"La poesia che parla di sé": uno sguardo sulle poetiche del Novecento

(apparso in data imprecisata su "Il Nuovo Diario Messaggero"?)

Sembra che nel nostro secolo la poesia - forse perché, nella civiltà delle macchine, ne sono state messe in dubbio l'utilità, la legittimità e la stessa possibilità di sopravvivenza - non abbia potuto fare a meno di riflettere, con un'assiduità e una profondità che forse non trovano riscontro in nessun'altra epoca, sulle proprie modalità, la propria funzione, il proprio rapporto - o rifiuto di ogni rapporto - con la realtà contingente. 

Di grande interesse, dunque, l'antologia La poesia che parla di sé (Roma 1996), curata da Giacinto Spagnoletti - anche ammesso che, come scriveva, in uno dei testi antologizzati, la compianta poetessa Amelia Rosselli, la poetica (cioè l'insieme dei princìpi teorici che accompagnano e sostengono la concreta produzione di testi da parte di uno scrittore) sia "posteriore al cento per cento", non possa cioè surrogare la poesia vera e propria o supplire alle sue carenze.

L'antologia, introdotta da un profilo riassuntivo della poesia del Novecento ampio, completo e di notevole presa divulgativa, affianca a dichiarazioni di poetica ormai celebri - come i manifesti del futurismo di Marinetti e Ardengo Soffici, che, accostati come sono a enunciazioni di spessore e portata ben maggiori, e assai più prossime alla nostra attuale sensibilità, suonano paradossalmente e malinconicamente obsoleti e stantii, le ben più profonde Ragioni di una poesia di Ungaretti e la montaliana Intervista immaginaria - moltissimi scritti del tutto inediti, raccolti da Spagnoletti nel corso degli anni e resi noti ora per la prima volta; interessantissime, e tali da gettare nuova luce su alcuni aspetti dell'opera di due dei maggiori poeti italiani viventi, sono le pagine inedite di Luzi e di Zanzotto.

Credo che il più affascinante e proficuo approccio a questo libro sia quello offerto da una lettura per così dire "polifonica", che metta in parallelo le opinioni di poeti diversi - e magari legati ad orientamenti letterari e ideologici opposti - intorno ad alcuni grandi temi e oggetti di dibattito. 

Si può, ad esempio, rimeditare l'annosa questione del rapporto tra letteratura e società, partendo dalle pagine inedite in cui Vittorio Sereni - consapevole che "il nome di poeta appare sempre più una qualifica difficile da portare e da sostenere" - raccomandava che, nonostante tutto, non si perdessero mai di vista "la naturale capacità di comunicazione della poesia e la corrispondente attitudine ad accoglierne la voce", per arrivare - attraverso un Pasolini intento a rievocare, e insieme sconfessare, un "periodo di questa nostra storia" in cui, a suo dire, dopo l'"involuzione antidemocratica del fascismo" e "la stessa decadenza della ideologia borghese", "l'unica libertà rimasta pareva essere la libertà stilistica", risolta in un "formalismo riempito solo dalla propria coscienza estetica" - alle enunciazioni teoriche della Neoavanguardia di Porta e Sanguineti, persuasi dell'esigenza, per la poesia, di confrontarsi dialetticamente con la civiltà industriale, senza risolversi in gioco narcisistico o puro formalismo. 

Affascinante anche il problema della poesia religiosa - disperata invocazione di "uomini soli come il Beduino nel deserto" - nel mondo contemporaneo, alla cui discussione forniscono uno stimolante contributo passi di due poetesse tanto grandi quanto ancora in parte misconosciute, Antonia Pozzi e Margherita Guidacci.


                                                                                                                                    Matteo Veronesi