UNA PAGINA IN PIÙ 

libri

LA NOTTE

di E. Wiesel 

 

Yina Cantamesse

 

Testimonianza. Una delle tante. Unica. Cruda. Vera. Incredibile. Spaventosa. L’oscurità dell’inchiostro descrisse l’oscurità che discese su una terra abbandonata: la sua, la mia, la tua. La terra dell’orrore. E discese la notte. -Perché vuoi assolutamente che si creda a ciò che dici? Al tuo posto la cosa mi lascerebbe indifferente, che mi si creda o no… Lui chiuse gli occhi, come per fuggire il tempo: -Tu non capisci -disse con disperazione. – Tu non puoi capire. Sono salvo per miracolo, sono riuscito a tornare fin qui. Da dove ho preso questa forza? Ho voluto tornare a Sighet per raccontarvi la mia morte, perché possiate prepararvi finché c’è ancora tempo. Vivere? Non ci tengo più alla vita. Sono solo. Ma sono voluto tornare, e avvertirvi. Ed ecco che nessuno mi ascolta. Il prima. L’indifferenza. Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Msi dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai. L’inizio. L’orrore. -Sia benedetto il Nome dell’Eterno! Ma perché, ma perché benedirLo? Tutte le mie fibre si rivoltavano. Per aver fatto bruciare migliaia di bambini nelle fosse? Per aver fatto funzionare sei crematori giorno e notte, anche di sabato e nei giorni di festa? Per aver creato nella sua grande potenza Aushwitz, Birkenau, Buna e tante altre fabbriche di morte? Come avrei potuto dirGli: «Benedetto Tu sia o Signore, Re dell’Universo, che ci hai eletto fra i popoli per venir torturati giorno e notte, per vedere i nostri padri, le nostre madri, i nostri fratelli finire al crematorio? Sia lodato il Tuo Santo Nome, Tu che ci hai scelto per essere sgozzati sul Tuo altare»? Il durante. Il silenzio. Riflettevo così quando sentii il suono di un violino. Il suono di un violino nell’oscura baracca dove i morti si ammucchiavano sui vivi. Chi era quel pazzo che suonava il violino qui, sull’orlo della propria tromba? O era solo un’allucinazione? […] L’oscurità era totale. Sentivo soltanto quel violino ed era come se l’anima di Juliek gli servisse da archetto. Suonava la sua vita. Tutta la sua vita scivolava sulle corde. Le sue speranze perdute, il suo passato bruciato, il suo avvenire spento. Suonava quello che non avrebbe mai più suonato. Il dopo. La notte. Tre giorni la liberazione di Buchenwald io caddi gravemente ammalato: un’intossicazione. Fui trasferito all’ospedale e passai due settimane fra la vite e la morte. Un giorno riuscii ad alzarmi, dopo aver raccolto tutte le mie forze. Volevo vedermi nello specchio che era appeso al muro di fronte: non mi ero più visto dal ghetto. Dal fondo dello specchio un cadavere mi contemplava. Il suo sguardo nei miei occhi non mi lascia più. 

La fine. La morte.