(Premio Fabio Scovenna 1994)
Cosa facciamo, amici miei, stasera -
quale deserto, quale nero oceano
vuoto e calmo come il nostro cuore
nasconderemo dietro una vana danza, dietro il breve e fragile
trionfo del corpo e della luce
E dove andremo questa sera, amici,
se il nostro andare è simile alla quiete -
i centri si rincorrono, i confini
vaghi vaniscono in un folle fumo
e quiete implora il nostro passo stanco
nel suo segreto e doloroso sognare d'una meta
Ma quando a sera, tra le rosse nubi,
sanguinerà silente il nostro Dio malato
e tenebre scortesi sporcheranno i nostro cielo tiepido
cosa faremo, dove andremo, come
inganneremo la molesta corsa delle ore
e la vogliosa lena delle membra
Ci accoglieranno come ansiose madri
i quartieri dormienti, le vetrine
allucinate, il cieco moto delle vaste vie
e il remoto brusio delle balere -
cos'altro mai ci potrà ancora dare
la nostra sazia età, bramosa
ed annoiata, la furiosa morte
di questo nostro secolo indeciso -
che cosa ancora ci saprà celare
nero e dolce il sorriso della Notte
Ma adesso andiamo, andiamo, amici, è tardi