Introduzione

________________________________________________

1. Introduzione 2. Aspetti morfologici e sintattici. 3. Proverbi 4. Modi di dire 5. Benedizioni, "Jestigne" (maledizioni bonarie), caricature e filastrocche 6. Nomi di luoghi e di persona 7. Bibliografia e sitografia

A B C D E F G I J L M N O P Q R S T U V Z

________________________________________________

Prefazione

La ricerca che ho condotto, anche insieme ad altri, mi ha veramente appassionato. Accanto alle parole e alle espressioni che ancora oggi si usano, è stato affascinante riscoprire termini e modi di dire legati alla tradizione contadina, che appartengono ad un passato ormai lontano, un passato in cui la lealtà e la stima rappresentavano valori senz’altro più radicati. “Mpajàre”, “morsièddu”, “puòju”, “vruscjle”, “dornalièttu” sono solo alcuni esempi di azioni, di oggetti, di situazioni e di un modo di comunicare che non ritornerà più.

Molti luoghi calpestati per centinaia e centinaia d’anni, con un nome che aveva un preciso significato, oggi sono come scomparsi, poiché nessuno vi mette più piede o vi andrà, ad eccezione di qualche cacciatore o di qualcuno che va in cerca di funghi. La vita ormai si svolge altrove. Altri luoghi sono certamente conosciuti, ma il significato delle parole che li indicano è misterioso. “Paravisièddu” (piccolo paradiso), “Vestalorta” (vista degli orti -?-), “Arcuacchianu” (salgo verso l’arco -?-), “Portèdda” (piccola porta), “Curtina” (piccola corte), sono forse appellativi che si rifanno alla presenza di un castello ormai diroccato e seppellito dal tempo, che affiora ancora qua e là, sul quale esistono diverse leggende che parlano di un “trisòru”, di cunicoli sotterranei e altro.

Sono cambiati e cambieranno anche i nomi delle persone. Nessuno che nascerà verrà più chiamato “Totònnu”, “Franciscu” o “Cuncetta”; saranno indubbiamente preferiti i corrispondenti nomi in italiano. E’ anche questo un fenomeno da analizzare. Un’ipotesi è che nell’immaginario collettivo l’abbandono del dialetto sia sinonimo di modernità. Sarà vero?

In una comunità in cui l’uso dell’italiano sta diventando esclusivo, riteniamo utile non disperdere quel patrimonio culturale che per secoli ha fatto parte della quotidianità dei nostri predecessori, fatto di tantissime parole che hanno una propria musicalità, che spesso non trovano corrispondenza in altre lingue o in altri dialetti, denotando perciò ricchezza e coloritura espressiva uniche.

Altrettanto unica è la pronuncia di alcune sillabe, che caratterizzano e distinguono il dialetto altavillese anche dal dialetto dei paesi vicini. L’etimologia delle parole è invece comune: molte di esse derivano dal greco, dal latino, dallo spagnolo, dal catalano, dal francese, dal provenzale; molte altre, ma in misura minore, dal portoghese, dal tedesco, dall’arabo, dal turco, dal gotico, dal longobardo, dall’albanese, dal dialetto napoletano, da quello siciliano, pugliese e toscano; alcune hanno origine direttamente dall’italiano o hanno una derivazione incerta.

La raccolta è costituita da migliaia di voci, alcune delle quali molto vicine alla pronuncia italiana, fatta eccezione per certe sostituzioni, ad esempio della “o” con la “u”, sia all’interno che alla fine della parola (coniglio = cunigliu; violino = violinu). Molte di queste voci sono state perciò omesse, proprio perchè non presentano particolarità. Tante altre non compaiono perché l’unica differenza con la traduzione in italiano è lo spostamento dell’accento tonico. Altre ancora non sono state riportate perchè troppo volgari o di cattivo gusto. Parecchie, invece, sono veramente curiose, e a volte non sono stato in grado di spiegarle esaurientemente; in questi casi compaiono dei punti interrogativi. Mancano sicuramente parecchie altre voci che speriamo di aggiungere prossimamente.

Origine del nostro dialetto

Il dialetto altavillese appartiene a quel gruppo di dialetti che orbitano intorno alla valle del Crati, ove erano presenti anticamente i Brettii o Bruzi. La colonizzazione dei Greci, le invasioni dei Saraceni, l’affermarsi della lingua latina degli antichi Romani, le dominazioni dei Normanni (Norvegesi), degli Svevi (Germanici), degli Angioini (Francesi), degli Aragonesi (Spagnoli), degli Asburgo (Austriaci), dei Borbone, nonché gli anni di dominio napoleonico, influenzarono molto il nostro territorio, che aveva come fulcro centrale Napoli.

Per l’appunto, il dialetto altavillese è classificato come una specie di variante locale del dialetto napoletano, caratteristica della Calabria Settentrionale, un tempo Calabria Citeriore.

Dopo l’Unità d’Italia e con l’avvento dei Savoia il nostro dialetto ha iniziato ad italianizzarsi. La diffusione delle scuole, l’affermarsi capillare della stampa, della radio, prima, e della televisione, poi, nell’arco di poche decine di anni hanno fatto il resto. Molte parole sono state sostituite da altre più moderne, molte sono sparite perché legate ad antichi mestieri che non ci sono più. Prendiamo ad esempio la parola suglia, che identificava un attrezzo col quale i calzolai foravano il cuoio: i calzolai sono spariti e quindi anche detta parola è sparita.

Oggi i giovanissimi quasi non parlano più il dialetto, se non in cerchie ristrette, come quelle familiari o degli amici di quartiere; i contesti sono diversi, più… per così dire globali. L’affermarsi della lingua inglese, Internet e Facebook hanno dato la mazzata finale. Ma mai nessuno strumento di comunicazione, per quanto potente sia, potrà mai avere la forza espressiva e umana di una vera e propria lingua che ha più di 2500 anni storia. In essa sono presenti centinaia proverbi, modi di dire ed espressioni tipiche che nulla hanno a che fare con le frasi anonime e con lo scarno vocabolario oggi in circolazione.

L'uso del dialetto

Come riferisce il prof. Tullio De Mauro ne "La lingua italiana e i dialetti - Basilicata e Calabria", l'uso del dialetto, molto diffuso nei piccoli centri, è un fenomeno tipicamente italiano. Gli antichi Romani non imposero mai la loro lingua, ma il latino era utile per capirsi con i popoli vicini, così ogni comunità lo apprese con regole e pronunce proprie, diverse da quelle di luoghi limitrofi. Il frazionamento politico dell'Italia contribuì enormemente al fenomeno.

E' interessante notare, e non so quanti studiosi se ne siano occupati, che esistono strane somiglianze e inspiegate diversità anche fra contrade che distano pochi chilometri. E' il caso di Altavilla con Lappano, San Pietro in Guarano e Castiglione Cosentino. Per ragioni che mi sfuggono, il dialetto altavillese, e ancor di più quello di Lappano centro, è quasi identico a quello castiglionese, a parte una inflessione ancora più marcata di quest'ultimo e qualche parola in cui c'è una differenza solo di vocali (ad Altavilla, ad esempio, si dice rusedde, per indicare le caldarroste, mentre a Castiglione si dice rosedde); il sampietrese, invece, si distingue per alcune sue peculiarità, come ad esempio l'intromissione della "r" in mezzo con la doppia "d" (castieddu-castieddru).

Nonostante oggi sia necessario imparare bene l'italiano, il dialetto rappresenta un enorme patrimonio culturale che non si può disperdere. Non si possono dimenticare le grandi opere del passato scritte in vernacolo, come non si possono dimenticare nemmeno le frasi e i modi di dire dei nostri luoghi, insuperabili per il loro livello espressivo e che fanno parte della nostra stessa umanità. Un solo esempio, per uscire un attimo dai nostri confini: le canzoni napoletane che hanno dato il via alla discografia mondiale.

Esiste una esperienza e una saggezza popolare fatta di espressioni spesso intraducibili in italiano o, se tradotte, depauperate e svilite.

Ho contato più di 3000 di queste espressioni, tra proverbi, modi di dire, filastrocche – usate anche nei giochi –, caricature sui nomi, indovinelli, benedizioni e "jestigne", cioè maledizioni, in gran parte bonarie. Tali manifestazioni linguistiche appartengono alla tradizione popolare e si trovano in tre mirabili opere di autori locali, che vi invito a leggere:

Calendariu santupetrise, dal 2007 al 2013, di Igino Iuliano, edito da Publisfera;

Chi te vija…! Fulmini terreni calabresi, di Maggiorino Iusi, edito da Città Calabria Edizioni, Gruppo Rubettino, 2007;

Calabria a memoria d’uomo, di Pietro Turano, Editoriale Progetto 2000, 1988.

Struttura dei lemmi

A volte l’etimologia dei termini è indicata tra parentesi, ma il presente lavoro non si occupa di ricerche etimologiche, essendo una attività riservata ai professionisti. I diversi significati sono preceduti dal segno # oppure dal “ ; ” e dalla “ , ”quando gli stessi sono rispettivamente simili o molto simili. In corsivo sono riportate alcune voci verbali oppure locuzioni o espressioni particolari.

________________________________________________

1. Introduzione 2. Aspetti morfologici e sintattici. 3. Proverbi 4. Modi di dire 5. Benedizioni, "Jestigne" (maledizioni bonarie), caricature e filastrocche 6. Nomi di luoghi e di persona 7. Bibliografia e sitografia

A B C D E F G I J L M N O P Q R S T U V Z

________________________________________________