3° Giorno

Sabato 12 aprile 2008

SIVIGLIA - SANTIPONCE (Italica) – GUILLENA

(Km. 23 circa)

Ovviamente non ho dormito, il venerdì notte, anche nei paesi i ragazzi “tirano” tardi e la stanza sopra il bar con il rumore del compressore (probabilmente per frigoriferi ed aria condizionata) ed il suono a tutto volume della musica non ha aiutato. Ho perfino tenuto acceso la mia TV tutta la notte nella speranza che la sua “voce” continua ed omogenea mi impedisse di ascoltare gli altri rumori, ma il risultato è stato scarso. Inoltre per il freddo ho dovuto rivestirmi per poter resistere. Per fortuna nello zaino c’era un completo (pantaloni e giacca) di pile leggero che volevo lasciare a casa ritenendolo inutile.

Alle 3 ha chiuso il bar ed alle 5 le prime macchine passavano sulla strada. Poi qualche Pellegrino si è alzato per partire di buonora perché, al solito, siccome non ha trovato posto nel Rifugio ed ha dovuto venire in Hotel (pur se la spesa è minima) parte prima per poter arrivare presto nel prossimo Rifugio. Pertanto mi sono alzata anch’io e ho potuto far colazione subito poiché il bar era già aperto fin dalle 6. Ho preso il primo autobus possibile per Siviglia, ore 7,30. Immaginate: al buio e di sabato, ero l’unica viaggiatrice!

Arrivata a Siviglia, per avvicinarmi alla Cattedrale, ho dovuto prendere un ulteriore bus cittadino. Sono scesa vicino alla Plaza de Toros, una delle più belle e antiche Arene di Spagna. Dal lungo fiume alberato si domina un bel panorama da entrambi i lati ed in fondo c’è anche la famosa “Torre de l’oro”. Mi dirigo veloce verso la Cattedrale, ma per prima cosa mi fermo a prenotare l’Hotel per quando ritornerò temendo che, trattandosi del 1 maggio, potrei non trovar posto. Pertanto il primo Hotel Europa, 1 stella, che mi ispira un po’ per il bel patio che intravedo (€ 86 a notte), è mio. Il portiere mi guarda assonnato e allibito; quando mai qualcuno ha riservato di persona una camera alle 8,30 del mattino? Comunque tutto è veloce, do un acconto ed esco.

Mi dirigo alla Cattedrale e, nonostante temessi il contrario, è aperta, anche se tutta non si può visitare. Inoltre, chiedendo, mi fanno anche il sello, cosa a cui tenevo molto. Esco, visito velocemente il barrio di S. Cruz, ma tutto è deserto e c’è molto freddo, la bufera di ieri ha lasciato il segno.

Ed ahimè, io, che pensando al gran caldo andaluso, non ho portato la mia famosa calda felpa acquistata a Lugo! Non c’è traccia di Feria, di belle donne, di begli uomini, tutto mi sembra buio, grigio e triste, niente di quel che ricordavo. Sono delusa, entro in un bar per un caffè e decido che non vale la pena perdere un giorno in attesa che la sera porti animazione nella città. Pertanto mi dirigo velocemente a piedi verso la stazione nella speranza di trovare un autobus per il ritorno.

Come primo giorno, non voglio fare il ritorno tutto a piedi partendo da Siviglia. Desidero, invece, partire da Camas per evitare la periferia e ridurre la tappa di qualche chilometro. Il primo autobus parte alle 12, 30 e non sono neppure le 10, allora non mi resta che usare un taxi. Anche qui, prezzo variabile da € 30 a € 20 per 7 chilometri. Contrattando, un vecchio autista si impietosisce (ma chi c’è a quest’ora che usa il taxi a Siviglia?) e si accontenta di € 15 (all’arrivo il tassametro segna € 12, ma mi dice che la differenza è per il ritorno e che è stato molto generoso). Non ho mai pagato un ritorno di taxi in vita mia perché ovviamente è considerato già nel prezzo dell’andata, ma non è certo il caso di discutere.

Mi faccio lasciare a Santiponce, primo paesino insieme a Camas, sulla Via de la Plata, davanti al Monastero di San Isidoro del Campo.

Il Monastero fu fondato nel 1301 da Alonso Pérez de Guzman (vi è la sua cappella funeraria) e Maria Alonso Coronel sul luogo dove era sepolto San Isidoro di Siviglia, già traslato a Leon nel 1063. Dalla sua fondazione si sono succeduti molti ordini religiosi: cistercensi, eremitani e ordine di San Gerolamo. Trasformato in fortezza medievale, nel XIV sec., ha la particolarità di avere due chiese gotiche fortificate comunicanti. In una vi è uno splendido altare di Juan Martìnez Montanez, dove mi colpisce, fra l’altro, una straordinaria natività. Il complesso monastico oltre ad influenze del Languedoc presenta anche testimonianze mudéjar ed elementi della tradizione almohade.

Ci sono due chiostri, uno de los Muertos (sec. XV) con antichi azuléjos. Vi era anche un’importante biblioteca e qui si iniziò la traduzione della prima Bibbia in spagnolo chiamata Bibbia dell’orso. Ma fu anche uno dei primi nuclei protestanti di Spagna che, a seguito dell’Inquisizione, dovettero emigrare in Centroeuropa. Ed infine qui fu sepolto Hernàn Cortes prima di essere traslato in Messico.

Nel 1978 fu definitivamente abbandonato dagli ordini religiosi.

Il complesso è imponente e si nota da molto lontano per le mura che lo circondano e per i numerosi contrafforti di sostegno. E’ stato in gran parte restaurato ed adibito a Museo, mentre una parte è stata data in uso ad una associazione che si occupa di minorati mentali.

Fu dichiarato bene d’interesse culturale nel 1872.

Quando esco sono quasi le 12 e mi avvio su per il paese, verso “Italica”, all’estremità opposta di Santiponce. La strada è molto animata con gente ben vestita che, immagino, andrà ad un matrimonio e che mi squadrano incuriositi.

Santiponce è una cittadina di 6.500 abitanti sviluppatasi grazie alla vicinanza di Siviglia ed alla stessa ragione deve anche la sua fortuna turistica.

L’antica Italica romana fu la prima città di romani, fondata in Spagna da Scipione l’Africano nel 206 a.C., in piena guerra contro i cartaginesi, per stabilirvi i veterani di guerra della battaglia di Llipa. Ovviamente ricevette il suo nome in memoria dell’Italia.

Traiano (53-117) e Adriano (76-138) nacquero ad Italica ed Adriano dal 117 al 138 d.C. la abbellì con alcuni templi marmorei e maestosi edifici. Un mutamento del corso del Guadalquivir ed un disastroso terremoto ne iniziarono la sua decadenza. Fu inoltre distrutta dagli arabi nell’VIII sec. e sommersa definitivamente il 20.12.1603 da una disastrosa inondazione.

I monaci del Monastero di S. Isidro cedettero terre, più in alto, alla popolazione superstite, perché costruissero una nuova città. Questa città, fu edificata sulle rovine di Italica (vetus urbs), mentre la nova urbs romana, che oggi si visita dentro un recinto, quella costruita da Adriano, si trova ancora più in alto e domina la vallata.

Gli scavi archeologici iniziarono con Francisco de Brunas nel 1781 e continuano tutt’oggi, rinvenendo qua e là sempre nuove testimonianze. Nel recinto, oltre al grande anfiteatro capace di ben 25.000 persone, ci sono i ruderi di molte case, alcune con notevoli mosaici, fontane, forni e quant’altro. Mi stupisce che tutto sia lasciato al sole ed alle intemperie e me ne rammarico con un vigilante. Il teatro, il tempio dedicato a Traiano, tre terme, un acquedotto ed altro sono sparsi qua e là nella cittadina che, più in basso, sembra sonnecchi.

Quando esco sotto una statua che non so cosa rappresenti, e posta sotto gli alberi, in mezzo al verde, il sindaco celebra una “boda” (matrimonio) e tutti gli invitati sono sparsi nel giardino. E’ alquanto inusuale e penso ai nostri matrimoni alla Tomba di Giulietta. Fotografo il tutto ed esco.

Nel bar ristorante di fronte prendo del prosciutto iberico con vino. Ma non mi entusiasma perché è tagliato a pezzetti molto grossolanamente e perché mi viene servito su un panino grondante di olio per cui il gusto del prosciutto non è riconoscibile. Poi mi avvio seguendo le frecce.

Tutto è semplice e ben segnalato, anche il sentiero di Emasea, una strada di servizio dritta e assolata che prosegue per chilometri. Ai lati frumento ed in lontananza il rumore dell’Autostrada. Per fortuna il termometro non segna molti gradi, ma il sole brucia. Io che ho solo la mia borsettina-zainetto non sono granché attrezzata, ma mi spoglio e proseguo felice. Data l’ora, sono le 13.30, in giro non c’è nessuno ed i Pellegrini mattutini saranno già arrivati. Conto di arrivare per le 15, perché così leggera e su una strada così piatta procedo velocemente. Sono così felice di poter camminare ancora e di questa spensieratezza; l’irritazione della mattina scompare per quanto ho visto e per tutto il verde (ma niente alberi) che ho intorno. Avanti, avanti, un piccolo aereo tutto giallo volteggia sopra di me e mi sembra di rivivere un film con Cary Grant. Sono anche preoccupata perché c’è vento ed il pilota si abbassa notevolmente verso di me poi, proprio quando la mia preoccupazione aumenta, lo vedo scomparire giù in un vallone e mi auguro non sia precipitato, forse cercava un atterraggio ed io glielo ho impedito?

Ma più avanti in lontananza vedo anche tre Pellegrini che mi precedono e mi chiedo: da dove siano sbucati? Ma non stanno andando avanti, stanno tornando e deviano in una stradina laterale a sinistra. A distanza li seguo, seppur titubante, perché le frecce indicano di proseguire dritto. Questo viottolo è fangoso e pesante in un modo indescrivibile e ci sono enormi buche create da grossi automezzi.

Quando a fatica sto per raggiungere i miei “colleghi”, incrocio un bellissimo andaluso, alto, giovane e dai magnifici occhi di velluto. Chiedo a lui spiegazioni e mi dice che questo non è il Camino e mi indica la strada che ho lasciato allora, sebbene contrariata, ritorno sui miei passi. Vuole accompagnarmi per un po’, ma ahimè molto lentamente. Scopro che è il pilota dell’aereo che spargeva anticrittogamici ed il proprietario dei campi limitrofi, ma parliamo di chilometri. Certo che con il suo baciamano “encantado” per avermi conosciuta, mi ha proprio incantata, e non ho riflettuto che se i Pellegrini tornavano indietro un motivo doveva esserci.

Il motivo, l’ho scoperto quasi subito, ovvero, dopo un chilometro in più. Ad ostruire la strada era l’Arroyo di…..

Questi arroyos, sono i corrispettivi dei nostri progni, in secca quando non piove, ma evidentemente dirompenti con le grandi piogge e, considerata la grande pioggia dell’altro giorno, questo è un vero e proprio fiume. Impensabile attraversarlo, tutto fangoso e scuro, oltre all’idea di sporco, non dà la possibilità di misurarne la profondità e la velocità dell’acqua. Sembra quasi un lago per quanto è largo e per come occupa il manto stradale. Saltando un piccolo rio laterale e sperando di non cadere scivolando nel fango, mi azzardo, a percorrere un piccolo sentiero fangoso all’inverosimile, probabilmente tentato da altri, che si addentra in mezzo all’erba altissima lateralmente all’arroyo. Procedo con grande difficoltà e lentamente per la scivolosità, per lo sprofondare e il trascinamento del fango che si appiccica sotto le scarpe. Tento di vedere ogni tanto se ci sia un guado, ma è impossibile attraversare ed allora sfinita ritorno alla strada principale, alla deviazione, al punto dov’ero arrivata, ma intanto i Pellegrini si sono dileguati.

Più avanti l’aereo giallo è parcheggiato su uno spiazzo e le profonde buche nella stradina che avevano destato la mia attenzione sono dovute ai suoi atterraggi; c’è anche la casa del pilota, ma tutto è chiuso e silenzioso. Altre tre deviazioni di strade che non so dove portino se non quando arrivo alla fine: al nulla in mezzo ai campi!

Non c’è nessuno a cui chiedere, perché alle 15 di sabato non c’è anima viva in quel deserto di verde. Adesso capisco perché fino alle 17 facciano la siesta. Oggi con la brezza frescolina si resiste al caldo, ma come sarà l’estate?

Sottopasso l’autostrada attraverso un tunnel ed al di là altra opzione di due strade a destra e a sinistra, ma nell’indecisione su quale prendere, finalmente una macchina con due donne viene dalla mia parte; anche se non hanno nessuna intenzione di fermarsi, mi butto, letteralmente, quasi sotto la loro macchina per bloccarle e chiedo come fare per raggiungere Guillena.

Ahimè non mi resta che tornare ancora indietro, raggiungere la statale per circa 3 km. ed al bivio con altri 4 km. sarò arrivata. Non c’è male come prospettiva di tappa corta e di arrivo previsto per le 5! Contrariata, ma arresa all’ineluttabile (non posso certo trovare un taxi in mezzo alla campagna), mi avvio per la strada indicatami, oltretutto la statale è alquanto trafficata. Nessuno che passa in macchina pensa tu abbia bisogno di aiuto, anzi bisogna fare attenzione al traffico intenso e camminare dalla parte opposta, perché qui corrono come pazzi.

Mi avvio velocissima, perché con la rabbia ho aumentato il mio standard di passo ed ancora prima del bivio raggiungo i Pellegrini. Dapprima mi affianco ad una donna che mi dice di essere olandese; è molto stanca ed affaticata (ma lei ha lo zaino che io oggi non ho). Procede troppo lentamente e così, anche se vorrei stare con lei perché mi fa pena e perché i due uomini avanzano più velocemente avanti, capisco che se mi adeguo al suo passo sono finita, per cui la saluto e proseguo. Supero anche il marito che si ferma per aspettarla mentre il primo Pellegrino, che li ha attesi molte volte, infine si è arreso e prosegue da solo velocemente, anche perché abbiamo superato il bivio e si sente l’aria di “casa”, il desiderio di una doccia e di riposare. Io poi sento male al piede, forse perché sto “tirando” un po’ troppo e sono terrorizzata all’idea di dover abbandonare il tutto quasi ancora prima di cominciare. Riesco a superare anche il primo Pellegrino che però lascia subito la strada per inoltrarsi in piccoli sentieri laterali, dove si sente più sicuro. Io, col piede che mi ritrovo, preferisco proseguire sulla statale e, dopo 6 km., non 4 come indicatomi, sono a Guillena poco dopo le 17.

Innanzitutto chiedo mi prenotino l’Hotel per domani. Mi dicono sia bellissimo, un 4 stelle per € 38,50, ma a questo prezzo non ho grandi aspettative: sulle stelle!

Inoltre nonostante mi dicano che nel paese alla sera non c’è Messa e nonostante il male terribile al piede, dopo la doccia e lavaggi vari di ropa, esco per arrivare all’inizio del paese dove c’è la Chiesa. Adesso arranco per il male ma in qualche modo arrivo. Queste chiese andaluse sono diverse da quelle del nord, ovviamente bianche e quasi squadrate. Questa è molto semplice e di epoca indefinita anche se l’interno in pietra conserva un bel retablo dorato.

E’ stranamente aperta perché anche qui ci sarà una boda ma, mi dicono, poi ci sarà la Messa. Sono le 19,30 ed, in attesa del matrimonio, entro in Chiesa. Dentro seduti ci sono due Pellegrini tedeschi, anzi la moglie è ungherese, mi dice l’uomo che parla un po’ di spagnolo. Così chiacchieriamo piacevolmente, sulla tappa di oggi, che non hanno fatto, sulla gente che arriva alla spicciolata, sui vestiti e sul tempo infinito dell’attesa. Sono tutti elegantissimi, ma in Chiesa ci sono praticamente solo donne, la maggior parte degli ospiti sono tutti fuori. Azzardo ad andare in Sacrestia per farmi porre il sello ed un bel giovane me lo mette volentieri chiedendomi da dove arrivi; è felice perché conosce Verona.

E finalmente arriva la sposa, un po’ attempata e non bellissima ma soprattutto alta quasi 2 metri; molto festeggiata e ammirata. Il suo vestito è antico, di pizzo avorio, ma soprattutto bellissima la sua mantiglia. L’uomo, di fronte a tanta giunonica matrona, risulta piccolo ed insignificante, ma tutti sono felici. Il matrimonio non finisce più per le numerose fotografie che vengono fatte, con i genitori, con i nonni, con i cugini, con gli zii, con le amiche e con gli amici, con i deliziosi 4 paggetti etc. etc,. Ed infine, sono quasi le 21, il Sacrestano viene a chiudere la porta principale della Chiesa invitando gli sposi ad andarsene. Fuori, Esperancia e Manuel, sono attesi da una tuna (piccola orchestra di studenti universitari in abito d’epoca) che canta e scherza su questo matrimonio.

Ma intanto la Messa inizia e l’omelia è dapprincipio stentata, forse perché il prete è un po’ contrariato per il rumore e per le lungaggini, ma poi a mano a mano che il rumore si allontana la Messa è più partecipata. Ed alla fine il cura (parroco) mi lascia allibita, chiede di pregare per i Pellegrini ed in particolare per una signora di Verona. Io non avevo chiesto nulla. Che dire? Mi ha commosso e come non avere Santiago al fianco dopo tutte queste preghiere? Il ritorno, nonostante la giornata, mi è sembrato più corto e meno faticoso, forse anche merito di una pastiglia antidolorifica, ma…..

Mi raggiunge la telefonata di Armando preoccupatissimo, sono le 22 e non gli ho ancora telefonato. In tutto questo frastuono di boda avevo scordato di farlo, che vergogna!

Sorpresa! Nell’Hostal non servono la cena, oggi chiudono per descanso (riposo) e la padrona mi invita ad andare, poco più avanti, alla Casa del Popolo, un po’ più scadente e più sporca del mio Hostal, ma buoni gli anelli di calamari con insalata; € 6 compresa l’acqua, ma piccola. (più caro di ieri).

Rientro in camera e per oggi è proprio bastante. Ma ho freddo e male al piede e nonostante il silenzio di oggi (il bar è chiuso) non riesco proprio a dormire. Allora mi rivesto, ungo il mio piede con pomata antidolorifica, prendo una ulteriore pastiglia e pian piano il sonno mi accoglie e mi rasserena.