Ambientazione
Luoghi: Ducato di Milano
Tempo: autunno 1629-primavera 1630
Personaggi
Casati, Ripamonti, Tadino, Settala, Spinola
Vicenda
Ecco svelata la mala nuova preannunciata da Manzoni: la peste arriva a Milano, portata dalle bande alemanne.
Manzoni vuole raccontare la storia del morbo nel Ducato perché è più famosa che conosciuta: tutte le relazioni in merito sono incorrette, totalmente o parzialmente (è tutto un guazzabuglio di grandi mali e grandi errori). Manzoni indaga gli eventi secondo un metodo razionale: vuole solo riportare la cronologia del disastro della peste, dando un senso logico alla storia.
Quando si iniziano a trovare i primi cadaveri in strada e malati in casa, pochi si ricordano della peste di San Carlo (53 anni fa).
Lodovico Settala, protofisico che ha ispirato sentimenti e azioni più memorabili ancora de’ mali come guida, soccorso, esempio, vittima volontaria, è il primo a mettere in guardia Milano sulla nuova peste. Il tribunale della Sanità manda quindi un commissario a recuperare un medico a Como, per fargli visitare i luoghi colpiti (secondo il Ragguaglio di Tadino). I due, il commissario e il medico, si lasciano convincere da un barbiere di Bellano che la piaga non era in realtà peste, ma effetto o delle emanazioni autunnali delle paludi, o, in altri casi, di disagi provocati dagli alemanni. Ciò viene riferito al tribunale.
Le morti, però, non cessano, quindi Tadino e un auditore ripetono il sopralluogo: ormai, il male s’era già tanto dilatato, che le prove si offrivano, senza che bisognasse andarne in cerca. Cancelli sbarrati e abitanti in fuga, città deserte: la mala nuova arriva al tribunale il 30 di ottobre.
Il 14 novembre deve esser fatto rapporto al governatore, il quale si preoccupa per la peste ma maggiormente per la guerra: il 18 emana una grida in cui ordina una festa pubblica per la nascita di Carlo figlio di re Filippo IV. Il governatore in questione è il già citato Ambrogio Spinola, morto durante la guerra a lui tanto cara, morto sul letto d’affanno e di struggimento, per rimproveri, torti, disgusti d’ogni specie ricevuti da quelli a cui serviva. Lo ricordiamo come un valoroso combattente, qualità che non applicò nel debellare la peste.
Chi si comporta in modo altrettanto insensato (maraviglioso) è la popolazione che ancora non era stata contagiata: nessuno chiese una misura di protezione e prevenzione, nonostante gli effetti della peste fossero ben evidenti e il morbo fosse vicino. La medesima miscredenza, la medesima, per dir meglio, cecità e fissazione si ritrovava anche nel Senato. Uno dei pochi coscienziosi fu il cardinal Federigo Borromeo che sollecitò il popolo a riportare i casi di peste e consegnare gli oggetti probabilmente infetti: Manzoni vede in questa lucidità un’altra dote del cardinale, mentre il tribunale della sanità mostrava una premura ben lontana da uguagliare l’urgenza.
Si scopre in realtà che la grida del 30 ottobre è stata stesa il 23 novembre e pubblicata il 29.
Tadino e lo storico Ripamonti cercano quindi di individuare il nome del paziente zero (nasce una non so quale curiosità di conoscere que’ primi e pochi nomi che poterono essere notati e conservati: questa specie di distinzione, la precedenza nell’esterminio, par che faccian trovare in essi, e nelle particolarità, per altro più indifferenti, qualche cosa di fatale e di memorabile). Secondo Tadino, il primo appestato fu il soldato italiano Lovato di Lecco, secondo Ripamonti, Locati di Chiavenna. Il primo sarebbe entrato a Milano il 22 ottobre, l’altro il 22 novembre. Manzoni ipotizza che la data di entrata a Milano sia in realtà intorno ai primi di novembre, ma non ha informazioni certe.
I contagi scoperti dopo il primo sono tenuti sotto controllo, ma i contagi precedenti all’entrata a Milano vengono indagati per sei mesi.
Nel frattempo, la peste si diffonde, ma non capillarmente: ciò allontanava il sospetto della verità, confermava sempre più il pubblico in quella stupida e micidiale fiducia che non ci fosse peste, né ci fosse stata neppure un momento. Rimane però il terrore del lazzaretto e della contumacia: ciò peggiora ulteriormente la situazione, perché non si denunciano i casi, si corrompono i becchini e si comprano falsi attestati per visitare i cadaveri. Il tutto perché riportare un malato vuol dire vedersi cacciati di casa e bruciati gli averi. Così cresce l’odio verso Tadino e il figlio del protofisico Settala, dichiarati addirittura nemici della patria: il popolo odia i suoi salvatori. Ma questo odio ammutolisce anche altri medici che vorrebbero denunciare la peste, per paura di conseguenze non desiderate.
Manzoni scrive che il protofisico Settala era più avanti di loro (il popolo), ma senza allontanarsi dalla schiera, che è quello che attira i guai, e fa molte volte perdere l’autorità acquistata in altre maniere. Ancora una volta, Manzoni denuncia l’ignoranza e l’avventatezza del popolo, che ragiona con le emozioni e non ascolta gli uomini del mestiere. Il popolo accerchia addirittura Settala, e lo costringe a torturare una donna innocente: solo così il protofisico riacquista il rispetto delle genti.
Nel mentre, però, la peste che Settala aveva preannunciato si diffonde, e i medici si inventano il nome di febbre maligna o pestilente per coprire i loro errori di valutazione. Il problema fondamentale rimane: i medici non avevano dichiarato che queste febbri, ossia la peste, si attaccavano per contatto fisico.
Nel frattempo tutti si mobilitavano per trovare denaro sufficiente a coprire le spese dell’emergenza: e pensare che le grandi angosce non erano ancora venute.
Il lazzaretto chiede aiuto ai Cappuccini per mettere un po’ d’ordine, e il commissario propone Felice Casati e Michele Pozzobonelli: essi entrano nel lazzaretto il 30 marzo, e Casati viene nominato Presidente. Egli stesso, lavorando in tutti i campi possibili e immaginabili per il lazzaretto, prende la peste: a differenza di molti altri fratelli, guarì.
Secondo Manzoni, questo malgoverno della situazione è in realtà contrapposto alla forza e abilità che la carità può dare in ogni tempo, e in qualunque ordin di cose, il veder quest’uomini sostenere un tal carico così bravamente. Inoltre è bello sapere che le genti ripongono la loro fiducia nei frati: per questo bisogna ricordare e fare onore ai Cappuccini che aiutano cinquantamila appestati di Milano in soli sette mesi.
Tra i numerosi contagi vi è anche Settala, che però guarisce. Muore in compenso gran parte della sua famiglia, e ciò costringe la plebe ignorante et temeraria a stringere le labra, chiudere li denti, et inarcare le ciglia (Tadino). Nonostante ciò, alcuni continuano a credere che la peste venga propagata apposta tramite ungenti e magie varie ed eventuali. Essi fanno controllare al tribunale un assito di legno, che secondo loro era stato avvelenato davanti al Duomo il 17 di maggio. L’assito e vari oggetti vengono portati fuori dal Duomo per essere lavati, ma la gente che li vede pensa che siano stati coperti di veleno.
Uno scandalo simile accade il giorno dopo, quando le porte delle case e i muri vengono coperti da una sporcizia giallognola, biancastra, sparsavi come con delle spugne: Manzoni traduce ciò in una falsa voce messa in giro da qualcuno o in un sogno collettivo (che non sarebbe il primo). Ripamonti deride chi è cascato nell’inganno.
Nonostante Manzoni sia praticamente certo della falsità dell’accaduto, crede che non fosse fuor di proposito il riferire e il mettere insieme questi particolari, in parte poco noti, in parte affatto ignorati, d’un celebre delirio; perche, negli errori e massime negli errori di molti, ciò che è più interessante e più utile a osservarsi, mi pare che sia appunto la strada che hanno fatta, l’apparenze, i modi con cui hanno potuto entrar nelle menti, e dominarle. Scoppia infatti un subbuglio generale, il timore dilaga ancora di più: non si trova un colpevole per il fatto, ma comunque si presuppone che ci fosse: il tribunale promette un premio a chi lo scagionerà. Inoltre, mentre il tribunale cercava, molti nel pubblico, come accade, avevan già trovato: chiunque poteva essere incolpato da qualcun altro, pur di trovare una spiegazione e un colpevole.
Il popolo è diviso tra chi crede di poter venir avvelenato da lì a poco, chi pensa si stia esagerando e chi non crede proprio nella peste: per questi ultimi, il tribunale pensa di portare su un carro una famiglia di morti di peste, nudi, verso il cimitero di San Gregorio. Il popolo turbato inizia a credere di più alla peste, ma d’altronde il morbo già si sta diffondendo giorno dopo giorno sempre di più: a ogni morto corrispondeva una persona in più che ci crede. Il carro coi morti non fa che spargere ancora di più la malattia.
Manzoni fa quindi un riassunto della vicenda:
1. La peste non esiste, non se ne dica il nome
2. La peste non esiste, ma le febbri sì
3. La peste non esiste, ma forse sì
4. La peste esiste e stanno cercando di farci ammalare
Come soluzione a questo percorso così lungo e così storto, Manzoni propone di osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare.
Lo stesso scrittore si accorge però che parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell’altre insieme: noi uomini siamo quindi da compatire.
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Seicento, Religione
Citazioni
più famosa che conosciuta
parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell’altre insieme: noi uomini siamo quindi da compatire
che non fosse fuor di proposito il riferire e il mettere insieme questi particolari, in parte poco noti, in parte affatto ignorati, d’un celebre delirio; perche, negli errori e massime negli errori di molti, ciò che è più interessante e più utile a osservarsi, mi pare che sia appunto la strada che hanno fatta, l’apparenze, i modi con cui hanno potuto entrar nelle menti, e dominarle
ispirato sentimenti e azioni più memorabili ancora de’ mali come guida, soccorso, esempio, vittima volontaria