Fino all'800

Per ciò che concerne la storia di Altavilla dai primi insediamenti fino al Risorgimento - sia pur, come già detto, con una elaborazione mia personale -, ho attinto, perlopiù, al lavoro di ricerca di Maggiorino Iusi, per il quale rimando alla "Sezione storica" del sito del Comune di Lappano e alle fonti bibliografiche e sitografiche.

Normalmente nelle pagine del sito, non ho usato note per non appesantire il testo; in ogni modo ho raggruppato in detta sezione tutta la documentazione della quale mi sono servito.

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Le origini del centro abitato

Fotografia di Marcello Fiore

Su un tufo ritrovato nei pressi della Chiesa della Madonna Assunta è scolpita la seguente epigrafe: “hoc conditum est” che, come riferito da Maggiorino Iusi, potrebbe significare “qui è ricordato, conservato o nascosto”. A parte il significato specifico di questa frase, altri reperti sembrano dare conferma al fatto che Altavilla sia sorta al tempo dell’Impero Romano.

I nomi di Corno (l'antico nome di Altavilla e del torrente a valle), Lappano e Guarano (San Pietro in), sono di origine latina. Anche Maggiorino Iusi conferma questa tesi.

Pare che la pietra tufaria che compare sia e principalmente nella muratura della chiesa madre, sia nella muratura di case limitrofe, provenga da cave poste a una certa distanza, per cui, il lavoro e l’impegno profuso per la costruzione del luogo di culto, fanno pensare all’esistenza di un centro abitato non di secondaria importanza.

Secondo la tradizione orale della popolazione e in base anche a ritrovamenti di residui ferrosi (ghisa), nella zona a valle, detta di Santa Caterina, esistevano trecento forgie, i cui incudini battuti dai magli si sentivano a miglia di distanza.

Esistono anche testimonianze dell'esistenza di fornaci per la cottura di mattoni e coppi, nonchè di calcare, cioè di fornaci per la produzione e lo spegnimento della calce.

Dotata di un proprio blasone, dal quale deriva quello attuale del comune, Altavilla, insieme a Lappano, fu, almeno per un certo periodo, sede di una delle Baglivedei Casali del Manco di Cosenza.

Nel 1222 Federico II di Svevia concesse a San Pietro in Guarano uno stemma con tre colli sormontati da tre torri: secondo alcuni lo stemma rappresentava i tre Casali che in quel periodo facevano parte della stessa Bagliva: San Pietro in Guarano, San Benedetto e Altavilla, centri abbastanza vicini e collegati molto bene a valle. Altre fonti fanno pensare che una delle tre torri rappresentasse anche Lappano.

Come suggerito dal Iusi, che da trent’anni o più studia i documenti relativi alle nostre contrade, la via Camera del paese si chiama così proprio perché qui c’era la Camera baiulare, cioè la sede in cui il balivo o baglivo esercitava la sua autorità amministrativa e giudiziaria; tale sede potrebbe essere l’edificio al numero 18 di detta via.

Sempre secondo una tradizione orale, vi fu un tempo in cui il paese veniva chiamato anche “Napoli piccolo”, forse perché vi soggiornava un signore abbastanza importante.

Vicus Casalis

Nel 1276 esisteva un centro abitato che faceva parte del Giustizierato di Val di Crati. Il suo nome era Vicus Casalis (chiamato poi Vicasale), localizzabile nella zona a valle della collina altavillese, sul versante Ovest, dove c'era una chiesa parrocchiale in tufo, dedicata al Protomartire Santo Stefano, da cui deriva il nome attuale della contrada.

Il vicus godeva di una posizione ottimale, sia per le colture che per le attività artigianali. Il torrente Corno era molto vicino ai campi e poteva essere facilmente incanalato. Sono visibili, a pochi metri dalla sponda, ruderi di antichi mulini ad acqua.

Ruderi di un antico mulino sul Torrente Corno

La fontana di Donnoianni costituiva inoltre una inesauribile risorsa di acqua potabile.

Antica Fontana di Donnoianni

Tale fontana è sormontata da un imponente sperone roccioso detto “Petra grubbàta”, cioè “Pietra bucata”, che, secondo la leggenda, recava l’orma del diavolo e celava un tesoro.

Sperone di roccia filladica sopra la fontana di Donno Ianni

C’erano diverse case sparse e terreni attraversati da una strada mulattiera della quale esistono tuttora tracce.

L'antica mulattiera di Vicasale

Il tracciato dell'antica mulattiera

In particolare esiste ancora un ponte di origini incerte, alto circa sei metri e largo tre, di pregevole fattura, che consentiva di attraversare agevolmente il torrente sia con animali, sia con carri e di giungere a San Benedetto in Guarano.

L'antico ponte di Vicasale - lato Ovest

La Motta di Corno

A partire dal 1343, in diversi documenti comparve il nome Motta di Corno, col quale, come suggerisce Maggiorino Iusi, veniva indicata “una torre sovrastante un gruppo di case tutte intorno circondate da mura”: l'odierna Altavilla, situata in cima ad una collina vagamente a forma proprio di corno, da cui probabilmente ebbe anche origine il nome del torrente che segna il confine col territorio di San Pietro in Guarano. La motta rappresentava praticamente un sistema di difesa introdotto nell’Italia meridionale dagli Angioini e che venne realizzato in questo luogo verso il 1300, per proteggere tutto il territorio circostante.

Ci furono altre vicende e non mancarono terremoti, pestilenze e carestie, per le quali vi rimandiamo all'apposita sezione.

L'edificio sede, forse, della Camera baiulare

A Corno abitarono persone di prestigio, come i notai Giovanni Leto e Nicola di Corno.

Igino Iuliano, riferisce che nel 1439 Corno partecipò alla "Rivolta dei villani", esasperati dagli eccessivi tributi. Innumerevoli persone si arroccarono nel castello, fino a quando il re scese da Napoli per sedare la rivolta: i ribelli furono sconfitti e abitato e terre messe a ferro e a fuoco. I danni furono gravissimi, tanto che la chiesa dovette essere riedificata da Manilio Terso nel 1596 sui ruderi delle mura perimetrali del castello.

Così come scoperto dal Iusi nell’Archivio di Stato di Napoli, nel 1461 Ferdinando I d’Aragona insediò nel castello di Altavilla una guarnigione di soldati al comando del capitano Maso Barrese. In quel tempo il paese contava più di 600 abitanti!

Nell'arco di un paio di secoli Vicus Casalis scomparve, così la chiesa del castello di Corno diventò sede della "Parrocchia di Santo Stefano Protomartire e della Beata Vergine Assunta", quando era "rettore" Don Fabrizio Rizzuto, cui successe, nel 1604, Don Antonio Morano. I beni della chiesa a valle vennero messi all'asta, ma la Statua lignea di Santo Stefano, rimase ivi custodita fino al 1952-1953, quando, come riferisce il signor Peppino Gallo, venne trasportata in processione al suono dei tradizionali tamburi fino alla chiesa della dell'Assunta.

Echi e leggende di un castello misterioso

L'arco in stile gotico, ormai crollato, appartenente ai ruderi del vecchio castello

Esistono strane parole che indicano determinate zone del paese. Alcune di queste sono:

Paravisièddu”, cioè "piccolo paradiso", "giardino". A quei tempi chi possedeva un giardino? Forse qualche signorotto che abitava nel castello?

Vestalorta, che significava, forse, “vista degli orti”, praticamente un punto di vedetta.

Arcuacchianu”, che letteralmente potrebbe voler dire "salgo verso l’arco" o la porta. Si doveva trattare di un viottolo infrattato, accessibile anche ai cavalli, visto che il primo edificio del paese, conosciuto dagli altavillesi come "casa dei Gallo", oggi di proprietà del Comune, presenta ancora oggi un piano interrato che ha le caratteristiche di una stalla e a cui si accede attraverso un arco abbastanza alto, in modo che uno che montasse a cavallo, potesse oltrepassarlo senza scendere. Considerate che la strada non esisteva e dove ora c'è piazza Zumpo c'era, a detta anche di molti, un burrone, che serviva, altresì, per tumulare persone defunte. Doveva esserci perciò un'altra via che, costeggiando il crinale della collina, conduceva al centro abitato.

"Portèdda , quasi certamente una "piccola porta", ovvero un piccolo passaggio dove qualcuno ancora si ricorda un antico manufatto e che probabilmente rappresentava una via di fuga.

Curtina , "piccola corte"; Loggia

Queste parole lasciano presupporre che il castello di Altavilla, ora diroccato, celava una vera e propria villa, circondata da giardini e orti, testimoniando l’importanza anche strategica del posto, molto panoramico, che domina buona parte della valle del Crati e che poteva considerarsi come una roccaforte o un rifugio per i sovrani del tempo.

Nessuno dei paesi limitrofi della Presila cosentina presenta esempi simili. Tutto intorno al castello ci dovevano essere delle vere e proprie mura di cinta, con all’interno magazzini, forni, cisterne e tutto quello che poteva essere necessario per sopravvivere per qualche tempo ad un assedio.

Al centro della foto i resti di un probabile muro di cinta

Un po' spostata verso sinistra, la vasca di raccolta appartenente alla famiglia Monaco.

Tutto ciò è testimoniato da varie murature, alcune con archi a sesto acuto in stile gotico. Relativamente alle riserve d’acqua va detto che un pozzo è ancora visibile all’interno di un edificio costruito nel 1900, mentre una vasca è stata demolita nei primi anni ’70 sotto via Camera; ci sono inoltre buoni indizi che il locale appartenente al complesso della Chiesa della Madonna Assunta, cui si accede dalla sacrestia, potrebbe essere stato una vasca di raccolta dell’antico castello. Diverse case, ancora, e la stessa chiesa madre sembrano essere state riedificate su strutture antecedenti molto più consistenti.

Gli archi a sesto acuto sotto il sagrato della chiesa della Madonna Assunta prima del restauro

Non sono una prova ma una traccia significativa anche i nomi cui si è fatto cenno e che si sono tramandati nel corso del tempo. Come nel caso di “curtina”, che fa pensare ad una "corte" intorno alla motta, dove abitavano i servi, i contadini, gli artigiani e i soldati del signore locale. Come nel caso, ad esempio, della “portedda”, cioè di una porta secondaria che consentiva un esodo veloce in caso di pericolo, nel qual caso, come riferito da qualcuno, segnali di fumo potevano essere fatti agli altri castelli sopra Cosenza per chiedere eventualmente aiuto. In effetti il Castello di Altavilla risultava visibile da tutti gli altri castelli della serra cosentina, mentre non sempre questi erano visibili tra di loro.

I ruderi più imponenti del castello

Questo è tutto quello che attualmente si sa o che ci è dato sapere su questo misterioso castello, ma esistono diverse storie e leggende che parlano di un trisòru (tesoro), di una chioccia coi pulcini d'oro, di scale, di cunicoli sotterranei e di pozzi che conducevano a una grotta vicino al torrente Corno, nella quale qualcuno afferma ancora oggi di essersi infilato per un po’ di metri. Un’altra misteriosa grotta sbarrata, venuta alla luce in un lavoro di ripulitura di qualche anno fa, è sotto la chiesa ed è stata usata in tempi più recenti come bagno pubblico.

Vincenzo Padula racconta una di queste leggende: "Ogni paese ha i ruderi di qualche castello. In Altavilla ve n’è uno dirupato e interrito. Vi è un tesoro legato. Per scioglierlo, bisogna un venerdì di marzo scannare un bimbo, un agnello e un gatto nero. Si conta che un sampetrese, che abitava nella casa di mastro Carmine Caruso nel quartiere Largo, invocò il diavolo e n’ebbe tre monete quadre. Mancò alla parola, e il diavolo si presentò all’uscio".

Si narra anche di sogni fatti da alcuni abitanti e di ritrovamenti di pignatte con monete d’oro. Si narra infine del fatto che qualcuno fosse in possesso del “libro di Altavilla” che descriveva nel dettaglio fatti e circostanze. Quello che è certo è che qualcosa c’era o c’è sotto cumuli di terra e di macerie, sotto muri crollati, spessi anche due metri.

Ruderi di una probabile torre del castello

Le antiche famiglie e i soprannomi

Maggiorino Iusi ci segnala che la famiglia più antica dell'intero comune è quella dei Talarico, anteriore forse al 1400.

Su internet, all'indirizzo www.onciario.beniculturali.it/?page_id=7, ho trovato un documento che "fotografa" la comunità altavillese del 1742: è il Catasto Onciario pubblicato dall'Archivio di Stato di Cosenza. Voluto da Carlo III di Borbone, il documento fornisce i dati relativi alle dichiarazioni dei redditi, o rivele, dei vari capifamiglia, redatte dal un notaio Bombicino davanti ad un'apposita commissione.

Dagli atti risulta che a Corno abitavano 19 fuochi (famiglie), 2 sacerdoti (Don Gaetano Greco e Don Antonio Greco), 5 monache di casa, 14 braccianti, 2 custodi di pecore, per un totale di 67 persone (28 i maschi e 38 le femmine). C'erano però forse anche "forestieri abitanti e bonatenenti", cioè che avevano un domicilio e che pagavano la bonatenenza, una specie di imposta fondiaria sui possedimenti censiti nella zona. Ci potevano però essere ancora altre persone completamente senza reddito, per cui Corno aveva presumibilmente una popolazione di un centinaio di persone. Diversi capifamiglia avevano 4-5 figli ed in alcune case convivevano anche i figli sposati o altri parenti. Ciò consentiva di ottenere due obiettivi: da un lato quello di non parcellizzare il patrimonio di famiglia, attraverso la costituzione di doti o la cessione di beni spettanti ai figli che si sposavano, dall'altro quello di avere più braccia per mandare avanti il lavoro nei campi.

I cognomi circolanti erano: Apa, D'Amico, Di Napoli, Ferraro, Fumo, Greco o Greca, Iusi, Malizia (prima forse Milizia), Marsico, Natirico, Rizzuti, Settino, Siciliano, Vencia. Ci sono cognomi che non sono riuscito a decifrare. Tutti erano proprietari della casa dove abitavano; i sacerdoti erano Antonio e Gaetano Greco. Poco tempo dopo, da un atto notarile, risulta che fu sacerdote della parrocchia Don Nicolò Scozzafave di Rovito. Solo 2 persone superavano gli 80 anni e 3 i 60; la popolazione era perciò costituita in gran parte da giovani e giovanissimi.

Si pagava il testatico, una tassa che gravava su ogni capofamiglia, nonché la tassa sull'industria, che era riferita ai mestieri maschili ma non alle professioni. Chi viveva di rendita viveva "civilmente del suo" e non era soggetto a queste imposte. Praticamente i ricchi non pagavano o pagavano non in proporzione al reddito reale, che era espresso in once, ognuna pari a 6 ducati.

Da segnalare la presenza di una "casa palaziata" (cioè a più piani) dove vivevano i sacerdoti e di un "trappeto" (frantoio), di un piccolo giardino e di un "animale somarizzo" posseduti dalla famiglia Natirico.

Del periodo di dominazione spagnola si sa poco, se non il fatto che i Marra di Lappano, ad un certo punto, cedettero i loro possedimenti altavillesi ai Monaco, originari di Spezzano della Sila, che possedevano, oltre ad alcune case coloniche, un palazzo di via Camera, costruito, secondo alcuni, già in precedenza e che comunicava col castello.

Palazzo Monaco prima della ristrutturazione

Dopo il terremoto del 1783 il paese venne ripopolato dalle famiglie dei Gallo e dei Medaglia.

Maggiorino Iusi ci ha anticipato che nel corso delle sue ricerche ha scoperto che i Siciliano provenivano da Rose, mentre i Medaglia da Amantea.

Nel corso di una manifestazione organizzata per accogliere il maestro Julio Medaglia, celebre direttore d'orchestra di San Paolo del Brasile alla ricerca delle proprie radici, la cui famiglia è originaria del nostro Comune, lo stesso Iusi ci ha fatto sapere che alcuni Medaglia, definiti capo-ingegneri (probabilmente dei capomastri) si stabilirono dapprima a Zumpano e a Cosenza. Ad un certo punto i fratelli Saverio e Vincenzo si trasferirono in un primo momento a Lappano centro, nel rione Crocevia, successivamente ad Altavilla, dove ebbero la possibilità di investire. Vincenzo si sposò con una sanpietrese e morì nel 1806 per mano dei Francesi.

Devoti di San Francesco di Paola, i Medaglia, nel corso delle varie generazioni, usarono spesso il nome "Francesco", tanto da venir indicati come “Ciccantieddi” o “ciccantedda”, cioè della famiglia di “Ciccio”, ipocoristico (un misto di diminutivo e vezzeggiativo, ovvero una variante fonetica) di Francesco. Secondo Franco Medaglia il termine "ciccantedda" (femminile singolare) potrebbe anche indicare il posacenere in cui venivano spente le cicche di sigaretta ricavato dalle noci di cocco che alcuni Medaglia portavano dalle Americhe.

In paese comunque c'erano diversi altri soprannomi che individuavano famiglie o rami familiari. Gli stessi Medaglia avevano un ramo detto e Furmacaru o e Frammacaru, anche se forse più recente. Qualcuno poi ha sicuramente sentito a Ceruta, u Conte, e Vence , e Civula, e Capeciota, e Scilia, di Cappelloni, e Cirineu, e Menzavernata, e Foffu, u Gelu, e Rapa. E Ncarrera, e Carbinu, e Srica, u Pusciu erano soprannomi con i quali venivano individuati ben quattro rami dei Siciliano.

Sono riuscito a scoprire l'origine solo di alcuni di questi soprannomi:

E Vence erano quelli che provenivano da Vence, nel Comune di Zumpano.

U Conte, come riferisce il Iusi, era il soprannome col quale veniva indicato un ramo della sua famiglia, pare per l'abbigliamento alla moda di alcuni antenati, in particolar modo di un signore anche saggio e colto, il quale, a volte, veniva consultato in paese per dirimere controversie; in realtà, però, l’appellativo derivava più che altro dal fatto che questo capostipite era imparentato con i Conte di San Benedetto in Guarano.

E Cirineu era un ramo degli Imbrogno, detto così perché un loro avo, impegnato un giorno con altri a battere il grano sull’aia, esasperato perché più di un frate era passato a chiedere di riempirgli la bisaccia, prese il tridente e scacciò l'ultimo, venendo definito da questi "Cireneo", che, come il Cireneo del Vangelo, doveva sopportare il peso della croce.

E Furmacaru è riferito a un capostipite che per il colore bruno della pelle e per il fatto che era sempre indaffarato "come una formica" venne soprannominato in questo modo.

U Pusciu, deriva da puscetta, termine un tempo usato per indicare una ragazza bella ma di bassa statura, e col quale, in qualche occasione, venne soprannominata un'antenata dei Siciliano, proveniente da Spezzano della Sila.

Ancora nel 1787 Altavilla viene descritta da Francesco Orlandi come un luogo fortificato (oppidum) con una sua propria parrocchia.

Come riportato nella Nuova descrizione geografica e politica delle Sicilie, di Giuseppe M. Galanti, nel 1789 Altavilla contava 118 abitanti.

Nel Dizionario geografico - istorico - fisico del Regno di Napoli, scritto dall'abate Francesco Sacco nel 1795, si legge che Altavilla è "d'aria buona", che "si nota soltanto una Chiesa Parrocchiale sotto il titolo di Santo Stefano" e che i suoi prodotti agricoli sono "grani, granidindia (mais), legumi, frutti, vini, olij e gelsi per seta. Il numero finalmente de'suoi abitanti ascende a cento, e quattro sotto la cura spirituale d'un Parroco".

L'800

Presumibilmente, la conformazione attuale del centro storico di Altavilla risale ai primi dell’800, visto che il terremoto del 1783 aveva distrutto completamente il paese. A quei tempi ricostruire una casa non era semplice, per cui ci vollero sicuramente diversi anni prima di poter completare i lavori di ricostruzione. A complicare la situazione contribuì anche il terremoto del 1835, quasi altrettanto distruttivo, che indusse i cittadini a riedificare e a rinforzare le costruzioni per l’ennesima volta.

Ancora nel 1807 Vincenzo Padula afferma che "... le Terre Regie erano Cosenza e i suoi Casali, compresi Altavilla...", ecc. In proposito, il nome "Piè La Terra" di una via del nostro paese, potrebbe avere attinenza col fatto che esso era, appunto, una Terra Regia.

Era il periodo in cui, per inciso, gli usi e i costumi della gente erano ancora molto diversi, così come vedremo più avanti. Per fare degli esempi, come ci dice lo stesso Padula, in sacrestia le donne e i laici non avevano accesso, mentre i sacerdoti vi potevano stare indossando la berretta o tricorno, oggi praticamente scomparso. Una scritta sulla parete di fondo della Chiesa della Madonna della Neve recitava che "Per rispetto alla casa di Dio le donne debbono entrare col capo coperto".

Va ricordato che proprio in quegli anni, per la precisione nel 1804, fu registrato il primo atto conservato della Parrocchia di Santa Maria Assunta di Altavilla: si tratta di un battesimo. All'epoca era sacerdote Don Luigi Costantino da Flavetto.

La berretta sacerdotale, da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Nel 1806 gli Altavillesi parteciparono quasi certamente alla resistenza contro le truppe francesi, insieme a Sanpietresi, Spezzanesi, Pedacesi e altri. Si racconta che forme di formaggio prodotte con latte umano vennero scaraventate contro i soldati che, stupiti, scapparono verso "Timpa Cucchjara", poi detta "Timpa di Franzisi", poiché qui gli stessi vennero poi catturati. La rappresaglia del generale francese Verdier non tardò. San Pietro venne incendiato e alla fine tutti dovettero arrendersi. Altavilla e Lappano divennero“Luoghi” di Celico. I due centri furono poi aggregati a Zumpano, dal quale vennero successivamente separati diventando Comune indipendente il 14 luglio 1834.

Durante il periodo napoleonico Altavilla ebbe anche dei "patrioti" come Natale de Santis, Luigi Imbrogno e Francesco Imbrogno: il primo fu condannato a morte il 13 giugno 1808 per brigantaggio, quando aveva appena 25 anni; il secondo fu per fortuna assolto dopo essere stato accusato di aver nascosto armi; il terzo venne condannato anch'egli a morte nel 1811.

Intanto a Don Luigi Costantino successe Don Gaetano Martire, fino al 1856, quando subentrò Don Pietro Cozza, che vi stette fino al 1869.

Nel 1879, lungo il versante di Nord-Ovest della collina altavillese, dopo lunghe vicende, venne inaugurata la prima strada rotabile, che iniziò ad essere percorsa dai “traìni”, carri di legno tirati da cavalli e muli, usati per trasportare merci e gestiti dalla famiglia Broccolo di San Pietro in Guarano, la cui rimessa era in località Botte Donato. Voluta dal barone Collice, la strada rappresentava praticamente l’infrastruttura necessaria alla filanda che allora funzionava lì dove poi sorse la scuola elementare sanpietrese.

La strada dell'800. Il manto stradale è ancora quasi intatto...