilà?, ed. Cittadella, Assisi, 2012, 173.

[2] Maggi A., I vivi non muoiono, i morti non resuscitano, relazione tenuta ad Assisi 2001, 14, in https://www.studibiblici.it/conferenze/I_VIVI_NON_MUOIONO_Maggi.pdf

[3] Ancora il Catechismo di S. Pio X (art. 964) poneva fra i grandi peccati contro lo Spirito Santo la “presunzione di salvarsi senza merito”. E anche oggi il domenicano Cavalcoli G. (L’inferno esiste, ed. Fede&Cultura, Verona, 2010, 12 s.) è di quest’idea.

[4] Come osservato, il Catechismo di S. Pio X (art. 964) poneva fra i grandi peccati la “presunzione di salvarsi senza merito”.