6° Giorno

Domenica 8 maggio 2005

UNQUERA – LLANES

(Km. 26 circa)

Alle 7,45 Jose arriva con il suo taxi. Come al solito devo accorciare la tappa. Stamani Jose è più discorsivo, mi racconta di aver 35 anni, di avere una ragazza e che un suo fratello sposato abita a Colombres. Mi dice anche che a Llanes, dove andrò oggi, piove sempre a causa della Sierra (e me la indica), che devia le correnti, mentre a San Vicente, dove abita lui, non piove mai. Insomma campanilismo a go-go. Un po’ di ragione deve averla perché, partendo da San Vicente, la giornata è stupenda e già ad Unquera, dove mi faccio lasciare, il cielo si copre.

Unquera è a 16 chilometri da San Vicente ed è l’ultimo paese della Cantabria. E’ luogo di svincolo per la vallata della Liebana, ma a parte questo non c’è proprio nulla, anche perché tutto è chiuso. Infatti, mi dice Jose, la gioventù per divertirsi deve spostarsi a San Vicente o Llanes. Per cui quando mi lascia davanti alla Chiesa, dopo un’occhiatina veloce m’incammino verso Colombres. Attraverso la ria di Tina Mayor che, con la montagna incombente e tutto il suo verde, ha un certa seduzione. Tanto per cambiare, poiché non trovo segnali, procedo per la statale. Velocemente, pur se in salita, arrivo a Colombres.

Colombres è la capitale della provincia di Ribadedeva e deve la sua importanza all’archivio degli “Indiani”. Gli Indianos (finalmente ve ne parlo) sono gli emigranti che, arricchitisi in America, ritornarono in patria, magari solo per le vacanze, e costruirono ville, in stile modernista, lungo tutta la costa. Anzi tuttora continuano a finanziare la Regione con restauri ed iniziative. Una di queste ville, la Quinta Guadalupe (nome della moglie del proprietario), casa azzurra, particolarmente lussuosa, del maggior impresario spagnolo in Mexico, sarà (in parte lo è già) adibita a “questo” archivio ed a Museo. Questo impresario, Inigo Noriega Laso, che emigrò in Mexico a 14 anni, ha avuto una vita densa di aneddoti e leggende. La sua impresa più importante fu la bonifica del lago Calco, in Mexico, con un grande sviluppo agricolo che diede lavoro a 3.000 contadini. Ma era proprietario anche di fabbriche tessili, aziende agricole, miniere, ferrovie e quant’altro. Solo per il controllo di queste proprietà, disponeva di 250 uomini ed in Mexico fondò pure una città con lo stesso nome del suo paese d’origine, Colombres. In questo paese, naturalmente, di ville ce ne sono molte, anche nella piazza del Municipio, ma la Chiesa di Santa Maria, con solide torri e pinnacoli, è molto più antica. Per arrivarci, si scende dalla statale; il paese molto grazioso, al solito, per proteggersi dal mare, è costruito sotto, al riparo di un promontorio e, data l’ora, è tutto silenzioso.

Qui il Camino è segnalato con mattonelle azzurre con conchiglia stilizzata gialla: mi portano fuori del paese, dapprima in un bel sentiero in mezzo al verde dei boschi, ma ben presto mi fanno tornare sulla statale ed avanti, senza cognizione alcuna. Al fianco, a sinistra, mi protegge la Sierra del Cuera. Poiché è per lo più coperta da dense nuvole, le sue cime risultano mozzate, per cui ho l’impressione di vedere tanti panettoni posti l’uno accanto all’altro. Arrivo a Buelna e solo casualmente intravedo una freccia gialla girandomi indietro. Entro nel paesino e chiedendo ripetutamente (perché non ci sono altri segnali), m’indirizzano giù fino a Pendules. Prima di entrarvi, un lunghissimo muro di cinta mi accompagna per centinaia di metri. M’incuriosisce, ma l’altezza che mi impedisce di vedere l’altra parte mi fa fantasticare su mille favole e leggende. Il paesino, alfine, è piccolo e grazioso e mi fermo per una sosta.

Al bar trovo due Pellegrini francesi. Convenevoli di rito, poi io vado avanti, pensando mi raggiungano perché li ritengo più veloci di me; ma non li vedrò più. Fuori del paese, già ho dei dubbi sul sentiero dove mi hanno indirizzato, allora chiedo ad un vecchissimo contadino che sta lavorando nei prati, più in alto, se il percorso è giusto. Lui mi risponde di no e mi invita a risalire. Vicina al suo argine di pietre alto più di un metro, mi tende la mano per aiutarmi; io non se fidarmi, ma lui mi tira su come fossi un fuscello, come se io avessi 40 anni di meno, e fossi senza zaino. Altro che vecchio! Rimango sbalordita per la sua forza. Poi mi accompagna per un piccolo tratto per raccordarmi al sentiero.

Piccoli umili uomini,

la lotta con la terra ed il mare

non ha incrinato la vostra audacia

e la sottomissione di oggi è l’orgoglio di secoli

nascosto là dove c’è solitudine coraggio e fierezza.

Lo ringrazio molto e lo saluto. Il sentiero è in alto, quasi parallelo al mare e talvolta s’intravedono splendide scogliere, spiagge ed isolotti solitari. Il silenzio è quasi assoluto, solo grilli e vento mi fanno compagnia e non piove, pur essendo il cielo di un tetro indescrivibile. Meno male che non c’è il sole; per la prima volta in vita mia, con il sole dell’altro giorno, ho il naso tutto bruciato. E poi, con il caldo, tutte queste salite e discese sarebbero state più faticose. L’incanto è totale. Pascoli con un’infinità di mucche, ma anche di colori e di panorami e… nessuno cui chiedere conferme, per cui vado sempre avanti seguendo il cammino, ma non so se è proprio quello giusto. Vicino ad una spiaggia c’è anche un grande camping immerso nel verde, ma è chiuso e non c’è proprio nessuno. Risalgo faticosamente verso l’alto ed in fondo ad un pianoro vi è un piccolo cimitero solitario. Qui ci sono due indicazioni contrastanti per due sentieri da trekking. Uno indica Llanes, l’altro Riego e Vidiago. Aspetto un po’, penso che magari qualcuno verrà a visitare i suoi morti, ma mi sbaglio! Ovviamente, poiché non ho continuato per la statale, ma ho preso questo sentiero interno, reputo sia più veloce andare direttamente per Llanes. Ma, mi accorgerò dopo che, ho allungato la strada di molto e non ho visto “l’idolo di Pena Tù”, e la grotta dipinta con bisonti, a Puertas, però….

Però intanto il percorso lungo il mare è fantastico e poi anch’io riesco a vedere, anzi a sentire i Bufones di Arenillas. Sono dei cunicoli passanti fra il mare e la terra. Ce ne sono molti lungo queste coste e quando il mare è furioso, l’acqua viene lanciata e polverizzata in alti Geyser. Quando ci passo, sento già da lontano il rumore delle onde costrette nelle grotte, ma, poiché il mare è abbastanza tranquillo, non posso godere dello spettacolo completo, che mi accontento immaginare od osservare su alcune raffigurazioni. E’ comunque impressionante, sia per la zona carsica tutt’intorno, sia per la solitudine, sebbene poco più avanti inizi ad incontrare, famiglie e coppiette che arrivano fin qui per fare pic-nic e per godere tranquillamente la domenica. Ed anche questa è zona monumentale naturale.

La nebbia del primo mattino,

la brezza del primo mattino,

la spuma di onde infinite fatte di bruma e di neve,

la scia di pensieri assordanti.

Una ridda di gabbiani che giocano con la vita

e l’immobilità della terra

carica di tormenti e di gioia.

Poi il mare irrompe, li, ai tuoi piedi

e nuovi orizzonti, nuove paure e l’inutilità della tua vita

ti soverchiano in un inferno carico di potenza,

di incredibile lenta distruzione.

L’acqua indovinata

brucia come l’ardore di nuovi amori,

come fuochi fatui nella notte;

modula suoni con voce possente ed ammaliatrice,

promette vigore ed eternità

e non vi è muschio intorno

che formi un cuscino per la tua vita

Ecco perché non ho più rivisto i Pellegrini francesi: continuo a perdermi, probabilmente sto invecchiando! Il sentiero è piacevolissimo, risalgo, supero un ponte su una piccola ria; ci sono dei ragazzi che mi fotografano e proseguo. Capisco poi che ho preso il sentiero E-9 che costeggia il mare per 30 km. e per la giornata odierna non è ancora finita. Arrivo ad Andrin verso le 13; qui trovo solo due ragazzine che però mi indicano la strada sbagliata. Meno male che me ne accorgo quasi subito, perché sto tornando indietro. Allora nuovo ritorno, ma pazienza. Il paesino è grazioso con bella architettura ed una bella torre medievale.

Riprendo la lunga salita, ma c’è un bel percorso per i pedoni o ciclisti. In cima ecco uno spiazzo di sosta con un panorama sconvolgente ed in fondo Llanes, la mia meta. Beh, per oggi, sono quasi arrivata! Mancano solo 4 chilometri. Solo che, al solito, non ci sono segnali; devo continuare sulla statale o di fronte, dove una stradina bianca con i soliti segnali (c’è però anche una macchia gialla) indica di procedere? Ovviamente mi dirigo verso la stradina ed allora… altro su e giù sotto il sole (infatti gli alberi, eucalipti, sono tutti in basso); ed avanti, con vista meravigliosa sul mare, sui paesini sottostanti e su un lunghissimo campo da golf proprio sopra di me. Ma tutti m’ignorano, impegnati nei loro giochi. È domenica ed il campo è affollatissimo. Io vorrei chiedere, ma nessuno mi dà ascolto, per cui (su e giù), vado avanti. Non posso neppure scendere verso la valle, perché non ci sono sentieri e l’erta, oltre ad essere davvero ripida e pericolosa, è piena di rovi. Poi c’è anche un fiume, che divide l’arida erta dal piccolo bosco e dal paese. Per me diventerebbe pericolosissimo scendere così e con lo zaino che mi sbilancerebbe, perciò non mi resta che proseguire, stanca e preoccupata soprattutto di superare Llanes, che ormai intravedo proprio sotto.

Ed avanti ed avanti sotto il sole; poi, finalmente, superata visivamente Llanes (ma c’è anche una piccola Chiesa solitaria su un cocuzzolo ed il mare e le coste che attirano il mio sguardo), ecco una stradina che devia e scende: ed allora, giù vorticosamente, per un pericoloso sentiero di ghiaia, fino a trovare il bosco ed una particolare Cappella del Cristo del Cammino. Anche il Camino, che però scorre in basso, vi passa davanti, anzi devia per rendere omaggio alla Chiesetta. C’è un grande atrio-portico davanti per la sosta dei Pellegrini. E’ chiusa ma conserva la sua seduzione solitaria e spirituale. Mi fermo per fotografarla ed il flash spaventa un animale proprio sull’albero che mi sovrasta. Ovviamente il suo urlo improvviso di fuga spaventa anche me. È un piccolo scoiattolo rosso! L’Ermita è proprio sepolta sotto la vegetazione ed anche la stradina da qui prosegue quasi sotto un tunnel verde, una magia. E finalmente arrivo alla periferia di Llanes.

Qui i segnali ci sono, alla buonora, fin qui mi avevano abbandonata! Ritrovo anche il Camino che ha deviato per raggiungere la Cappella, chiedendomi da dove arrivi. Probabilmente bisognava proseguire per la statale e deviare dopo. In ogni caso, mi fermo stanchissima al primo bar-ristorante che incontro. Sono le 16 e sono probabilmente l’ultima a pranzare. Mangio un’enorme insalata fatta di tonno, quattro asparagi e due uova oltre al solito mais, pomodoro ed insalata verde, veramente troppo. Ne mangio una metà e mi avvio all’Hotel che, ahimè, è proprio dall’altra parte della cittadina.

L’Hotel La Paz (Euro 22) è un due stelle proprio piccolo, ma è stato risistemato di recente e, cosa importantissima, ha anche un termosifone elettrico autonomo, per cui lo accendo e metto ad asciugare la mia biancheria. La stanza è piccola ma nuova, luminosa (anche se adesso piove) e con bella vista su un piccolo giardino. Dopo essermi sistemata e medicata un’unghia (ho un ampolla), esco alla conquista di Llanes.

È una magnifica cittadina con molte ville degli indianos sparse in giro. La parte più bella è ovviamente il centro storico, dichiarato congiunto storico-artistico. Ha resti di un’antica torre del XIII sec. e delle mura. Notevole la Chiesa romanico-gotica di Santa Maria, finita nel 1480, con grande torre campanaria a lato (forse anch’essa appartenuta alle mura?). Llanes è uno dei luoghi principali di questo Camino e già nel 1330 aveva un Ospedale per i Pellegrini. Interessante anche il Municipio, ma la cosa che colpisce di più è il Palazzo dei Duchi de Estrada. È enorme e recintato entro alte mura, per cui lo intravedo appena. Il tutto in una disadorna rovina. Al pianterreno rimangono una lunga sfilata d’archi in pietra che davano accesso al portico davanti al palazzo; conserva ancora una torre laterale, mentre già il primo piano, che doveva avere belle verande, è invaso dai rampicanti. Doveva essere un palazzo magnifico nel sec. XVII quando è stato costruito, ma non è riuscito a sopravvivere alle ingiurie del tempo ed evidentemente anche dell’uomo, che se ne è disinteressato. Vi sono altri palazzi interessanti, soprattutto nella zona del porto, fra cui il più antico il Palazzo de Gastanaga del XIV sec. e lo splendido Palazzo del Cercau.

Nonostante tutte queste meraviglie, la città però è ricordata più per i cubi della memoria. Sono i moderni cubi in cemento che vengono messi a protezione dei moli. Solo che qui il pittore basco Agustin Ibarrola ha avuto l’idea di dipingerli in vari disegni e colori. La cosa, personalmente, mi lascia indifferente, anzi mi disturba un po’, ma ogni pubblicazione ne vanta la meraviglia. Arrivo fin in fondo al molo, dalla parte opposta però, e mi colpisce di più per quel che rappresenta, la solita, ma non solita, statua in bronzo: una donna di fine ‘800 seduta su una sedia che guarda il mare, da dove dovranno rientrare il suo od i suoi uomini. E’ di una tristezza e di una poesia infinite e mi commuove molto; ma ora il turismo, qui, come altrove, lungo le coste, ha prevalso sulla vita quotidiana.

Questa città, antica Aguilar, era importante porto marinaro e baleniero ed ottenne i suoi fueros sotto il regno di Alfonso IX nel XIII sec. e da quel momento accrebbe il suo sviluppo e la sua rilevanza. Giro di qua e giro di là, ma i miei piedi sono stanchi e malandati. Per le antiche vie, c’è poca gente, tutti si sono riversati nei bar a bere la sidra. Il posto è splendido: la costa arricciata, le spiagge, la città con le sue case, ma piove molto ed allora entro anch’io in un bar-caffetteria e con una pasta ed un succo d’arancia ceno (ho pranzato alle 16), poi tranquilla e felice, sotto l’acqua, rientro in camera.

Alla televisione fra le altre informazioni, comunicano che i Principi d’Asturia, in visita alle Canarie, hanno annunciato che stanno aspettando un bambino. Dona Letizia è di Ribadesella, dove io sarò domani. E vi risparmio i mille cicalecci al riguardo, tutti preoccupati: se sarà maschio o se sarà femmina, e se si dovrà cambiare la costituzione e se si dovrà chiamare Pelagio, come il primo re d’Asturia ed infine poiché la principessa è calata di non so quanti chili, temono per la sua salute. Non è che m’interessi molto tutto ciò, ma tutti i programmi sono incentrati su quest’argomento; non mi resterebbe che vedere trasmissioni come il Grande Fratello (che non ho mai visto in Italia) e figuriamoci se desidero vederlo qui. Insomma anche la Televisione spagnola non è migliore della nostra; è, come si dice, TV spazzatura; ma, rientrando presto, mi fa anche un po’ compagnia e resto, in qualche modo, aggiornata su ciò che accade nel mondo.