12° Giorno

Lunedì 21 Aprile 2008

Alcuescar – ALDEA DE CANO - CACERES

(km. 23 circa)

Alle 7,30 sono in partenza, ma ho dovuto aggiustare la tappa perché a Valdesalor non c’è Hotel e per arrivare da qui a Caceres dovrei percorrere 39 chilometri. Dopo quelli di ieri e volendo vedere anche Caceres (domani avrei altri programmi,) non me la sento di farli tutti. Per cui parto con il solito taxi che costa un patrimonio, perchè di autobus neppure parlarne. Il servizio autobus, è vero, in Spagna arriva dappertutto ma, (almeno qui) con orari e tempi per me impossibili. Pertanto aspetto che il barista, con molto comodo, ne chiami uno, anzi provvede un suo avventore che, per questo servizio, chiama il figlio.

E’ un giovane bruttino che arriva con una piccola di 4 anni piena di tosse e con la febbre e neppure si lamenta. Poiché stava male non è andata all’asilo e per non perdere l’affare ben € 29 per 16 Km. (non chiedetemi tariffe chilometriche che penso inventino al momento e poi c’è sempre anche il ritorno da pagare), il Padre l’ha portata con sé. Salto il paese di Casas de Don Antonio, antica mansio romana e con bel ponte romano-mediovale e mi faccio portare alla Chiesa di Aldea de Cano.

E finalmente siamo in pianura o quasi. La Chiesa gotica è dedicata a San Martino. Ha un massiccio ma importantissimo campanile quadrato ed una torretta addossata per accedere al campanario (campanile). Il quadrante dell’orologio si nota perché, per rispettare gli spazi, è stato collocato sul fianco. Fu costruita alla fine del XVI sec. anche se poi è stata molto trasformata. Il paesino è grazioso e conserva qualche bel palazzo.

Fuori, lungo il Cammino, un paio di miliari, ed un piccolo dolmen un po’ defilato (ma non me ne accorgo). L’attraversamento del campo da volo è un po’ “troppo bagnato” ma, subito dopo alcuni scavi archeologici romani, l’arroyo, finalmente, si può attraversare su cubi di cemento.

Ma oggi è una giornata di sorprese e dopo tanta natura e romanità incontro il Castello de Hirguijuela de Abajo (basso). Sembra uscito da una favola e subito dopo ce n’è un altro, un po’ più malandato, ma della stessa famiglia de Hirguijuela però de Arriba (sopra), entrambi del XV sec.

Piove ancora e c’è molto freddo, ma oggi c’è meno vento e poi per fortuna smette. Tutti questi cambiamenti mi riportano al Camino del nord, sull’Atlantico. Prima di entrare in Valdesalor si attraversa anche il fiume Salor su un bel lungo e vecchio Ponte de la Mocha. Gli scavi archeologici, qui vicini, hanno portato alla luce 160 denari romani dell’ 81 a C.

Valdesalor è invece moderna, fondata nel 1960 dopo la bonifica dei suoi territori, da 60 contadini che confluirono dai dintorni e a cui furono affidati 6 ettari di terra coltivabile.

Scappo velocemente ignorandola. Tutto intorno è arida pianura o quasi, con molte pecore, qualche ulivo, qualche quercia e molti fiori azzurri e gialle ginestre. Poco dopo, quando il Cammino attraversa nuovamente la Carretera lo abbandono per correre avanti perché, penso, tanto Caceres sarà subito lì.

In realtà dovrò camminare ancora per più di 2 ore per la solita insignificante periferia e scendere e risalire perché la città è tutta in alto, ma l’Hotel Alfonso IX (€ 50) con la sua bella stanza calda mi rincuora molto. Ho pagato in più per avere la stanza più grande dell’Hotel perché di singole non ne avevano disponibili. E’ nella zona pedonale bassa, al di fuori delle mura e a pochi metri dalla Plaza Mayor.

Dopo i lavaggi di rito esco alla scoperta della città: sono le 13 passate. Vicino all’Hotel c’è un tradizionale rustico bar pieno di gente e, al solito, di fumo, ma entro comunque perché l’aspetto mi soddisfa. Infatti le tapas fra cui scegliere sono numerose. Immaginate: prendo nuovamente le orecchie di maiale, ma in altra versione, più buone e data la grande varietà di vini posso sceglierne uno della Rijoca: finalmente! Rinfrancata da tanto pranzo, ma per concludere prendo anche una pasta di mandorle in una pasticceria vicina, mi avvio verso l’alto alla scoperta di Caceres.

Per me è un’apparizione, sono presa dalla sindrome di Sthendal perché non so da che parte andare poiché tutti gli angoli e le vie con i loro palazzi e palazzetti, torri e torrette, blasoni, archi e bifore e con l’acciottolato d’altri tempi; sono stupendi. Continuo a fotografare come una forsennata ed a salire.

Ancora lì indomita

dopo secoli di orgoglioso trionfo.

Ancora lì per noi

a ricordarci un eroico passato di principi e di cavalieri,

di nobiltà, lealtà e giustizia,

quando passi strascicati

non offendevano le pietre delle tue mura.

Noi non ci saremo per raccogliere il tesoro della storia.

Il luogo è incantato e sembra di entrare nel medioevo (ma le costruzioni sono per lo più state edificate o rimaneggiate in epoca rinascimentale). Assomiglia, se non fosse per blasoni, decori ed influenze mudéjar, ad un paese della nostra toscana, una San Gimignano spagnola. Ha moltissime torri, quasi tutte mozzate all’epoca di Isabella, perché i loro proprietari non erano politicamente dalla sua parte. Insomma tutto mi piace e mi fa sognare.

Quando dopo aver girato come una pazza nella città vuota e silenziosa mi fermo al Parador una simpatica cameriera in costume, a cui chiedo il permesso per fotografarla, mi serve una nuova fetta di torta (ahimè la linea e la glicemia) e un succo d’arancia. Mi fermo un bel po’ per riposare, ne ho proprio bisogno e così finalmente scrivo le mie cartoline. Il Parador, almeno per quel che vedo, non è dei migliori, forse un po’ tetro e non molto curato negli arredi.

Inoltre, poiché sono interessata a tre cose: una nuova guida del Camino, alcuni CD di musica popolare ed un presepio, dopo i vari e vani tentativi lungo la Via, mi dedico alla loro ricerca: non facile. Dopo ripetuti tentativi trovo il presepio in un negozio di casalinghi (ma me lo devono andare a prendere in magazzino e devo ripassare). Ne acquisto uno piccolo di barro, perché poi lo devo portare, fatto da un’artigiano di Murcia.

Di guide neppure parlarne!

Per la musica i negozi hanno tutti chiuso perché, mi dicono, che tutti i chicos adesso scaricano la musica da Internet. Non paga di queste informazioni, poiché a Siviglia ed a Merida mi avevano consigliato di rivolgermi a El Corte Engles, dopo aver chiesto informazioni ed atteso l’autobus pazientemente, raggiungo la periferia per trovare i miei CD.

Che delusione! Qui El Corte Engles non è un grande magazzino lussuoso e carissimo come ero abituata a trovarlo in tutte le città spagnole, ma una bolgia di rimasugli di solo vestiaro (scontati del 50%, quindi sempre cari), come sulle nostre bancarelle; anche peggiore forse, perché alcuni vestiti sono sporchi o rotti. Quando esco, molto amareggiata per il tempo sprecato inutilmente, mille suoni mi bloccano e 5 vigilantes escono da ogni luogo per impedirmi l’uscita. Che esperienza indimenticabile! E’ vero mi rincuoravano e mi dicevano di stare calma; io calma lo ero perché sapevo di non aver preso nulla, ma l’essere osservata con riprovazione da mezzo magazzino non è stato piacevole. Non solo, pur con molta gentilezza, ho dovuto svuotare la mia borsettina magica con macchina fotografica, registratore, acqua e biscotti, fazzoletto e guide e non so quant’altro e tutto, io per prima, veniva messo sotto il tester alla ricerca di cosa avesse fatto suonare l’allarme. Allarme dovuto, infine, ad una piccola banda magnetica sulla ricevuta di una scheda SD (sono diventata brava, parlo tecnicamente) per la macchina fotografica. Sto dicendo che ho lo scontrino del mio acquisto fatto a Merida, ma mi invitano a tranquillizzarmi, in effetti non dovevo spiegare nulla, nel magazzino vendevano solo vestiti! La cosa strana è che l’allarme non aveva suonato all’entrata. Molte scuse e molti ringraziamenti ed appena uscita ho gettato la garanzia per non incorrere nuovamente in un’ avventura simile, mai capitata in vita mia.

E quando esco piove. Aspetto mezz’ora perché arrivi un autobus per riportarmi in città perché non so neppure dove sono e che direzione dovrei prendere per rientrare. Anche quando smette di piovere tengo la mantella per ripararmi dal freddo perché ora, che non sto camminando, 2 maglie di cotone e due felpe sono appena bastanti a non farmi battere i denti.

L’autobus mi lascia in Piazza di Spagna e, da lì, pian piano scendo alla Piazza Mayor. E’ il punto nevralgico della città con il Municipio, i giardini al centro, una Ermita de La Paz ed i lunghi portici.

Mi siedo ad un caffè con i tavolini, ora, al sole; scrivo un po’ e poi ceno con un pezzo di pizza ed una birra. Qualche Pellegrino ogni tanto attraversa la piazza, ma per lo più i turisti sono tutti spagnoli. E’ piacevole e rilassante rimanere lì ma ormai è tardi, sono passate le 20 rientro e, bella sorpresa, i termosifoni sono accesi. Che felicità dopo tanta acqua e freddo! Vengo svegliata da alcuni fuochi d’artificio che annunciano la festa di domani.