7° Giorno

Giovedì 6 maggio

MARKINA XEMEIN – GERNIKA LUMO

(Km. 25 circa)

Uscendo da Markina, poiché noto nuovamente le cave sulle montagne, il taxista mi dice che, anche se appaiono nere, né estraggono un marmo simile a quello di Carrara, anzi lo spacciano per tale, ma non so se loro, o i nostri Carraresi. Per strada mi racconta di tutto, anche che sul Monte Oiz di mt. 1026 (il più alto della zona ed oggi tutto innevato), 10 anni fa vi è stato un pauroso incidente aereo con 148 morti e mi descrive le modalità dell’impatto. Dopo circa 6 o 7 km., mi lascia sulla cima di una montagna, davanti alla Collegiata e naturalmente sotto una pioggia insistente ed un forte vento.

Il Convento, ora dei cistercensi, è molto articolato e protetto da un recinto di pietre. È ben curato, accogliente e deserto. Mi giro intorno in mezzo ai diversi fabbricati che compongono il complesso. C’è un bel chiostro, ma soprattutto è bellissimo il portico in legno che corre davanti alla chiesa, la torre, la casa dell’abate e dei chierici. Nel silenzio del luogo, l’acqua che cade, la luce del mattino che stenta ad arrivare, tutto ha un sapore di medioevo. La Collegiata è del XIV sec. ma la tradizione narra che nell’anno 968, nel giorno dell’Assunzione della Vergine, un’aquila entrò nella chiesa di Santa Lucia in Garai (una della tre chiese di Munitibar, un paese vicino) e prelevò un teschio dall’ossario della chiesa, mentre veniva celebrata la messa, lasciandolo poi cadere sul luogo ove oggi sorge Zenarruza. In ogni caso i primi documenti sulla chiesa risalgono già al 1082 ed anche qui vi è una bella statua di Santiago Matamoros. Ospita anche i Pellegrini, come da sempre, quando era l’unico Hospital di Biscaglia, fondato per volere di Juan I di Castiglia nel 1386; certo che arrivare fin qui non è uno scherzo. Anche l’interno della chiesa è gotico con una navata, ma con più cappelle.

C’è un fratino, giovane giovane, che corre di qua e di là a preparare per la Messa. Gli chiedo il sello e velocemente, ma proprio velocemente me lo mette sulla mia credenziale, però in un locale all’ingresso del recinto che funge da piccolo negozio di souvenir. Acquisto, ma velocemente, vista la premura, un rosario per Nonna Bianca. Poi lui chiude mi indica la strada e corre via. Corro anch’io in Chiesa perché con un tempo simile non ho nessuna voglia di iniziare il Camino, anche perché sembrano le 5 del mattino. Quando entro in Chiesa, credo di essere entrata in un racconto di Eco: 3 frati panciuti e vestiti con un saio bianco attendono impazienti e contrariati il “mio” fratino ed un altro, giovane, sta seduto, in attesa, ad un piccolo organo; il fratino sta uscendo dalla sacrestia e sta indossando anche lui il saio bianco, ma non so se sorridere; resto in ogni caso colpita dalla lunghezza e larghezza delle maniche che arrivano oltre il terreno. Lui andando a sedersi in un posto ben definito, le arriccia velocemente sui polsi ed inserisce una mano nella manica dell’altra in modo che tutta questa arricciatura penzoli davanti a lui. Si siede ed allora tutti iniziano lodi e litanie, ma in basco. Mi sembrano cavalieri d’altri tempi, templari con i loro misteri, ma poi l’altro fratino suona così male che ahimè l’incantesimo si rompe; li abbandono nel loro 1300 o giù di lì.

Sotto il portico mi attrezzo per la pioggia e parto. Ma non vado verso la direzione indicata dal chierico, chissà perché, ma tutti quei boschi fitti stamani mi incutono paura ed allora preferisco scendere dalla montagna verso il paese sottostante, a 2 km. circa. La discesa è naturalmente ripidissima e dopo poco arrivo a Bolivar, paese che ha dato i natali a Simon Bolivar libertador del Venezuela e c’è pure un Museo a lui dedicato. C’è anche una chiesa fondata dalla sua famiglia già nel X sec., ma poi distrutta e modificata più volte, anche se conserva tuttora l’aspetto di fortezza. Riguadagno la statale e mi compiaccio della mia furbizia (credo di aver risparmiato 6 km. di dura salita), ma sono punita ancora una volta, perché la strada inizia a salire, a salire, a salire e sono curve e traffico e acqua e vento e non finisce mai. Quando scorgo la fine di una curva, credo sempre di aver raggiunto la cima e che poi scenderò, ma la strada sale e sale per almeno due ore. Quando finalmente inizio a scendere, arriva anche il sole. Dopo tanta strada finalmente incontro alcune case.

Sono nella parte opposta della valle, in alto, al di là del fiume. Vi è una bella chiesa ed, a quel che vedo, anche alcune splendide ed antichissime case. Forse varrebbe la pena andarle a vedere, ma come al solito ogni fatica in più costa. In ogni caso realizzo che è un paesino che insieme ad un altro più in basso e più avanti, costituiscono il nucleo di Munitibar. Mi fermo ad un bar ricavato in una casa antica. Dentro è molto gradevole con i suoi muri di sassi ed il suo arredamento di legno. Vi sono molti giovani che conversano, qualche minuto di riposo nel loro lavoro, ed un padrone gentile. Non ha tapas ed allora si offre di darmi queso e prosciutto crudo serrano (perché di serra; montagna). Entrambi ottimi. Il tutto per 5 Euro.

Mancano ancora 13 km. per arrivare a Gernika. Sono le 12,30 ed allora via. Subito incontro una piccola chiesa dedicata a Santiago che naturalmente è chiusa. Proseguo ammirando qua e là le ultime costruzioni del paese. Sono felice, finalmente un po’ di sole e di calore. Proseguo per alcuni, pochi, chilometri ed un camioncino si ferma offrendomi un passaggio. Sono coraggiosa, però sospettosa, ma il piccolo uomo sorridente che mi vuole aiutare non merita il mio rifiuto. Quanto ho desiderato un passaggio nella lunga salita, lo ho quasi implorato, ma niente, ed invece ora che non mi serve e che la strada è tranquilla e non piove, ora arriva l’aiuto. L’omino mi chiede dove vado e dico che vado a Gernika ma che sono una pellegrina e che desidererei andare a piedi e che quindi accetterò il suo passaggio solo per un paio di chilometri. Lui allora gentilissimo, devia dalla statale per raggiungere un luogo interno, da dove avrei potuto riprendere il Camino. Intanto mi racconta che sta tornando da Munitibar e che va a Gernika. A Munitibar ha un caserio con molti cavalli soprattutto, ma anche mucche e capre. Ci va dal lunedì al giovedì, mentre gli altri giorni rimane a Gernika con la sua famiglia. Mi racconta di aver lavorato in Colorado ed in California per 5 anni e l’avrebbero anche richiamato, ma la sua famiglia gli ha detto “basta”. Ha due figli, uno sposato ed una bambina ancora piccola. Conosce anche Verona e nella sua semplicità mi commuove. Che animo gentile! Quando lui mi lascia davanti al bar di Mendata lo invito a prendere qualcosa, ma mi lascia e corre via. Sono commossa. Non so se ho risparmiato tanta strada con questa deviazione, ma comunque certamente almeno 2 km.. Entro al bar per farmi mettere un sello e localizzarmi. Chiedo se il Camino da qui è su asfalto o in mezzo all’erba, non vorrei bagnarmi troppo i piedi, che però sono già zuppi, perché con l’acqua arrivano anche le vesciche, visto che quest’anno ancora non si sono fatte sentire. La strada quasi deserta passa in mezzo a boschi bellissimi, quasi alto-atesini e mi sento a casa. Peccato che dopo un paio di chilometri, e l’attraversamento di un piccolo paesino, si immetta nuovamente nella statale e piova di nuovo. Proseguo per qualche chilometro sulla statale e dopo una grande curva mi appare il cupolone di una chiesa. La Chiesa neoclassica non è granché vista da vicino, perché dopo tante meraviglie gotiche, questa sembra stonata in mezzo al verde e così isolata. Mi fermo per chiedere se per Gernika, che già si vede proprio là in basso, esista una scorciatoia. Mi rivolgo ad un uomo tutto “rubizzo” e con un enorme pancione, mi dice che, sì, esisteva un sentiero per i Pellegrini, ma che è inutilizzato da troppo tempo, per cui se ne sono perse le tracce. Mi chiede anche se voglio vedere la chiesa, perché è aperta solo per la Messa del sabato sera. Anche se non m’ispira, per farlo felice, gli dico di si, allora entra in una casa e ne esce con una enorme antica chiave. La Chiesa dell’Assunzione, all’interno è devastata dalla muffa e dalle crepe, ma l’amore dell’uomo che da generazioni ha in cura la chiesa, mi commuove. Era molto venerata nella zona e la gente veniva da Gernika per assistere alle celebrazioni, in particolare a quelle dell’Assunzione, ma la gioventù ora, mi dice, non va più in chiesa. Ora la Messa della domenica la dicono in una cappella per 60 persone, ma non ce ne sono mai più di 35. La gente dei dintorni, (ora con la macchina) va a messa a Gernika ed in orari più comodi; ed in tutto questo rammaricarsi mi consiglia la strada da seguire. Lo ringrazio, lo lascio e proseguo. In discesa, dopo pochi chilometri, raggiungo Gernika ed il mio albergo; uno dei migliori della città. È tutto nuovo, ricavato in un vecchio palazzo, (la guida dice che è storico ma non è antico, come credevo) che, scopro, era la vecchia maternità. (Hotel Gernika Euro 48,49)

Gernika-Lumo, all’inizio della ria è la città simbolo dei baschi. Qui vi è la famosa quercia dove si svolgevano le riunioni delle Giunte Generali fino al 1876, quando furono aboliti i Fueros. Le Giunte furono ripristinate nel 1979 ed attualmente si svolgono nella Casa delle Giunte. La città ha una forte carica simbolica soprattutto dopo il terribile bombardamento del 1937 che la distrusse quasi completamente. Pablo Picasso, con il suo celebre quadro, né immortalò la fama.

Quando esco per visitarla, cerco subito la sua Chiesa che è notevole, su per una lunga ed imponente scalinata. Sotto vi è il Municipio, forse in parte ricostruito, ma con tutto il fascino dell’epoca. La chiesa di Santa Maria mi colpisce, perché nel restauro hanno colorato porte e contorni in blu elettrico. Una cosa simile l’ho vista solo ad Edimburgo, ma là il portale era rosso fuoco. Comunque questo azzurro così carico in mezzo a tutta questa pietra è un pugno nello stomaco. Quando, aggirandola, trovo un piccolo ingresso su per una lunga scala che arriva nel retro dell’altare (di servizio probabilmente, ma almeno è aperta), vedo che questo azzurro è stato usato anche all’interno, moquette, lampadari e non so quant’altro. Hanno però tolto molte suppellettili in modo che all’interno né risulti evidenziata la sola architettura e qualche rara scultura. (Le chiese basche però sono quasi tutte così) Mi faccio mettere il sello non senza meraviglia per questo andar sola.

Dietro la Chiesa vi è il Museo Euskal Herria in un Palazzo del 1733, ma con origini di casa torre. Il Museo è nel Parco Europa con un monumento dedicato alla pace. Anche il Museo racconta, con documenti, quadri, mobili e suppellettili, la storia dei Paesi Baschi, dei Fueros e delle Giuntas inneggiando alla pace. Esco e trovo aperta l’Oficina del Turismo che però non mi è di molto aiuto per cui ceno velocemente e rientro in Albergo. Sono un po’ in ansia per l’indomani perché non ho ancora riservato l’Hotel ed il percorso è tutto da inventare. Da Gernika a Bilbao vi sono più di 45 km. e l’unica possibilità intermedia è fermarsi a Lezama, che però ha un solo agriturismo sperduto fra i monti e non risponde al telefono; forse è occupato o l’orario è sbagliato, per cui cambio idea e decido di andare direttamente a Lezama con un automezzo e da lì a piedi fino a Bilbao. Do le indicazioni del caso al portiere dell’albergo, un ragazzetto sveglio e solerte. Dopo una decina di telefonate a Bilbao tutte a vuoto perché vi è una fiera del turismo, il ragazzetto ha un’idea brillante, si ricorda che dove abita a Gexto, in fondo alla ria di Bilbao, sul mare, vi è una bella pensione e da Bilbao, mi dice, si arriva con la metropolitana in 15 minuti. Acconsento, telefona e dopo lunga attesa, perché anche lì tutte le stanze sono occupate, riescono a trovarmi una stanza per la notte. A questo punto chiedo informazioni su un autobus che vada a Lezama. Lui non sa, telefona all’Oficina del Turismo, alla Stazione degli Autobus e delle Ferrovie, perfino alla Polizia Municipale, ma alla fine decido per un taxi e mi trova anche quello, per l’indomani alle 7. Insomma un milione di telefonate e tanto tempo speso solo per me e non vuole nulla. Ovviamente si aspetta e gli do una consistente mancia, ma mi ha risolto la giornata per l’indomani. Non solo, mi fornisce anche la piantina e dettagli per trovare in fretta la pensione di Bilbao. Lo saluto calorosamente e salgo in camera. Scrivo e guardo il telegiornale della sera. Qui inizia alle 21 e dura un’ora. Prima, in TV, già da qualche giorno e durerà fino al 22 maggio, parlano solo della boda (matrimonio) reale, perché il principe Filippo sposerà Dona Letizia. Poiché, grosso modo, non fanno nulla anche negli altri canali, mi sorbisco tutte le ipotesi sulla forma del vestito della sposa e degli invitati, nonché le opinioni di gente per me sconosciuta, ma che mi sembra non sia proprio felice di questo matrimonio fra una divorziata ed il principe ereditario (personalmente la trovo carina, disinvolta ed, almeno, da quanto ho potuto indovinare sentendola parlare, molto “interessata”). Arriva anche il telegiornale e mi colpiscono le parole “allertata la protezione civile per il vento e la pioggia che ha colpito la Cantabria ed i Paesi Baschi” ed è nevicato in Navarra ed in Aragona. Beh! Sotto quell’acqua e quel vento c’ero anch’io e per fortuna non mi è accaduto niente.