Ambientazione
Luoghi: dell'Innominato, Pescarenico
Tempo: autunno 1629
Personaggi
Agnese, Don Abbondio, Innominato, Perpetua, sarto
Vicenda
Don Abbondio, Perpetua e Agnese si dirigono verso il castellaccio.
Don Abbondio dice che scappare e radunarsi tutti in un luogo è come chiamarsi addosso i soldati: all’entrata della valle, vede li vede e ha paura che essi stiano formando un accampamento per assaltare la fortezza, perché è il loro lavoro, e che lo coinvolgano in un combattimento (in una battaglia non mi ci colgono).
Agnese, in cammino per il castellaccio, soffre a pensare che Lucia abbia percorso quella strada, ma Don Abbondio la zittisce perché sono a casa sua (dell'Innominato): egli dice alle donne di pesare le parole (no pettegolezzi), e che nel dubbio a stare zitti non si sbaglia mai. Perpetua gli risponde a tono che a stare zitto dovrebbe esser lui: il loro conflitto verbale è protagonista del capitolo.
L'Innominato accoglie i tre, dicendo che avere Agnese in quella casa è come una benedizione. Il signora rassicura che son protetti nel suo castellaccio (da cappelletti e lanzichenecchi), ma Don Abbondio non si fida (Oh che gente c’è a questo mondo!: lui è abituato alla pace, ha paura di tutto).
Agnese, il curato e la sua domestica passano ventitré-ventiquattro giorni nel castellaccio, insieme a chiunque passasse: tutti i rifugiati vengono perfettamente gestiti e protetti dall'Innominato. Egli istituisce anche una mensa gratuita per i poveri, dove Perpetua e Agnese lavorano per non sentirsi delle approfittatrici.
Il paese accanto subisce un sacco da parte dei lanzichenecchi molto frettoloso: l'Innominato li caccia e libera il paese, che lo adula.
La paura che qualcosa di improvviso possa succedere logora Don Abbondio, che prova anche nostalgia per casa: egli passeggia, mentre cerca un nascondiglio. Storie sempre peggiori arrivano al castellaccio ogni giorno, e nuova gente arriva e se ne va come, dopo un temporale d’autunno, si vede dai palchi fronzuti d’un grand’albero uscire da ogni parte gli uccelli che ci s’erano riparati.
Gli ultimi ad andarsene sono Don Abbondio, Perpetua e Agnese, per paura del curato che i lanzichenecchi fossero ancora a piede libero. Perpetua avrebbe voluto darsi una mossa per non vedere la casa completamente razziata, ma non verrà accontentata.
Il giorno della partenza, l'Innominato regala cento scudi d'oro ad Agnese e le dice di far pregare Lucia, di credere in Dio, mostrandosi grato nei suoi confronti (ditele adunque ch’io la ringrazio, e confido in Dio, che la sua preghiera tornerà anche in tanta benedizione per lei).
Tornati nelle rispettive case, i tre vedono gli effetti delle scorrerie, raccontati anche dal sarto, e della carestia.
Agnese vede la casa razziata e ringrazia Dio d’esser caduta in piedi, mentre Don Abbondio e Perpetua trovano il focolare distrutto: i ladri, coi resti dei carboni, hanno scarabocchiato i muri. Agnese presta loro gli scudi per far riparare l'abitazione.
Il curato e la domestica litigano nuovamente, in segno del rapporto sostanzialmente paritario. Perpetua sollecita Don Abbondio a farsi coraggio e richiedere indietro i suoi averi, ma il codardo dice di star bene così (quel che è andato è andato). La domestica rivela ciò che tutti noi pensiamo del cuor di leone: lei si lascerebbe cavar gli occhi di testa. Rubare agli altri è peccato, ma a lei, è peccato non rubare.
Infatti, tanta è la paura di Don Abbondio di un attacco a sorpresa, che egli fa riparate immediatamente la porta: nulla di ciò che temeva succederà, ma Manzoni anticipa che arriverà comunque un’altra mala nuova.
Temi
Religione, Provvidenza; Seicento
Citazioni
Lei si lascerebbe cavar gli occhi di testa. Rubare agli altri è peccato, ma a lei, è peccato non rubare.
Ma qui lasceremo da parte il pover’uomo: si tratta ben d’altro che di sue apprensioni private, che de’ guai d’alcuni paesi, che d’un disastro passeggiero.
Tecniche narrative
Discorso diretto, dialogo, descrizione, ellisse.