(articolo uscito in “Università Aperta”, IV, 1994, n. 9, p. 3)
“Che mutazione politico-antropologica / c’è stata? che cosa è cambiato / in questi anni / non dico nell’editoria, nei giornali, / ma nei lobi cerebrali / nelle anime / perché la poesia diventasse / questa cosa povera e inascoltata?”
Chiunque getti una rapida occhiata sul panorama della poesia d’oggi non potrà che condividere l’angoscioso interrogativo avanzato da Giuseppe Conte, uno dei maggiori poeti italiani viventi, in questi brutali ed infuocati versi, di recente pubblicazione (1).
Molti grandi editori - ad esempio Rizzoli, Vallecchi o la stessa Mondadori -, a cui sono legate, per tanta parte, le vicende editoriali della poesia del Novecento, si sono visti costretti, in questi ultmi anni, a limitare, quando non ad eliminare del tutto, la pubblicazione di opere di poeti viventi - i “classici”, al contrario, si stampano e si vendono ancora abbastanza. Si è nel contempo assistito ad un clamoroso paradosso: all’irrefrenabile proliferazione di minuscoli premi letterari, di sparute rivistine e di case editrici a pagamento del tutto emarginate dai grandi circuiti della distribuzione libraria fanno da contraltare il calo o addirittura la totale assenza di vendite dei volumi di poesia. Infatti, come scrive Giuliano Ladolfi, “chi pubblica una silloge o alcuni lavori su riviste specializzate, si compiace di leggere se stesso, ma non allarga gli orizzonti ad altri autori. In questo modo il grande pubblico e gli stessi cultori di questa nobile arte rimangono estranei al processo di distribuzione” (2).
L’elenco delle piaghe che affliggono la poesia d’oggi potrebbe continuare; ma piuttosto che trasformare questo mio breve intervento in una diagnosi medica - o magari in un raggelante reperto autoptico - preferisco cercare di individuare, in sintesi, le cause del problema, ben lungi dal voler compiere l’azzardato tentativo di proporne una soluzione. La responsabilità di tale situazione, a mio parere, va equamente spartita tra poeti, critici e lettori.
Esiste, nella poesia moderna, una linea - che non sarebbe nemmeno lontanamente pensabile, in questa sede, ripercorrere in modo analitico - che dal Simbolismo francese e belga di fine Ottocento arriva, attraverso l’Ermetismo, alla cosiddetta “poesia pura”, ancor oggi largamente teorizzata e praticata. Il punto che accomuna tutte le correnti che la compongono consiste nella convinzione che la parola poetica possa assolvere alla proprie funzioni estetiche ed intellettuali attraverso la vaga allusione, il sottinteso impalpabile, il richiamo analogico, e non debba contenere un significato preciso e determinato - “non chiederci la parola che squadri da ogni lato / l’animo nostro informe”, ammoniva Montale - o un riferimento diretto alla realtà concreta - “nommer un objet”, a parere di Mallarmé, “c’est supprimer les trois quarts de la jouissance du poème”. L’estremizzazione e l’esasperazione di queste posizioni - che, beninteso, appaiono pienamente giustificate e di straordinaria importanza se rapportate al contesto storico-culturale in cui si originarono - hanno introdotto nella poesia contemporanea un’inclinazione spesso irritante all’oscurità voluta ed ostinata, al compiacimento intellettualistico e alla complicazione cervellotica, a cui si è aggiunto l’influsso, tutt’altro che benefico, della Neoavanguardia, che ha prospettato e realizzato l’annullamento delle convenzioni poetiche, dei moduli espressivi e dei registri lirici codificati dalla tradizione - di quella che i linguisti della Scuola di Praga chiamavano langue poetica (3), e che costituisce il tramite, il mezzo, il codice necessari perché la comunicazione in versi, come qualunque altro tipo di comunicazione linguistica, possa aver luogo - senza riuscire a proporre valide e concrete alternative - agendo, insomma, un po’ come chi, poniamo, volesse distruggere un ingranaggio per dimostrare che non funziona. Certi poeti si sono dunque indebitamente sentiti autorizzati ad abbandonare sulla pagina bianca, quasi con noncuranza, segni linguistici svuotati di significato, di pregnanza semantica e di potenzialità comunicativa, ridotti, di fatto, a puri e semplici simboli grafici privi di valore, e hanno per giunta trovato conforto in certa critica, che è arrivata ad affermare - come è stato fatto recentemente, in un volume di larga diffusione e per il resto pregevole (4) - che “il linguaggio della poesia è diverso per ciascuno di noi” e che “la poesia permette a ciascuno di usare il suo linguaggio” - presupposti, questi, che, com’è evidente, priverebbero di determinatezza e di univocità, e dunque di funzionalità, qualunque forma di comunicazione linguistica, poetica o meno. (5) Il pubblico, in conclusione, si rifiuta giustamente di sborsare quattrini per trovarsi tra le mani pagine gremite di caratteri tipografici assolutamente vuoti di significato, su cui certa critica parolaia fonda le sue fiorite e indisponenti elucubrazioni.
I critici, giust’appunto, non hanno certo favorito la conoscenza e la diffusione della poesia contemporanea. “L’illustrazione di un’opera”, scrive ancora Ladolfi, “invece di mirare alla chiarezza, alla perspicuità, alla linearità, diventa spesso un esercizio di critichese, in cui sono motivi di vanto il fatto di non essere compresi, l’adozione di espressioni rare e raffinate e soprattutto un lessico individualistico” - quello stesso che, come abbiamo visto, rende incomprensibile anche certa poesia - “che impedisce una immediata comprensione”(6). Credo di non avere nulla da obiettare o da aggiungere.
La poesia non è poi andata immune da un male che affligge, indistintamente, tutti i generi letterari: quello delle recensioni “pilotate” da interessi editoriali, da amicizie altolocate e da scambi di favori, a causa del quale opere in sé pregevoli, pubblicate però da autori sconosciuti sotto sigle editoriali deboli e desuete, restano spesso prive di valutazione critica e dunque di lettori. “Se ci interroghiamo sul peccato più grave per un critico,” scrive il noto poeta Gianni D’Elia, “non possiamo non indicare l’omissione, che resta mortale per la letteratura a venire; perché lascia soli, nell’ombra del puro rifiuto preventivo, isolati, senza confronto ulteriore” (7). Qualcuno dovrebbe correre a confessarsi.
Da ultimo una parte di responsabilità è da imputare al pubblico, che peraltro potrebbe avanzare come scusanti i limiti e l’arretratezza di un’istruzione scolastica che, presentando spesso la poesia come un inerte oggetto di analisi nozionistica e pedantesca, non invoglia certo a coltivarne la lettura dopo la fine degli studi. A volte, comunque, la palese indifferenza del pubblico nei riguardi delle opere in versi è chiaro sintomo di una pigrizia intellettuale e di xun’aridità interiore del tutto prive di giustificazione.
In questi ultimi tempi varie iniziative editoriali e culturali - come lo stesso allestimento, nell’àmbito dell’attività di Università Aperta, di corsi dedicati alla poesia - sembrano aver creato i presupposti per la diffusione e la “divulgazione” di questa forma d’arte presso un pubblico più vasto. L’importante è che questa “divulgazione” non si trasformi in banalizzazione, e che non si cerchi di privare forzatamente e artificiosamente la poesia di quella profondità e di quella complessità che - se contenute entro i limiti della comunicabilità e della “leggibilità” - ne costituiscono le caratteristiche fondamentali. Bisogna, in altre parole, portare, con disponibilità, competenza e soprattutto, alla luce di quanto si è detto, chiarezza, il pubblico verso la poesia, non “ridurre” la poesia per portarla verso il pubblico.
Matteo Veronesi
(1) G: CONTE, Sullo stato della poesia, “Poesia”, VII (1994), n. 72, pp. 72-73
(2) G. LADOLFI, Presentazione di Incontro di poesia 1994, Borgomanero, Centro culturale “Don Bernini”, 1994, p. 4
(3) GIULIO C. LEPSCHY, La linguistica strutturale, Torino, Einaudi, 1966, p.57
(4) D. BISUTTI, La poesia salva la vita, Milano, Mondadori, 1992, pp. 26-27
(5) Chi fosse interessato ad un’analisi più ampia del problema, condotta secondo la prospettiva qui delineata, potrebbe dare un’occhiata al mio scritto Il segno e l’anima: la poesia tra significante e significato, “Il lettore di provincia”, XXV (1994), fascicolo 89, pp. 59-67
(6) G. LADOLFI, Presentazione, cit., p.5
(7) G. D’ELIA, Poeti senza critici?, “Poesia”, cit., pp. 71-72