Se il diritto di Bose è un decreto

Dal Monastero di Bose, foto del direttore

È necessaria una premessa prima di alcune considerazioni che, chiedendo venia a chi legge, saranno più lunghe del solito, un solito magari già di suo non così sintetico o – chissà, è una critica che riceviamo – troppo dialetticamente contorto. La difesa, un po’ d’ufficio, potrebbe essere che la complessità del reale impone complessità d’approccio, ma ora lasciamo andare.

Quanto è accaduto ed accade in questi giorni a Bose tocca la carne viva della Chiesa italiana. Quell’esperienza monastica e quella testimonianza personale e pubblica del suo fondatore, a prescindere da ogni rilievo giuridico/canonico – sul cui piano pure subito transiteremo -, restano come fari, luci puntate nella notte di una elaborazione del Concilio nel nostro Paese tutt’altro che coraggiosamente creativa e tutt’altro che brillante per profezia e parresía ecclesiali.

La nostra stessa storia è stata segnata per sempre dal passaggio a Bose, dalla conoscenza di chi lì vive, dalla frequentazione di quel luogo, anche solo dal verde dei suoi paesaggi, dal canto delle sue liturgie, dal silenzio della sua pace.

Il nostro giornale usciva, domenica 12 gennaio 2020, con un articolo, cui ci permettiamo di rinviare, intitolato Bose, Abissinia, Casa Alta: visita apostolica alle nostre vite (https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20201/numero-539---12-gennaio-2020/rodafa), che aveva sconcertato qualcuno quanto alla sua opportunità e aveva lasciato indifferenti molti.

In realtà la notizia, appena accennata allora da alcuni organi di stampa, sull’effettuazione di una visita apostolica ad un’associazione privata di fedeli, quale si configura a tutt’oggi – salva miglior evidenza a noi tuttavia non nota – la Comunità monastica di Bose, ci sembrava un fatto eclatante e bisognoso di qualche riflessione.

Nel pezzo di gennaio venivano anche riportati sintetici cenni di ritratto dei tre Visitatori, ma – appunto - quell’uscita non ebbe seguiti particolari. E benché si spiegasse anche, con una qualche attenzione di dettaglio, che tale Visita, in quanto “Apostolica”, non era equivalente all’altra, del 2014, non disposta dalla Santa Sede, sebbene vi fosse coincidenza di un Visitatore, anzi di una Visitatrice, nella persona della badessa trappista di Blauvac (https://abbaye-blauvac.com/), sr. Anne-Emmanuele Devêch, l’acquietamento soporifero, in epoca pre-covid, delle “cose di Chiesa” quotidianamente note non sembrava poter assegnare particolare rilevanza a quelle scarne notizie e a quel rodafiano rilancio.

Ora, però, sussiegosi silenzi non sono più credibili ed anche i silenzi che, all’opposto, intendono farsi premurosamente carico, com’è giusto che sia, della riservatezza interna della Comunità scontano il fatto, inemendabile nella sua tangibilità, dell’emissione di un comunicato la sera del 26 maggio ultimo scorso (https://www.monasterodibose.it/comunita/notizie/vita-comunitaria/13892-speranza-nella-prova), che informa dell’esito di quella Visita Apostolica, senza peraltro riportare né relazioni conclusive né i testi integrali dei provvedimenti, pur resi pubblici quanto alla loro adozione.

All’esistenza di una relazione e dei correlati provvedimenti canonici si riferisce proprio tale Comunicato con le seguenti testuali parole: «La Visita Apostolica si è svolta dal 6 dicembre 2019 al 6 gennaio 2020 e, al termine di essa, i Visitatori hanno consegnato alla Santa Sede la loro relazione, elaborata sulla base del contributo delle testimonianze liberamente rese da ciascun membro della Comunità. Dopo prolungato e attento discernimento e preghiera, la Santa Sede è giunta a delle conclusioni — sotto forma di un decreto singolare del 13 maggio 2020, a firma del Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità e approvato in forma specifica dal Papa — che sono state comunicate agli interessati alcuni giorni fa dal Rev.do P. Amedeo Cencini, nominato Delegato Pontificio ad nutum Sanctae Sedis, con pieni poteri, accompagnato da S.E. Mons. José Rodriguez Carballo, OFM, Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, e da SE Mons. Marco Arnolfo, Arcivescovo Metropolita di Vercelli.»

Iniziamo con il riconoscere, per quanto fastidioso possa risultare, che si tratta di eventi che afferiscono all’applicazione del diritto canonico. Quel diritto così criticato, persino vituperato se non odiato, si rivela però poi, alla fine, lo strumento effettivo per la disciplina delle relazione intraecclesiali. Lo strumento, riconosciamolo, che “fa la differenza”.

Se Bose non fosse stata eretta in associazione privata dei fedeli da parte della competente autorità ecclesiastica a norma del codice di diritto canonico, ma fosse, ad esempio, consistita in una associazione privata a norma soltanto del codice civile italiano, non si sarebbe potuta effettuare alcuna visita, neppure “apostolica”, nei suoi confronti. Viene sommessamente da chiedersi se, nel momento in cui si fondano realtà ecclesiali che abbisognano di una configurazione giuridica, siano ben chiare le rispettive competenze, canoniche e civili, con le relative possibili conseguenze ispettive e di eterodirezione.

Ma sono poi necessarie, a parer nostro, alcune osservazioni specifiche.

Prima osservazione.

I tre incaricati di comunicare le conclusioni cui è pervenuta la Santa Sede non sono i tre Visitatori, bensì un vescovo della Curia Romana, un arcivescovo metropolita, ordinario territoriale, e un neonominato “Delegato Pontificio ad nutum Sanctae Sedis, con pieni poteri”, che corrisponde alla persona di p. Amedeo Cencini, egli invece sì già Visitatore Apostolico.

Seconda osservazione.

Diversamente dalle considerazioni di alcuni commentatori, a tenore del Comunicato, non risultano affatto né un commissariamento della Comunità né un venir meno, che abbisogni dunque di nuova elezione o comunque designazione, del suo Priore, Luciano Manicardi, eletto dalla medesima Comunità il 26 gennaio 2017 (https://www.monasterodibose.it/comunita/notizie/vita-comunitaria/11190-il-priore-luciano-manicardi).

Il Sir riportava alle 21:29 del 26 gennaio 2017 (https://www.agensir.it/quotidiano/2017/1/26/monastero-di-bose-fr-luciano-manicardi-e-il-nuovo-priore/), l’annuncio, da parte di Enzo Bianchi, dell’avvenuta elezione di Manicardi: «“Oggi – riferisce Bianchi - nella festa dei santi abati di Cîteaux, i fratelli e le sorelle professi della comunità, riuniti per il consiglio generale annuale, hanno proceduto – alla presenza del garante esterno p. Michel Van Parys osb, già abate di Chevetogne – all’elezione del nuovo priore secondo quanto previsto dallo Statuto approvato dal vescovo di Biella Gabriele Mana. Ho la grande gioia di annunciarvi che è stato eletto fr. Luciano Manicardi. La comunità, in grande pace, ringrazia il Signore per la sua fedeltà e chiede a tutti voi di partecipare alla nostra gioia e alla nostra preghiera”.»

Questa elezione, trattandosi di una associazione privata di fedeli, riguarda persone nella Chiesa che non hanno né lo status di ministri sacri né di religiosi, ma – purtroppo il lessico canonico è quello che è e non può recepire istanze ecclesiologiche diverse finché non venga mutato – persone che sono “laici” e “laiche”. Molti oggi riterrebbero preferibile parlare semplicemente di “battezzati”, ma, appunto il diritto ha altri linguaggi di cui bisogna tener conto.

Terza osservazione.

Il Papa, l’11 novembre 2018, inviava una propria lettera “Al fondatore del Monastero di Bose in occasione del 50.mo anniversario della Comunità di Bose” (http://www.vatican.va/content/francesco/it/letters/2018/documents/papa-francesco_20181111_lettera-enzobianchi-bose.html), in cui si leggono, tra le altre, parole rivolte, come si può constatare dal frontespizio

“Al Caro

Fr. Enzo Bianchi

Fondatore del Monastero di Bose”:

«Questa data anniversaria sia un momento di grazia per ognuno di voi, un tempo per meditare più intensamente sulla vostra chiamata e sulla vostra missione, affidandovi allo Spirito Santo per avere saldezza e coraggio nel proseguire con fiducia il cammino. Vi accompagno con la preghiera perché possiate perseverare nell’intuizione iniziale: la sobrietà della vostra vita sia testimonianza luminosa della radicalità evangelica; la vita fraterna nella carità sia un segno che siete una casa di comunione dove tutti possono essere accolti come Cristo in persona.»

Circa un anno e mezzo più tardi, a fronte di queste parole papali, il già citato Comunicato del Monastero di Bose, riferendosi alle comunicazione delle conclusioni della Visita Apostolica, puntualizza: «Tale comunicazione è avvenuta nel massimo rispetto possibile del diritto alla riservatezza degli interessati. Poiché, tuttavia, a partire dalla notifica del decreto, l’annunciato rifiuto dei provvedimenti da parte di alcuni destinatari ha determinato una situazione di confusione e disagio ulteriori, si ritiene necessario precisare che i provvedimenti di cui sopra riguardano Fr. Enzo Bianchi, Fr. Goffredo Boselli, Fr. Lino Breda e Sr. Antonella Casiraghi, i quali dovranno separarsi dalla Comunità Monastica di Bose e trasferirsi in altro luogo, decadendo da tutti gli incarichi attualmente detenuti.»

In un anno e mezzo, evidentemente, il giudizio a Roma è mutato. Molto mutato.

Quarta osservazione.

Il decreto singolare, quantunque non soggetto a ricorso poiché approvato dal Papa in forma specifica, non si configura come una sanzione, a norma del can. 48 del codice di diritto canonico, e non è aspetto di poco conto.

Merita forse riportare alcune altre previsioni canoniche.

E subito occorre precisare, sempre dovendoci attenere al testo del Comunicato, che questo decreto pare configurarsi propriamente come un “precetto singolare”, di cui al can. 49: Il precetto singolare è un decreto mediante il quale s’impone direttamente e legittimamente a una persona o a persone determinate qualcosa da fare o da omettere, specialmente per urgere l’osservanza di una legge.

Occorre ora proseguire, a mio avviso, nella lettura delle altre norme canoniche.

Canone 50:

Prima di dare un decreto singolare, l’autorità ricerchi le notizie e le prove necessarie, e, per quanto è possibile, ascolti coloro i cui diritti possono essere lesi.

Canone 51:

Il decreto si dia per scritto esponendo, almeno sommariamente, le motivazioni, se si tratta di una decisione.

Tale previsione è, in particolare, molto importante: le motivazioni vanno date se si tratta di una decisione. Riporta il Sir (https://www.agensir.it/quotidiano/2020/5/28/monastero-di-bose-fr-enzo-bianchi-invano-abbiamo-chiesto-di-conoscere-le-prove-delle-nostre-mancanze-e-poterci-difendere-da-false-accuse/): «Invano – scrive Bianchi -, a chi ci ha consegnato il decreto abbiamo chiesto che ci fosse permesso di conoscere le prove delle nostre mancanze e di poterci difendere da false accuse.»

C’è una discrasia tra quanto previsto dalle norme canoniche e quanto affermato da Enzo Bianchi che, pro bono Ecclesiae, andrebbe chiarita. Va rilevato, tuttavia, per obiettività d’analisi, che deve presumersi un pieno rispetto della procedura in capo all’Autorità emittente del provvedimento, a maggior ragione se sia intervenuta l’approvazione in forma specifica addirittura del Pontefice, ciò determinando una presunzione assoluta – cioè invincibile - di legittimità dell’atto.

E, tuttavia, buona fede deve necessariamente, cioè oggettivamente, presumersi anche presso la persona che ha ricevuto il decreto, dal momento che, come indicato, non si tratta di irrogazione di una sanzione, che richiederebbe altra procedura.

Il piano dunque, più che giuridico, diventa pastorale nel caso specifico. E la complessità aumenta. Le cesure semplicistiche da una parte o dall’altra, che quasi si incaricano di giudicare diverse opzioni spirituali del tutto lecite – salve altre evidenze – condannandone alcune e promuovendo altre, non trovano allo stato alcun fondamento.

Ma proseguiamo ancora nella lettura delle norme del Codex.

Canone 52:

Il decreto singolare ha forza obbligante soltanto circa le cose sulle quali dispone e per le persone cui è dato; queste però le obbliga dovunque, se non consta altro.

Canone 54:

§1. Il decreto singolare, la cui applicazione viene affidata all’esecutore, ha effetto dal momento dell’esecuzione; in caso contrario dal momento in cui viene intimato alla persona per autorità di colui che emette il decreto.

§2. Il decreto singolare, per poterne urgere l’osservanza, deve essere intimato con un legittimo documento a norma del diritto.

Canone 58:

§1. Il decreto singolare cessa di avere vigore con la revoca legittima da parte dell’autorità competente e altresì cessando la legge per la cui esecuzione fu dato.

§2. Il precetto singolare, non imposto con legittimo documento, cessa venuto meno il diritto di colui che lo ha dato.

Nel caso di specie non trova applicazione tale § 2 del can. 58, mentre potrebbe accadere che l’Autorità proceda ad una revoca del decreto emesso. Ma quale autorità?

Sempre stando al Comunicato, viene reso noto che l’adozione del decreto singolare è avvenuta da parte del Segretario di Stato, Card. Pietro Parolin.

Tale competenza, che ad una prima lettura potrebbe sembrare irrituale, in realtà si riferisce, con ogni verosimiglianza, alle previsioni dell’art. 41 della Costituzione Apostolica “Pastor Bonus” che disciplina la Curia Romana – e che, come si sa, è in attesa di riforma -.

L’art. 41 si occupa della “Prima Sezione” della Segretaria di Stato ed al § 1 dispone: Alla prima sezione spetta (…) di esaminare quegli affari che occorra trattare al di fuori della competenza ordinaria dei dicasteri della Curia romana e degli altri organismi della Sede apostolica. Ed il successivo art. 42 prevede:

Ad essa inoltre spetta di:

1·: redigere e spedire le costituzioni apostoliche, le lettere decretali, le lettere apostoliche, le epistole e gli altri documenti che il sommo Pontefice le affida; (…).

La sottolineatura è nostra, mia. Ovviamente non sappiamo se sia provenuto direttamente dal Papa l’incarico di redazione di un documento a conclusione della Visita Apostolica a Bose, ma non abbiamo neppure elementi per escluderlo.

Abbandoniamo il piano giuridico.

E proviamo – proviamo con sincerità – a presumere, come già ci si è permessi di annotare, buona fede in tutti gli attori coinvolti, vale a dire in Enzo Bianchi, Lino Breda, Antonella Casiraghi, Goffredo Boselli, nella Comunità monastica e nella Santa Sede. Nessun lettore e nessuna lettrice, per piacere, vada in agitazione o si inquieti.

Bose è una realtà ecclesiale che può vivere senza il suo vivente fondatore?

Ed Enzo Bianchi è personalità ecclesiale che può vivere senza il Monastero di Bose?

Le domande sono impegnative. Ma una risposta la Chiesa l’ha data: non alla seconda domanda – che resta inevasa e che, essa sì, afferisce ad una sfera personale inviolabile e da tutelare -, ma alla prima, affermando solennemente che Bose può vivere senza Enzo Bianchi. La conclusione è densa di implicazioni. E si configura - a livello istituzionale - come una risposta della Chiesa, non della Comunità monastica. Il compito di indagare profili diversi da quelli formali non è, per limite o per sollievo del canonista, suo compito.

Tuttavia il diritto è soltanto piano secondo, ma anche terzo e quarto (qui sta la sua umiltà, riconosceva il grande p. Žužek), rispetto al primo, ecclesiologico.

Ed oggi il Papa è sembrato, nella sua omelia di Pentecoste, riferirsi con chiarezza, sebbene in via indiretta, anche all’attualità di cui ci stiamo occupando (https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2020/05/31/0311/00701.html): «Il mondo ci vede di destra e di sinistra, con questa ideologia, con quell’altra; lo Spirito ci vede del Padre e di Gesù. II mondo vede conservatori e progressisti; lo Spirito vede figli di Dio. Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia. Lo Spirito ci ama e conosce il posto di ognuno nel tutto: per Lui non siamo coriandoli portati dal vento, ma tessere insostituibili del suo mosaico.»

“Repubblica” riporta che quest’oggi, domenica di Pentecoste, Enzo Bianchi non ha partecipato alla celebrazione eucaristica nella chiesa monastica di Bose, ciò che appare gesto in ricezione obbediente di quel decreto (https://torino.repubblica.it/cronaca/2020/05/31/news/al_monastero_di_bose_la_prima_domenica_a_messa_senza_il_fondatore-258103348/). E poco prima dell’uscita di questo numero del nostro giornale – in questa sera avanzata del 31 maggio 2020 – compare un suo tweet (https://twitter.com/enzobianchi7/status/1267180887306907654): «Certi tratti della nostra vita vissuta appaiono meteore: non comprendiamo perché le tenebre le hanno sopraffatte e noi non riusciamo a capire perché erano così luminose. Infatti ci avevano fatto ardere il cuore essendo ubbidienti all’amore, alla verità, alla speranza.»

Fermiamoci qui.

Oltre ogni piano di investigazione stanno le nostre esistenze, forse molto più periferiche di quanto un certo scadimento retorico al riguardo ci possa far credere.

Sono periferiche le nostre emozioni, le nostre sofferenze, le nostre gioie, le nostre speranze. Ma è periferico pure il nostro amore? Purtroppo, nonostante ogni sforzo per evitare che il controvalore dell’amore sia dato dalla sofferenza, alla fine poi è sempre così.

Un decreto singolare, conclusivo di una sequenza procedimentale, di stretto diritto, se anche adottato per superare “gravi disagi e incomprensioni”, come riporta il Comunicato, non può ritenersi conclusivo di un passaggio storico di Chiesa né risolutivo di interrogativi ben più ampi e profondi. Il diritto non esaurisce la Chiesa. Ed il suo coinvolgimento dovrebbe essere sempre relativo e limitato a fatti precisi, concreti. Non si processano per diritto canonico le spiritualità e non si lasciano nell’ombra, silenziando il diritto canonico, fatti certi e responsabilità accertate, a prescindere da qualunque spiritualità.

Domanda finale: potremmo ricominciare – sì proprio come sanno fare i bambini, che mica sono stupidi – dal dolore reciproco e dall’amore reciproco? Sì, potremmo. Ma vogliamo farlo? Questa è un’altra questione.

Scende il silenzio. La Conferenza Episcopale Italiana – a quanto risulta – non ha parlato. Neppure una parola una. Forse perché ha parlato, anche per essa, il Vescovo di Roma. O forse perché lo sbigottimento smorza ogni dire.

Resta il battesimo, resta la coscienza credente, resta la Parola di Dio.

Restiamo noi. “Nonostante qualunque cosa in contrario”, Gesù di Nazaret asciuga volti imperlati di pianto. Quasi sempre fuori da tutte le chiese, da tutti i templi.

Buona domenica sera, ascoltando la sera. Possiamo ancora augurarcelo, perché – diceva Turoldo – sperare e più difficile che credere.

Amare poi è la sola cosa che resta.

E non si ama per decreto.

 

Stefano Sodaro