La terza fase di Chiesa e il grido della rondine

Rondine - foto tratta da commons.wikimedia.org

L’impatto con il reale, con la dura superficie della concretezza storica ispessita e compatta, ha sempre segnato, e quasi sempre in modo drammatico, la storia della Chiesa.

In un accattivante articolo, intitolato La ragazza sfuggita al Papa cattivo, Patrizia Violi, a pag. 39 di La Lettura de Il Corriere della Sera di oggi, presenta il romanzo in uscita di Santi Laganà, avvocato e bancario in pensione (https://www.librimondadori.it/autore/santi-lagana/), che ha a sua volta il titolo I giorni del ferro e del sangue ed è ambientato sotto il pontificato di Giovanni XII, la cui nonna, Marozia, fu l’effettiva responsabile dell’elezione di una serie impressionante di Papi (https://it.wikipedia.org/wiki/Marozia). Scrive Violi: «Tutti fanno il doppiogioco e forse solo nell’universo isolato dei conventi benedettini si trova ancora un briciolo di pace e lealtà. In questa realtà denominata dalle armi e dalla forza bruta le femmine sono considerate «una manifestazione del diavolo. Messe al mondo solo per far danni agli uomini e portare guai». La protagonista femminile scelta dall’autore è dunque una ragazza che parte svantaggiata, ingenua e sparita, che poi sopravvive e si adatta ai tempi attraverso vicissitudini inattese e brutali. Evitando facili cliché, si trasforma in una combattente. Diventa un personaggio duro e coraggioso.»

Invece del segno di una ragazza che si sottrae alle turpitudini maschili e maschiliste della storia, scegliamo un simbolo diverso per indicare una realtà che, se non affrontata nella sua effettività, può solo generare fughe alienanti.  Il garrito di una rondine, a pochi metri di distanza da un suo umano e improvvisato destinatario, è capace persino di stordire per la sua intensità. Quel zinzilulare così acuto quasi spaventa, addirittura può atterrire per un effetto sorpresa che non era stato messo in conto da parte di chi, ad esempio, ammiri il panorama cittadino dall’ultimo piano di un palazzo centenario.

Ed anche la Chiesa, nel momento esatto in cui decide di spalancare le proprie finestre per guardare – benché ancora dall’alto – la realtà, si trova davanti una rondine urlante. Uno stridio che non è minaccioso ma che semplicemente dice la verità, con un “linguaggio”, tuttavia, alle prime non immediatamente comprensibile e decodificabile, perché del tutto diverso dagli alfabeti noti.

Continuano a stazionare, a parere di chi qui scrive, in ambito ecclesiale, quattro urgenze inevase e pressanti: l’approfondimento delle cause degli abusi sessuali – non la loro mera constatazione e repressione -; la questione delle donne ad un livello istituzionale e ministeriale di coinvolgimento; la questione del riconoscimento delle soggettività, per le quali lo strumentario del diritto naturale si rivela inadeguato se non logoro; la questione del diritto canonico propriamente inteso, che non può essere negletto nelle sue esigenze di coerenza anche formale delle determinazioni dell’autorità della Chiesa, che sia pastorale, magisteriale, governativa.

Intorno a queste quattro questioni, dal 2013 in poi, si sono come appalesate tre fasi: una di grande entusiasmo, inaugurata dall’avvento alla Sede Episcopale di Roma di un Vescovo che s’è fatto chiamare Francesco e culminata, a mio avviso, nella promulgazione dell’Enciclica Laudato si’; una di ascolto e partecipazione sinodale e comunionale, tradottasi – in particolare - nell’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia, ed una terza originata dalla pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Querida Amazonía, trovatasi di necessità ad attraversare lo stato d’eccezione di una Chiesa “viralizzata” e tutt’ora in corso.

Questa attuale terza fase di Chiesa ha posto in risalto l’appello di una realtà – quella della pandemia con i suoi sconquassi liturgici ed organizzativi, ma anche quella di una legge contro l’omofobia che nutre davvero il movente di atti criminali – che non può essere affrontata con risposte puramente simboliche o con gesti che da essa si ritraggano rimanendo, per così dire, sospesi a mezz’aria.

Sull’analisi di questo passaggio di Chiesa si segnalano in particolare due contributi di grande spessore: l’articolo di Massimo Faggioli dal titolo A che punto è Francesco (https://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:5205), del 29 aprile scorso, ed il successivo articolo, a firma di Alberto Melloni, del 18 maggio, intitolato Bergoglio tra seguaci e inquisitori (https://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:5230). Pochi giorni dopo, sempre a firma di Alberto Melloni, su “Repubblica” del 28 maggio 2020, compariva un diverso articolo, intitolato Dietro il “mistero” di Bose (https://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2020/05/dietro-il-mistero-di-bose-a.-melloni.pdf), che, commentando i fatti relativi alla Comunità Monastica di Bose ed al suo fondatore Enzo Bianchi, attestava di una complessità ecclesiale la cui realtà, per appunto, non può essere sbriciolata triturando solo raccomandazioni ed esortazioni ma richiede immersione, certo assai compromettente e inzaccherante, nelle contraddizioni e nelle sfaccettature di ogni verità umana.

Le quattro urgenze che ci si è permessi di elencare sopra non sembra possano più aspettare.

In data 10 giugno 2020 è stato pubblicato un comunicato della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), che, con riguardo al disegno di legge sulla punibilità dei reati originati da movente omofobico, afferma testualmente, tra le altre considerazioni: «(…) un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre Nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte. Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso.» (https://www.chiesacattolica.it/omofobia-non-serve-una-nuova-legge/).

Viene da chiedersi quando mai, a fronte della disciplina legislativa introdotto dalla legge 194 del 1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza, l’affermazione, corrispondente agli insegnamenti etici di molte fedi religiose, che tale interruzione costituisce atto di omicidio sia stata punita quale “reato d’opinione” in contrasto con una norma di legge.

Il Comunicato della Presidenza della CEI sembra allontanarsi dalla considerazione di una duplice realtà: il dato normativo dell’art. 21 della Costituzione della Repubblica Italiana, a tenore del quale «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.», ed il dato fattuale per cui atti di violenza, sovente di atroce crudeltà, sono originati proprio in ragione dell’orientamento sessuale delle loro vittime quasi a punizione di una soggettività moralmente inammissibile. Sembra compaia così la doglianza per cui una frattura tra legge e morale debba ricomporsi nel segno di quest’ultima a prescindere dal consenso di un organo sovrano a legiferare come un Parlamento democraticamente eletto.

Le rondine urla.

La questione del diaconato femminile – non del presbiterato, rispetto al quale si è espresso, con parole peraltro non dogmatiche, Ordinatio Sacerdotalis del 22 maggio 19994 (il Card. Ladaria afferma del pronunciamento di Giovanni Paolo II: «(…) egli non ha dichiarato un nuovo dogma ma, con l’autorità che gli è stata conferita come Successore di Pietro, ha confermato formalmente e ha reso esplicito, al fine di togliere ogni dubbio, ciò che il Magistero ordinario e universale ha considerato lungo tutta la storia della Chiesa come appartenente al deposito della fede.», in http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/ladaria-ferrer/documents/rc_con_cfaith_doc_20180529_caratteredefinitivo-ordinatiosacerdotalis_it.html) – è sottoposta ora di nuovo allo studio di una seconda dimensione, anche in tal caso dovendosi verosimilmente tenere conto di un ministero diaconale femminile già presente e ben attivo di fatto.

La tragedia, apparentemente senza fine, degli abusi sessuali impone un’indagine sulle cause che non emigri anch’essa dal confronto con la realtà, la quale realtà coinvolge ad esempio i criteri di selezione e di formazione del clero e l’abitudine ad una concezione del sacro, come potere autorizzativo e ab-solutus, cioè indipendente rispetto a leggi penali ed obbligazioni civili, che attende una analisi prima di tutto laica ed oggettiva, psicologica, filosofica, giuridica e parallelamente teologica, volta a chiarire quale sia l’immagine di Dio che l’abusante veicola e con cui si rapporta.

Insomma la terza fase dell’attuale storia della Chiesa Cattolica è una fase aperta in molte direzioni e con mete tutt’altro che scontate e pacifiche.

Il fatto che l’Arcivescovo Carlo Maria Viganò, Nunzio Apostolico emerito negli Stati Uniti d’America, invii una lettera al Presidente Donald Trump (https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2020/06/11/news/una-lettera-e-un-tweet-ecco-l-asse-trump-vigano-il-vescovo-che-chiese-le-dimissioni-del-papa-1.38956073) ricevendone il plauso, mentre infuria una situazione di enorme tensione sociale originata dai comportamenti di alcuni membri delle forze di polizia, non pare una quisquilia irrilevante, ma un altro segnale che richiede attenzione.

Il Vangelo di Giovanni, al capitolo 6, versetto 57, nel passo che si è letto oggi secondo il rito romano, usa un’espressione da brivido: “Chi mangia me, vivrà per me”. Il realismo di simile affermazione è addirittura sconcertante. S’approssima solo al linguaggio proprio dello follia amorosa che esclama davanti al tu soggetto/oggetto d’amore: ti mangerei.

Chi ama ascolta il grido delle rondini.

Perché la poesia è il solo realismo consentito, salvifico ed efficace.

Mi insegnarono che la poesia degli antichi Romani coincideva con la loro elaborazione giuridica.

La terza fase di Chiesa attende il realismo dell’utopia e la poesia dei fatti concreti non più ignorabili.

Per chi crede, più che studiare e parlare, si tratta di “mangiare”, di stare assieme a cena, dove l’amore può fiorire e riannodare i fili di ogni speranza, senza annacquarne i conflitti.

Buona domenica.

 

Stefano Sodaro