10° Giorno

Sabato 2 maggio 2009

MONTAMARTA – GRANJA DE MORERUELA

(Km. 22 circa)

Faccio colazione in hotel e mi dirigo alla stazione degli autobus dove ce n’è uno solo alle 10,30 ma è sabato, devo accontentarmi. Non riesco però ad avere orari per il rientro perché la biglietteria è chiusa. In effetti con Granja de Moreruela fa servizio solo un privato con un pulmino per le scuole e con orari ben precisi. Granja non è più sulla Via de la Plata! Finché attendo penso che per il rientro mi conviene farmi dare il numero di telefono da uno dei taxisti che attendono fuori la stazione. Poi pazientemente mi siedo ed attendo.

La stazione è pressoché deserta. Arriva una suorina che si siede con i suoi bagagli proprio vicino a me, probabilmente le do sicurezza. Io che non avevo neppure alzato gli occhi al suo arrivo, al suo saluto la guardo e rispondo. E’ giovanissima, alta e bellissima, con l’abito bianco ed il velo marron. Il suo sorriso è radioso. Io la ignoro, lei prende dalla sua borsa un libro di preghiere e si immerge nelle letture, come faccio io del resto. L’attesa è lunga, sono arrivata con molto anticipo.

Quando lei si alza si gira e si avvicina, mi porge una immagine sacra perché mi protegga e dice che pregherà per me; poi rapidamente se ne va. Non so che dire, resto proprio senza parole. La rincorro lungo le scale che scendono agli autobus per chiederle come si chiami: Natividad. Ed il nome, lo stesso della mia amica suora, che evoca Natale e presepi, di cui sono appassionata, mi fa ancora di più vergognare con me stessa per averla ignorata. Non so dove vada, non so nulla di lei, non mi perdono la mia insensibilità nei suoi confronti. Perché non le ho rivolto la parola prima? Asciugo qualche lacrima per questa commozione inaspettata. Come farò a dimenticarla: piccolo fiore generoso ed incontaminato?

Arriva anche un Pellegrino alemanno che va a Puebla de Sanabria per incontrare i suoi amici. Si era fermato 3 giorni a Zamora perché aveva male ai piedi, spera di poter riprendere da lì.

E ci sono anche due Pellegrine spagnole, 40enni che sono partite da Valencia per il Cammino dell’Est (1200 Km., ma questo certamente non lo farò). Ne hanno già percorsi 800, ma ora prendono il pullman che le porterà avanti. Faranno poi, a piedi, solo gli ultimi 100 chilometri.

Il mio autobus è puntuale e quando scendo a Montamarta vado subito al bar di fronte. Penso di farmi mettere il sello che non ho potuto avere ieri. Dentro c’è pieno di gente e di Pellegrini e tutti mi squadrano un po’: sono l’unica donna! Ma dopo un caffè esco subito per dirigermi alla Chiesa.

Il paese è grande, sebbene abbia solo 700 abitanti,. Il primo documento che ne parli risale al 1182. Alcuni scavi archeologici però ne datano la storia anteriormente.

Ci sono alcune case importanti e la sua Chiesa del 1726, grande e massiccia, è fatta di sassi. Davanti si stanno fotografando una coppia di giovani sposini di Bari e mi chiedono una foto insieme. Stanno percorrendo il Cammino con uno strano tandem ed un magnifico carrettino pieno di bagagli al seguito. Non ci vedremo più; ovviamente loro sono più veloci e finalmente italiani. Ed ora nel Cammino forse sarò sola perché quelli partiti da qui sono molto avanti, ma spero che qualche coraggioso, partito da Zamora e che prosegue, lo troverò! Inoltre ci sarà caldo. Ma stamani ho notato che il termometro segnava 7° mentre ieri mattina ne marcava 11°. In ogni caso l’aria è sempre gelida ed aiuta. Nonostante la vescica che ormai non mi da più fastidio, procedo bene e felice.

Non c’è proprio nessuno a perdita d’occhio. Appena uscita dal paese vengo colpita da una graziosa chiesetta in alto su uno sperone ed in basso da alcuni pantani che bisogna attraversare, ma qui sotto, per fortuna, sono asciutti. Sono una diramazione dell’Embalse de Ricobayo. L’enorme invaso con molte ramificazioni, creato principalmente sul fiume Elsa, arriva quasi a lambire il Portogallo. Infatti è lungo più di 60 chilometri e riesce a contenere oltre 1200 milioni di metri cubi d’acqua.

Il Santuario di Santa Maria del Castillo, del XVI sec., faceva parte di un importante Monastero ora distrutto. E’ stupendo soprattutto per la posizione dominante.

Finalmente risalgo il costone verso un bosco di querce, ma il Cammino lo sfiora in mezzo ad erba altissima in cui non sono a mio agio, proprio oggi che per l’ampolla ho indossato calze sottilissime.

Mi decido a scendere sulla statale e così perdo le segnalazioni. Al bivio della Carretera verso Ourense procedo verso Sanabria (come mi sembrerebbe ovvio), sbagliando. Le macchine mi scorrono al fianco veloci e non trovo né segnali né qualcuno a cui chiedere. Anzi qualcuno chiede a me se ho incontrato una signora che, avendo perso la sua borsa (non si era accorta di avere la portiera della macchina aperta), era tornata indietro a cercarla. Il marito era in ansia perché ancora non la vedeva tornare.

Poiché più avanti vedo un gruppo di case con un cartello, pensando sia un bar, entro nel cortile. Mi accoglie un cane infuriato ed abbaiante ma per fortuna c’è un vecchiotto che lo richiama e che mi viene incontro. Anzi, il poverino traballante e zoppicante, mi accompagna lentamente per indicarmi una strada che si raccorda al Cammino che in effetti, molto più avanti, raggiungo da sinistra, mentre avrei dovuto arrivare da destra.

Il Cammino risale ed in cima intravedo l’Embalse, che da qui mi appare enorme e maestoso. Intorno hanno costruito numerose ville ma la cosa che più mi colpisce, sebbene ne distingua a malapena i contorni, sono i ruderi del Castello di Castrotorafe proprio all’estremità opposta di dove mi trovo.

Non voglio respirare,

non voglio che svanisca

l’ombra ocra delle tue mura.

Da sempre hai vegliato i nostri passi

ed ora il cobalto rasserenante di nuove acque

riflette l’immutabile bellezza della tua esistenza.

Tutto mi sembra idilliaco e mi dimentico del contrattempo. Per un lungo tratto rasento il lago, molto scarso d’acqua e ritirato. Ciò mi permette anche di vedere i ruderi di un vecchio ponte che collegava la Castiglia con la Galizia. Molte frecce sono dipinte a terra, sui sassi, ad indicare il percorso, anche se non sarebbero necessarie e quando, finito l’Embalse, si raggiunge una carretera, le frecce, lì che servirebbero, non ci sono più. Non so se andare a destra od a sinistra, di fronte o tornare indietro. Provo a salire di fronte e finisco in una discarica. Ridiscendo e provo a destra e procedo in salita per qualche chilometro fino ad un cartello che mi preannuncia l’incontro con la statale che va a Zamora. Ma come, mi dico, sto tornando indietro ed allora giù di nuovo fino al punto dov’ero sbucata e a sinistra, ma solo ora, vedo per terra, una freccia composta da piccoli sassi che qualche Pellegrino di buon cuore si è fermato a fare per noi, però così grigia sull’asfalto prima non l’avevo proprio notata.

E l’avventura non è finita. Qualche centinaio di metri più avanti c’è una freccia che ci fa entrare in una strada piena di “desvii”, ma senza frecce, ed allora ogni tanto ne provo uno e torno indietro ed un altro e torno indietro…. Infine, dopo neppure un chilometro, questa strada sbuca sulla carretera precedente a meno di 200 metri da dove ho deviato. Sono inferocita. Ho buttato via fra prima e dopo circa 2 ore. Ma come, mi dico, per evitarci il traffico della statale ci fanno percorrere un tragitto così mal segnalato ed oltretutto molto più lungo? Ed al solito pazienza. Il colmo è che ora risalgo il lago dalla parte opposta e sulla statale.

Quando sto per raggiungere Fontanillas de Castro, il Cammino devia all’interno lasciando fuori il paese. Però porta alle rovine di Castrotorafe che costeggio per un po’. Ci sono imponenti mura ocra ed il Castello che emergono su un cocuzzolo che ora domina il lago ma che in passato controllava la valle. Appartengono al paese medievale di Castrotorafe insediato su un antico castro preromano. Si suppone che questa fosse l’antica mansio romana Vico Aquario. Il luogo appartenne anche all’Ordine di Santiago e fu ripetutamente distrutto e ricostruito fino al suo abbandono definitivo nel XVIII secolo. E’ un incanto, il castello è bellissimo ma ora sono troppo arrabbiata per gustare tutta questa meraviglia, tanto più che oggi sono partita tardi.

Poco più avanti c’è un mojon che dice di proseguire avanti, mentre a terra una croce di sassi dice di deviare in mezzo ai campi. Non so che fare ma decido di proseguire sul Cammino. E dopo molto arrivo a Fontanillas, praticamente a pochi metri dal desvio per vedere il castello.

Il paese, prettamente agricolo, conserva qualche palomar e la Chiesa del XVIII sec. è dedicata alla Immacolata Concezione. Quando sto arrivando chiedo ad una donna dove sia il bar. Ma a Fontanillas non c’è, bisogna arrivare a Riego del Camino, a 4 km. da lì.

E sempre più contrariata procedo avanti sotto un sole ed un caldo incredibili. Intorno ci sono paludi e molti uccelli. Una cicogna mi viene incontro su un ponte che attraversa un arroyo. Mi fermo per lasciarla tranquilla e mi godo un momento di pace dopo tanti rigiri inutili.

A Riego del Camino trovo sulla statale un Bar Pepe che vende anche ghiaccio. Entro e mi manca il fiato per lo squallore, per il vecchiume e per la sporcizia, ma sono le 15,30, ho fame e perciò oso chiedere una tortilla. La padrona mi fa accomodare nel comedor: così starò più tranquilla, mi dice.

Il luogo è indescrivibile, un magazzino di sedie rotte e quant’altro in un disordine pazzesco e la cerata sul tavolo di mille anni fa. Neppure un foglio di carta a mitigare questa sconcezza. Mi faccio forza e mangio ugualmente. Viste le premesse non oso neppure utilizzare i servizi di cui avrei anche bisogno. Dò 5 euro per pagare il conto che la padrona incassa senza darmi resto. Alle mie rimostranze mi elargisce di ritorno 50 centesimi lamentandosi per la mia contestazione. A questo punto dico, anche rivolta ai suoi clienti, che è una vera ladra e che per la stessa cosa in tutti i bar, anche delle città, ho sempre speso solo 2 euro. Ma è l’unico bar del paese e poveri i Pellegrini che si fermeranno in questo sudicio squallore!

Eppoi per evitare ulteriori errori, ormai sono furente all’inverosimile, procedo sulla statale, non vado neppure a vedere il paese. Il traffico è scarso, per fortuna, e vado veloce anche se sono esausta, ma voglio arrivare e l’arrabbiatura aiuta il ritmo.

Quando arrivo a Graja de Moreruela, verso le 17, non vado neppure alla ricerca dell’autobus che tanto so non esserci. Sono stremata. Chiamo il taxi che arriva dopo circa mezz’ora e mi faccio riportare direttamente all’Hotel. Il sorriso del giovane taxista e le sue chiacchiere mi rasserenano, smorzano un po’ la rabbia che ho dentro. Ancora non sono certa del dove andrò a dormire domani perché devo telefonare questa sera per la conferma.

Sembra che le cose si complichino continuamente e per oggi ne ho abbastanza. Esco solo per la Messa e neppure vado a cenare. Rientro velocemente e, dopo aver avuto conferma sul nuovo hostal per l’indomani, preparo lo zaino per una nuova avventura.