Iter visionis
(apparso nell'antologia Il pensiero poetante, Genesi, Torino 2023)
Queste poesie offrono una riflessione sul tema della visione e della percezione, ispirate da un passo del filosofo Plotino. Viene esplorata la complessa relazione tra vedere e essere, tra l’osservatore e ciò che viene osservato, attraverso un linguaggio evocativo.
La prima sezione si concentra sull’idea che la visione possa essere limitata e auto-riflessiva, suggerendo che vedere significa spesso vedere solo un riflesso di se stessi. Il concetto di “divenire visione” è esplorato come un processo di auto-realizzazione e trasformazione, dove l’essere e il percepire si fondono.
Nella seconda parte, si descrive un corpo risorto dal sogno, metafora di un’esperienza di risveglio e consapevolezza. La bellezza e la fragilità del corpo sono temi centrali, esplorando l’idea di una bellezza che non può vivere senza morire, un’esistenza al limite tra l’essere e il nulla.
La terza sezione riflette sulla vanità e l’effimero delle esperienze umane, dove tutto ciò che è intorno perde senso e diventa spettro o larva. Il poeta contempla l’inutilità di cercare un sentiero definito in un mondo dove tutto sembra destinato alla dissoluzione e all’oblio.
In sintesi, queste poesie offrono una meditazione sulla natura della realtà, sulla percezione e sul rapporto tra il sé e il mondo esterno. La visione, sia letterale che metaforica, è un tema ricorrente, esaminato attraverso un prisma di autoconsapevolezza, realizzazione e, infine, accettazione dell’inevitabile.
a Giorgio Bàrberi Squarotti,
in memoriam
Ma se vedi di essere divenuto luce pura e sola,
se sei ormai divenuto tu stesso visione,
guarda dritto davanti a te
Plotino
I
La visione non vede
oltre se stessa, oltre la gelida luce
dell'occhio da se stesso abbacinato –
e l'occhio vede se stesso
nelle parvenze vacue su cui vibra e si perde
e le parvenze in sé, come fantasmi –
null'altro
che un solo occhio di tenebra che inghiotte
ogni volto e ogni senso
Farsi visione, non essere
che accesa cecità, tenebra ardente –
farsi
attraversare come cristalli dalla luce
di tratto in tratto più pura
nella cenere fervida del verbo
II
Risorto dal sogno appariva
il corpo lacerato, scaglia a scaglia
da ferite sottili di colore –
come lacune di luce nella carne
che la facevano trasparente al mondo, al fuoco
sottile velo esausto
Così disanimata, arrendevole al vero
bellezza desolata che non sai farti vita
senza morire, andare
oltre te stessa senza dissolverti, e svanire –
corpo senza corpo che resisti
a ciò che non è te, ciò che ti avvolge e ti nega
al mondo che ti assedia
e che ti offende
III
Nulla intorno ha più senso –
spettro ogni corpo, larva
ogni moto di vita
Già preda
della fine le pelli levigate
tese nel volo dell'aria –
pegno
a labbra immote ogni riso
alla notte le chiare nevi lontane
la melodia luminosa dei laghi
che vidi e udii, in altro tempo svanito –
già figura di spoglie il corpo scolpito
che vela un refrigerio d'acqua e luce
Perché ancora scandire
il sentiero sublime coi suoi margini
madidi di lacrime amare
senza lume né meta
Perché se non per ripetere
l'orma con l'orma –
eco
il passo al passo che precede e segue –
cammino senza tempo, prigioniero e danzante
che se stesso ripete, nel suo cieco cerchio –
finché uno sguardo oltre ogni sguardo, un buio occhio
lo illumini dal vuoto delle nubi