8° Giorno

Martedì 5 Giugno 2001

Da ESTELLA a LOS ARCOS, Km 21

(mancano Km. 639,7)

Bella giornata! Avendo dormito la notte prima ed il pomeriggio, ovviamente non ho chiuso occhio questa notte, ma non mi preoccupo. Il mio organismo resiste nonostante l’insonnia e si vede dal mio fisico. (Non pensate che sia scattante e asciutta, anzi non si può proprio dire che l’insonnia mi consumi).

Partiamo, come il solito, verso le sette ma, come il solito, senza colazione, nessun bar è aperto. Dopo un po’ arriviamo a Adegui e fra poco inizierà La Rioja con i suoi vigneti.

Come buon auspicio arriviamo alla Fontana del vino ed al vicino Monastero dei Frati di Iraque, già inseriti nella vastità di vigneti. La Fontana è famosa perché è l’unica al mondo che offre, oltre all’acqua, anche il vino. Però vi è un cartello che invita a consumarlo moderatamente e a non portarne via. Naturalmente è chiusa e così non facciamo colazione né con l’acqua e neppure con il vino. Anche il Monastero, che era il più antico Ospedale della Navarra, peraltro imponente e in un bel contesto paesaggistico, è chiuso. Sorge dove, già nel 958, vi era una comunità benedettina che, nel 1054, il Re di Nájera dotò di un Ospedale per i Pellegrini. Nel XVII sec. albergò la prima Università di Navarra. La Chiesa è del XII sec. e ha tre chiostri. A seguito di varie modificazioni, vi sono tre stili diversi: medievale, rinascimentale e barocco.

Sono le 8:10, io provo a suonare alla porta per vedere se, visto che fino alle 10 non si può visitare, mi mettono almeno un bel sello sulla Credenziale. Dopo un po’, arriva un ragazzetto in divisa, tutto assonnato, che, spiacente, non può far nulla per noi. L’ho proprio svegliato e di buon mattino per lui. Altro che Frati guardiani, quelli dormono più di noi! Del vino e della colazione neanche l’ombra. Siamo però fortunate: un po’ più avanti c’è l’Hotel Iraque, veramente bell’Hotel, in cui riusciamo ad avere un buon caffè espresso e, nientemeno, con la brioche calda, solo per me ovviamente, visto che la golosa sono io.

Rinfrancate, procediamo. La zona è probabilmente turistica, perché notiamo campeggi, villaggi e case, anche se piccole, nuove e signorili e per di più, molte sono in costruzione. Sottopassato un brutto ponte in cemento, ci appare una pianura sconfinata con magnifici campi di papaveri, fin qui mai visti, ed all’orizzonte colline, con castelli sul cocuzzolo. I sandali di Mariangela funzionano anche troppo, tant’è che vola via e da quel momento ci rincorriamo. Io sono più lenta ma costante, non mi fermo mai, lei invece corre veloce ma si ferma ad aspettarmi, perché le spalle, con lo zaino, le dolgono; io la supero, lei mi raggiunge. Il nostro sembra un gioco. Anzi, abbiamo poco da dirci, dopo tanti giorni che siamo insieme, e vale la pena risparmiare fiato e forze. Alla sera ne avremo di tempo per raccontarci impressioni e stati d’animo.

Questa solitudine, però, è altrettanto bella, perché ci consente di ritrovare noi stessi, i nostri pensieri, le nostre emozioni. Veramente viaggiamo con Dio e naturalmente Sant’Jago, vicini. Abbiamo tempo di pensare e pregare per i nostri cari, di scoprire riflessioni sempre nuove sul nostro esistere.

Saliamo un po’ e prima di Villamayor incontriamo la bellissima Fuente de los Moros, alquanto particolare. Sembra una cappellina con tetto di pietra per proteggere dal sole i viandanti e con alcuni gradini che scendono all’acqua, in fondo. La costruzione è del XII secolo. Nel paese vi è pure una bella Chiesa dedicata a Sant’ Andrés che, ovviamente, è chiusa.

Villamayor si estende ai piedi del Castello di S: Esteban, fortezza musulmana risalente al X sec. E’ collegata a Carlo Magno, che se ne appropriò dopo aver vinto il Principe musulmano di Navarra.

Poi inizia una pianura intervallata da piccole collinette, meravigliosamente coltivata a frumento, uva ed altro, che sembra non finire mai. La strada, per aggirare le colline, compie continue “bissaboe” ma soprattutto è sempre al sole. Chilometri e chilometri di niente, ben dodici (nel senso che non vi sono case, alberi, o fontane), che non finiscono mai e nulla indica esserci vita. Solo i colori, pur appiattiti dal mezzogiorno, sono talvolta diversi nelle coltivazioni, ma anche questo, questa fatica enorme ha un fascino particolare. Ti senti un po’ supereroe ed un po’ piccolo piccolo ed insignificante. A volte sembra che anche Dio ti abbia abbandonata! Qui nessuno ti cerca o può aiutarti! Sei sola, ma non hai paura, né ti senti sola. Mariangela vede anche un serpente, o crede, io per fortuna non mi accorgo di nulla.

E pensare che volevo evitare questo tratto, per paura che il sentiero attraversasse i campi in mezzo all’erba alta un metro od alle ortiche, come ci era capitato il giorno prima. Se non l’avessi percorso, avrei perso qualcosa d’inestimabile. Arriviamo ad un piccolo bosco e lo superiamo in fretta credendo di essere quasi arrivate. Invece abbiamo ancora almeno tre o quattro chilometri da percorrere. Da lontano, il bosco sembra colorato ed in movimento, in realtà sono i Pellegrini che si sono fermati e sdraiati per riposare. Ce ne sono tantissimi! Non ricordavo di averne mai visti così tanti in giro. Come se non bastasse, l’albergo, prenotato il giorno prima dalla nostra ostessa, è in fondo al pueblo. Attraversiamo il paese, tutto di pietra, sotto il sole cocente e finalmente arriviamo.

L’Hostal Ezechiele di Los Arcos non è granché, e la nostra stanza è proprio in cima alle scale, però è confortevole. Ad onor del vero, questi albergatori sono state le uniche persone sgradevoli del Cammino. Probabilmente avevano molto da fare e, oltre alle lunghe attese che ci hanno fatto subire, erano anche scortesi. Costo 5.136 pst (£ 33.000 ognuna, senza colazione).

Ci laviamo, riposiamo ed usciamo. Il paese è grazioso, ma un po’ malandato. Qui, come in tutti i paesetti incontrati, sembra che il tempo non sia mai passato. È ancora tutto come mille anni or sono. Non ci sono case nuove, né condomini. La gente è laboriosa, pulita e simpatica, con una voglia sempre viva di chiacchierare, di raccontare, di partecipare. Ci facciamo fare il sello al Rifugio, fuori dal paese, dove ci accoglie un “Tedesco” sorridente e caloroso, ed andiamo alla scoperta del casco antico.

Los Arcos (mt 444 abit.1400 circa) è una cittadina medievale su preesistenze romane. Visse il massimo splendore nel XV e XVI sec. quando, come terra di frontiera fra Navarra e Castiglia, si pagavano diritti di transito e si cambiava il denaro.

A questa prosperità è dovuta la magnifica Chiesa di Santa Maria. La chiesa con portico davanti e finalmente aperta, è bellissima. L’interno è mozzafiato, forse un po’ troppo per i nostri occhi. A parte la quantità d’altari tutti dorati ed un organo barocco magnifico, è tutto rivestito d’assi di legno poi decorate, a mo’ di tessuto o cuoio, con colori ed argento. Mai vista una cosa del genere. È stato decorato da Cristobal Gonzales. Splendido il Coro intarsiato del 1561 e grandioso il Chiostro gotico. Tutto questo oro impressiona e colpisce. Dà anche un po’ fastidio, perché non si può non pensare a quanto sia costato in miseria e sacrifici umani, anche di gente che non aveva il tuo mondo, ma che senza saperlo aveva il tuo Dio. E non credo proprio che il nostro Dio abbia mai voluto questa ricchezza od altre, a scapito della miseria altrui. Possiamo solo constatare quanto sia stato grande l’Uomo nel riuscire a creare cose così meravigliose. I nostri avi le hanno create per noi, ma non solo noi non riusciamo a fare altrettanto in termini di bellezza, ma non riusciamo neppure a conservarle. In ogni caso non dobbiamo guardare alla presunzione del Grande, ma all’indegnità del Piccolo, che ha rinunciato, nei secoli, al boccone di pane perché il suo Dio fosse onorato. Guardiamo solo a questo; e se anche noi potessimo rinunciare al nostro boccone quotidiano? Com’è difficile!

Andiamo in cerca dell’Oficina di Turismo che è nel Municipio, bel palazzo in pietra, ma è chiusa perché la chica (ragazza) si è rotta una gamba. Finalmente incontriamo un Italiano, di Venezia, e ne siamo reciprocamente felici. Aiutiamo anche una giovane israeliana a raggiungere il Rifugio. Il paese brulica di Pellegrini di tutte le provenienze, ma tutti siamo fratelli e vi è un’intesa particolare fatta di chiacchiere e di esperienze, nonostante la difficoltà delle lingue diverse. Ritroviamo anche la signora olandese che va in cerca di gafas (occhiali).

Meriterebbe andare in chiesa per la Messa delle 20, ma Mariangela teme di perdere la puntualità della cena, che la padrona ci ha detto essere alla 20:15. In realtà, dopo averci fatto attendere almeno 20 minuti in una stanza maleodorante, non ci apre il comedor (sala da pranzo). Ci dice che la cena sarà dopo le ventuno. Arrabbiata per aver perso la S. Messa con relativa suonata d’organo (prima vi era un Pellegrino che aveva chiesto di poterlo suonare), ed aver atteso tanto tempo, tratto male anche Mariangela. Dirottiamo al ristorante più vicino, Mavi, dove mangiamo ottimamente con 1.200 pst (circa £ 15.600 ognuna).

Ho un’ampolla (vescica) nel piede, nonostante le mie scarpe e calze supertecnologiche. Mi metto un “Comped” e vado a dormire. Domani spero di riuscire a camminare.