8° Giorno

Martedì 27 aprile 2010

CAMPOBECERROS – ALBERGUERIA

(circa km. 21)

Il nuovo giorno non inizia bene, non c’è caffè e non c’è pan tostado ma solo una magdalena stantia e servita in malo modo. Il conto per la notte (Hostal Nunez), i due pasti e la pseudo-colazione è di E. 34. Non molto per la verità, ma la cosa che mi fa sorridere è che la padrona chiede la stessa cifra anche ai due tedeschi, ma per la coppia. Che dire, si sarà sbagliata, o ci guarderà in faccia?

Comunque parto, la giornata promette bene sebbene la luce inizi solo ora a farsi vedere; per il momento c’è freddo ma con il passare delle ore il caldo si farà sentire.

Il Cammino parte proprio dall’Hostal ed inizia subito a salire, “tanto per cambiare” mi dico. E’ la vecchia strada asfaltata per Laza che praticamente non viene più utilizzata, e che poi scende verso La Canda.

Quando scendo, dalla parte opposta, al di là del rio omonimo, mi colpisce “Albarizas” un recinto di pietre per proteggere dagli animali alcune piccole costruzioni interne che, data la distanza non distinguo. Penso a tombe preistoriche ma scoprirò poi che si tratta di alveari.

Attraversando il fiume entro nel paesino di Porto Camba. Il paesino non è piccolissimo ed ha delle magnifiche costruzioni rurali, anche qui, in pietra e legno e col tetto in ardesia.

Il luogo è remoto, ancestrale, in sintonia con la spiritualità del Cammino, ma quanta lacerante tristezza, quanto impotente struggimento, quanti pianti, rabbia e furore hanno accompagnato il lento declino del luogo.

Si snoda quasi tutto lungo la via principale ma è una pena vederlo così malridotto e abbandonato. Verso la fine del paese, quando la strada risale, le case si diradano e sono più recenti, incontro tre uomini che mi salutano sorridenti. Sono alcuni degli ospiti dell’Hostal di ieri. Mi dicono che sono muratori venuti a restaurare alcune case per conto di una ditta di Barcellona ed ovviamente il luogo più vicino dove alloggiare è quello dove mi sono fermata anch’io.

Più avanti una croce in legno, con davanti una scritta per Cerdedelo, segnala anche una deviazione, a sinistra, per noi. Poiché è un milladoiro mi fermo anch’io a mettere una pietra, fra le tante: è una preghiera per i Pellegrini che sono passati e per i tanti che sono morti.

La deviazione procede su una pista di terra morbida e con dolce risalita, al principio, per poi aumentare fino quasi al culmine della montagna. Per fortuna è abbastanza larga, ci passerà qualche mezzo forestale ed io posso percorrerla in centro, distante dal baratro che scorre al mio fianco. Ciò non toglie che da lì i panorami siano indimenticabili.

Quando si inizia a scendere cambia anche il colore dei fiori, ora sono bianchi e gialli e poco in basso, i boschi di pini.

Dietro di me, in mezzo ai cespugli che ho lasciato, si alza uno strano verso di animale che si ripete. Sembra un abbaiare mozzato ma meno acuto e più rauco. Non saprei dirne l’origine ma ovviamente il mio pensiero è sempre là.

Per fortuna arrivata ad una curva davanti a me in basso, ma ad almeno 20 minuti di strada, camminano i due tedeschi ed allora aumento il mio ritmo nella speranza di raggiungerli.

In effetti li raggiungo, li supero ma poi mi devo fermare.

Quando riprendo a scendere sulla strada, poco avanti a me, mi appare un capriolo che mi scruta fieramente. Lentamente cerco la macchina fotografica, ma con il solo mio movimento scompare. Come mi spiace averlo disturbato.

La discesa arriva ad Eiras un paesino piccolissimo e carino a mezzacosta. E’ ben tenuto perché evidentemente qualcuno vi abita ma nell’ansia di tenerlo in ordine hanno rivestito la facciata della chiesetta con pietre moderne. Peccato!

All’uscita del paese in un luogo panoramico e recintato vi è uno spettacolare merendero con fontana, camino, tavoli e tettoie.

E’ una meraviglia per un pic-nic in montagna. Sebbene in questo paese non abbia notato un bar, probabilmente è questo merendero che attira gente e dà un po’ di benessere.

Mi fermo per bere e trovo i due tedeschi che stanno pasteggiando. Li saluto e vado avanti. Mi dicono che si fermeranno a Laza. Io, invece non so ancora cosa farò ma per dormire dovrò arrivare a Xunqueira de Ambia e da lì ritornare indietro per ripartire da dove arriverò oggi. Non ho trovato alberghi in queste tappe. I villaggi sono piccoli e lontani dalle strade di transito.

Il Cammino procede sulla provinciale ed in ripida discesa ed intorno è un tripudio di boschi e scorci incantati. E quando momentaneamente lascio la statale per percorrere un piccolo sentiero, un nuovo cerbiatto, più piccolo e più cicciotto mi attraversa la strada. Quanta gioia provo nell’incontrare questi piccoli animali certamente non quotidiani.

Quasi arrivando fra le prime case del paese noto che l’Hotel in cui ero stata tentata di fermarmi è chiuso ed in abbandono. Meno male, l’aspetto esterno è orribile; probabilmente avrei rifiutato di fermarmi qui.

Attraverso una piccola periferia perché Laza (mt. 400 s.l.m.) è un bel paesotto e devio in cerca di una farmacia. Spero di trovare un farmaco più efficace di quello che sto prendendo, ma inutilmente. La farmacista mi propone quello che sto già usando e, non potendo aiutarmi altrimenti, mi consiglia solo il riposo!

Mi guardo intorno, ci sono alcune belle case ed una chiesa gotica in pietra, dedicata a S. Giovanni; è imponente e si distingue per la diversità dell’architettura rispetto a quelle incontrate fin qui. La cittadina, anche questa, è famosa per il suo carnevale ed anche qui vi è un Piliqueiro. Sono personaggi strampalati con maschere, strani vestiti e con vistosi campanacci in cintura, che sfilano per la città durante la festa. A Laza inoltre vi è una battaglia con munizioni a base di farina, acqua e formiche vive. Qui il carnevale termina con la lettura del “Testamento dell’asino” e l’incendio di una immagine.

Pranzo malinconicamente e dolorante in un bar, poi mi avvio lentamente verso Soutelo Verde. Qui è il rio Tamega (e qualche molino) che mi accompagna con la sua dolce voce. C’è qualche casa, molto verde e molte fronde sebbene il Cammino sia per lo più su strada asfaltata, ma finalmente quasi pianeggiante.

Anche Soutelo Verde è un bel paesino con belle case rurali per fortuna un po’ più abitate.

Esco dal paesino su asfalto ma devio su una bella pista larga che mi porta a Tamicellas. Anche qui vi è un bel merendero lungo il fiume ma si comincia nuovamente a salire attraverso un paese agricolo, un po’ trascurato. Vi è una bella chiesetta barocca dedicata a La Asuncion e lì vicino un complesso di case che inglobano anche una pretenziosa nuova villa. Mi fermo su una panca davanti ad una casa e rifletto. Ho visto il Cammino che da qui si inerpica terribilmente sulla montagna. Ho già percorso oltre 20 chilometri e ne dovrei fare altri 5-6 su questa parete incredibilmente ripida. E se non ce la facessi ad arrivare in cima?

Potrebbe soccorrermi solo un elicottero; non c’è nient’altro. Sono stanchissima ed il piede è sempre più dolorante nonostante tutto. Vorrei piangere e fermarmi qui, dove non c’è neppure un bar. Non so che fare.

Una donna esce da una delle poche case di fronte ed allora decido; le chiedo la cortesia di chiamarmi un taxi. E’ gentile e mi consola; poi mi fa compagnia fino all’arrivo del mezzo. Non passa molta gente di lì, se non qualche Pellegrino. E capita spesso che qualcuno rinunci (certamente non i miei supereroi penso). Inoltre, mi dice, c’è un taxi anche a metà percorso, ad un distributore di benzina. Mi racconta che quasi tutti gli abitanti lavorano a Laza o nei campi intorno e rientrano la sera.

L’autista, poiché dico che vorrei passare da Albergueria, con un giro incredibilmente lungo, mi porta in cima alla montagna e così arrivo alla cima senza fatica.

Il villaggio risale al XVI sec. ma già in tempi remoti a Santa Maria de Albergueria (mt. 910 s.l.m.), e già il suo nome ce lo indica, esisteva sia un ostello per i Pellegrini che un Ospedale. Nella Chiesa, del XVII sec., si conserva tuttora una statua di San Giacomo ed un miliare romano.

E’ da ricordare che nella vicina località di Codeselo erano insediati i Cavalieri di Santiago che tutelavano la zona.

Ho un po’ barato arrivando fin qui con il taxi, ma da Albergueria è imprescindibile non passare. Non solo per i suoi trascorsi ma perché anch’io lì ho lasciato la mia conchiglia.

In cima alla montagna il bel paese, in parte abbandonato, deve una certa notorietà e, se vogliamo, rinascita al “Rincon del Pellegrino”. Questo è un piccolo bar dove il proprietario, Luis, sorridente accoglie i Pellegrini che arrivano “spompati” dalla lunga salita.

Ti porge una concha (conchiglia) ed un pennarello su cui scrivi il tuo nome, come ho fatto io. Poi martello e chiodo alla mano la fissa sulle pareti del suo bar. Solo che lentamente ha dovuto acquistare i locali adiacenti per potervi mettere le sue migliaia di conchiglie che rivestono soffitti e pareti. Scopro così che di italiani, negli anni, ne sono passati parecchi. Inoltre quest’anno ha restaurato ed aperto un Rifugio, che qui non c’era, per i Pellegrini che già stanchi, prima, dovevano proseguire fino a Vilar de Barrio. Mi invita a vederlo, è spartano ma con molte comodità e, cosa importantissima, rispettoso degli antichi muri. E poi c’è la sua simpatia e la sua cordialità.

Bevo qualcosa con il taxista e dopo una rapida occhiata al paesetto mi faccio portare a Xunqueira de Ambia dove ho riservato una stanza, in una Casa Rurale alberghiera, al centro del paese.

Ma la giornata avventurosa anche oggi non finisce qui perché, arrivata, devo aspettare le 18 perché venga aperta l’alloggio.

La Signorina, che arriva da fuori, mi apre la casa, molto bella e mi fa salire in una stanza piuttosto semplice. Chiedo se per E. 45 questa sia la stanza riservata, che trovo veramente modesta. Allora me ne propone una migliore. E’ molto bella ma noto subito che non ha telefono e, vista la chiamata di ieri, non vedo l’ora di sentire casa. Non ha neppure televisione e la signorina mi dice che questo si trova nel salone in basso e che per telefonare posso andare al bar. Ma come, vorrei avere una telefonata riservata, non in piazza! Le chiedo di usare il suo telefonino che pagherò, ma si rifiuta con mille motivi. Le chiedo l’ora per la cena che però lì non viene servita e, nuovamente, mi dice di andare al bar. Oltretutto mi chiede il pagamento anticipato per le due notti; ho riservato anche per domani perché devo ritornare indietro per completare la tappa mancante. Ma, protesto, son qui anche domani, pagherò domani a colazione. Ma non c’è neppure la colazione! Posso prenderla al bar oppure, se voglio, posso prepararmela nella cucina a disposizione degli ospiti (ma ovviamente devo procurarmi “la materia prima”). Mi dice che lei va via e poi non ci sarà più nessuno. Ed io dovrei star lì in questa grande casa, pur bellissima ma senza alcun servizio e senza nessuno a cui rivolgermi in caso di necessità?

Sono stremata dall’attesa, dalla fatica e dalla presa in giro della situazione. Il prezzo è, oltretutto, anche eccessivo per un albergo di paese con una bella chiesa ma nient’altro.

Arrabbiatissima la guardo e non discuto più, riprendo lo zaino ed il mio bastone e me ne vado. In fondo alle scale sento che telefona al suo “capo” molto preoccupata: ho minacciato di andare alla Guardia Civil.

Nella piazzetta vicina c’è una rivendita di “generi alimentari” che mi chiama un ulteriore taxi con cui, a questo punto, vado ad Ourense sperando che l’Hotel che ho riservato, fra due giorni, abbia posto già da subito. Di Case Rural per oggi ne ho abbastanza.

Ad Ourense il taxista mi lascia lontano perché l’Hotel è in zona pedonale e lui, tra l’altro, non è pratico delle vie.

Ma termino bene la mia giornata. L’Hotel, che mi accetta anche se in anticipo sulla mia prenotazione, è nuovo, ricavato in un vecchio palazzo del centro. La stanza è magnifica e silenziosa arredata con belle soluzioni d’architettura. C’è il telefono, che tra l’altro sarà molto più economico rispetto al cellulare, e la televisione che finalmente funziona e perfino una doccia idromassaggio. E, al piano terra, c’è anche un buon ristorante dove ceno.