LEGGENDO LEVI, I SOMMERSI E I SALVATI

Alcuni studenti della classe 3F condividono alcuni passi di “I sommersi e i salvati” e libere riflessioni suscitate dalla lettura dell’opera di Levi.


“La vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa.”


Con poco più di tre righe, Primo Levi, riesce a far comprendere al lettore una delle più grandi ingiustizie mai avvenute nella storia; la colpa “introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono”, che come un fulmine a ciel sereno piomba nelle vite di milioni di persone. Una pena generata da menti contorte e da bocche incattivite; una voce che come un virus passa da persona a persona, divenendo sempre più altisonante ed estremo, echeggiando, fino a divenire fatto scritto su carta ed infine legge. 

Se ieri eri ritenuto una persona comune come le altre, oggi invece sei un demone, responsabile di tutte le disgrazie del mondo ed in quanto tale meriti una nefanda sofferenza. 

La tua replica non può nulla contro l’odio pilotato, ormai il pensiero si è radicato nelle menti dei più; ogni segno di volontà ribelle verrà cautamente impossibilitato anche solo a balenare poichè la tua dignità rasenterà il nulla di fronte all’inumana violenza che ti spetta. 

Gioele Maria Mazzotta, 3F



“Eppure la sua figura fu più complessa di quanto appaia fin qui (si riferisce a Chaim Rumkowski, un ebreo che godeva di una certa fama, fu nominato dai nazisti come presidente del ghetto di Łódź; Primo Levi afferma che il suo periodo di presidenza non sia stato diverso da una dittatura). Rumkowski non fu soltanto un rinnegato ed un complice; in qualche misura, oltre a farlo credere, deve essersi progressivamente convinto egli stesso di essere un messia, un salvatore del suo popolo, il cui bene, almeno ad intervalli, egli aveva pure desiderato. Occorre beneficare per sentirsi benefici, e sentirsi benefici è gratificante anche per satrapo corrotto. Paradossalmente, alla sua identificazione con gli oppressori si alterna o si affianca un’identificazione con gli oppressi, poiché l’uomo, dice Thomas Mann, è una creatura confusa; e tanto più confusa diventa, possiamo aggiungere, quanto più è sottoposta a tensioni: allora sfugge al nostro giudizio, così come impazzisce una bussola al polo magnetico.” 


Primo Levi considerando Rumkowski come modello parla di dell’essere umano in generale, in particolare su come esso si attratto e ossessionato dal potere in tutte le sue forme. Rumkowski aveva, infatti, protetto e rafforzato il la sua carica in ogni modo, tuttavia c’è qualcos’altro da tenere in considerazione: la persona di Rumkowski non era totalmente iniqua, di conseguenza per lui fu impossibile accettare la sofferenza che aveva causato; si stava perciò inconsciamente convincendo di essere una specie di salvatore che, oltre a pretendere rispetto e obbedienza, ambiva amore dai suoi sudditi; questo pensiero viene sottolineato dalle parole di Thomas Mann l’uomo,[...] è una creatura confusa; e tanto più confusa diventa, possiamo aggiungere, quanto più è sottoposta a tensioni:.

Pietro Zantedeschi, 3F



“Le Squadre Speciali erano costituite in massima parte da ebrei. Per un verso, questo non può stupire, dal momento che lo scopo principale dei Lager era quello di distruggere gli ebrei, e che la popolazione di Auschwitz, a partire dal 1943, era costituita da ebrei per il 90-95%; sotto un altro aspetto, si rimane attoniti davanti a questo parossismo di perfidia e di odio: dovevano essere gli ebrei a mettere nei forni gli ebrei, si doveva dimostrare che gli ebrei, sotto-razza, sotto-uomini, si piegano ad ogni umiliazione, perfino a distruggere se stessi. D’altra parte, è attestato che non tutte le SS accettavano volentieri il massacro come compito quotidiano; delegare alle vittime stesse una parte del lavoro, e proprio la più sporca, doveva servire (e probabilmente servì) ad alleggerire qualche coscienza.”


Questo brano è tratto dal libro “I sommersi e i salvati” scritto da Primo Levi nel 1986, alla luce della riflessione sulla sua esperienza di internamento nel lager di Auschwitz, durata dal 1944 al 1945. Appena un anno dopo aver pubblicato questo libro, Levi si è tolto la vita.

Le Squadre Speciali erano per la maggior parte formate da ebrei, si trovavano in ogni campo di sterminio ed il loro compito era il più disumano, di una perfida malignità e ferocia tali da risultare forse incomprensibili. Il compito giornaliero che veniva affidato a queste squadre di ebrei era quello di sgrovigliare gli ammassi di corpi quotidianamente uccisi nelle camere a gas, trasportarli nei forni e infine raccogliere le loro ceneri. Per due principali motivi si cercava tra i prigionieri stessi i membri di queste squadre. Il primo motivo è ben spiegato da Levi nel passaggio sopra trascritto: l’odio verso gli ebrei era talmente sconsiderato da spingere i loro oppressori a progettare un modo per costringere le loro vittime a sottoporsi all’umiliazione più crudele di distruggersi da sole, contribuendo al proprio stesso sterminio.

Il secondo è un motivo più tragicamente pratico. Le vittime e gli oppressori avevano una fondamentale caratteristica in comune, ovvero erano entrambi esseri umani, ed è per la complessità dell’uomo che a volte risulta difficile dividere tra vittime e oppressori. Come spiegato da Levi, nel lager si trovavano numerosi e ambigui fronti. Il compito compiuto dalle Squadre Speciali era talmente inaccettabile e disumano che anche l’uomo più convinto tra gli oppressori non sarebbe stato capace di convivere con esso: un male tale da non poter essere retto da nessuna mente umana. Tra gli ebrei di queste squadre, racconta Levi, veniva distribuita un grande quantità di alcolici, in modo da mantenere i prigionieri in uno stato di costante ubriachezza e consentirgli di svolgere le loro mansioni. Per un uomo identificabile come un complice di un tale sterminio, invece, l’alcol non sarebbe potuto bastare neanche lontanamente, per consentirgli di compiere quotidianamente un tale scempio. In questa situazione quell’uomo si sarebbe riconosciuto colpevole di un crimine indescrivibile e illimitato. 

È compito di ognuno di noi essere consapevoli di ciò che ci circonda, capire in nome di chi o di cosa si sta agendo, e cercare di comprendere, per quanto difficile, ciò che è accaduto in modo da poterlo ricordare per sempre e orientarsi nelle scelte future in base a tale memoria.

uno studente di 3F



«Visto che li avreste uccisi tutti... che senso avevano le umiliazioni, le crudeltà?», chiede la scrittrice a Stangl, detenuto a vita nel carcere di Düsseldorf; e questi risponde: «Per condizionare quelli che dovevano eseguire materialmente le operazioni. Per rendergli possibile fare ciò che facevano». In altre parole: prima di morire, la vittima dev’essere degradata, affinché l’uccisore

senta meno il peso della sua colpa. É una spiegazione non priva di logica, ma che grida al cielo: è l’unica utilità della violenza inutile.


Questo è l’ultimo passo del capitolo V del libro i sommersi e i salvati che pone una domanda che viene quasi spontanea: “A cosa servivano tutte quelle umiliazioni se poi venivano uccisi?”. 

A questa domanda si risponde cercando di dare una giustificazione agli atti atroci commessi, la risposta è ancora più sconcertante: come si può affermare che serve violenza per accettare la violenza! Se veramente questi soldati avessero avuto bisogno di essere condizionati per uccidere così tanti esseri umani, non ci sarebbero riusciti a prescindere. Quel peso alleggerito della coscienza non è altro che una mera illusione, non si può andare avanti senza ripensare a quei volti di uomini, donne e bambini che si è uccisi con le proprie mani senza un vero motivo: sono azioni che segnano per sempre. Per questo non possiamo parlare di utilità di una violenza inutile, perché se fosse realmente così questa tragedia sarebbe destinata a ripetersi. Non può esistere una violenza utile. Se iniziamo a capire questo, allora forse riusciremo a rendere la terra un posto migliore.  

 Dan Signoretto 3F



La violenza, con la sua atrocità, pur avendo sempre provocato soltanto dolori e danni, ha fissato la sua impronta sulla storia dell’umanità, sotto forma di genocidi etnici e guerre tra due o più nazioni. Questo è sempre stato palese per tutti, ma allora perché sono avvenute tutte queste guerre? Infatti, i protagonisti di ogni guerra e genocidio (i governi e gli eserciti delle varie nazioni) hanno sempre affermato di avere come scopo il bene di loro stessi e delle proprie nazioni nell’ambito politico (potere), economico (possedimento di più risorse economiche possibili), sociale, etno-culturale, demografico e religioso - ambiti che hanno provocato l’avvenimento delle guerre ed i loro effetti, inutilmente disastrosi per ogni persona coinvolta, a prescindere dai loro esiti. Per esempio, l’Olocausto non è stato provocato dal nulla. In base a tutto questo stava il mito di una razza umana superiore alle altre, che per Hitler era la razza ariana. Gli ebrei (e non solo) vennero quindi ritenuti inferiori e perciò meritevoli del proprio scomparire dalla faccia della terra. Ma Hitler non ha mai tenuto conto del fatto che gli esseri umani di nascita e di natura siano tutti uguali - tutti dotati di sangue rosso, ragione, sensi, sentimenti, e che hanno gli stessi diritti e la stessa dignità umana. Questi complessi di superiorità e/o inferiorità, i mezzi disumani di eliminazione di massa che andarono oltre all’immaginazione umana per gli scopi disumani dei nazisti, l’uccisione di 6 milioni di ebrei (tra cui 1 milione e mezzo di bambini); tutto ciò ha avuto benefici ed utilità?[...]. E dunque, quest’è la violenza: un processo distruttivo che porta risultati distruttivi, del quale non c’è bisogno quando invece possiamo vivere in pace e serenità, garantendo così il bene comune di tutta la società umana.

 Eriseld Coku, 3F



Perché lo hai fatto? Ti rendevi conto di commettere un delitto?

Le risposte a queste due domande, o ad altre analoghe, sono molto simili fra loro, indipendentemente dalla personalità dell’interrogato. Espresse con formulazioni diverse, e con maggiore o minor protervia a seconda del livello mentale e culturale di chi parla, esse vengono a dire tutte sostanzialmente le stesse cose: l’ho fatto perché mi è stato comandato; altri (i miei superiori) hanno commesso azioni peggiori delle mie; data l’educazione che ho ricevuta, e l’ambiente in cui sono vissuto, non potevo fare altro; se non l’avessi fatto, l’avrebbe fatto con maggiore durezza un altro al mio posto. 


In queste condizioni c’è bensì chi mente consapevolmente falsificando a freddo la realtà stessa, ma sono più numerosi coloro che salpano le ancore, si allontanano, momentaneamente o per sempre, dai ricordi genuini, e si fabbricano una realtà di comodo. Il passato è loro di peso; provano ripugnanza per le cose fatte o subite, e tendono a sostituirle con altre. La sostituzione può incominciare in piena consapevolezza, con uno scenario inventato, mendace, restaurato, ma meno penoso di quello reale; ripetendone la descrizione, ad altri ma anche a se stessi, la distinzione fra vero e falso perde progressivamente i suoi contorni.


 Se i carnefici intenzionalmente o per un subdolo meccanismo naturale della propria memoria modificano la propria percezione degli eventi plasmando una realtà in cui non hanno avuto impatto sulla tragedia avvenuta e le vittime superstiti non hanno più forza di raccontare la vera storia viene persa per sempre. É qui che il ricordo popolare diventa necessario, dove la memoria di un singolo può modificare gli eventi, la comunità deve mantenere viva la storia, vivo il ricordo di ciò che fu, per rispetto nei confronti delle vittime ma soprattutto per rispetto delle generazioni future affinché simili eventi non si ripetano più sul nostro pianeta.

É dunque fondamentale che ogni persona custodisca in sé il ricordo e la volontà di non dimenticare.

 Caterina Tosetti , 3F