Scrivere con la luce: Robert Doisneau

Scrivere con la luce: Robert Doisneau


Se ci potessimo immergere nelle Banlieues parigine, nei primi anni trenta del secolo scorso, troveremmo probabilmente un giovane Robert Doisneau che passeggia tra le vie con un paio di rullini nelle tasche, intento a scattare le sue prime foto, ancora ignaro del fatto che sarebbe diventato a distanza di pochi decenni uno dei fotografi più importanti della storia e, insieme al collega Henri Cartier-Bresson, uno dei padri fondatori del fotogiornalismo di strada.


Nonostante inizialmente studi litografia all’École Estienne di Parigi e successivamente lavori come fotografo industriale per la famosa casa automobilistica Renault, Doisneau aveva ben altri soggetti da cui trarre ispirazione:


Prima fra tutti Parigi stessa, anzi più precisamente le sue periferie, il luogo dove era nato e cresciuto, imparando dalle esperienze vissute per le strade in quanto orfano di entrambi i genitori dall’età di sette anni. Doisneau è riuscito a cristallizzare con la sua macchina fotografica uno spaccato della vita parigina, in particolar modo dagli anni Trenta agli anni Sessanta, immortalando persone, particolari, dettagli, situazioni quotidiane e tuttavia rivelatrici, spesso anche costruite da lui stesso ma sempre con la magistrale abilità di renderle del tutto verosimili (tanto che alcune delle sue fotografie sono state oggetto di discussioni proprio a causa del loro precario equilibrio tra realtà e finzione, come nel caso de “Le baiser de l’hôtel de ville”, che vedremo più dettagliatamente in seguito).


La corrente fotografica nella quale potremmo collocare Doisneau è sicuramente quella umanista: in tutte le sue foto, anche se sono spesso state screditate come “di semplice leggerezza”, egli indaga la grande profondità dei suoi personaggi. Gli uomini e le donne che ha impresso sulla pellicola raccontano e testimoniano una vita per certi versi così lontana dalla nostra ed eppure sembra allo stesso tempo accomunare tutti. 


«Le fotografie che mi interessano, quelle che trovo riuscite, sono quelle aperte, che non raccontano una storia fino alla fine, ma lasciano allo spettatore la possibilità di fare a sua volta un pezzetto di strada insieme all’immagine, di continuarla a proprio piacimento: una specie di trampolino del sogno.»









“La Dernière Valse du 14 Juillet” (1949)

Chi sono questi due giovani? Perché stanno ballando? Che cosa li rende tanto felici?



“La Première Maîtresse” (1935)                                  “La Voiture Fondue” (1944)

A partire dalla sua predilezione per il mondo dei bambini, dei giochi e della spensieratezza, che racconta con semplicità, curiosità e malinconia proprie di un uomo al quale l’infanzia è stata strappata troppo presto. Ciò che lo differenzia da altri fotografi che avevano precedentemente ritratto le scene quotidiane dei fanciulli è che egli non ha mai l’intezione di deridere le loro abitudini e immaginazione, al contrario le tratta con umiltà e sincero interesse

Les FFI de Ménilmontant” (1944). 

Doisneau e la guerra

Non possiamo dimenticare però che Doisneau ha vissuto a pieno un importantissimo evento storico, la Seconda Guerra Mondiale, la quale ha ovviamente influenzato la sua produzione fotografica. Ed è proprio nell’atmosfera tesa che precede di qualche giorno la liberazione dell’amata Parigi da parte delle Forces Françaises de l'Intérieur (FFI), che il fotografo scatta una delle immagini, anche se forse non il suo capolavoro, più iconiche e significative della resistenza parigina: “Les FFI de Ménilmontant” (1944). 

Non sembra proprio una delle innumerevoli foto di gruppo che si scattano con gli amici? Ebbene, questa rappresenta invece l’orgoglio e la fierezza di chi la guerra l’ha combattuta e vinta, degli uomini che vogliono essere fissati per sempre in quel momento perché sanno di essere entrati a far parte della storia. Furono loro stessi infatti a chiedere a Doisneau, il quale stava passeggiando nella cara banlieue con soli due rullini in tasca, di essere fotografati. È un’immagine così semplice, frontale, che il fotografo fece controvoglia e spinto solo dal fatto che anche lui aveva partecipato alla resistenza falsificando documenti, ma che non può decisamente essere dimenticata. 

“Autoritratto” (1947)



Un fotografo timido

Può sembrare un ossimoro, ma non lo è. Doisneau era veramente un uomo timido, specialmente nei primi anni della sua produzione. Quando ancora fotografava aggirandosi solo nella propria periferia, Robert preferiva scattare foto ai ciottoli sulla strada piuttosto che avvicinarsi alle persone. Lavorò inoltre per molto tempo una Rolleiflex 6x6, ossia macchina fotografica che, avendo il mirino nella parte superiore del corpo macchina, gli permetteva di poter abbassare la fotocamera sotto ai propri occhi e di non puntare l’obiettivo direttamente davanti al viso delle persone che stava per ritrarre. 



“Mademoiselle Anita” (1951)



La timidezza si smorzò crescendo e diventando più esperto, tuttavia la sua natura ancora trapela in ogni sua foto, come possiamo notare in “Mademoiselle Anita” (1951). Egli riteneva che ci dovesse essere una certa distanza tra il fotografo e il soggetto, per evitare di creare il senso di soggezione che avrebbe rovinato la scena, e questa sua fotografia ne è la prova:



Le baiser de l’hôtel de ville” (1950)



Un bacio rubato o costruito?


Ed eccolo qui, il capolavoro di Doisneau, la sua opera più celebre e certamente la più discussa: Le baiser de l’hôtel de ville” oppure più semplicemente “il bacio”. Una scena romantica, dolce e genuina… se non fosse che il fotografo l’ha in realtà magistralmente costruita e pianificata, proprio come un regista, per la rivista “Life”, la quale invece pubblica questa foto assicurando i lettori della sua spontaneità. E così si è creduto per molti anni, finché nel 1992, una coppia di signori apparve su tutti gli schermi delle televisioni francesi affermando di essere i due soggetti ritratti nell’immagine che nel frattempo aveva acquisito fama e soprattutto un grande valore economico, e denunciando Doisneau per averli fotografati senza permesso. La dichiarazione fu smentita dalla vera protagonista ritratta, Françoise Bornet, una studentessa di teatro ingaggiata da Doisneau stesso quarant’anni prima, la quale successivamente nel 2005 mise in vendita la fotografia ricavandone 155mila euro




Se volete saperne di più su Robert Doisneau e sulle sue fotografie, vi consiglio di visitare la mostra che resterà ai Chiostri di Sant’Eustorgio di Milano fino al 15 ottobre 2023.


«La mostra ripercorre la vicenda creativa del grande artista francese, attraverso 130 immagini in bianco e nero, tutte provenienti dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge, nell’immediata periferia sud di Parigi.»


Roberta Rancati