SATURNIA PYRI


[«Taccuino», VII, 1993, p. 45 – ripubblicata qui con varianti e con l’aggiunta di una seconda sezione]



I


Delle tue ali vidi il bruno fremito

venire dai pomari sepolti nella bruma

come il volo impaurito della tortora

smarrita nel traffico, il frullo

del passero sugli orti intorpiditi

nella tetra dolcezza della neve


E come te, inaridita foglia che rapisca

il gelido fiato dell’inverno,

come sai fragile sorgere dal buio

nell’odore della terra addormentata –

e come ascendi all’elettrica aureola dei fari

sul campo di calcio, e la tua opaca vertigine catturano

il folto moto dei corpi e il verde smalto,

come te, rara e brutta farfalla che s’avvinghia

inavvertita alle vesti di un atleta

che poi annega, bestemmiando, nelle docce

quell’animale anomalo e deriso

che l’indicibile incanto sa del volo

e intanto picchia, furioso, contro i muri –

ancora sorge, non so come, il canto


II


La farfalla d’inverno, grande e bruna

che volava nel vuoto delle absidi

stregata dal fuoco dei ceri, infeconda

testimone del verbo ormai fioco

che ancora sparge il nostro dio affievolito –

sfuggita alla nebbia, all’affanno

dei motori, al nerofumo rappreso

nell’aria, sui muri, sulle grazie

esili delle antiche statue –

come non crederla simile a voi, mie parole agghiacciate

dalla neve dei fogli

da questo inverno che come bestie implumi brucia

i nomi, le teorie