Il regno dell'odio (Salmo 13)
Il regno dell'odio (Salmo 13)
Gabriele Rossetti, “Iddio e l'uomo”, Salterio, Londra: P. Rolandi, Libreria italiana, 1833.
1 Là dove l'Abisso
Più bolle e più freme,
Si unirono insieme
Superbia ed Error:
Sul letto di Morte
La coppia si giacque,
E un mostro ne nacque
D'entrambi peggior.
2 All'urlo che trasse,
Mentr'egli nascea,
La stigia vallea
Si scosse e muggì;
E l'Odio comparve
Di sangue vermiglio,
E al primo suo figlio
L'inferno applaudì.
3 L'Inferno che, ardendo
Di furie di guerra,
In grembo alla terra
Quel mostro eruttò;
Quel mostro che, il cielo
Prendendosi a scherno,
Repente in Inferno
La terra cangiò.
4 Miratelo! Esala
Un fumo i fosco
Che mesce il tuo tosco
Con l'aura vital!
Soffiati carboni
Rassembran le ciglia!
Il crine somiglia
Spineto invernal!
5 Nell'ampia sua gola
Che cupa s'interna,
Qual vento in caverna,
Ruggisce il furor.
Fa un segno il fellone,
E tosto a quel segno,
Con balzo di sdegno,
Risponde ogni cor.
6 Ei corse, ed oppose
Coorte a coorte,
Teatro di morte
La terra si fè;
Periron le genti
Quai torme di bruti,
Sui troni caduti
Spirarono i re.
7 Le leggi schernendo
Del dritto natio,
Che 'l dito di Dio
Ne' cuori vergò.
Fra gorghi di sangue
Terribili passando,
Tingendovi il brando,
Le leggi segnò.
8 Ahi, ch'oltre spingendo
L'atroce misfatto,
All'arca del patto
Si schiude il sentier!
E sangue grondando
Nel tempio passeggia,
E come in sua reggia
Vi spiega il poter!
9 Emana dal fondo
Del tempio assalito
Un rauco muggito
Di torbido mar;
E giaccion rovesci
Turiboli e nappi,
Fra laceri drappi
Del vedovo altar.
10 Quell'ira superba
Che tutto travolse
Fra l'arida polve
Squarciati avvilì.
Gli arredi olezzanti
Di mirra e di casia,
Cui l'oro dell'Asia
Le fimbrie arricchì.
11 Qui scorre po' campi
Fral popol che geme,
E strugge la speme
Di lungo sudor;
Là varca gli alberghi
Fra grida tremende,
E squarcia le bende
Del vergin pudor;
12 E vecchi e fanciulli,
Donzelle e matrone,
Riguardo o ragione
Di sesso o d'età,
Non frenan l'indegno
Che sordo a' lor detti
I laceri petti
Calcando ne va.
13 Passando sui corpi
Di madri svenate,
Fra spade snudate
Le culle assalì,
Né valse a placarlo
L'ingenua eloquenza
D'ignara innocenza
Che rise o vagì.
14 Poi torvo pascendo
Lo sguardo sicuro,
Seduto sul muro
Di vinta città,
Quell'arsa macerie
Contempla esultante,
Qual rogo fumante
Che incenso gli dà.
15 O sole, dal punto
Che volvi sugli anni,
Quai colpe ed affanni
Mirasti quaggiù!
Qual odj, qual ire
Fra principi e genti,
Quai vizi frequenti,
Quai rare virtù!
16 Su falli sì truci
Su mali sì grevi
Estinguer dovevi
La lampa del dì;
Estinguila, e cela
Sì orribili scene,
Se il secol che viene
Dev'esser così.
17 Ah sento che il canto
Sul labbro mi muore!
Pensoso dolore
M'invita a tacer.
Deh, prima che spazii
Nel nuovo tuo lume,
Ripiega le piume,
Mio stanco pensier.
18 Là dove s'inarca
Quell'erma spelonca
Sull'umida conca
Che l'acqua scavò,
Qual vedovo geme
Notturno usignolo,
Il canto del duolo
Sull'arpa sciorrò.
19 Inspirami i tuoni
D'angoscia ripieni,
Profeta de' treni,
Dolente cantor;
E il canto ch'io sciolgo
Dal tacito spreco
Si spanda qual eco
Del patrio dolor.