Cosenza e i Casali

Sappiamo che in tempi molto antichi la Calabria ospitò Aschenazi (il cui capostipite è citato nella Bibbia), Ausoni-Enotri (Itali, Morgeti, Siculi), Osci, Pelasgi, Bruzi o Bretti, Lucani. Successivamente fu colonizzata dai Greci e dominata dai Romani.

Come riporta il prof. Luigi Intrieri ne "La lotta per la terra" , lo storico Oreste Dito fa risalire l'origine dei villaggi presilani al 193 a.C., quando i Romani fondarono le loro prime colonie, per utilizzare i pini della Sila per la costruzione di navi e per estrarre la pece.

La Calabria fu poi invasa dai Vandali, saccheggiata dai Visigoti, conquistata dai Longobardi, insidiata dagli Arabi, amministrata dai Bizantini e succube delle scorrerie saracene del 975, quando diverse famiglie, provenienti da Cosenza, si rifugiarono, con ogni probabilità nel territorio della Presila, incrementando la popolazione dei villaggi.

Tali villaggi, come sostiene lo studioso francese Andrè Guillou, erano in una posizione ideale di media collina, lontano dalle zone umide in cui allora imperversava la malaria e più in basso rispetto alle zone rigide della Sila. Del resto anche la città di Cosenza sorgeva in collina.

Successivamente vi fu l’egemonia della famiglia normanna degli Altavilla, che con Roberto, detto il Guiscardo, e il fratello Ruggero I, tra l’anno 1000 e il 1100 conquistò e unificò l’Italia Meridionale.

Ruggero II suddivise il territorio cosentino in 20 o 21 Baglive, ognuna delle quali faceva capo ad un ufficio per la riscossione delle imposte.

Delle Baglive facevano parte i Casali, cioè 82 tra villaggi e paesi. I cosiddetti Casali del Manco erano quelli che sorgevano alla sinistra del fiume Crati, se si guardava verso Sud, posti al "manchio", cioè in una parte più fresca o illuminata per meno tempo dal Sole. Queste Baglive godettero sempre di particolari privilegi, anche fiscali, occupando un territorio demaniale con “Casali Regi”, cioè senza feudatario, soggetti esclusivamente al re, sui quali la popolazione poteva esercitare gli usi civici, cioè poteva servirsene per sostentarsi.

Ciò almeno sulla carta, poiché diversi feudatari limitrofi e ricchi privati, grazie anche a funzionari corrotti, costituirono "difese private".

Quando Enrico VI, figlio di Federico I, detto il “barbarossa” riuscì a sposarsi con Costanza d’Altavilla, tutti i possedimenti, passarono agli Svevi, anche se per un breve periodo.

I casalesi allora, stanchi dei soprusi, nel 1196, inviarono presso la corte di Palermo, allora capitale, l'abate Gioacchino da Fiore, per ottenere il riconoscimento dei diritti acquisiti, così il re, grazie all'intercessione della moglie, riconobbe nuovamente gli usi civici. La giurisdizione complessiva continuò comunque ad appartenere alla nobile famiglia dei Sambiase, diramazione di quella dei Sanseverino.

In quel tempo c'era anche l' "Universitas Casalium", che era un ente per la gestione dei territori della Sila. Ogni Casale aveva il suo "Parlamento", che eleggeva il "Mastrogiurato", i giudici che collaboravano col Baglivo, nonché i rappresentanti da inviare al Consiglio dell'Università che si riuniva nella Chiesa Madre di Cosenza. Il Parlamento del casale si riuniva invece al suono della campana o nella propria chiesa principale o sul sagrato della stessa.

Diverse vicende portarono poi alla lunga dominazione della dinastia francese degli Angioini, che posero la capitale del Regno a Napoli e alla successiva conquista degli Aragonesi di Spagna.

Passarono gli anni e dalla dominazione aragonese, per un incrocio di dinastie, si passò, intorno al 1500, alla dominazione degli Asburgo.

Nel 1596 il vicerè d'Olivares tentò di vendere i Casali per recuperare denaro. Le popolazioni casaline, però, si ribellarono, e, offrendo al re anche 40.000 ducati, ottennero di rimanere per sempre nel regio demanio.

Nel 1631 fece un nuovo tentativo il vicerè De Riviera, duca d'Alcalà. Questa volta i ducati sborsati furono 50.000.

Il terremoto del 1638 complicò le cose e così nel 1644, i Casali furono ceduti al Granduca di Toscana, che insediò un governatore a Celico. Nel 1647, però, tutti i Casali, esasperati dalla pressione fiscale, si ribellarono riconquistarono la propria autonomia. Pare ci fossero stati all'epoca anche contatti con Masaniello, che lo stesso anno organizzò la rivolta a Napoli.

A partire dal 1734 si insediò la dinastia dei Borbone di Spagna, di origine comunque francese.

Dal 1805 al 1815 la Calabria fu sotto il dominio Napoleonico. I Francesi, in ogni modo, portarono la modernità: vennero istituiti tribunali e provincie (la nostra venne detta Calabria Citra), redatti codici normativi, riformati gli apparati statali, aboliti i privilegi feudali, confiscata la cosiddetta manomorta (i beni civili ed ecclesiastici non tassabili), istituita l’imposta fondiaria, che tassava tutti i terreni e sostituiva le antiche e ingiuste tasse; vennero presi anche provvedimenti vari, come il divieto di seppellire i defunti all'interno delle Chiese; ascese la borghesia, che diede successivamente impulso ai moti risorgimentali.

I Borbone, ritornati, mantennero gran parte delle riforme francesi, ma i tempi stavano cambiando; arrivò il “Risorgimento”.

Si giunse quindi all'Unità d'Italia del 1861, che dopo l'entusiasmo iniziale fece registrare problemi ancora oggi non risolti (questione meridionale).