Il discernimento di Alice Weiss, madre di don Lorenzo Milani

Donna e prete, disegno di Rodafà Sosteno

Forse sorprende che Alexandre Dumas inizi Il Conte di Montecristo nominando Trieste. Sono proprio le prime righe del romanzo: «Il 24 febbraio 1815 la vedetta di Notre-Dame de la Garde segnalò in avvicinamento il Pharaon, un tre alberi proveniente da Smirne, Trieste, Napoli.»

Ed a Trieste, il 6 settembre 1895, nacque Alice Weiss, da Giustina Emilia Iacchia – che morì suicida – e da Emilio Weiss. I nonni paterni di Alice Weiss erano Barbara Seger e Carlo Weiss.

L’Istituto “Livio Saranz” per la Storia del Lavoro nel Friuli Venezia Giulia, che ha sede a Trieste, dispone di un fondo documentario “Weiss” di straordinaria importanza, costituito da ben 26 faldoni: rinviamo al link http://www.istitutosaranz.it/?page_id=474

Alice Weiss era la mamma di don Lorenzo Milani.

Questa, che pare un’annotazione biografica non bisognosa di particolari approfondimenti, è invece una delle chiavi, a parere del sottoscritto, della stessa identità di don Milani.

Perché va aggiunto che Alice Weiss era – come il marito, padre di don Milani, Albano Milani, fiorentino – ebrea e si professava non credente. Vi coglie una contraddizione quasi paradossale, “ebrea e non credente”, solo chi non conosce la complessità e la ricchezza dell’appartenenza al popolo d’Israele, presso il quale nessuna domanda è indegna d’essere formulata e nessuna risposta esaurisce le possibili domande sul senso stesso della vita.

Al frate minore giornalista Nazareno Fabbretti, che la intervistò per “Il Resto del Carlino” che uscì l’8 luglio 1970, la signora Weiss afferma: «Non credo in Dio. Sono ebrea, ma non un’ebrea praticante e credente. Anche se la Chiesa cattolica ha sempre avuto su di me una grande attrazione, vivo, come tanti, religiosamente, sulla “terra di nessuno”. Per quanto il caso di mio figlio mi abbia colpito profondamente, non gli ho mai detto, né allora né dopo, una sola parola che lo potesse condizionare nella sua libertà. Io ho sempre rispettato la sua libertà, e lui ha sempre rispettato la mia.»

L’intervista di padre Fabbretti trasmette la straordinaria personalità di Alice Weiss e merita di essere letta nella sua interezza: https://www.barbiana.it/biograf_madre.html

La triestinità di Alice Weiss, tuttavia, va colta a prescindere dalla sua maternità.

A Trieste la storia delle donne non è mai stata una realtà scottante – anzi infuocata - da spegnere al più presto possibile nelle nebbie dell’acquietamento patriarcale maschile.

Il carattere compiutamente borghese, di nascita mercantile, della Trieste prima settecentesca, poi ottocentesca e poi novecentesca – Trieste in effetti sembra non avere più di trecento anni – ha impastato le diversità, le alterità come si preferisce dire oggi, senza esclusioni e troppi pregiudizi (qualcuno sì perché i tre secoli che ci precedono scontano ovviamente la loro storia culturale): anche Luciana Castellina ebbe madre un’ebrea triestina, Lisetta Liebman, che aveva sposato un rappresentante di commercio milanese, Gino Castellina.

Eppure la storia triestina di Alice Weiss dev’essere ancora scritta ed ancora investigata.

E così è inevitabile – ed anche giusto, stante il contenuto dell’intervista di p. Fabbretti - che, parlando di lei, si parli del figlio prete.

Scrive Ernesto Balducci nel testo di un conferenza tenuta a Fiorano al Serio l’8 settembre 1977 dal titolo “Il messaggio pedagogico e pastorale di don Lorenzo Milani”: «Non si annunciano le beatitudini ai poveri in situazione di privilegio, Gesù non ha fatto così. L’unico elemento di salvezza che può essere concesso a noi che non siamo degli emarginati è di far propria la sorte dei poveri al punto tale di essere un po’ emarginati con loro. Milani si era fatto emarginato, lo era di fatto emarginato; fu portato anche in Tribunale, era mal visto dalla Curia, era oggetto di maldicenze continue in tutta la Diocesi di Firenze – io lo so bene – anche da parte di quelli che oggi vanno a fare il pellegrinaggio a Barbiana.» (in E. Balducci, Educare alla mondialità. Conversazioni su Don Lorenzo Milani, Giunti 2007. p. 56).

Balducci afferma poi (Ivi, p. 66): «Innanzitutto la scuola è uno strumento di uguaglianza sociale. Questa è, direi, la famosa tesi di don Milani, che egli, col suo linguaggio estremamente ricco di parabole, di allegorie e di condensazioni simboliche, aveva poi espresso con la famosa frase: “finché il ricco avrà mille parole e il povero ne avrà trecento, il povero sarà sempre fregato. Facciamo sì che il povero abbia tante parole, allora egli saprà difendersi da sé.”»

E continua (Ivi, pp. 66-67): «Evidentemente questa frase è una semplificazione della realtà. Ci mancherebbe altro che il riscatto dei poveri fosse affidato al numero delle parole, ci vuole ben altro! Bisogna cambiare i rapporti produttivi, bisogna cambiare i rapporti di proprietà del capitale, se no non si va avanti nell’uguaglianza. E tuttavia noi abbiamo notato dal ’67 ad oggi, in questo decennio, un cambiamento di considerazione perfino nell’ambito dell’ideologia marxista sul valore rivoluzionario che hanno i mutamenti delle sovrastrutture, come si dice in linguaggio specifico, o per dirla con un linguaggio più genericamente cristiano: a livello coscienziale. La coscienza non è il prodotto delle strutture, è essa stessa l’uomo, in cui si genera e si scatena il processo di cambiamento globale. Potremmo anche dire che se non si cambiano le strutture, la società non cambia; ma se non si cambiano le coscienze, il cambiamento delle strutture non avverrà, e se avverrà, non cambierà la società.»

Questa scelta di coinvolgimento appassionato di Lorenzo Milani, allo stesso tempo interiore, persino viscerale, epperò pure estroverso sino a farsi impegno di rilevanza che dovremmo definire politico, è un tratto che attraversa Trieste.

Il capoluogo giuliano è stato in questi giorni la sede di ESOF 2020, l’Euroscience Open Forum (https://www.esof.eu/en/). Alla sua apertura è intervenuto il Segretario di Stato di Sua Santità Card. Pietro Parolin, definito “braccio destro del Santo Padre Francesco” dall’Arcivescovo-Vescovo di Trieste Mons. Giampaolo Crepaldi (https://www.agensir.it/quotidiano/2020/9/2/scienza-e-fede-trieste-il-card-parolin-inaugura-esof-2020/).

Con una battuta, dalla quale vorremmo assente qualunque sembiante di irriverenza, ci piacerebbe pensare che il braccio sinistro di Francesco sia la memoria di Alice Weiss, madre di don Milani.

Proprio ieri si è svolto, in modalità online, il Seminario Nazionale del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI), dal titolo “Riformare si può? Teologhe a confronto” (http://www.teologhe.org/seminari-cti/seminario-nazionale-cti-2020/), con gli interventi, di eccezionale spessore, di Simona Segoloni, Donata Horak, Stella Morra, Lucia Vantini, Serena Noceti e Letizia Tomassone.

La voce delle teologhe italiane è una voce autorevole, qualificata, di competenza unica. Eppure la domanda è: quanto viene ascoltata questa voce?

E la domanda subito successiva, che non ci si può non fare, è se sia noto all’intera Comunità Ecclesiale italiana – cattolica, in particolare – che simile voce, oltre ad essere autorevole, è anche “autorizzata”, vale a dire che ognuna delle sei teologhe, che hanno parlato ieri al Seminario Nazionale del CTI, è docente presso istituzioni accademiche ecclesiastiche.

E per insegnare in simili istituzioni non è sufficiente la perizia, ma è necessario l’esercizio diuturno di quel discernimento di cui s’è molto discusso in questi giorni con riguardo all’articolo di “Civiltà Cattolica” a firma di p. Antonio Spadaro SJ, dal titolo Il governo di Francesco. È ancora attiva la spinta propulsiva del pontificato? (https://www.laciviltacattolica.it/articolo/il-governo-di-francesco/).

In tale articolo si legge: «Facendo riferimento al Sinodo per l’Amazzonia, riguardo all’ordinazione sacerdotale di viri probati, Francesco scrive: «C’è stata una discussione… una discussione ricca… una discussione ben fondata, ma nessun discernimento, che è qualcosa di diverso dall’arrivare a un buono e giustificato consenso o a maggioranze relative». E prosegue: «Dobbiamo capire che il Sinodo è più di un Parlamento; e in questo caso specifico non poteva sfuggire a questa dinamica. Su questo argomento è stato un Parlamento ricco, produttivo e persino necessario; ma non più di questo. Per me questo è stato decisivo nel discernimento finale, quando ho pensato a come fare l’Esortazione».»

L’interrogativo che potrebbe sorgere dopo la lettura di questo passaggio dell’approfondito articolo di p. Spadaro di per sé sarebbe tutto relativo alla soggettualità istituzionale, nella Chiesa Cattolica, capace di tale discernimento. Chi discerne con potere decisionale?

Ma si tratterebbe di prospettiva, in qualche modo, ancora “da braccio destro”.

Sarebbe cioè imperniata sulla distribuzione di un potere in ogni caso tutto maschile. Maschi i viri (appunto) probati, maschi i vescovi padri sinodali che hanno, o non hanno, esercitato il discernimento.

E il sapere teologico delle donne?

Il sapere accademico, ma anche il “sàpere” esistenziale, il dar sapore cioè alla concretezza della vita che comporta scelte, prese di posizione, fatiche, parole non sempre ascoltate e spesso silenziate.

Una prospettiva sororale che la fraternità generalizzata rischia di inglobare di nuovo nella pretesa universalistica del linguaggio tutto declinato al maschile.

Fare da braccio sinistro, in effetti, all’Autorità Ecclesiale – o proprio Ecclesiastica – senza paura ma, soprattutto, senza dover scoprire che lo sforzo di tanta elaborazione, di pensiero e di vita, si sia rivelato inane è una sfida ancora da raccogliere nella comunità cattolica.

Eppure speranza c’è. Ed è grande.

È la speranza della vicenda di Alice Weiss, ebrea non credente madre di un prete cattolico.

È la speranza che fiorisce nella vita religiosa femminile – ad esempio monastica -, dove l’impossibilità di celebrazione eucaristica se non con la necessaria presenza di un uomo maschio presbitero ha portato ad enucleare un policentrismo della vita cristiana, anche cattolica, la cui spiritualità guardi già al tempo escatologico secondo registri non extra-sacramentali, bensì ultra-sacramentali. (Che poi l’ultra evochi l’extra, o addirittura il contra, è questione troppo complessa da affrontare in un articolo di giornale, ma ben ha fatto Donata Horak a ricordare ieri l’esistenza di consuetudini canoniche anche contra legem).

È la speranza delle teologhe italiane. Che sono in grado farci rinnamorare del Vangelo penetrando nelle ipoteche di genere che condiziona l’intera storia cristiana e disarticolando presunte coerenze addirittura dogmatiche che invece risultano semplici portati di biopolitica, per dirlo alla Foucault.

Ugo Pierri – nostro grande concittadino interprete di una liturgia del quotidiano che abbraccia la pittura e la scrittura (http://www.casadellapoesia.org/poeti/pierri-ugo/biografia) – ha pubblicato di recente, per i tipi di Battello Stampatore, Dio esiste. Ma non va in chiesa (https://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2020/03/06/news/il-dio-di-ugo-pierri-non-va-in-chiesa-ma-si-fa-beffe-anche-del-poeta-1.38560674#:~:text=Noi-,Il%20Dio%20di%20Ugo%20Pierri%20non%20va%20in%20chiesa,fa%20beffe%20anche%20del%20poeta&text=Sarebbe%20facile%20liquidare%20la%20poesia,solo%20tramite%20i%20suoi%20versi) e ieri – sì, ieri sabato 5 settembre - ha intitolato una sua poesia: la nostra ridente necropoli, riferita a Trieste.

La poesia dice così:

si autoproclama “città della scienza”

non sarà tale finché ci sarà un solo povero

 

Sempre ieri la prof.ssa Simona Segoloni, docente stabile di Teologia sistematica presso l’Istituto Teologico di Assisi (dove si apprende che si recherà il Papa il prossimo 3 ottobre per la firma della nuova enciclica “Fratelli tutti”, https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2020-09/papa-francesco-fratelli-tutti-encilica-ottobre-assisi-firma.html), ricordava come non sia la costruzione di potere gerarchizzato la caratteristica propria dell’annuncio evangelico, bensì la scelta di farsi poveri alla scuola di Matteo 18. “Chi è il più grande?” Chi si cambia in piccolo. In povero. In ultimo.

Dunque sarà il discernimento dei poveri a salvare la Chiesa.

Anzi, siamo più precisi: delle povere.

Ma non c’è poi bisogno di andare granché lontano: le voci ecclesiali delle donne sono state secolarmente “impoverite”. Delle nostre donne, che conosciamo, frequentiamo, ascoltiamo.

Un tale discernimento permetterà un giorno anche ai papi di cambiare braccio.

Come loro braccio destro, si troveranno donne, magari pure di altra confessione o magari addirittura non credenti. Il Regno di Dio è così. Sembra un sogno, un’utopia, ed è invece un progetto.

Alice Weiss seriamente sorride, da Trieste la vediamo ancora.

Sorridiamo anche noi.

E ringraziamo.

Oggi - singolare coincidenza - è la Giornata Europea della Cultura Ebraica (https://ucei.it/giornatadellacultura/).

Buona domenica.

 

Stefano Sodaro