Digressioni ecologiche

La salinità del mare

La salinità del mare è dovu­ta quasi certamente al dilava­mento continuo delle rocce da parte delle acque di scorrimento e all'apporto del magma che di tanto in tanto affiora. Proprio perché tale processo è continuo, nel tempo la sa­linità avrebbe dovuto aumentare. Esistono inve­ce prove geologiche in base alle quali si può stabilire che esso è sempre rimasto fisso media­mente al 3,4% per Chilogrammo, in modo da consentire alcune importanti reazioni biochimiche, per mezzo delle quali la vita è stata possibile. Nessuno sa con certezza e pre­cisione come ciò sia avvenuto e avvenga tuttora; come cioè venga rimosso il sale in eccesso.

È probabile che in bracci di mare isolati, dove non sfociano grossi fiumi e l'evapora­zione è elevata, esistano zone di alta concentrazione di sale che tende perciò a cristallizzarsi e a venire sotterrato dai detriti. È proba­bile, poi, che i sali vengano fissati da vari organismi e siano por­tati nel sedimento quando questi organismi muoiono e cala­no nei fondali. Le barriere coral­line, costituite da carbonato di calcio, potrebbero avere anche un ruolo importante. Anche la formazione della banchisa, il ghiaccio oceanico non salato attorno alle calotte polari, potrebbe essere decisiva. L'acqua maggiormente salata che rimane è più pesante e sprofonda negli abissi oceanici, venendo rimpiazzata dalle acque superficiali provenienti dalle zone tropicali. Questo fenomeno di grosse proporzioni, chiamato circolazione termoalina, determina le correnti oceaniche che influenzano il clima di tutto il pianeta, rendendolo più mite, e che fanno in modo che le acque di tutto il globo non siano stagnanti, fatto questo che sarebbe deleterio, perché succederebbe quello che è successo 250 milioni di anni fa, quando …………….

La biodiversità

Senza la diversità biologica, con ogni probabilità, la specie umana non avrebbe mai raggiunto l'attuale livello di vita. Giusto per inquadrare la que­stione, possiamo notare ad esem­pio che gran parte degli ani­ma­li e delle piante di cui ogni giorno ci serviamo provengono da varie parti della Terra dove per lungo tempo hanno potuto evolversi e prosperare tranquil­lamente: il cavallo da alcune regioni asiatiche e americane; il bufalo dall'isola di Borneo, dall'isola di Celebes e dall'India; il baco da seta dalla Cina; il gallo anch' esso dall' India. Il caffè, il cacao, il mais, il fa­giolo, la pata­ta, il pomo­doro e il peperone pro­vengono dal continente ameri­cano; il tè e la canna da zucchero ancora una volta rispettivamente dalla Cina e dall'India.

Anche oggi potrebbero esserci delle novità molto importanti. Della Vinca rosea abbiamo già accennato. Di un'altra pian­ta, che costituisce un esem­pio primario della necessità di con­servare la diversità biologica, accenniamo brevemente ora. Essa è l'albero di Neem (Azadirachta indica), una specie che merita senz'altro studi scien­tifici e attenzione da parte anche degli imprenditori. Il Neem, infatti uccide i batteri orali, come dimo­strato dai denti sani di Africani e Sudasiatici che si puliscono i denti con rametti di questa pian­ta; cresce rapidamente anche in terreni poveri e può essere perciò utilizzato con successo per pro­getti di riforestazione; offre buona legna da ardere e può essere usato per fabbricare saponi e lubrificanti naturali. L'olio ottenu­to dai suoi semi combatte anche la salmonella, gli stafilococchi, i virus, il dolore e promette bene anche come contraccettivo. Dal Neem, infine può essere estratto un pesticida che agisce contro più di 200 specie di insetti e non sembra essere pericoloso per gli animali superiori.

Quanto sia importante la diversità biologica anche nell’ambito di una stessa specie lo si può comprendere da un esempio classico costituito dalle farfalle che vivono sulla corteccia bianca delle betulle. Esse quasi sempre sono di colore bianco, per cui non sono visibili ai predatori. Nell’ambito di questa specie esiste anche qualche farfalla nera, che, contrariamente, viene subito individuata. Nonostante questo handicap, la Natura decide che una parte molto piccola di queste farfalle continui ad avere un colore nero. Orbene più di un secolo fa, in Inghilterra, quando a causa dei fumi delle fabbriche la corteccia delle betulle divenne scura, fu questo apparente difetto della specie che consentì la non estinzione delle farfalle.

Paradosso del PIL

L'economista Robert Repetto ha dimostrato che, seguendo gli schemi dell'economia classica, si genera il paradosso secondo cui i disastri ecologici rendono. Infatti, quando bisogna ovviare a situazioni più o meno gravi, vi è una maggiore domanda di beni e servizi appositi, sia da parte dei singoli e delle aziende, sia da parte delle varie amministrazioni, cosicché per soddisfare le richie­ste, chi è in grado di farlo, au­menta la produzione ricevendo un determinato controvalore e ri­chiama a sé altra forza lavoro, che, quindi, trova una occupazione. In questo modo aumenta anche il Pil, ossia il prodotto interno lordo, che è l'attuale quanto antiquato mezzo per quantificare la ricchezza di uno stato.

A parte il fatto che non è logi­co né umano che l'occupazione venga realizzata a scapito dell'ambiente e della vita degli stessi occupati, nel computo delle ricchezze di un Paese vanno inserite anche la varietà di animali e di piante disponibili, nonché le condizioni dell'assetto idro­geografico dello stesso. Beni “in natura”, questi, che costituiscono il cosiddetto “capitale di base” su cui può fondarsi una salda eco­nomia. Senza un siffatto capitale o comunque, in presenza di detto capitale che sempre più si assot­tigli, oltre ad essere in pericolo la sopravvivenza fisica nostra e ancor di più dei nostri figli, i debiti con l'estero sono destinati a crescere, come è destinata a crescere la dipendenza economica da altri paesi e la precarietà del lavoro.

Sullo stesso argomento Hans Glauber, responsabile dell'eco-isti­tuto di Bolzano, ha dichiarato: « ... continuare a rimandare la pro­tezione ambientale è un lusso che non possiamo permetterci, perché vuol dire generare costi che ormai cominciano ad incidere pesante­mente sulle stesse possibilità di produzione... in Italia... l'inquinamento nel 1988 è costato 138 mila miliardi... Nel 1989 è stato stimato che, som­mando i costi ecologici e sociali del traffico, cioè mettendo nel conteggio i danni ai monumenti, alle piante, ai polmoni, si arriva a 286 mila miliardi di lire, cioè ad 8 milioni per autoveicolo». E tenete presente che la citazione risale già a diversi anni fa.

È logico e conveniente per­ciò che un contributo non solo all'occupazione, ma anche al benessere di tutti, venga, fra l'altro, da attività preventive legate alla tutela del territorio, finanziate con fondi pubblici e privati.