L'evoluzione
Quello che è ormai più di una teoria è il fatto che tutti gli esseri viventi oggi esistenti sulla terra siano frutto di una lentissima evoluzione, durata vari milioni di anni. Ad avvalorare questa tesi concorrono le seguenti osservazioni:
Esistono, in alcune specie, organi rudimentali. Nell'uomo, ad esempio, troviamo le mammelle maschili, i denti canini, i padiglioni auricolari (in alcune persone addirittura semoventi), le pieghe semilunari, i radi peli che ricoprono la pelle, l'appendice, il coccige. È quasi sicuro che tali organi, un tempo, avessero una precisa funzione e conferissero un aspetto diverso alle specie suddette.
È indubbio che mutate e stabili condizioni ambientali determinino un conseguente cambiamento nelle capacità e nelle strutture biologiche, anche se non sappiamo fino a che punto.
Tutti gli esseri viventi sono soggetti a variabilità genetiche. Non è escluso che la lotta per l'esistenza abbia favorito gli individui con le caratteristiche migliori (selezione naturale).
Esaminando i fossili relativi alle varie ere geologiche, si nota come le prime forme di vita erano relativamente semplici e come, con il passare di lunghi periodi di tempo, le forme di animali e vegetali si presentino via via con strutture più complesse ed efficienti. Si notano, inoltre, progressive variazioni che permettono, talora, di seguire tutti gli stadi della trasformazione di una specie in un'altra. Casi classici sono quelli che riguardano i progenitori del cavallo, dell'elefante, dei mammiferi in genere, degli uccelli, dei rettili, degli anfibi e dell'uomo.
Lo sviluppo dell'embrione umano presenta diverse analogie con l'organizzazione strutturale di molti animali comunemente detti inferiori. Nella regione del collo compaiono, ad esempio, quattro abbozzi bronchiali, che poi si trasformano in polmoni. Qualcosa di simile si può riscontrare anche nello sviluppo di altri embrioni.
Allevando e selezionando piante ed animali, nonché attraverso varie manipolazioni genetiche, si è in effetti riusciti a dare origine a nuove specie.
Si è provato, ancora, che in una coltura mista di cellule umane e di topo, derivanti dal rene e dal fegato, le cellule del fegato si aggregano tra loro, indipendentemente dalla specie di provenienza; altrettanto succede per le cellule di rene. Questo fatto sta a significare, giusto per aggiungere un commento, che fra specie ormai lontane si è comunque conservato un certo legame.
Attraverso alcuni esperimenti di evoluzione artificiale in vitro, si è potuto osservare che in alcuni virus, forzatamente spinti ad accelerare la loro velocità di duplicazione per sopravvivere, si sono manifestati notevoli cambiamenti a livello di cromosomi.
È estremamente probabile che la sessualità serva ad aumentare la variabilità della specie, attraverso la ricombinazione di caratteri portati da individui diversi, in modo da garantire l'evoluzione e la sopravvivenza della specie stessa. Ciò si desume dalla constatazione che tale funzione è scarsamente presente nei batteri, per i quali le altre cause di variabilità sembrano sufficienti, data l'elevata velocità di riproduzione che essi presentano e l'enorme dimensione delle loro popolazioni.
L'ammissione dell'evoluzione biologica e la considerazione del fatto che i batteri ed alcuni protozoi hanno una vita indefinita, che può interrompersi solo per cause accidentali, portano a concludere che la morte sia stata fissata per qualche preciso motivo.
In effetti, se pensiamo che su un determinato territorio può vivere un numero finito di individui e che la loro prolificità è inversamente proporzionale alla lunghezza media della loro vita, ci rendiamo conto che la morte non può che essere programmata nei geni come una necessità evolutiva.
Secondo molti autori, oggi, per l'uomo, più che d'evoluzione biologica si dovrebbe parlare di involuzione biologica, causata dall'evoluzione culturale. Infatti, da quando il progresso civile e tecnologico ha raggiunto un livello tale da poter assicurare a tutti una piacevole esistenza, è noto che la nostra specie ha perso molte delle capacità psicofisiche possedute probabilmente qualche migliaio di anni fa. C'è da dire, però, che, presumibilmente, al di sotto di una certa soglia, la tendenza alla competitività rappresenta un fattore di sviluppo e di controtendenza.
Il grado più alto di tale sviluppo è occupato dalla raffinatezza intellettiva e affettiva.
I dati sperimentali testimoniano solo la possibilità di un gradualismo evolutivo. L'insieme dei fossili oggi conservati è però molto carente riguardo alla documentazione di forme di vita intermedie, per cui si ha la sensazione che gran parte delle specie siano sorte all'improvviso. In realtà, lo studio dei microfossili ha permesso di constatare la lentezza dei mutamenti, a seguito dei quali la sostanziale diversità tra le popolazioni si riscontra solo tra strati geologicamente distanti. Per quanto riguarda i microfossili, i ritrovamenti dei cosiddetti anelli di sono molto più rari per due ragioni fondamentali:
i tessuti molli, nei quali avvengono gran parte delle trasformazioni, hanno una limitata capacità di conservazione, per cui, di quello che avvenne in essi in epoche remote non sapremo quasi mai nulla;
tenendo conto del fatto che la frequenza delle mutazioni può essere controllata o comunque influenzata, è ipotizzabile che le generazioni di specie intermedie siano state relativamente scarse, a causa della loro tendenza a raggiungere il più velocemente possibile condizioni di stabilità; può darsi perciò che esse abbiano avuto minori opportunità di subire il processo di fossilizzazione.
Attualmente viene rilevato che la gran parte delle mutazioni sono deleterie; è probabile, comunque, che, a seconda delle necessità, particolari geni mutatori inducano la frequenza e il tipo di mutazioni medesime. Si è poi da tempo scoperto che le radiazioni (che un tempo hanno senz'altro avuto un'incidenza di gran lunga superiore a quella odierna) e molte sostanze chimiche sono mutagene, e che i mutanti, se le condizioni ambientali sono favorevoli, tendono a perpetuarsi.
Questi casi sono stati spesso contestati, avanzando la tesi che i vari individui presi in considerazione non siano altro che varietà nell'ambito di una stessa specie. Occorre però fare in merito delle osservazioni.
I cavalli primitivi avevano una scatola cranica molto somigliante a quella di animali inferiori; più si va indietro nel tempo, più erano di piccole dimensioni. Gli equidi dell'Eocene erano dotati di zoccoli, ma possedevano tre o quattro dita, similmente ad alcune antilopi dell'Africa.
Per gli elefanti si può verificare che i più antichi, privi di proboscide, avevano solo un paio di incisivi allungati; nell'Oligocene presentavano un labbro moderatamente allungato, il quale si trasformò in proboscide solo nel Terziario superiore, quando anche la forma del cranio si trasformò, per permettere l'inserimento dei muscoli della proboscide stessa.
Nel Triassico sono esistiti i Terapsidi, animali con scheletro e dentatura molto simile a quella dei rettili, ma che erano indubbiamente a sangue caldo e rivestiti di pelo, così come lo sono oggi i Mammiferi; nelle loro mascelle, infatti, si osservano i canalicoli e le fossette per il passaggio dei nervi, dei vasi sanguigni e delle radici dei baffi.
Nel Giurese superiore vissero i cosiddetti Archæopteryx, meglio conosciuti come rettili volanti — pare facessero veramente paura —. In effetti, dei rettili essi avevano le mascelle fornite di denti, l'osso sacro di sei vertebre — perché poi sacro?...—, le vertebre caudali allungate, la particolare conformazione del cervello — incomincia a venirci in mente qualcuno —, le dita libere munite di artigli; degli uccelli avevano invece le penne, la furcula clavicolare — quella che va tanto di moda oggi —, l'osso pubico diretto all'indietro — troppo facile ironizzare —, il primo dito dell'arto posteriore opponibile — l'allucione —. Tutto è pienamente documentato.
Il genere Seymouria, del Permiano del Texas, occupa una posizione intermedia tra anfibi e rettili. Anche in questo caso la documentazione paleontologica non lascia dubbi.
Il più antico vertebrato che si conosca è Ichthyostega, del Devoniano superiore della Groenlandia. Esso combina caratteri propri dei pesci (pinna caudale e dorsale, traccia di opercolo, ecc.), con caratteristiche proprie degli anfibi.
Il caso dell'evoluzione umana è quello che ha destato e desta il maggior numero di polemiche, non tanto per questioni di interpretazione scientifica, quanto, piuttosto, per questioni religiose o ritenute tali. Qualunque argomentazione possa essere avanzata, rimane il fatto che, nonostante alcune frodi, poi scoperte, possediamo resti fossili di ominidi che presentano nello stesso tempo caratteristiche umane e caratteristiche proprie delle scimmie antropomorfe. Gli scheletri pur se incompleti di Australopiteco denotano, ad esempio, una dentatura e delle ossa del bacino di tipo chiaramente umano, mentre il loro cranio appare inconfondibilmente scimmiesco. Che le scimmie antropomorfe non si siano estinte al pari degli ominidi può voler dire che esse non hanno avuto competitori nei loro territori — e infatti esiste di peggio in giro! — o, se li hanno avuti, facevano e fanno comunque parte di qualche ecosistema stabile.