CAPITOLO 1
Le tecniche narrative principali del primo capitolo dei promessi sposi sono: la descrizione, la narrazione, il soliloquio, la digressione ed il dialogo. Manzoni inizialmente cerca di far capire ai suoi lettori il luogo principale dove si svolgerà gran parte del romanzo. Infatti l’autore descrive il paesaggio utilizzando la tecnica dello zoom: questa tecnica consiste nel descrivere il paesaggio in generale e successivamente nell’analizzare tutti i dettagli; essa serve per non rendere la narrazione monotona e per poi arrivare alla presentazione del primo personaggio dei promessi sposi: Don Abbondio. Dopo aver presentato il primo personaggio Manzoni comincia a narrare l’episodio fondamentale di tutto il romanzo ovvero quando don Rodrigo mandando due bravi da don Abbondio lo costringe a non celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia. Un’altra tecnica narrativa che usa Manzoni è il soliloquio; l’autore usa questa tecnica narrativa in due momenti del primo capitolo: prima dell’incontro con i bravi e dopo la discussione con essi. Usando questa tecnica narrativa Manzoni riesce a far capire ai lettori la paura di don Abbondio nel vedere i bravi e il suo timore dopo aver ricevuto l’informazione che gli vieta di celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia. Tra il primo ed il secondo soliloquio si inserisce una descrizione dettagliata dei bravi che serve soprattutto a delineare i due delinquenti e a far crescere il timore di Don Abbondio, nonché ad aumentare la suspense nel lettore. In questo capitolo Manzoni genera anche una digressione per far capire alla popolazione dell’Ottocento il clima di violenza che si generò nel ducato di Milano sotto la dominazione spagnola e cerca di far recepire anche che i deboli in quel periodo dovevano subire mentre i più potenti potevano fare prepotenze contro altre persone senza essere puniti dalla legge. Infine il capitolo si conclude con il dialogo tra Don Abbondio e Perpetua, la sua domestica; in questo dialogo perpetua capì subito che don Abbondio quella sera non era di buon umore, infatti la domestica chiese al parroco cosa fosse successo, Don Abbondio sapendo che perpetua prima o poi avrebbe rivelato tutto cercò di non dirle niente ma la donna insistette e il prete rivelò tutto. Perpetua allora si permise di consigliare di rivolgersi al cardinale Borromeo ma don Abbondio irritato rifiutò e andò in camera sua sbattendo la porta. Così si conclude il primo capitolo. Da questo dialogo si può capire che Perpetua era affezionata a Don Abbondio e i due avevano un rapporto amichevole, infatti, si riesce a comprendere che la domestica nei momenti come questo cerca di incoraggiare Don Abbondio e soprattutto di tranquillizzarlo. Nella prima parte del dialogo si capisce che il prete è un personaggio molto pauroso infatti pur di cercare di nascondere ciò che gli avevano detto i bravi arriva a un momento di esasperazione; infine, dal dialogo, riusciamo a recepire come Perpetua, pur sapendo che Don Rodrigo era l’uomo più potente del paese, non si spaventa e consiglia al parroco di rivolgersi al cardinale. A questo punto abbiamo la conferma che Don Abbondio non è un sacerdote coraggioso dato che rifiuta il consiglio della domestica e va in camera sua a pensare al modo migliore per rinviare il matrimonio.
CAPITOLO 2
Nel secondo capitolo sono presenti tre tipi di tecniche narrative: il soliloquio, il dialogo e il monologo. Il soliloquio: è un discorso in cui chi sta raccontando l’avvenimento, oppure sta svolgendo un’azione, parla tra sé e sé pur essendo consapevole del fatto che nessuno lo sta ascoltando, fa una riflessione personale. Il dialogo: si utilizza quando due o più personaggi parlano tra di loro intrattenendo una conversazione. Il monologo: è un discorso continuato, cioè dove una persona parla tra sé e sé, oppure ad altre persone, ma senza permettere a nessuno di commentare o di intervenire, in poche parole continua il discorso senza essere interrotto. Un esempio di soliloquio preso direttamente dal libro è “che abbia qualche pensiero per la testa”. Una riflessione personale che fa Renzo riferito al fatto che Don Abbondio sembrava sovrappensiero, avendo aperto la porta con incertezza. Uno dei dialoghi del capitolo avviene subito dopo questa riflessione siccome Renzo si era recato a casa del curato per parlare del matrimonio che doveva svolgersi proprio quel giorno.
- Son venuto, signor curato, per sapere a che ora le comoda che ci troviamo in chiesa.
- Di che giorno volete parlare?
E dopo cominciano un’intera conversazione dove Don Abbondio decide di rimandare il matrimonio inventandosi qualche scusa. Come monologo troviamo la parte dove Renzo, con i suoi pensieri, sembra confermare l’osservazione fatta dal minatore su una cert’aria di braveria.
CAPITOLO 3
Il capitolo 3 dei Promessi Sposi inizia con una sequenza fondamentale per la trama, Lucia rivela ad Agnese e Renzo che Don Rodrigo la stava perseguitando. Quando Renzo si trova a casa dell’avvocato Azzecca-garbugli, Manzoni adotta diversi punti di vista nel riportare al lettore una stessa situazione. Successivamente troviamo una sequenza descrittiva del personaggio “Azzecca-garbugli”, nella quale viene raffigurato come un burocratico meschino (servo del potere) che mette la propria conoscenza e professionalità al servizio del più forte anziché della collettività. Dopo questa sequenza descrittiva è presente una similitudine che riguarda l'Azzeccagarbugli, nella quale il suo potere legato alla figura dell’avvocato gli viene tolto. Alla fine del capitolo possiamo trovare un’altra similitudine della figura di Renzo, nella quale viene descritto come un popolano sprovveduto che guarda incantato sulla piazza i numeri di un prestigiatore.
CAPITOLO 4
Le tecniche narrative del capitolo 4 dei Promessi Sposi sono varie e riflettono pienamente lo stile caratteristico dello scrittore. All’inizio del capitolo 4 troviamo una brevissima sequenza descrittiva-narrativa per collocare Fra Cristoforo e per fare capire al lettore in quale luogo inizia il quarto capitolo (“Padre Cristoforo uscì dal suo convento di Pescarenico per dirigersi a casa di Lucia e Agnese”; “Pescarenico è un piccolo villaggio, sulla riva sinistra dell’Adda, troviamo un lago, un gruppetto di case addobbate da strumenti per la pesca e reti stese ad asciugare”)
Successivamente troviamo una descrizione delle condizioni metereologiche di un normale giorno d’autunno (“il sole non era ancor tutto apparso sull’orizzonte”… “il cielo era tutto sereno”… “un venticello d’autunno”). Manzoni oppone, a questa serenità del paesaggio naturale, la drammaticità del paesaggio umano segnato dalle tante persone sofferenti a causa della carestia (lungo il cammino si vedevano tristi figure di mendicanti e animali smagriti). Dopo la descrizione del paesaggio e delle condizioni degli abitanti, troviamo la tecnica del flashback (significa letteralmente ritorno al passato). Questa tecnica serve per narrare la vita di Fra Cristoforo e la sua conversione sincera verso la religione per aiutare il prossimo. La biografia di Fra Cristoforo inizia con il ritratto fisico del personaggio (aveva sessant’anni, la barba bianca e lunga, occhi vivaci e inquieti) e con l’uso degli asterischi per rendere il personaggio verosimile alla storia. Questo perché il lettore possa pensare che ciò che sta leggendo sia un fatto realmente accaduto. Inoltre Manzoni crea una similitudine tra lo sguardo intenso di padre Cristoforo e due cavalli imbizzarriti che evidenzia molto la sua forza e la sua irrequietudine. Manzoni inserisce anche un paragone eccessivo, di una situazione che troviamo nella tragedia shakespeariana Macbeth, nella quale Banco, ucciso da Macbeth, appare come fantasma a tormentare il suo assassino. Questo paragone un po’ forzato ed e provocatorio serve per ironizzare sull'ossessiva vergogna del mercante nei confronti del proprio passato. Successivamente Manzoni utilizza un ossimoro, cioè un accostamento di parole che esprimono significati contrari. In questo contesto utilizza il termine : “ cordiale nemico” per indicare l’acerrimo nemico di Lodovico. L’autore ironizza molto anche sull’uso e sulle mode del linguaggio seicentesco. Troviamo poi la descrizione dell’ ”atmosfera” e del palazzo con tutti i dettagli, descritti in modo molto esagerato (spade appese alle pareti - movimento leggero di colletti rigidi di lino arricciato - lungo strascico di abiti arabescati) per enfatizzare l’immagine dell’affollata riunione e la sua vanità. Il capitolo si chiude con un intervento esplicito del narratore onnisciente che dichiara la propria operazione di “regia”. Questo intervento lo notiamo in questa breve frase:” Intanto che noi siamo stati a raccontare i fatti”. Il narratore, quindi, chiude così il flashback sulla vita di fra Cristoforo e si ricollega al tempo del racconto.
CAPITOLO 5
Il capitolo 5 dei Promessi Sposi inizia con una sequenza dialogica tra Fra Cristoforo, Lucia e Agnese, nella quale si spiega, a quest’ultimo, l’accaduto. Dopodiché Manzoni inserisce i pensieri di Fra Cristoforo, il quale è in cerca di una soluzione (monologo). Successivamente vi troviamo una sequenza dialogica tra il cappuccino e Renzo. Dopo la sequenza dialogica troviamo una sequenza descrittiva dove emerge la descrizione del borgo e della dimora di Don Rodrigo. In quest’ultima parte, Manzoni interviene, spiegando che l’autore del manoscritto non aveva nominato il luogo in cui si trovava l’abitazione di Don Rodrigo, per rendere i luoghi verosimili alla realtà. In seguito possiamo notare una serie di vari dialoghi tra Fra Cristoforo e Don Rodrigo, nella quale interviene nuovamente Manzoni, per esporre al lettore una riflessione sull’atteggiamento di un uomo onesto e buono davanti a un uomo perfido e malvagio. In questi dialoghi notiamo che sia Don Rodrigo e sia Padre Cristoforo vogliono avere ragione e prevalere l’uno sull’altro. Nella prima parte del capitolo notiamo che Padre Cristoforo ha atteggiamenti diversi nel risolvere le varie questioni. Per esempio a casa di Lucia e Agnese è molto impaziente/frettoloso e vuole arrivare subito al dunque dell’accaduto, invece poi ferma Renzo ad andare da Don Rodrigo perché manifestava propositi bellicosi. Verso la fine del capitolo c’è una sequenza molto movimentata, nella quale si rivelano, attraverso gesti e parole, le vere personalità dei personaggi (Fra Cristoforo-Don Rodrigo). Successivamente troviamo un dialogo tra il Frate e il Conte Attilio in cui si parla delle forme di violenza che essa assume nelle varie situazioni, ma non troviamo alcun intervento del narratore. Manzoni utilizza quindi la tecnica della mimesi. La mimesi è una figura retorica che aiuta il lettore ad immedesimarsi nel dialogo, come se avvenisse veramente nella realtà.
CAPITOLO 6
Nel sesto capitolo sono presenti due tipi di tecniche narrative: il dialogo e la voce del narratore. Il dialogo: il racconto comincia quasi immediatamente con un dialogo che avviene tra Don Rodrigo e fra Cristoforo. Avviene un duello dove, al posto delle armi, si utilizzano le parole. Inizialmente Fra Cristoforo fa credere a Don Rodrigo di non sapere che è stato lui a dare l’ordine di fare in modo che non si celebri il matrimonio ai bravi, nomina spesso Dio e utilizza frasi che fanno intendere che lui metta Don Rodrigo su un altro piano rispetto a lui. Come per esempio: “vengo a proporle un atto di giustizia, a pregarla d’una carità. Cert’uomini di mal affare hanno messo innanzi il nome di vossignoria illustrissima, per far paura a un povero curato, e impedirgli di compiere il suo dovere, e per soverchiare due innocenti. Lei può con una parola, confonder coloro, restituire al diritto la sua forza, e sollevar quelli a cui è fatta una così crudele violenza. Lo può; e potendolo… la coscienza… l’onore…”. Al contrario, Don Rodrigo utilizza sempre parole rispettose verso il frate ma con un tono arrogante. Come per esempio: “Lei mi parlerà della mia coscienza, quando verrò a confessarmi da lei. In quanto al mio onore, ha da sapere che il custode ne son io, e io solo; e che chiunque ardisce ad entrare a parte con me in questa cura, lo riguardo come il temerario che l’offende”. Alla fine, dopo una frase detta da Don Rodrigo riguardante Lucia, anche fra Cristoforo perde le staffe e utilizza un tono più infiammato, più violento, per poi andarsene sconfitto. La voce del narratore: in questo capitolo si presenta anche la così detta voce del narratore, con questa tecnica, il narratore si ritaglia uno spazio personale, nel quale apre un colloquio, una specie di filo diretto con il lettore. Fa domande morali dove viene commentato il comportamento del vecchio servitore. In questo modo, il narratore, riesce a stimolare le stesse domande al lettore, facendo proseguire il suo ideale di lettura utile alla crescita morale del pubblico.
CAPITOLO 7
Nel settimo capitolo dei promessi sposi le tecniche narrative principali sono: il dialogo, l’intreccio, la riflessione e il flashback. All’inizio del paragrafo Manzoni fa fare a fra Cristoforo una breve riflessione sul male nel mondo: in questa parte si narra che se i potenti riuscirebbero a giustificare tutte le ingiustizie fatte ai più deboli il male nel mondo oggi non esisterebbe. In questo capitolo, inoltre, ci sono moltissimi dialoghi che servono per comprendere più facilmente la storia e l'obiettivo del che in quel momento si erano posti i due amati: organizzare il matrimonio a sorpresa. Un’altra tecnica narrativa utilizzata da Manzoni in questo paragrafo è il flashback; esso viene utilizzato quando si parla di don Rodrigo; il signorotto quel giorno era molto nervoso soprattutto per essersi fatto mettere i piedi in testa da fra Cristoforo e quindi in questa parte Don Rodrigo comincia a pensare a come sia potuto succedere che un nobile del suo calibro sia stato sbeffeggiato da un frate. L’ultima tecnica narrativa di questo capitolo è l’intreccio; essa è molto diffusa perché il narratore onnisciente decide di narrare nello stesso momento tre situazioni ben differenti: la prima è costituita dal progetto di don Abbondio di rapire lucia; la seconda è il tentativo di un vecchio servitore di sventare il rapimento della sposa; e l’ultima l’intenzione da parte dei due amati di organizzare il matrimonio a sorpresa. Per questo motivo il capitolo 7 è il più intrigante ma è anche abbastanza complicato da leggere perché i lettori rischiano di perdere il filo.
CAPITOLO 8
L’ottavo capitolo dei promessi sposi inizia con la figura retorica della similitudine nella quale “l’artefice” (artista) Manzoni conferisce una sfumatura ironica alla scena (riga 144). Successivamente l’autore usa un’altra figura retorica: l’onomatopea che serve per esprimere il rintocco delle campane (“Ton, ton, ton, ton”) - riga 187. Proseguendo Manzoni crea al lettore una suspense (“ i bravi in un luogo, Agnese e Perpetua in un altro”) - riga 197. L’autore utilizza ancora una volta tecniche di scrittura: asindeto (associazione di frasi senza l’uso di congiunzioni) e paratassi (modo di costruire il periodo caratterizzato dall’accostamento di diverse frasi allo stesso livello, ossia coordinate tra loro) - riga 220. Con l'utilizzo di queste tecniche ottiene lo scopo di presentare i fatti al lettore con la velocità e “tridimensionalità” di qualcosa che sta avvenendo in quel momento sotto i suoi occhi. Dopodiché Manzoni utilizza ancora un’altra figura retorica, la metafora animalesca (“Qui giace la lepre”) che si riferisce a Lucia (riga 242). Successivamente usa altre tre similitudini, una per sottolineare la natura animalesca dei bravi (“Come il cane che scorta una mandra di porci”) - riga 284, l’altra serve per denunciare la degradazione umana di questi personaggi (“lo tira in ischiera”) - riga 286 mentre l’altra ancora è una similitudine animale (“nibbio”). Nella parte finale del capitolo, Manzoni descrive il paesaggio del paese di Lucia attraverso i suoi occhi, nel momento della separazione, utilizzando la tecnica del monologo interiore. Infine, alla riga 507, i pensieri di Lucia sono stati espressi al lettore con il linguaggio del narratore onnisciente.
CAPITOLO 9
All’inizio del capitolo, Manzoni sottolinea l’aspetto di Gertrude che anticipa il disordine e le contraddizioni del suo animo: la sua bellezza è come consumata e trascurata. Fin da questo suo primo ritratto fisico-psicologico traspare il motivo più caratterizzante del personaggio, e cioè l’ambiguità, che si trasferisce anche nel ruolo da lei svolto sul piano narrativo: prima “aiutante” di Lucia e poi strumento di nuove persecuzioni. Nella descrizione della monaca si rinnova l'arte del ritratto di Manzoni e che annuncia l’entrata in scena di un personaggio importante e l’inizio di un evento centrale della vicenda. La figura della monaca di Monza riproduce la storia vera della nobile Maria Virginia de Leyva, figlia di uno dei più potenti e ricchi notabili di Milano. Infatti nella vicenda del personaggio manzoniano ritroveremo le violenze subite e i comportamenti scellerati di suor Virginia, che nella vita reale subì un pubblico processo: è proprio dagli atti di quel processo che l’Autore ricava le informazioni su cui modellare la biografia della monaca di Monza. Successivamente troviamo una figura retorica che consiste nel sostituire il nome di una persona o di una cosa con un appellativo o una perifrasi che ne definiscono una caratteristica in modo esemplare e universalmente riconoscibile: l’antonomasia. Infine l’autore coglie con finezza psicologica i caratteri dell’adolescenza, momento decisivo nella formazione della personalità e delle scelte di vita, cui contribuiscono tutte le forze rinnovate della giovinezza.
CAPITOLO 10
Le tecniche narrative principali del capitolo dieci dei promessi sposi sono: Il flashback, la riflessione, i discorsi diretti, quelli indiretti, la tecnica delle ellissi e la tecnica del sommario. Tutto il capitolo 10 è costituito da un lungo flashback ed in questo capitolo si parla dell’infanzia di Gertrude la figlia di nobile milanese. Il destino di Gertrude è quello di farsi monaca ma lei vorrebbe sposarsi. In questo capitolo Gertrude cede alla volontà del padre e va in convento. Un’altra tecnica narrativa di questo capitolo è la riflessione; infatti Manzoni all’inizio di questo capitolo riflette generalmente sugli stati d’animo dei giovani e raggiunge la conclusione che basta anche una minima costrizione per ottenere qualsiasi cosa dai ragazzi. Successivamente in questo capitolo avvengono molti dialoghi, infatti la presenza dei discorsi diretti ed indiretti è notevole. I discorsi diretti sono spesso fatti dal padre e da Gertrude mentre quelli indiretti vengono fatti dal narratore esterno onnisciente per permettere ai lettori di capire meglio la storia. Manzoni nel capitolo 10 dei promessi sposi utilizza anche una tecnica narrativa che viene definita tecnica delle ellissi; un esempio è quello dell’omicidio della conversa perché il narratore dice che se ne sarebbe potuto saper di più se invece di cercare lontano si fosse scavato vicino. È una tecnica che consiste nel raccontare un evento non facendolo corrispondere al tempo reale. L’ultima tecnica che viene utilizzata nel capitolo 10 è il sommario ovvero raccontare in poche righe un evento che avviene in molto più tempo; un esempio di sommario è quello della vita di Gertrude nell’attesa di diventare monaca.
CAPITOLO 11
Nel capitolo 11 dei promessi sposi le tecniche narrative principali sono: l’intreccio, il flashback e la narrazione. L’intreccio è una tecnica narrativa con la quale Manzoni all’inizio del capitolo interrompe il racconto della monaca di Monza e raccoglie nella prima parte gli avvenimenti narrati nell'ottavo capitolo. Prosegue poi con vari flashback: dopo la digressione sulla monaca di Monza, Manzoni torna a parlare della notte degli imbrogli e racconta il momento in cui Don Rodrigo attende ansioso il ritorno dei bravi che avrebbero dovuto rapire lucia; venuto a sapere che il rapimento è fallito il signorotto manda il Griso a Monza per studiare la situazione. A questo punto il lungo flashback fatto da Manzoni si interrompe. Un’altra tecnica molto importante è la narrazione. Infatti dopo il flashback Manzoni ricomincia la narrazione che si sposta su Renzo che sta andando nel convento dei cappuccini dove avrebbe dovuto trovare riparo.
CAPITOLO 12
Il capitolo 12 dei Promessi Sposi si apre con la tecnica narrativa della ripetizione e con l’ironia di Manzoni che con queste tecniche dichiara la sua disapprovazione nei confronti di quel conflitto (“della guerra, di quella bella guerra”). Successivamente l’autore continua a esprimere le sue idee, pensieri e opinioni con ironia (es. “ma all’esecuzione … la moltitudine”). Dopodiché troviamo un flash-back espositivo che descrive le condizioni alimentari a Milano e qui poi Manzoni riprende la narrazione al tempo presente del racconto. Nella riga 158 del capitolo l’autore usa il termine “a branchi” per assimilare i comportamenti di queste persone (ovvero dei rivoltosi) a quelli di animali selvaggi (metafora animalesca). Proseguendo alla riga 224 Manzoni continua a usare l'ironia per descrivere l’allusione alle idee della scuola frenologica dello studioso austriaco Franz Joseph Gall, il quale sosteneva che le diverse difficoltà psichiche risiedessero in punti precisi del cervello. In particolare la facoltà ragionativa si pensava che si sviluppasse nella parte sinistra della fronte (“protuberanza sinistra della profondità metafisica”). Inoltre si può ancora cogliere che Manzoni sottolinea, sempre con ironia il rapido cambio di stile oratorio del capitano, che passa dal tono diplomatico con cui si rivolge inizialmente alla folla, alle grida e alle “cattive parole”. Il capitolo si conclude con una riflessione dell’autore che si riferisce al buon senso pratico e all’onestà di Renzo durante la sua osservazione che riguarda tutte le devastazione (distruzione dei forni) accadute in quel particolare giorno.
CAPITOLO 13
La tecnica narrativa utilizzata in questo capitolo è quella dell'alternanza tra discorso indiretto (le parole del vicario sono infatti riportate dal Manzoni) e discorso diretto (quando, alla fine del capitolo, il vicario manifesta il proprio desiderio di andarsene). La folla è criticata dal narratore: il suo modo di agire è negativo, non segue infatti il senso morale, è irrazionale e disordinata. Discorso diretto (per rappresentare le molteplici opinioni della folla) e discorso indiretto (utilizzato per colpire ironicamente la ferocia e l'irrazionalità della folla stessa). Il discorso diretto è ad esempio utilizzato nella rappresentazione della folla e nelle mutevoli opinioni del narratore.
Ci troviamo davanti una vera e propria polifonia dove moltissime voci si intrecciano e si confondono. Quando invece il narratore fa uso del discorso indiretto è soprattutto per colpire ironicamente l'irrazionalità della folla stessa.
CAPITOLO 14
Nella prima sequenza, ancora concentrata sul comportamento della folla, troviamo il discorso indiretto che permette al lettore di guardare come se fosse il narratore, il quale esprime il proprio giudizio sugli sviluppi violenti della sommossa. A questo punto emerge la figura di Renzo. Il giovane tiene un vero e proprio comizio (naturalmente, nella forma del discorso diretto) che finisce per assumere l'aspetto di un monologo, poiché l'intervento degli ascoltatori è ridotto, parla alle persone che lo ascoltano ma anche a se stesso. Manzoni usa una metafora che sta a indicare che il malcontento e l’agitazione del popolo non sono finiti e che nuove azioni di rivolta si stanno preparando (“crocchi”) - riga 19. Successivamente alle righe 158-159 (“v’entro col suo compagno”), l’autore usa ancora una volta la tecnica narrativa della metafora che serve per indicare l’inganno e gli imbrogli che ha fatto l’uomo. Manzoni nelle righe 245-246 (“d’ora in poi ho paura che non li potremo più contare”) si imbarazza a descrivere Renzo durante la sua ubriacatura che raggiungerà il punto più basso della sua degradazione e di conseguenza corrisponde al momento di maggior pericolo. Infine Manzoni, verso la fine del capitolo nella riga 478 (“poi mise un gran sospiro”), rivela un aspetto tragico di Renzo; quello dei pensieri e delle sofferenze intime che si manifestano in modo goffo e impreciso tra la completa sensibilità degli altri.
CAPITOLO 15
Nel capitolo 15 dei Promessi Sposi troviamo principalmente 3 tecniche narrative. La prima tecnica utilizzata da Manzoni è il soliloquio che caratterizza la figura dell’oste nel quale può manifestare ciò che pensa veramente. Infatti le parole del soliloquio mettono in risalto la tranquillità e la difesa dell’osteria attraverso il rispetto formale della legge. La seconda tecnica che troviamo è il dialogo tra l’oste e il notaio criminale. In questo dialogo predomina la regola del negare sempre e comunque; l’oste si preoccupa solo dell’osteria e di non incorrere nella giustizia in seguito agli avvenimenti turbolenti scoppiati in città quel giorno. L’oste è abituato a non far trasparire i suoi pensieri avendo a che fare con la gente di ogni genere che frequenta il suo locale. Questo comportamento rivela la sua perspicacia. In questo dialogo troviamo due toni: lusinghiero quello del notaio criminale mentre quello dell’oste è tranquillo e ostinato. Infine da questo dialogo emerge l’atteggiamento dei protagonisti: prepotente e furbo. La terza e ultima tecnica narrativa che l’autore utilizza è il dialogo tra il notaio criminale e Renzo. Rispetto al dialogo precedente, questo serve per caratterizzare questi due personaggi con vivacità e successivamente rivela svariate emozioni e comportamenti (incredulità, sorpresa e rabbia di Renzo - autorità e superiorità del notaio - gentilezza e buone maniera del notaio, preso dal timore - furbizia di Renzo - falsità del notaio).
CAPITOLO 16
Nel capitolo 16 dei Promessi Sposi la prima tecnica narrativa utilizzata da Manzoni è la suspense (Empì il bicchiere… e riprese). In questo modo l’uomo riesce a creare un’atmosfera non solo di suspense ma anche di attesa tra gli altri avventori. Successivamente nel racconto del mercante troviamo due tecniche narrative particolari : il racconto nel racconto (ricorso a un narratore di secondo grado) e il flashback (fatti avvenuti in precedenza durante quella stessa giornata). Inoltre il mercante ci offre un nuovo punto di vista sui tumulti di San Martino. Bisogna anche riconoscere che il mercante è un abilissimo narratore, infatti riesce a catturare l’attenzione del lettore tramite la tecnica della suspense (prima di iniziare il racconto compie gesti lenti, interrompe il racconto con formule interlocutorie, usa molto la sospensione e infine trasforma il resoconto della rivolta milanese in un monologo da palcoscenico (scena teatrale).
CAPITOLO 17
La tecnica narrativa prevalente in questo capitolo è il soliloquio. Il capitolo XVII è incentrato sulla figura di Renzo che commenta i fatti avvenuti precedentemente e ci riflette. Con la tecnica narrativa del soliloquio l’uomo riesce quindi ad instaurare una specie di colloquio a distanza, sopratutto con il mercante dell’osteria di Gorgonzola che ha distorto la realtà e accusato un innocente. Emergono anche i valori morali e cristiani di Renzo che si impegna, a differenza del mercante, a difendere la bottega. Alla fine del capitolo, durante il dialogo con Bortolo non usa parole positive e sincere.
CAPITOLO 18
Nel capitolo 18 le tecniche narrative più importanti sono: il flashback e la descrizione.
Il flashback è la tecnica narrativa prevalente in questo capitolo, Manzoni lo utilizza per raccontare fatti avvenuti nel passato come il ritorno a casa di Agnese e la partenza di Fra Cristoforo. Agnese ritorna a casa perché decide di andare a parlare direttamente con padre Cristoforo, dato che Lucia non era tranquilla all’idea di lasciare andar la madre a casa. Mentre l’autore fa riferimento alla partenza di Fra Cristoforo, la madre di Lucia si reca al convento per cercare il Padre ma non lo trova perché è già partito per Rimini.
Un’altra tecnica narrativa a cui ricorre l’autore in questo capitolo è la descrizione: i personaggi che delinea in questo paragrafo sono molti, quindi, come solo Manzoni sa fare, fa una descrizione dettagliata di tutti loro.
CAPITOLO 19
Il capitolo 19 dei Promessi Sposi inizia con l’osservazione del narratore, riferita al colloquio tra il conte zio e Attilio; il quale gli aveva consigliato come soluzione del disaccordo tra Don Rodrigo e Fra Cristoforo l'allontanamento del frate tramite l’intervento del padre dell’ordine. Dopodiché nel colloquio troviamo l’uso del condizionale e della sospensione e della reticenza che sarà la principale caratteristica del linguaggio usato dallo zio. Attraverso l’allusione egli esprime il proprio pensiero per evitare l’evidenza della verità. Questo dialogo è un esempio perfetto di arte diplomatica nel quale i due personaggi riescono a dichiarare ma al tempo stesso nascondere i propri intenti. Grazie al narratore onnisciente possiamo conoscere i lati nascosti del colloquio. Successivamente troviamo la figura retorica della similitudine che introduce l’intervento e la riflessione del narratore nell'unico momento di sincerità dell’intero colloquio. Al lettore verrebbe quasi un senso di compassione nei confronti dell’anziano politico ma svanisce nel momento in cui si viene a conoscenza dei motivi della malinconia: l’ansia di raggiungere funzioni politiche elevate e la paura di non avere abbastanza tempo. Proseguendo alla riga 130 troviamo la figura retorica dell’antonomasia. Attraverso quest’ultima Manzoni vuole indicare che il conte zio si ritrova una grande quantità di problemi e difficoltà. La seconda parte del capitolo riguarda la descrizione dell'Innominato. Durante quest'ultima il narratore dichiara che non può accertare la sua identità storica pur essendo molto famoso ai suoi tempi e oggetto di libri.
CAPITOLO 20
La narrazione presenta una struttura varia.
Alterna momenti descrittivi: dove viene descritto dettagliatamente il castello dell’innominato: il luogo è stato interpretato come riflesso simbolico del carattere del suo proprietario, che vive in solitudine su una montagna isolato da tutto. Il castello si trova in una valle posta al confine dello stato di Milano e del Bergamasco, in cime ad un colle accessibile solo da un lato, in basso scorre un torrente che funge da confine tra i due territori. Nessuno può salire senza essere visto dal castello, ciò lo rende una fortezza inespugnabile (l'innominato vive lì circondato da una guarnigione di bravi). All'interno è un intrico di corridoi bui, alle pareti moschetti e sciabole, mentre di guardia ad ogni stanza si trova un bravo. Vengono inoltre descritti il personaggio dell’innominato e della vecchia del castello
A scene d'azione: Sostanzialmente il rapimento di Lucia
E ad interventi del narratore: analizza i sentimenti dell’innominato che, inizialmente non si pentiva di nulla, mentre ora prova disgusto per le sue azioni. Si pente di aver accettato l’incarico di don Rodrigo. Si trova a ripensare spesso ai delitti passati. Il pericolo dell'ormai vicina morte non l'aveva mai preoccupato, ora nella solitudine del suo castello il pensiero di essere ormai vicino alla fine della sua vita lo inquieta. è quasi tentanto di venir meno alla parola data a don Rodrigo ma alla fine decide di non rinunciare.
CAPITOLO 21
Il capitolo si articola su tre situazioni di intensa espressività: l'incontro tra lucia e l'innominato e le loro rispettive notti di tormento.
la prima è costruita con un dialogo che esprime ai livelli piu alti e drammatici le tensioni emotive tra i personaggi .
le due simmetriche sequenze "notturne" sono costruite con: racconto del narratore onnisciente; introspezione psicologica dei due protagonisti; monologhi interiori che esprimono l'angoscia della coscienza con l'uso di esclamative e interrogative retoriche.
CAPITOLO 22
In questo capitolo ci sarà una lunga digressione dell'autore, tramite flash-back, che ci permette di comprendere meglio chi è questo cardinale. Una digressione anticipata dalla frase: "dopo tante immagini di dolore, dopo la contemplazione d'una molteplice e fastidiosa perversità!", che sta ad indicare come sia estremamente necessaria una pausa narrativa dopo il racconto di molti orrori.
Questo espediente letterario ha comunque anche un'altra valenza, vale a dire l'introduzione di un nuovo personaggio attraverso dei connotati concreti, ovvero come persona realmente esistita. Seguirà alla realtà dei fatti, la finzione letteraria, cioè la ricostruzione, fittizia appunto, del dialogo con l'Innominato e del ruolo da lui svolto nella storia di Lucia.
CAPITOLO 23
In questo capitolo troviamo due diverse forme: nella prima parte, durante il colloquio tra il cardinal Borromeo e l'Innominato e la conversione di quest'ultimo, troveremo un gran senso religioso, con discorsi e parole inerenti alla fede. Questi due personaggi ricorrono al lessico religioso. La loro alta personalità esprime in modo chiaro la vittoria del bene sul male. Dopo la conversione avremo il ritorno di Don Abbondio, che ci trasmetterà una "filosofia" negativa, che ci mostra una visione meschina della vita, con egoismo. Nei rr. 535-587 assisteremo ad un lungo monologo interiore di Don Abbondio, dove esprime continuamente principi negativi, e troviamo l'uso costante di espressioni popolari e domande retoriche.
CAPITOLO 24
CAPITOLO 25
Il capitolo 25 dei Promessi Sposi si apre con una sequenza espositiva nella quale troviamo il ritratto di carattere morale e psicologico di donna Prassede. Il giudizio sul personaggio è ironico e critico. Successivamente, dalla riga 61 alla riga 63, troviamo l’ironia del narratore. Il capitolo prosegue poi con il dialogo del cardinale Borromeo e di Don Abbondio sul mancato matrimonio. Questo colloquio ripropone una delle situazioni narrative tipiche di Manzoni, ovvero l'incontro-scontro tra personaggi con caratteristiche morali e ideologiche opposte. Durante questo dialogo Don Abbondio, per difendersi, fa emergere inizialmente l’argomento della sopravvivenza (“ma quando si tratta della vita…”), dopodiché aggiunge che è inutile resistere ai più forti (“E’ un signore quello, con cui non si può né vincerla ne impattare"), poi mette il matrimonio di Renzo e Lucia a confronto con l’integrità del sacerdote (“gli stanno più a cuore gli amori di due giovani, che la vita d’un povero sacerdote”) e infine emerge la sua natura paurosa (“Il coraggio, uno non se lo può dare”). Per il cardinale Borromeo la vita sacerdotale è una missione combattente. Il capitolo si conclude con un finale sospeso che accentua un'atmosfera tesa.
CAPITOLO 26
Il capitolo 26 dei Promessi Sposi si apre con una pausa riflessiva del Narratore che vuole coinvolgere anche il lettore. Le parole usate dal cardinale confermano il valore della testimonianza di fede. Il capitolo è in gran parte occupato dal dialogo tra il cardinale Borromeo e Don Abbondio. Nel capitolo 25 abbiamo assistito alla discussione mentre nel capitolo 26 assisteremo al pentimento di Don Abbondio grazie allo stile oratorio usato dal cardinale in cui continuamente compaiono riferimenti e citazioni tratte dai testi sacri e dalla liturgia, di grande effetto per il loro valore esemplare e spirituale. Infatti la morale della Chiesa è diversa da quella del mondo; questo lo si può dedurre dalla dottrina sociale della Chiesa che è ispirata da un alto senso di giustizia (giustizia divina) che non contraddice la giustizia terrena. Il cardinale Borromeo ribadisce il principio di responsabilità individuale, in base alla quale ognuno deve assumersi le proprie colpe indipendentemente dal comportamento altrui. Per la prima volta Don Abbondio si mette dal punto di vista degli altri nei limiti della sua natura e della sua paura. Sempre durante il colloquio tra il cardinale Borromeo e Don Abbondio troviamo due figure retoriche: la metafora del pastore (riga 266) che definisce i membri del clero in quanto rappresentativi di Gesù e la parola “canizie” ovvero capelli bianchi (metonimia - riga 313) per indicare l’età anziana del curato.
CAPITOLO 27
CAPITOLO 28
CAPITOLO 29
CAPITOLO 30
Il discorso diretto e il dialogo sono dominanti all'interno del capitolo, nelle discussioni tra Perpetua e Don Abbondio (che grazie al soliloquio comunica anche le sue angosce) e negli scambi gentili tra l'Innominato e Agnese. Un'altra tecnica utilizzata, seppure in misura minore, è la descrizione, in particolare della casa del curato e della sua domestica, in cui il focolare è danneggiato e i muri presentano dei segni fatti coi resti dei carboni, e nel disegno della carestia che colpisce Pescarenico.
La frase finale del capitolo è un'ellisse: Ma qui lasceremo da parte il pover’uomo: si tratta ben d’altro che di sue apprensioni private, che de’ guai d’alcuni paesi, che d’un disastro passeggiero. Manzoni ci anticipa quindi che, nel prossimo capitolo, verranno narrate vicende ben peggiori delle preoccupazioni di Don Abbondio, vicende grevi.
CAPITOLO 31
Il capitolo XXXI è caratterizzato da una descrizione oggettiva di un avvenimento storico realmente accaduto: esso costituisce dunque una digressione storica rispetto alla vicenda.
Dipendono, da ciò, le principali tecniche narrative e stilistiche adottate da Manzoni nel modo di riportare gli eventi: l'uso di un registro formale e medio in contraddizione rispetto al resto del romanzo, le citazioni dirette dai testi storici (Tadino e Ripamonti), le formule arcaiche (grida del 1600), gli aneddoti (la sostanza giallognola e biancastra che copriva le abitazioni) e notizie di cronaca derivanti dai documenti dell'epoca (il carro di defunti verso San Gregorio). Inoltre, ci sono numerosi interventi da parte di Manzoni per esprimere un commento personale riguardo i comportamenti dei personaggi o dei fenomeni sociali; portiamo ad esempio le righe conclusive del capitolo: parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell’altre insieme; noi uomini siamo quindi da compatire.
CAPITOLO 32
CAPITOLO 33
In questo capitolo è presente un alleggerimento della situazione dei protagonisti, raccontando che l'ostacolo principale al matrimonio dei due (ovvero Don Rodrigo) si è ammalato di peste. Viceversa Renzo guarisce dalla malattia, facendo iniziare un felice scioglimento della vicenda. Don Rodrigo si ammala di peste nello stesso momento in cui Renzo guarisce dalla malattia: è presente un parallelismo. Il testo in tutto il capitolo è facilmente comprensibile, è diviso in 2 parti: la prima, più breve, dedicata alla contagione di Don Rodrigo; la seconda, spiega invece la guarigione, la partenza e il viaggio di Renzo. L'inizio del capitolo contrappone a breve distanza i due nemici principali della storia (Renzo e Don Rodrigo) e li confronta: mentre il signorotto resta lo stesso anche nella malattia, Renzo si fa forza e agisce con azioni dinamiche ed energiche. Don Rodrigo, nel sogno, vede il dramma della peste e della colpa della sua vita malvagia e piena di ingiustizie commesse da esso di fronte al giudizio della morte. Nei capitoli precedenti, Manzoni ricostruisce gli eventi che provocano l'epidemia di peste, facendo una specie di “viaggio nel tempo”, in cui non si sa nulla sui personaggi dal 1628 al 1630. Nel capitolo ricompaiono alcuni personaggi, come Tonio e Don Abbondio, anche lui con lo stesso carattere timoroso e attento solo a se stesso. Altri personaggi, invece, muoiono per la peste, come Perpetua, il Conte Attilio e il Griso.
CAPITOLO 34
In questo capitolo il protagonista del capitolo è Renzo. Egli torna a Milano dopo due anni del suo primo viaggio in città, affrontando varie prove per scoprire il destino di Lucia.
La prima parte esprime la descrizione del tempo atmosferico, cubo a causa del tempo nuvoloso, che sono particolari che accrescono l'angoscia di Renzo.
Il capitolo è caratterizzato da una lunga serie di descrizioni che aprono la triste condizione della città spopolata dalla peste. Manzoni descrive l'alterazione della società a causa dell'epidemia, della diffidenza reciproca e della paura degli untori.
CAPITOLO 35
nel capitolo 35 troviamo diverse tecniche narrative tra cui, la descrizione relativa al lazzaretto e, inoltre, la descrizione del cielo e del tempo atmosferico che c’era nel lazzaretto è un’elemento importantissimo per rendere realistica la sensazione che provava Renzo nel lazzaretto.
“l’aria stessa e il cielo accrescevano, se qualche cosa poteva accrescerlo, l’orrore di quelle viste. La nebbia s’era a poco a poco addensata e accavallata in nuvoloni che’ rabbuiandosi sempre più’ ‘, davano l’idea d’un annotar tempestoso; se nonchè , verso il mezzo di quel cielo cupo e abbassato, traspariva, come da un fitto velo, la spera del sole, pallida, che sporgeva intorno a sé un barlume fioco e sfumato, e pioveva un calore morto e pesante. Ogni tanto, tra mezzo il ronzio continuo di quella confusa moltitudine, si sentiva un borbottar di tuoni, profondo, come tronco, irresoluto; né, tendendosi l’orecchio, avreste saputo distinguere da che parte venisse “
Il dialogo tra Renzo e fra Cristoforo chiede a Renzo informazioni su di lui e su lucia.
CAPITOLO 36
Nel capitolo 36 le tecniche narrative principali che troviamo sono : la descrizione, la narrazione ed il dialogo.
La tecnica della descrizione è un metodo che Manzoni utilizza molto spesso, infatti, viene anche utilizzata in alcuni capitoli precedenti. In questo capitolo essa viene usata all'inizio per creare un'immagine dell'atmosfera che c'era fuori dalla cappella dove padre Felice chiede il perdono di tutte le persone che si trovano lì in quel momento e che vogliono purificarsi dai loro peccati. In particolare in questa parte del romanzo Manzoni descrive la folla presente prima della processione.
Un'altra tecnica narrativa importante in questo capitolo è quella della narrazione. Il narratore in questo paragrafo svolge un ruolo fondamentale: ci accompagna nella vicenda raccontandoci tutti i luoghi in cui Renzo, disperato perché non trova l'amata, cerca Lucia.
L'ultima tecnica narrativa fondamentale in questo capitolo è il dialogo. Nella seconda metà del paragrafo l'autore rende il racconto ricco di dialoghi per farci vivere i sentimenti che prova il protagonista, inizialmente ritrovando l'amata e successivamente nel sentirsi dire di andarsene perché essa aveva fatto un voto di castità e non poteva sposare Renzo.
CAPITOLO 37
Il capitolo 37 del romanzo sono dedicati a riallacciare tutti i fili della trama irrisolti. Strutturalmente la narrazione si compone di varie scene legate da un filo conduttore: il tema del viaggio, tradotto negli innumerevoli spostamenti di Renzo di paese in paese, e solo nell'ultima parte, la narratrice, dopo una fretta, nei panni di Donna Prassede se ne va, rivolgendo la sua attenzione al personaggio di don Ferrante, regalandoci il suo pensiero sulla peste e sulla sua morte.
A seconda della preferenza per la simmetria in tutto il romanzo, alcuni dei fatti raccontati si riferiscono ad altri capitoli.
La storia si conclude in un cerchio a Milano, dove Lucia è ancora lì, e il tempo scorre in modo lineare, e solo alla fine del capitolo Lucia viene analizzata dal momento in cui l’ abbiamo lasciata all'inizio del capitolo. Il capitolo inizia e termina con un'altra analisi del destino dei personaggi.
CAPITOLO 38
Il capitolo 38 ha struttura lineare e segue l'ordine cronologico dei fatti. Esso segna la conclusione con la morte di Don Ferrante e chiude definitivamente il capitolo.
La storia torna al suo posto nell'ambiente del villaggio, dove ha inizio.
La fine del romanzo, ricollegando gli indizi finali della trama alla struttura generale della narrazione, fa riferimento a situazioni descritte in altri capitoli, dimostrando l'unità strutturale dell'opera in cui le parti si richiamano a vicenda e si completano le altre.
Il linguaggio ritorna ad essere colloquiale come nei primi capitoli, ciò avviene perché l'autore vuole fare un passo indietro per dare spazio alla morale della storia.