Quando, verso la metà del 1800, Joule dimostrò che il calore è una forma di energia, l'idea che la materia fosse costituita di particelle elementari era tutt'altro che accettata.
I sistemi termodinamici venivano descritti attraverso "variabili macroscopiche" quali pressione, temperatura, volume, massa. Ancora oggi, la "termodinamica dei sistemi continui", che studia modelli in cui non esistono componenti microscopiche, è un campo di ricerca attivo.
L'esperimento di Joule collegava due teorie fisiche completamente diverse, la meccanica e la termologia.
Era un collegamento estremamente interessante dal punto di vista tecnologico: in piena rivoluzione industriale, l'automazione delle fabbriche richiedeva una comprensione teorica delle prestazioni delle macchine termiche.
In meccanica, l'energia si conserva, trasformandosi ad esempio da potenziale in cinetica e viceversa.
Che cosa succede quando compiamo lavoro su un sistema termodinamico? Dove finisce l'energia meccanica che cediamo al sistema? Joule mostra che viene tradotta in calore e provoca un aumento di temperatura.
Il primo modello proposto assumeva che i corpi possedessero un 'fluido calorico' che poteva fluire dai corpi caldi ai corpi freddi in maniera analoga ad un liquido tra due vasi comunicanti.
E' un modello oggi abbandonato, non tanto perché non descriva bene le transizioni termodinamiche, ma perché manca il collegamento con la meccanica.
Invece che di "quantità di fluido calorico" si preferisce parlare di "energia interna del sistema", pensata come l'energia globale dell'intero sistema: l'energia chimica dei legami tra le molecole e tra gli atomi, l'energia potenziale dovuta ad un eventuale campo esterno e l'energia cinetica delle varie componenti.
Studiando il modellino cinetico, abbiamo capito come legare la pressione agli urti che le particelle hanno con le pareti e la temperatura all'energia cinetica.
Abbiamo quindi suddiviso l'energia cinetica in una parte traslazionale (che contribuisce ad aumentare la pressione) e una parte rotazionale (che non contribuisce agli urti contro le pareti perché associata alla rotazione sul posto delle molecole).
Nei fluidi, aumentando la temperatura, l'energia potenziale diventerà trascurabile rispetto all'energia cinetica. Quest'ultima, se il sistema è 'abbastanza caldo', si distribuirà equamente tra i gradi di libertà.
Particolarmente interessante è lo studio dei gas. Il nostro sistema fisico è il solito: un gas in un contenitore cilindrico chiuso da un pistone sul quale appoggiamo dei pesi. Possiamo scaldare il gas tramite una sorgente di calore, variare il volume e cambiare la pressione.
In questo sistema è immediato calcolare il lavoro fatto dal sistema come prodotto tra la pressione e la variazione di volume.
Diventa quindi molto significativo descrivere il sistema nel piano pressione-volume (detto piano di Clapeyron). Vedi la pagina Leggi dei gas per rinfrescarti la memoria.
Se una trasformazione termodinamica è abbastanza graduale da non avere significative differenze di pressione o di temperatura in diverse parti del cilindro, possiamo rappresentarla come una curva nel piano p-V. Come abbiamo già visto, il lavoro compiuto dal sistema durante la trasformazione corrisponde all'area "sottesa" alla curva. Se la trasformazione torna allo stato di partenza la diciamo ciclica; in una trasformazione ciclica percorsa in senso orario, il lavoro fatto dal sistema corrisponde all'area racchiusa dalla curva.
Il lavoro non dipende soltanto dagli stati iniziali e finali, ma dal percorso fatto.
Affinché la macchina termica faccia lavoro, è necessario fornirgli energia sotto forma di calore.
Gli esperimenti mostrano che in una trasformazione ciclica il lavoro fatto dal sistema è uguale alla quantità di calore assorbita:
Q=L
Cosa succede se la trasformazione non è ciclica?
L'uguaglianza Q=L non è più vera. Q ed L rappresentano forme di energia; dunque dov'è finita l'energia Q-L? E' stata assorbita dal sistema, che ha cambiato la propria "energia interna".
Scriveremo la conservazione dell'energia come ΔU=Q-L
Conoscendo pressione e volume del sistema, possiamo risalire alla sua temperatura, ricavandola dall'equazione di stato.
Questo è vero non solo per i gas perfetti (per i quali l'equazione di stato è pV=nRT) ma anche per i gas reali (per i quali l'equazione di stato è più complicata).
Se lo stato termodinamico del gas è individuato da pressione e volume, il sistema è rappresentato da un punto nel piano p-V. Ipotizziamo che l'energia interna sia una funzione di questo stato: ad ogni punto del piano p-V sarà assegnato un certo valore dell'energia interna.
Stiamo pretendendo di descrivere lo stato di un sistema composto di un numero enorme di particelle non già attraverso la posizione e la velocità di ogni particella, ma attraverso pochissime (nel nostro caso due) variabili macroscopiche (volume e pressione).
E' evidente che questa descrizione non permetterà di conoscere esattamente l'evoluzione delle particelle. Tuttavia, il comportamento macroscopico rimarrà determinato. Nella seconda metà del 1800 si capirà che questo comportamento macroscopico è legato al comportamento medio delle molecole. Nascerà la "meccanica statistica", un campo di ricerca ancora oggi molto fecondo.
Se l'energia interna U è una funzione di stato, nella trasformazione che porta da uno stato iniziale i ad uno stato finale f, la variazione di energia interna sarà ΔU=U_f - U_i.
Il primo principio della termodinamica estende il principio di conservazione dell'energia meccanica affermando che
U_f - U_i = Q - L
cioè che la differenza di energia interna tra lo stato finale e quello iniziale è uguale alla quantità di calore assorbita dal sistema meno il lavoro fatto dal sistema.