Io Capitano

Io Capitano

il film di Matteo Garrone candidato agli Oscar 2024



Dopo la candidatura agli Oscar 2022 di “È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino, il cinema italiano è tornato nuovamente a competere nella categoria «miglior film in lingua straniera” della novantaseiesima edizione degli Academy Awards con “Io Capitano” del regista romano Matteo Garrone. 

Nonostante l’insuccesso agli Oscar, che hanno visto invece vincere “La zona d’interesse” del britannico Jonathan Glazer, l’ultimo lavoro di Garrone, sin dalla sua uscita nel mese di settembre 2023, ha investito le sale cinematografiche italiane di un’ ondata di umanità e contemporaneità capace di commuovere e far riflettere il pubblico su un tema estremamente attuale e vicino alla nostra quotidianità.

La pellicola infatti tratta del tema dell’emigrazione vista dai giovanissimi occhi di due cugini senegalesi, Seydou e Moussa, che lasciano il loro Paese natale in cerca di un futuro più promettente in Europa.

Il film sembra prendere mano nella mano lo spettatore, che diventa quasi un terzo personaggio, per accompagnarlo nel viaggio dei due protagonisti di cui sembra impossibile vedere la fine.

I due adolescenti attraversano il Mali, il Niger e il deserto del Sahara in una sorta di Odissea contemporanea, che non abbandona il proprio aspetto quasi mistico e fantastico che caratterizza proprio l’opera di Omero: nel film infatti la dimensione onirica non manca ed è anzi fondamentale per suggerire la natura nascosta del viaggio intrapreso da Seydou e Moussa, che non è solo geografico ma è anche un vero e proprio viaggio nella loro anima.



L’inserimento sporadico di sogni e allucinazioni, conferisce profondità ai sentimenti e alle paure dei personaggi, oltre ad essere una delle caratteristiche del cinema dell’Africa occidentale: basta pensare a uno dei capolavori del cinema del continente come “Touki Bouki” di Djibril Diop Mambéty (anche se realizzato e ambientato cinquant’anni fa, nel 1973), anch’esso un racconto di un’utopia, un viaggio verso l’Europa per trovare la libertà di essere sé stessi, che conserva una certa opacità, un incastro tra reale e immaginario.

Una scena tratta dal film: un'allucinazione di Seydou 

il dipinto di Marc Chagall “La passeggiata” (1918)

Tuttavia “Io Capitano” preserva un racconto lineare, privo di sovrastrutture e intellettualismi e per questo capace di arrivare a un pubblico trasversale: prende le distanze dal genere del documentario, nonostante la trama stessa sia una combinazione di diverse testimonianze, e difende la propria natura narrativa.

E’ una sorta di road movie, ma anche un viaggio di formazione, il percorso di crescita dei due protagonisti che, partendo dal Senegal come bambini ingenui e inesperti, si evolvono in due veri e propri adulti, avendo affrontato un climax di prove sempre più difficili che certamente rappresentano l’esatto opposto del passaggio dall’infanzia alla vita adulta più augurabile.

Ciò che risalta della storia di Seydou e Moussa, è che il viaggio da loro intrapreso non è spinto da guerre o condizioni di disperazione assoluta, anzi essi partono da una situazione di povertà dignitosa, in cui entrambi possono godere di una casa e di una famiglia a loro affezionata, in un paese che si avvale di una certa stabilità politica quale è il Senegal. Nonostante ciò, i due ragazzi soffrono una mancanza che va al di là delle cose materiali e che potremmo definire come un “desiderio di desiderare”, cioè la possibilità di realizzare i propri obbiettivi, di trovare successo per aiutare la famiglia ma anche semplicemente di andare oltre al destino prestabilito dalla propria condizione. È un’ambizione che accomuna i giovani di tutte le nazioni e di tutte le generazioni. Ciò fa avvicinare lo spettatore ai due protagonisti, nei quali riconosce un riflesso di sé stesso; quello dei due cugini è un sogno puramente umano e universale. 



Il regista Matteo Garrone diventa quindi messaggero di una cultura a lui estranea; per questa ragione egli è stato affiancato, sia in fase di scrittura che in fase di riprese, da persone che avendo fatto esperienza dell’emigrazione verso i paesi europei potessero fornire le proprie testimonianze in modo da rendere il racconto più verosimile e arricchirlo con differenti punti di vista. Pertanto, il regista e lo sceneggiatore Massimo Ceccherini sono riusciti a donare profondità ai sentimenti dei personaggi, con una sceneggiatura in lingua originale (wolof) che arriva dritta al cuore della scena e che non ricade negli stereotipi e clichés tipici di chi affronta il tema con la presunzione di conoscere tutto pur rifiutando di consultare diversi punti di vista. 

“Io Capitano” è un film che parla di dignità e di diritti, di sogni giovanili e di una realtà innegabile che ogni giorno si dispiega davanti ai nostri occhi rappresentata attraverso lo sguardo innocente di Seydou, che tuttavia, nonostante le critiche esplicite, non ricade nel pietismo ma rimane un racconto oggettivo di uno dei drammi della nostra epoca.

Roberta Rancati