Pipistrelli, Locusta migratoria, Lepisma saccharina, «Arenaria», IX (1992)

PIPISTRELLI


In certe notti d'estate, se passo

in bicicletta svelto sotto gli alberi

che inonda il chiaro pianto della luna

e mi sorprende un fruscio tra le alte fronde, un fremito

d'ali veloce nel buio, allora

indovino il vostro antico terrore


Vispi signori della notte

che un tenue rumore spaventa, una lama

di luce che fende innocente

il buio del viale -

illudete gentili

la mia debolezza, portatemi un poco col vostro

aereo tumulto nel dolce

oblio dei solai, nel chiuso degli antichi giardini, nel sonno

altero che forse nasconde

la miseria del giorno


LOCUSTA MIGRATORIA


Come un mercante antico hai conosciuto

il silenzio lontano dei deserti, il vasto gemito

delle genti remote le cui messi

ardue incolpevole hai distrutto

con miriadi e miriadi di compagne,

al vostro volo insonne che ha confuso

le pale degli aerei si è dischiuso

il sorriso infinito del mare


Come la nebbia che si apprende ai vetri, come

la briciola del tuono che si schianta

contro la nera curva delle nuvole

leggera e inerte ai voleri dell’aria

hai attraversato le nostre città


E in certi pomeriggi dell’inverno

ti sorprendiamo sui nostri davanzali –

altro di te ricordo non ci lasci

che lo stanco stupore degli occhi, la nostra

mano disgustata che da sé ti scrolla, il tuo

volo intirizzito nel vuoto


E sulle scale la mia suola sorda

si alza e si abbassa per darti una morte

che non so credere ingiusta –

né so, in fondo

chi fra te e me è più debole, o più forte


LEPISMA SACCHARINA


Non so perché ti chiamino

pesciolino d’argento –

in te non vedo

il cieco precipitare dei torrenti

né del mare la mobile inquietudine

né la corsa letale all’esca sorpresa

nella luce dell’attimo, sul filo

dell’acqua sospesa, lontana

nella gloria dell’alto chiarore –

vita infinitesima che nascostamente respiri

dai nostri sensi ottusi, nelle pieghe

del buio e della polvere


Torva regina dei battiscopa

dietro cui pulsa un sangue preoccupante –

piccola lesta diva disdegnosa

di tante pazze animule che brulicano

nell’angusta notte degli stipiti –

in te un poco mi vedo, che sai vivere

ostinata finanche tra le pagine

dei vecchi libri rinnegati e obliati

rodendone paziente le infinite fibre, dietro

gli specchi mangiati dagli anni –

ora che mute sono le parole

labili di molti, spenti i cuori

che la terra disfece, e stanco, a volte

in qualche morta immagine mi vedo