Florio Michelangelo

Michelangelo Florio (conosciuto pure come “Michelagnolo Fiorentino, autore dell’Apologia”) nasce probabilmente a Siena o Lucca[1], da una famiglia d’origine ebraica convertitasi al Cattolicesimo. Orfano all’età di circa 10 anni, è educato in Trentino (Venezia tridentina) e diventa frate francescano.

Conosciuto come Fra’ Paolo Antonio, viene a contatto con la fede riformata, è persuaso dalle sue argomentazioni (forse nel 1541) e ne diventa attivo sostenitore[2]. Uomo di grande istruzione ed eloquenza, benché, si dice, dalla spiritualità piuttosto instabile, usa questi suoi talenti per predicare con coraggio e franchezza l’Evangelo. La sua predicazione radicale, nonostante la relativa tolleranza che riscuoteva a quel tempo il movimento riformatore in Italia, suscita ben presto le reazioni delle autorità ecclesiastiche, che ne ottengono l’arresto e l’incarceramento per “eresia” nel 1548. È proprio in quel tempo che viene istituita l’Inquisizione per contrastare un movimento riformatore sempre più “preoccupante” per le autorità ecclesiastiche.

Dopo 27 mesi di prigione a Roma[3], riesce a fuggire, getta il saio di frate ed inizia così le sue peregrinazioni prima in Italia, prima in Abruzzo, poi a Napoli, in Puglia, poi, per mare a Venezia, poi ancora a Mantova, Brescia, Bergamo, Milano, Pavia, Casale Monferrato (centri allora, della fede riformata in Italia) protetto da circoli riformati nei quali riceve ulteriore istruzione teologica. È durante questo periodo che conosce Pietro Martire Vermigli[4] ed altri riformatori italiani. Raggiunge poi Lione, Parigi, e quindi l’Inghilterra.

Il primo novembre 1550 arriva come rifugiato a Londra (dopo aver lasciato Venezia in settembre), rimanendovi fino al 4 marzo 1554. Probabilmente il suo contatto a Londra era Bernardino Ochino[5] (1487-1564). Ivi è presente a quel tempo pure Pietro Martire Vermigli. L’Inghilterra era allora, infatti, un punto di riferimento per tutti coloro che, a causa della loro fede, avevano di che temere per la loro vita, trovandovi, come profughi, la calorosa protezione del Re Edoardo VI.

Diventa amico dell’arcivescovo Thomas Cranmer[6] ed è sostenuto da Sir William Cecil[7] che subito ne apprezza le doti. Diventa pastore della Chiesa riformata di lingua italiana di Londra, incoraggiata e protetta dalle autorità, una delle diverse comunità straniere allora esistenti[8]. Per questo, Florio riceveva dalle autorità reali uno stipendio di 20 sterline all’anno. Oltre a questo, la comunità si obbligava a provvedere al suo alloggio ed alle altre sue necessità. Un rigido regolamento ecclesiastico era stato introdotto sotto la guida del polacco Jan Laski[9], che aveva assunto il coordinamento, come una sorta di sovrintendente, delle comunità riformate straniere.

Il suo stile oratorio molto appassionato non è sempre visto di buon occhio. Pare che il Florio predicasse tali veementi sermoni anti-papisti che non pochi ne erano persino scandalizzati[10].

Lavora in casa di William Cecil, futuro segretario di gabinetto della principessa Elizabeth e diventa cappellano e mentore di Lady Jane Grey[11] insegnandole pure l’italiano, il latino ed il francese. Le sue lunghe conversazioni con lei sono riportate nel libro che Florio scrive sulla sua vita e morte[12]. Al Florio sembra da addebitarsi la riconosciuta maestria linguistica della Grey. Con la svolta del 1553 Maria la Sanguinaria assume il potere. Lady Jane viene decapitata un anno dopo. Più tardi Florio, in un suo libretto, avrebbe descritto con quale calma la sua giovane allieva – diciassettenne - era andata incontro alla morte, diffondendone le lettere ed altri scritti.

Pare che la sua onorabilità fosse anche, ad un certo punto compromessa a causa di una relazione irregolare con una donna inglese colta e benestante (forse conosciuta in casa dello stesso Cecil). Sembra che si sia potuto salvare da un processo solo dichiarandosi disposto al matrimonio[13]. Da questa relazione nasce, in Inghilterra, Giovanni (John) Florio, nel 1553.

Questa storia, insieme ad una certa insofferenza per gli stretti regolamenti imposti alle comunità riformate straniere (che critica apertamente), ed una certa propensione per le idee eterodosse dell’Ochino, lo porta in conflitto con quelle autorità, tanto da vedersi licenziato dall’ufficio pastorale (1552). Nel 1553 il Riformatore zurighese Bullinger[14] scrive in una sua lettera che un predicatore (che non nomina) sospeso dal suo incarico aveva criticato i riti della comunità dei rifugiati. Deve lasciare la casa del Cecil e per vivere impartisce lezioni di italiano. Scrive un libro di regole grammaticali dedicate a due dei suoi allievi, Henry Herbert, duca di Penbroke e Lady Jane Grey[15], come pure un saggio sui principi della traduzione, benché egli voglia essere solo e sempre considerato un predicatore: “In questa piccola opera non pretendo essere uno scrittore di puro Toscano, ma solo un sincero espositore della Parola di Dio”.

È pure possibile che il Florio sia stato in contatto come insegnante dell’ancora più famosa principessa Elizabeth, appassionata dell’italiano ed intellettualmente interessata alla dottrina sulla predestinazione come esposta dall’Ochino.

È ampiamente riconosciuto come sia da addebitarsi proprio ai Florio (padre e figlio) la grande influenza che la cultura italiana ha avuto nel forgiare il Rinascimento inglese.

Ad Oxford, forse in rapporto con Pietro Martire Vermigli, si interessa delle dispute teologiche che vi avvengono, in particolare quelle di Nicholas Ridley[16] con i papisti. Di questo scrive pure nel libro dove parla della vicenda di Lady Jane. Il Florio si dimostra pure un imparziale cronista dei tragici avvenimenti politici dell’Inghilterra in quel periodo.

Nel 1555 dopo che Maria la sanguinaria accede al trono (e che causa il martirio di Cranmer, Latimer[17] e Ridley ad Oxford), insieme ad altri rifugiati fugge dall’Inghilterra[18] e soggiorna brevemente a Strasburgo. Qui incontra il nobile Federico Von Salis di Soglio che giunge ad apprezzarlo tanto da invitarlo a divenire pastore della Chiesa evangelica riformata dei Grigioni nello stesso villaggio di Soglio, in Bregaglia. È probabile, altresì, che Michelangelo avesse, nella stessa Chiavenna, un parente, pure predicatore evangelico, un certo Simone Florio.

Accetta l’incarico e vi si trasferisce con la moglie inglese e il figlioletto John, nato in Inghilterra. Diventa così il secondo pastore riformato di Soglio dopo la Riforma, succedendo a Michele Lattanzio, di Bergamo, già ivi rifugiato.

È a Soglio che Michelangelo educa il figlio non solo nella fede riformata, ma gli insegna pure pure latino, francese, greco, insieme all’italiano ed all’inglese. Dalle opere posteriori di Giovanni Florio risulta come la loro vita in quel villaggio fosse frugale, ma feconda, provvista di libri, musica, buone maniere, e dove si coltivava la conoscenza delle lingue. È pure a Soglio che Giovanni vede il padre scrivere sermoni e libri, e dove impara l’amore per le lettere, cosa che poi trasmetterà alla cultura inglese.

La nuova attività a Soglio conosce, però, altre difficoltà. Florio aveva avuto il compito di ammaestrare nella fede una popolazione montanara che soltanto da poco tempo si era decisa per la Riforma. Al tempo stesso si trovava a dover fronteggiare la potente famiglia Salis, che avrebbe fatto volentieri a meno “del passaggio alla nuova fede”.

Qui si rivela ancora il suo spirito inquieto che lo porta a simpatizzare per la corrente teologica antitrinitaria, in particolare la corrente dei Sociniani (da Fausto Sozzini[19]), che già aveva causato tensioni e scissioni nella vicina Chiavenna. Un’accentuata tendenza antitrinitaria è riscontrabile, infatti, nella Riforma italiana. Gli storici osservano come Michelangelo Florio sarebbe venuto meno alla sua indole se avesse trovato la pace a Soglio. Accanto alla sua attività di predicatore si impegna, così, in discussioni teologiche che, però, escono molto al di là degli orizzonti ed interessi di una comunità di montagna. Il Florio, per esempio, era del parere che fosse inammissibile affermare che Cristo avesse espiato sulla croce i peccati degli uomini mediante un sacrificio perfetto. I peccati dell’umanità erano stati piuttosto vinti per il fatto che Dio, nel la sua grazia, aveva dichiarato e accettato la morte di Cristo come un sacrificio espiatorio sufficiente. Di conseguenza non poteva considerare anche la Santa Cena nient’altro che come un richiamo esteriore alla grazia di Dio.

Tre anni dopo il suo arrivo (1557) scrive la sua “Apologia”[20], risposta polemica agli attacchi di un suo ex-confratello francescano Bernardino Spada. In essa difende le sue idee riformatrici e si esprime su temi come la vera e la falsa chiesa, il problema della messa, la presenza di Cristo nel sacramento del la Cena del Signore, il primato di Pietro e l’autorità dei Concili. E poiché era stato attaccato dallo Spada sul piano personale, parla pure della sua vita e delle sue personali esperienze.

Per le sue tendenze teologiche più liberali si ritrova ben presto in conflitto con lo stesso Sinodo Retico di Coira, che, difendendo rigorosamente l’ortodossia riformata, stava avendo già moti problemi a Chiavenna. Il Sinodo riteneva che, soprattutto in un periodo come quello, si dovesse conservare l’unità dottrinale con il complesso del movimento riformato, senza aumentare così i problemi che già si aveva con la violenta reazione cattolico-romana.

Nel 1561 è, così, convocato di fronte al Sinodo della Chiesa Retica per rendere conto delle sue idee eterodosse, come pure per il fatto che egli si opponesse a che la chiesa avesse una confessione di fede obbligatoria, firmata sia dai pastori che dai membri di chiesa[21].

Ancor prima che il Sinodo si fosse riunito, Florio e i suoi amici fanno un tentativo di tirare dalla propria parte i ministri di Zurigo. Il 24 maggio 1561 una delegazione porta una lista di 26 questioni sulle quali si desiderava avere l’opinione dei pastori zurighesi. Lo scopo di tali questioni erano nient’altro che una perorazione per una maggiore libertà. «Deve la Confessione decisa da una comunità essere accettata da tutti senza riserve?». «Deve essere scomunicato chiunque sia irretito in errore sulla dottrina della Trinità, il cui mistero non può essere compreso neppure dagli angeli, anche se esso sia irreprensibile sotto ogni altro punto di vista, se conduce una vita lodevole e incontra amorevolmente i poveri?». I postulanti non hanno, però, successo. I pastori di Zurigo lo rimproverano in una dettagliata loro lettera . Il Sinodo, che si riunìsce a Coira dieci giorni più tardi, si presenta, così in partenza per Florio sotto un cattivo auspicio. Florio presenta le sue richieste con la nota veemenza. I membri del suo gruppo si difendono dapprima affermando che essi avevano già sottoscritto la Confessione retica e che, quindi, non c’era alcun bisogno di avere un’altra Confessione. Poi, però, quando uno dei suoi compagni, Lodovico Fieri, giunge a sostenere opinioni chiaramente eretiche, il dibattito si sposta su questioni teologiche.

Florio e Torriani sono costretti a ritirare le posizioni dottrinali. Lodovico Fieri è estromesso dal ministero. Le discussioni erano tuttavia ben lungi dall’essere terminate e si infiammano nuovamente al principio degli anni settanta. Infatti, anche se Florio e Torriani avevano accettato la censura del Sinodo, essi rimangono — almeno nel segreto — fermi nelle loro convinzioni.

La contiguità del Florio al movimento spiritualista si nota anche nel solo fatto che amici di Bernardino Ochino, dopo la sua espulsione da Zurigo, cercano di sondare se Florio o Torriani siano disposti ad accogliere in Bregaglia il fuggiasco. La lettera, però, è sequestrata e quindi egli non può rispondere. L’Ochino si reca a Mähren passando per Basilea, Francoforte e Norimberga. Nell’epidemia di peste muoiono tre dei suoi bambini ed egli stesso muore nel 1564 in estrema miseria.

Alcuni anni più tardi il Sinodo tratta nuovamente la questione (1572), ma Florio mantiene, nelle discussioni, un basso profilo, e questo, probabilmente, per non pregiudicare la carriera del brillante suo figlio Giovanni, raccomandato dal Vergerio. Torriani, arnico del Florio, Camillo Sozzini e Niccolò Camulio sono sospesi dal ministero. Florio stesso a quel tempo, non viene più menzionato perché probabilmente già deceduto.

A Soglio il Florio conserva i suoi legami con l’Inghilterra. Nel 1563 dedica una sua opera alla regina Elisabetta I, quasi per ricordarle di essere stato il suo tutore italiano e sicuramente per preparare la strada in Inghilterra al figlio Giovanni. Si tratta dell’opera dell’Agricola sulla metallurgia (De Re Metallica)[22], un’opera davvero massiccia, molto probabilmente scritta durante i lunghi inverni di Soglio. In questo libro compare un’epistola dedicatoria firmata da Michelangelo e datata “Da Soy de la Rethia” 12 marzo 1563, dove dice: “Alla serenissima e potentissima Lisabetta, per Dio grazia Regina di Inghilterra, di Francia, e d’Hibernia, Salute”.

Il 9 maggio 1563, sollecitato dal Vergerio. manda suo figlio Giovanni, che conosceva molto bene l’italiano, l’inglese, il francese ed il latino, all’università di Tubinga in Germania. Non pare che Giovanni visitasse o vivesse mai in Italia. Suo padre l’aveva ammonito che non era possibile vivere nelle città italiane “senza dimenticare Dio”. Il figlio Giovanni ritorna poi in Inghilterra dove vi risiederà stabilmente. Forse non consegue a Tubinga lo sperato titolo di studio. Il suo protettore, Vergerio, muore nel 1565. Probabilmente Giovanni è nel Württemberg che ricupera i contatti con l’Inghilterra, perché le istituzioni universitarie e religiose di questa regione ne hanno costanti contatti.

A Soglio il Florio assume pure la funzione di pubblico notaio. Una serie di libri notarili degli anni 1564-66, depositati oggi nella biblioteca di Coira, portano la sua firma.

Ebbe altri figli. Muore dopo il 1566 probabilmente a Soglio, perché dopo quella data non si trova più menzionato il suo nome.

[1] Egli si definisce „fiorentino“ probabilmente per guadagnare credito fra gli studiosi.

[2] “Infelicissimo da vero era lo stato mio quando sotto l’habito francescano stavo sepolto nelle infinite superstizioni, anzi, idolatrie, contro a la mia coscienza, che già più di 16 anni or sono che per la Dio mercé conobbi gran parte del vero, e forzami in Faenza, Padova, Roma, Venezia e Napoli a darne fuori qualche saggio” (Apologia, p. 13).

[3] Dal gennaio o febbraio del 1548. Egli scrive al riguardo: “Perché mi tennero papa Paolo III, il Cardinal ch’iettino oggi Anticristo, il Cardinal di San Jacopo, Santa Croce e lo Sfrondato, 27 mesi prigione in Roma Perché con tanta crudeltà mi tormentarono?” (Apologia, p. 73).

[4] Pietro Martire Vermigli, riformatore (Firenze 1500-Zurigo 1562). Agostiniano, priore a Napoli e poi a San Frediano presso Lucca, frequentando il cenacolo di Juan de Valdés aderì alla Riforma. Fuggito dall'Italia nel 1542, fu a Zurigo, Basilea e Strasburgo, quindi passò in Inghilterra (1547), dove insegnò teologia a Oxford. Tornato in Svizzera, fu professore a Zurigo (1556) di teologia e filosofia.

[5] Bernardino Ochino, riformatore religioso (Siena 1487-Slavkow, presso Austerlitz, Moravia, 1564). Già famoso predicatore e generale dei cappuccini (1538-42), dopo contatti con Juan de Valdés e Pietro Martire Vermigli, lasciò nel 1542 il cattolicesimo rifugiandosi a Ginevra. Fu pastore dei protestanti italiani prima ad Augusta (1545-47) e poi, dopo un intervallo londinese, a Zurigo (1555-63), da cui dovette allontanarsi per le accuse di antitrinitarismo sollevate dalla pubblicazione dei suoi Dialoghi XXX (1563). Riparò allora in Moravia. Tra le altre opere: Prediche nove (1539), Dialoghi sette (1542), Labirinti del libero o servo arbitrio (1561).

[6] Thomas Cranmer, prelato e riformatore inglese, primo arcivescovo anglicano di Canterbury (Aslacton 1489-Oxford 1556). Docente presso l'università di Cambridge, intervenne nella controversia con il papa sulla validità del matrimonio fra Enrico VIII e Caterina d'Aragona, dichiarando che la questione andava risolta sulla base dell'insegnamento della Sacra Scrittura, interpretato dai teologi delle più cele-bri università. Inviato dal re presso la Santa Sede per sollecitarvi la sentenza di annullamento, transitò al ritorno in Germania, dove ebbe modo di assimilare alcune tesi del luteranesimo. Creato da Enrico VIII arcivescovo di Canterbury e primate d'Inghilterra, emise la sentenza sull'invalidità del matrimonio del sovrano, favorendo nel 1534 la ratifica dell'Atto di supremazia, che sanciva l'autorità del re sulla Chiesa inglese e segnava lo scisma dalla Chiesa di Roma (v. anglicanesimo ). Fu durante il regno di Edoardo VI (1547-53) che Cranmer poté realizzare il suo progetto riformatore, in cui si fondevano ide-ali umanisti con l'esigenza di un profondo rinnovamento evangelico della Chiesa. A lui risale la prima stesura del Common Prayer Book (Libro della preghiera comune) nel 1549 e l'elaborazione dei Quaran-tadue articoli, confessione di fede in cui erano accolte parecchie tesi luterane. Durante il regno di Maria Tudor, che volle ricondurre il suo popolo all'obbedienza verso la Santa Sede, venne condannato al rogo.

[7] William Cecil, uomo politico inglese (Bourne 1520 - Londra 1598). Entrato a corte nel 1547 al servizio dei lord protettori del re Edoardo VI, fu poi il principale ministro e consigliere di Elisabetta I, come segretario (1558-72) e poi lord tesoriere (dal 1572). Rafforzò la Chiesa anglicana contro cattolici e puritani e, a partire dal 1571, si schierò con la Francia contro la Spagna, che appoggiava i cattolici inglesi.

[8] La prima ad essere formata è quella tedesca o olandese, stabilita nel 1550 da Jan Laski.

[9] Jan Laski (Johannes a Lasco), riformatore polacco (Lask 1499-Pinczōw 1560). Lasciata la Chiesa cattolica dopo essere stato vescovo di Veszprem (1538), fu esule per molti anni (1539-56) ricoprendo incarichi pastorali a Emden (Frisia orientale) e a Londra. Tornato in patria, si adoperò per l'avanzamento della Riforma in Polonia e collaborò alla traduzione della Bibbia in polacco. Sincretista in teologia, è importante soprattutto per vari ordinamenti ecclesiastici da lui elaborati.

[10] Strype commenta la cosa in questo modo: “La troppa veemenza e passione di quest’uomo e la sua riluttanza ad accogliere i consigli di questi italiani affinché moderasse un poco i termini, sospetto che sia stata grande causa di questa apostasia”.

[11] Lady Jane Grey, nobildonna inglese (Bradgate, Leicestershire, 1537-Londra 1554). Pronipote di Enrico VII, il duca di Northumberland la diede in sposa a suo figlio con lo scopo di persuadere il moribondo Edoardo VI a designarla erede. Regnò soltanto nove giorni perché il 19 luglio 1553 Maria Tudor la Sanguinaria si faceva proclamare regina e condannava a morte lady Jane e il marito lord Dudley. L'esecuzione avvenne ben presto oggetto delle violente persecuzioni dell’Inquisizione. Suscita infatti le ire del Cecil, che riesce nel febbraio 1554.

[12] “Io stesso contandole un giorno gli oltraggi, gli scorni, ed i tormenti che io in Roma per lo spazio di 27 mesi sotto Paolo e Giulio III sofferti aveva, per avere io, et in Napoli, et in Padova, et in Venezia predicato Cristo senza maschera, la vidi con sì sviscerata compassione lacrimare, che ben si conosceva quanto gli fosse a cuore la vera religione; et alzati gli occhi al cielo, disse: Deh, Signore, s’io non ti offendo con questa mia dimanda, non patir più ch’el mondo faccia tanti strazi dei tuoi” (La vita e la morte di Giovanna Graia, p. 44).

[13] Scrive una lettera di scuse, auspicando maggiore tolleranza e dicendo che, se fosse stato costretto a lasciare l’Inghilterra, sarebbe stato però a calmare. Nella collezione di manoscritti del Simmler, vi è una pagina di note in latino sull’Apologia del Florio (Zentralbibliothek, Zürich, S.MSCR, 85, f. 21). In una di queste si dice: “De Uxore, quae Angla fuisse videtur, et Liberis nihil constat”. Altri sostengono che la moglie del Florio, invece, fosse una rifugiata italiana, probabilmente una Crollalanza della Valtellina.

[14] Johann Heinrich Bullinger nacque nel 1504 a Bremgarten, nel cantone di Argovia, in Svizzera. Studiò per quattro anni con i monaci certosini ad Emerich (Germania), ma fu successivamente convertito alla Riforma da Ulrich Zwingli, di cui divenne un fervente seguace, sposandone la figlia e subentrando a questi nella guida della Chiesa riformata di Zurigo, dopo la tragica morte di Zwingli durante la battaglia di Kappel del 1531. Il suo principale impegno fu quello di evitare il riassorbimento del pensiero del suo maestro nel più popolare calvinismo, di cui non condivideva la dottrina della predestinazione (non che lo rifiutasse in toto, ma non poteva credere che Dio volesse la dannazione dei peccatori), i rapporti troppo stretti con l'autorità civile, e il concetto di una partecipazione reale di Cristo nell'Eucaristia. A proposito di quest'ultimo argomento, nel 1549 B. firmò il Consensus Tigurinus assieme a Calvino e Farel: nell'accordo non si faceva menzione del termine substantia, (sebbene il termine presenza reale fosse rimasto nel testo) un successo comunque per B, che era riuscito a portare Calvino su posizione più vicine all'interpretazione simbolica dell'Eucaristia, cara a Zwingli. Tuttavia resta sempre il dubbio che i riformatori ginevrini abbiano accettato il compromesso dottrinale per un'opportunità politica: quella di non isolare la loro città dal resto della Svizzera riformata. Nuovamente, dopo la morte di Calvino, anche il suo successore, il diplomatico Théodore di Béze, impegnato in una disputa sull'Eucaristia con B., preferì non insistere sulle sue posizioni per mantenere l'unità della Chiesa riformata. Nel 1563 B. fu favorevole al Catechismo di Heidelberg (1563): questo testo, benché scritto dai calvinisti Caspar von der Olewig (Olevianus o Olevian) (1536-1585) e Zacharias Beer (Ursinus) (1534-1583), non faceva menzione alla dottrina delle predestinazione e per quanto concerne l'Eucaristia, si allineava più sulle posizioni zwingliane. Il Catechismo di Heidelberg influenzò poi il testo della Seconda Confessio Helvetica del 1566, scritto da B. stesso, in risposta ad una richiesta dell'Elettore-Palatino Federico III, detto il Pio (1559-1576), che aveva annunciato la sua adesione al calvinismo nel 1563. B., saggio e moderato, godeva di grande prestigio all'estero, presso la Chiesa riformata scozzese di John Knox, in Francia con l'amico filosofo Pierre de la Ramée (Ramus) (1515-1572), nei Paesi Bassi, dove i suoi scritti erano molto popolari, e, grazie all'amico John Hooper, negli ambienti anglicani: quando Pio V (1566-1572) confermò la scomunica di Elisabetta I d'Inghilterra (1558-1603), fu B. ad aiutare la regina inglese a preparare un'adeguata risposta. Del resto proprio il riformatore zurighese ospitò alcuni vescovi riformati inglesi profughi in Svizzera, in occasione delle persecuzioni durante il regno della sorella cattolica di Elisabetta, Maria Tudor, detta la Sanguinaria (1553-1558). L'atteggiamento di B. nei confronti delle frange radicali fu non sempre costante: da una parte amico dell'antitrinitariano Lelio Sozzini, dall'altra dapprima ammiratore, ma successivamente avversario del movimento anabattista, soprattutto dopo le atrocità compiute a Münster. B. morì a Zurigo nel 1575.

[15] Michel Aglo Florio, “Regole ed istituzioni della lingua toscana”, British Museum, Slogane, MSS. 3011. Senza data.

[16] Nicholas Ridley nacque nel 1500 circa a Ridley, nella contea inglese del Northumberland da una famiglia nobile: il padre, infatti, Christopher, signore di Ridley, era un uomo di fiducia di Enrico VIII d'Inghilterra. Nicholas frequentò le migliori università, a Cambridge, Parigi e Lovanio, successivamente ritornò ad insegnare a Cambridge nel 1529. Nel novembre 1534 R. sottoscrisse l'Atto di Supremazia, il documento con cui il re Enrico VIII aveva risposto alla scomunica papale del luglio dello stesso anno, comminata in seguito al suo divorzio da Caterina d'Aragona. Dall'anno successivo R. iniziò ad interessarsi delle dottrine della Riforma e a studiare soprattutto le opere di Ratramno di Corbie, in particolare il De Corpore et Sanguine Domini, dove il monaco francese del IX secolo aveva difeso il concetto della presenza del corpo divino di Cristo nell'Eucaristia. R. divenne in seguito amico dell'arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer, che lo nominò nel 1537 suo cappellano personale e nel 1540 rettore del collegio di Pembroke Hall, a Cambridge. Sempre più sulla cresta dell'onda, nel 1541 R. fu nominato cappellano del re Enrico VIII e canonico della cattedrale di Canterbury. Nel 1547, con la salita al trono di Edoardo VI (1547-1553), il riformismo di R. divenne ancora più accentuato: nominato vescovo di Rochester, R. partecipò al comitato, che nel 1549 fece pubblicare il Book of Common Prayer (il libro delle preghiere), compilato su richiesta di Cranmer per semplificare i libri di preghiere e di funzioni religiose in latino e risalenti al periodo medioevale. Inoltre R. esaminò inoltre gli atti di accusa che portarono alla deposizione degli arcivescovi cattolici di York, Stephen Gardiner (1483-1555) e di Londra Edmund Bonner (1500-1569). R. subentrò a quest'ultimo come nuovo arcivescovo di Londra nel 1550, ma nel 1553 il nuovo capovolgimento della situazione dinastica fu fatale al prelato: il 6 luglio 1553 morì infatti di tubercolosi Edoardo VI, a soli 15 anni, e dopo l'infelice avventura di Lady Jane Grey (1537-1554) cugina di Edoardo e regina per soli 9 giorni (e incautamente appoggiata da R. in persona), salì al trono la cattolica Maria Tudor, figlia di quella Caterina d'Aragona, il cui ripudio aveva innestato lo scisma della Chiesa d'Inghilterra. Oltre a tutto ciò Maria decise in seguito di nominare Lord Cancelliere proprio quel Stephen Gardiner, che R. aveva fatto rimuovere dal suo incarico. Ragioni più che sufficienti per ordinare l'arresto di R., assieme a Cranmer stesso e all'ex vescovo di Worcester, Hugh Latimer, che furono rinchiusi nella torre di Londra per due anni fino alla loro definitiva condanna a morte. Il 16 ottobre 1555 Latimer e R. furono portati per essere bruciati sullo stesso rogo: R. decise di indossare i suoi paramenti vescovili, mentre Latimer si presentò vestito più modestamente e fu quest'ultimo, più anziano, a morire per primo in maniera dignitosa ed esortando R. ad un comportamento più coraggioso. La morte per R. fu più atroce: con le gambe quasi completamente consunte dalle fiamme, spirò solo quando il fuoco finalmente accese la polvere da sparo contenuta in una piccola botte, legata intorno al collo dei condannati per abbreviare loro le sofferenze.

[17] Hugh Latimer, vescovo e riformatore anglicano (Thurcaston ca. 1485-Oxford 1555). Dapprima avversò la Riforma protestante, poi, rifiutatosi di predicare contro Lutero, si procurò l'amicizia di Enrico VIII e di Cromwell e divenne vescovo di Worcester (1534). Inviso alle gerarchie ecclesiastiche, trascorse molti anni in carcere o in esilio, finché, richiamato a Londra sotto il regno di Maria la Cattolica, fu condannato come eretico e morì sul rogo.

[18] “…dove sono stati fino al 4 marzo 1554 e di quivi (poi che questa impia e crudelissima sfacciata Iezabel Regina hebbe rubato quel regno a Cristo e datolo in preda all’Anticristo) partitomi con la mia famigliola me ne venni per Anversa in Alemagna e sono stato in Argentina [Strasburgo] per infino il 6 maggio 1555” (“Apologia”, p. 78).

[19] “…dove sono stati fino al 4 marzo 1554 e di quivi (poi che questa impia e crudelissima sfacciata Iezabel Regina hebbe rubato quel regno a Cristo e datolo in preda all’Anticristo) partitomi con la mia famigliola me ne venni per Anversa in Alemagna e sono stato in Argentina [Strasburgo] per infino il 6 maggio 1555” (“Apologia”, p. 78).

[20] „Apologia di M. Michel Agnolo Fiorentino, ne la quale si tratta de la vera e falsa chiesa, de l’essere e qualità della messa, de la vera presenza di Cristo nel Sacramento, de la Cena del Papato, e primato di S. Pietro, dei Concili e autorità loro: scritta contro a un Heretici”, Chamogasco, 1557.

[21] Nel Sinodo del 1561, Florio ed i suoi amici sono accusatri di eresia, e dun libro di Pietro Leone, che conteneva dottrine eretiche, citando con approvazione Michelangelo Florio, è usato come prova.

[22] Opera di Giorgio Agricola de l’arte de metalli… Aggiungesi il libro del medesimo autore de glÀnimali di sotto terra… Tradutti in lingua Toscana da M. Michelangelo Florio Fiorentino… In Basilea per Hieronimo Frobenio.