1 Un nuovo movimento riformatore

Quando Napoleone Bonaparte conquista l'Italia del nord sovvertendone la configurazione sociale e politica, porta nuove idee mediate dall'illuminismo e dalla Rivoluzione francese che mettono in crisi la concezione del mondo che fino allora era prevalsa. A questo possiamo aggiungere l'aspirazione all'unità d'Italia e alla libertà dai regimi dispotici e stranieri che la governavano che suscita ribellioni popolari sempre meno controllabili dalle istituzioni. L'anti-clericalismo d'ispirazione napoleonica, inoltre, non suscita un rifiuto del cristianesimo in quanto tale, ma la riscoperta dei suoi valori iniziali che porta alla denuncia della corruzione del sistema cattolico-romano, anzi, la sua contestazione radicale, che spingerà anche molti ecclesiastici sulle posizioni del Protestantesimo.

Ecco così che da numerosi pulpiti, coraggiosi predicatori levano la loro voce di protesta contro le superstizioni sub-cristiane diffuse fra la popolazione e la corruzione morale e spirituale delle gerarchie ecclesiastiche, ma anche il loro sostegno a chi lotta contro le tirannie politiche per l’unità e l’indipendenza dei popoli della penisola italiana. Non raramente sono questi stessi predicatori a guidare sommosse e ribellioni. Com’è da attendersi, le autorità ecclesiastiche, conservatrici e reazionarie, che conservano uno stretto controllo sociale (ed un effettivo potere politico negli “Stati della Chiesa”, alleati con le monarchie e potenze straniere) tollerano tutto questo solo fino ad un certo punto, passando ben presto alla repressione sempre più forte e fino a rimettere in funzione i meccanismi della famigerata Inquisizione e le accuse d’eresia.

Il collegamento di questo movimento riformatore con le chiese che derivano direttamente dalla Riforma del XVI secolo, però, sono solo marginali. Il Protestantesimo classico (testimoniato in Italia dalla Chiesa Valdese e dai luoghi di culto nelle ambasciate dei paesi protestanti) affascina questi nuovi riformatori che eventualmente vi troveranno rifugio. Il loro, però, rimane sostanzialmente un movimento indipendente che non sempre avrà rapporti facili con il Protestantesimo classico. Vi saranno tentativi d’unificazione, non sempre di successo, ma anche un’esistenza parallela (testimoniata dal desiderio di creare una “Chiesa libera” italiana) che, però, non durerà a lungo. A loro volta, le chiese e le missioni protestanti estere, sostenendo questo movimento, sperano di estendere così la loro influenza ed aspirazioni in Italia. Di fatto, al dissolversi di questo movimento, ne saranno, di fatto, le eredi, insieme al nascere del movimento evangelicale in Italia (le “Assemblee dei Fratelli”) che, però, assumendo un carattere espressamente “spirituale” non avrà quell’influenza politica che originalmente aspirava ad avere.

Ecco così che il protestantesimo italiano dell'Ottocento assume caratteristiche diverse da quello classico. Esso è influenzato:

    • dal pietismo germanico e dal metodismo inglese del XVIII secolo.

    • Più direttamente proveniva da scaturigini franco-elvetiche o britanniche della prima metà del XIX secolo: il Réveil di Ginevra e del Vaud e le Eglises Libres da lui suscitate nell’uno e nell’altro cantone in antitesi alle Chiese di Stato tradizionali:il pensiero teologico di Alexandre Vinet (1797-1847) e la sua vigorosa affermazione della libertà religiosa e della separazione tra Chiesa e Stato;

    • l'Evangelicalism inglese della prima età vittoriana, di cui Exeter Hall era stata la cittadella in Londra, di cui Lord Shaftesbury (1801-1885) ne è il grande patriarca.

    • I Plymouth Brethren che ne rappresental’ala radicale

    • La Free Church of Scotland, nata dalla Disruption del 1843 dalla Chiesa di Stato presbiteriana della Scozia con i suoi missionari.

La storia della chiesa evangelica di lingua italiana di Londra del XIX secolo, si collega così a questo particolare movimento riformatore, allorché questa città vede arrivare, per trovarvi rifugio, insieme a numerosi perseguitati politici del Risorgimento (Giuseppe Mazzini è il più famoso fra loro) anche perseguitati religiosi (preti, frati e teologi)[1]. Questi ultimi, in ogni modo, non fanno distinzione fra politica e religione, intendendo l’Evangelo come il migliore complemento delle aspirazioni alla libertà politica ed economica. Non vi può essere per loro, infatti, vera e stabile libertà senza la formazione delle coscienze che solo la fede evangelica può realizzare.

[1] La “Rivista di Dublino” del settembre 1845, parla di loro come: “…rinnegati, gente nera, impostori, disperati, negromanti, primogeniti di Satana, missionari di Plutone, brutti nottoloni, neri bagarini, neri e sozzi animali, lupi, volpi, tigri, formiche, moscherini, pulci, asini, vili, scrocconi, ignoranti, insensati…”, citato da: Twattle-Basket, 1897.