I
Il titolo di queste poche pagine (come l’indole del libro che introducono) sembra un ossimoro.
Sennonché l’immaginario pornografico (che modernamente nasce nel Settecento dei Diderot e dei Sade, altra faccia, solarmente ombrosa, soffocatamente dionisiaca, della lucida patina enciclopedista - ma affonda le proprie radici, naturali germinali rituali in origine, poi artefatte e straniate, nel sostrato arcaico dei fliaci, dell’atellana, dei fescennini, di obliati riti rurali) è paradossalmente, al pari della tradizione lirica occidentale, insieme cristiano e platonico.
Platonico perché lo sguardo pornografico sostituisce l’immagine al corpo, il simulacro alla carne, il fantasma alla vita. Antimachiavelliana, lontanissima dal pragmatismo del maschio prevaricatore “impetuoso” anziché “respettivo”, la mente pornografica preferisce l’”immaginazione della cosa” alla “verità effettuale” di essa.
Cristiano perché non esisterebbero erotismo, e men che meno pornografia (ma solo la sessualità solarmente, quasi edenicamente esibita, sui vasi greci o negli affreschi di Pompei o nella festosità sboccata dei Carmina Priapaea o in quella più floreale e maliziosa del Pervigilium Veneris), senza il senso del proibito, la rimozione, la censura, il divieto, e il fascino perenne della loro trasgressione.
Certo, l’immagine è copia della copia. Ma il solitario appagamento fisico che essa ispira (la Madonna astratta e irraggiungibile che muove la mano dell’onanista come quella del poeta) riconduce l’impulso sensuale a quella sfera sensoriale e carnale da cui l’astrazione contemplativa l’aveva alienato. Ciò non è poi diverso - con stupefacente blasfemia - dalla “carne senza carne” di cui parlavano, infiammati di platonismo cristiano, i Padri della Chiesa.
II
La giovinetta - scriveva Alberto Magno in una pagina incredibile del De animalibus -, còlta dalle prime pulsioni, cerca istintivamente, e solitariamente, di appagarle. “Saepe se confricant digitis vel aliis instrumentis”.
Il suo appagamento è illusorio, essendo il suo fluido freddo, mentre caldo è quello del maschio.
Così facendo, però, la giovinetta trova un po’ di pace - e, paradossalmente, proprio in questo modo si mantiene casta (“et tunc efficiuntur castiores”).
(Paradossale castità della pornografia, che sostituisce l’immagine alla realtà, l’idea alla cosa).
III
Reale, troppo reale, nondimeno, l’inferno della vita di molte pornoattrici (abusate da adolescenti, distrutte per decenni da alcol e droga, spesso suicide).
Ma non c’è rito sacro (o estetico) che non esiga le proprie vittime.
Del resto, sempre e comunque sacra è la prostituzione. Ricevere un dono e concedere in cambio piacere, o almeno oblio, è sempre e comunque un rito.
Non c’è culto che non abbia alienazione e sfruttamento come séguito ed ombra.
Le sacerdotesse di Shiva o Astarte o Venere erano hierodoulai - serve del Dio.
Sacerdotesse e nel contempo schiave.
(Forse la Maddalena o Santa Maria Egiziaca - partita dapprima per Gerusalemme solo per concedersi indiscriminatamente ai compagni di viaggio, per farsi a suo modo, come San Paolo, “tutta in tutti” -, o le Protomartiri che passavano dai lenoni ai leoni, e per le quali il postribolo era anticamera del martirio, ne sono l’ebraico-cristiana, segreta e velata, sublimazione od ombra?).
IV
Il Poeta Pornografico, come il Poeta Stilnovista, vagheggia la Donna dello Schermo.
Ad un oggetto (perdonino le femministe - che peraltro, stranamente, sembrano non avere, oggi almeno, nulla contro la Pornografia, forse per la sua natura a suo modo “antipatriarcale”, in quanto per definizione scissa dalla coppia e dalla procreazione) irraggiungibile se ne sostituisce, come surrogato, un altro, ugualmente illusorio. Ad un’illusione un’altra illusione; un’altra chimera a una chimera.
Come svegliarsi da un sogno per entrare in quell’altro sogno che è la veglia. O uscire dalla vita per entrare in quell’altra vita - forse, per il platonismo come per il cristianesimo, la vera vita - che è la morte.
V
“Quando Kafka descrive il suicidio di un K qualunque, annota: sul ponte il traffico era intensissimo. Questa è pornografia, ossia oggettività estrema, carne senza concetto”. Così Carmelo Bene.
Carne abbandonata a se stessa, fagocitata dal ritmico, forsennato automatismo del gesto reiterato, della catena di montaggio, dell’ingranaggio capitalistico che deve consumare (e godere, o illudersi di godere) per continuare a produrre.
La Pornografia è destino. Chi la crea e chi la guarda sono inghiottiti, l’uno e l’altro, da una forza più grande di loro. Dall’Eros anikatos machan, supremo, invincibile, di Sofocle, che ora non si appaga dei corpi e delle lacrime e vuole dilagare in miliardi di pensieri e di sguardi, per alimentare indefinitamente se stesso (come il Denaro, da sempre legato all’Eros) negli occhi e nelle menti, divenuti sue colonie.
VI
“La pornografia” - continuava il Maestro - “è il solo antidoto a tutto questo perché il soggetto è l’oggetto squalificato, è la mancanza di rappresentazione, ossia l’ irrappresentabile”.
Poesia e pornogafia tendono l’una e l’altra all’indicibile, alla solitudine assoluta, all’individuum ineffabile, all’ultima solitudo.
“A l’alta fantasia qui mancò possa”. Ma la “possa” è anche, letteralmente, lo sperma.
La poesia spinge la parola - come la pornografia l’immaginazione - fino al limite estremo delle sue possibilità.
VII
Il sonetto LX, un gioiellino (anche se in fondo non significa nulla - aboli bibelot d’inanité sonore, dice Mallarmé - ma bibelot, oggetto fine a se stesso, strumento d’inutile capriccio, osceno ninnolo, era anche il fallo artificiale), è il trionfo di due caratteri fondamentali della poesia contemporanea: l’”autonomia del significante” e l’”enumerazione caotica”.
Il poeta combina sillabe e parole come il pornografo immagini sguardi gesti gemiti. L’uno e l’altro sono spinti e guidati dal rigore delle regole (del Ritmo il primo, del Mercato il secondo) così come dall’onda e dallo slancio di un impulso originario e di una tensione che persiste.
Il sonetto d’amore o di morte (cioè quasi ogni sonetto in mille anni di poesia), di per sé, come forma, è pornografico. Quasi sadico, perché costringe sentimenti immaginazioni pulsioni dolori nelle catene e nei bavagli e nelle manette della forma chiusa.
Sad mechanic exercise era, per Tennyson, la poesia. Meccanico, per quanto compiuto fra spasmi singulti lacrime, il gesto tecnico della versificazione - come meccanici, per quanto vòlti al piacere altrui, e più raramente anche al proprio, gli atti della prostituta (della porné) e della pornoattrice.
VIII
La poesia contemporanea ha sfiorato, anche se raramente, il tema della pornografia.
Ma l’ha fatto in modo parodico, inseguendo un antisublime ormai vieto.
Qui, invece, l’immaginario pornografico è liricamente, a tratti quasi retoricamente, consacrato, tanto che la parodia e la distorsione non si distinguono dalla sincera, quasi elegiaca evocazione di adolescenziali fervori.
Un linguista a caccia di “espressionismo” e di “pluristilismo” potrebbe deliziarsi delle contaminazioni fra gergo di Internet ed echi aulici, fra inglese digitale e globale e registro alto della tradizione poetica italiana.
A volte, il trobar clus, il compiacimento, quasi, da poeta doctus arrivano a rasentare un’oscurità che potrebbe essere quella della poesia italiana arcaica, di cui Dante lamentava la asperitas (ogni levigato classicismo sembra presupporre un aspro ed irsuto arcaismo precedente - come il glamour dell’erotismo patinato ha alle spalle, e sconfessa, le rozze e approssimative esibizioni pubiche degli Anni Settanta), così come, all’opposto, quella platonica ed intellettualistica della Pléiade.
Come la pornografia, così la poesia può uscire dai confini dell’ordinario sia per eccesso di realtà che per eccesso d’evasione - sia per soverchio d’intensità che per paradossale rarefazione immaginativa.
Il Fauno di Mallarmé, che alla fine non sa se le sue ninfe dalla carne d’aria fossero reali o immaginarie, e si rassegna all’evidenza di essere sempre stato solo nella propria meridiana estasi, di avere “amato un sogno”, non è molto diverso dal pornomane che, davanti allo schermo, si risveglia, tristemente, dal suo dopaminico ed endorfinico stordimento.
IX
Un tempo, pornografia e orrore erano segretamente legati, avvolti da uno stesso alone di depravazione e divieto.
Nottetempo, in certi oscuri canali oggi defunti come in certe sale sordide, ugualmente abbandonate, Lucio Fulci faceva da paredro a Joe D’Amato.
Oggi, alle otto di sera, un bambino può vedere un moribondo che vomita sangue o l’autopsia di una bambina putrefatta - ma non può vedere un uomo che eiacula.
(Poco importa che il primo caso sia fittizio, il secondo reale - nel regno dell’Immagine realtà e finzione si confondono in uno stesso illusorio simulacro, più vero del vero).
Il mondo d’oggi sembra aver sacrificato - anche nel suo riverbero mediatico - Eros a Thanatos. Aver scisso il primigenio, vitale e devastante, binomio relegando, o velando, il primo elemento ed esasperando, come a compenso, il secondo (forse perché il Sistema ha bisogno di persone pronte più a sopportare, o a ignorare, o al limite, se necessario, direttamente o indirettamente, ad infliggere, violenza e morte che ad inseguire il piacere).
Forse spetta alla poesia - anche in quest’àmbito - essere la voce rimossa (per quanto degradata e deietta) di Eros.
X
“Pratiche estreme / prima che scocchi il mezzogiorno, l’oro / del sole d’agosto, chioma e fulgore / ma non gode, niente, nessun calore / ad abbracciarla”. “Vi dono l’infelice simulacro / d’un coito in pixel, doppelgänger sacro”.
La poesia, come la pornografia, è spesso, in fondo, solitudine, sconfitta, umbratile, per quanto fintamente nobile, artificiosamente elitaria, consolazione - “compensazione”, direbbe forse la psicanalisi.
(Secondo una variante del mito, Paride non rapì Elena, ma il suo simulacro, il suo doppio, il suo eidolon. Forse perfino la guerra più atroce e il poema più sublime ebbero a motivo ed oggetto non la Donna, ma la sua Immagine).