11° Giorno

Venerdì 13 maggio 2005

VILLAVICIOSA – Pola de Siero - OVIEDO

(Km. 24 circa)

Parto prestino e mi tocca girare un bel po’ nel silenzio della città ancora addormentata, prima di trovare un bar aperto per un caffè. Poi mi avvio nella brumosa mattinata che richiama mosti e vendemmie. C’è molto umido, ha piovuto anche stanotte, ma ora c’è il sole; per quanto durerà? Mi dirigo ad una chiesetta a circa un chilometro fuori della città. Ci sono altre industrie di sidra ed una scuola Maliayo (nome antico di Villaviciosa).

La Chiesa è quella di San Juan de Amandi. E’ romanica del XII sec. ma con portico del XVIII sec. Il suo portale è splendido e conserva decorazioni nell’abside esterna; essendo chiusa (aprirà forse alle 11,30), non posso vedere il suo magnifico e decantato interno. Più sotto ci sono ancora le case del piccolo sobborgo, che denunciano un’antica origine. Mi fermo per un altro caffè e poi via, attraverso un ponticello medievale in pietra che supera il rio Valdedios, e avanti, in salita, per recuperare la statale che va a La Parra e da lì a Casquita.

Questo è letteralmente un paesino di quattro case con una piccola cappellina, ma per i Pellegrini è importante perché qui vi è la biforcazione del Camino. Uno prosegue per Gijon lungo la costa, un altro si addentra all’interno per il Camino Primitivo verso Oviedo. Io scelgo questo, che seguirò fino ad Oviedo, perché in questo tratto ho molte cose da vedere. Per cui proseguo sempre in salita e talvolta con il rio al fianco. Una modesta casa con un prato bellissimo e varie ochette, che si deliziano fra il prato ed il fiume, attirano il mio sguardo. Il proprietario mi dà conferma sul cammino e mi saluta. Ed ancora tanta salita fino a Camola ed alla Chiesa di San Juan, romanica del XIII sec., che sorge solitaria in alto su un’altra collina solitaria. Quando arrivo in alto, al centro del paese, 4 strade biforcano: mi guardo intorno in cerca di segnali ma, quasi ancor prima di arrivare, una signora esce di casa per indicarmi il Camino e mi assicura che, più avanti, ci saranno segnalazioni. Mi fa tenerezza per la tempestività della cosa e perché penso alla sua curiosità e mi domando da quanto mi stava osservando. Ringrazio per la sua cortesia ed ancora su, in mezzo a pascoli argentati per la pioggia e su e su e poi finalmente giù, ma, ahimè, scorgo già la nuova ripidissima salita che mi sta di fronte. Comincio ad essere stanca, mi sento morire. Oggi non ho fiato, faccio fatica a proseguire. In fondo, prima della grande nuova salita, c’è una stradina cementata curva e nascosta; ma sulla strada, c’è una macchina, parcheggiata in malo modo (tanto non disturba nessuno), che occupa tutta la piccola carreggiata.

C’è anche una casa in mezzo agli alberi e due uomini stanno parlando, mi sembra animatamente. Allora mi faccio coraggio e, poiché penso che la macchina parcheggiata così debba andarsene al più presto, chiedo un passaggio fino in cima alla salita. Immediatamente uno dei due uomini lascia l’altro e mi apre la portiera per salire. Quando siamo in cima all’erta, saranno 300 metri, gli dico che mi bastano e che mi può lasciare; ma neanche parlarne, anzi è lui che vuol parlare, ma faccio fatica a capirlo. E’ stato operato di un tumore alla gola e quindi emette solo suoni gutturali, quando addirittura la voce gli manca del tutto, occlusa dalla saliva perché, nell’ansia di parlarmi, è tutto agitato. E quando non riesce a compiere la sua frase, addirittura batte i pugni sul volante con una certa rabbia. Ma non è iroso o cattivo, semmai il contrario. E’ una persona adorabile e mi fa un po’ pena. Mi porta, nonostante io gli dica più volte di lasciarmi in tal posto od in tal altro, addirittura fino al Monastero di Valdedios, passando sul percorso del Camino in mezzo a sassi e pozzanghere. E’ vero che la sua macchina è vecchia e malandata, ma questo Camino con certi botti sottostanti non le avrà certamente giovato. Credo mi abbia risparmiato almeno 4 chilometri ed alle 10,30 attendo l’apertura delle 11 per visitare il complesso. Prima di andarsene, mi dice che per il Salvador de Valdedios è il minimo che può fare, visto che lui gli deve la vita. Se non fosse per la sua malattia, che l’ha reso timido e limitato, sarebbe anche un bell’uomo. Non accetta neppure un caffè e se ne va sorridente e felice. Siamo entrambi emozionati, io per quanto ho ricevuto, lui per quanto ha dato. Questi asturiani non finiscono di stupirmi!

Nel recinto del Monastero, innanzi tutto, si nota la piccola Chiesa preromanica di San Salvador de Valdedios (detta anche il Conventin). Eretta nel IX sec. sotto Alfonso III, destituito dai figli, faceva parte del palazzo in cui si ritirò e di cui oggi non vi è più traccia. Costruita dove c’era un Convento dei Benedettini, sostituiti nel XIII sec. dai Cistercensi, la Chiesa, conosciuta anche come Cappella dei Vescovi, fu consacrata nell’893 alla presenza di sette vescovi. Di pietra, ha pianta basilicale e testata tripartita, con la navata centrale separata da quelle laterali da quattro archi a tutto sesto; presenta volte in muratura. L’interno, molto sobrio con tre cappelle laterali, conserva resti d’antichi affreschi di stile mozarabico e bei capitelli a tema floreale. Belle le gelosie in pietra che chiudono le finestre. Mi colpisce, prima di entrare, il fatto che ai lati dell’antiporto ci siano quelle che io ritengo fossero state tombe. Invece mi informano che erano rifugi per i Pellegrini. Ad un lato è stata aggiunta la cappella dei vescovi con una lapide, che ha inciso quella che si ritiene una preghiera del Re.

Nel complesso esiste tuttora un’Hospederia ed il Monastero di Santa Maria de Valdedios. La sua Chiesa romanica è originaria del XIII sec. e fu costruita dai Cistercensi. Il Chiostro è del XVI sec. mentre gli annessi edifici di servizio sono del XVII e XVIII sec. Il Monastero, però, è tutto coperto da enormi impalcature che ne impediscono vista e visite. Il portale d’accesso alla Chiesa mozarabica, con importante Cappella gotica, dà, in ogni caso, l’idea della maestosità del luogo religioso. Da qui la vista nelle dolci colline intorno al rio Valdedios spazia lontano. I luoghi scelti sono sempre preminenti sulla valle e sempre splendidi. Suono alla porta del Convento per farmi fare un sello, che dopo molta attesa, prima e dopo, finalmente mi viene posto, ma tassativamente mi “sbattono” la porta in faccia, non mi fanno proprio entrare, neppure nell’atrio in modo che io possa sbirciare dentro.

Allora riprendo il mio Camino per Ambas, non senza sbagliare e tornare indietro. Ad Ambas, dopo un desvio dalla carretera, c’è la Chiesa de San Pedro, naturalmente chiusa e deludente, talmente rimaneggiata che sembra costruita a fine ‘800. Ha un campanile alquanto strano e la sua importanza è data dal fatto che in essa si conserva un pannello di seta che, si dice, sia stato ricamato dalla Madonna. Intanto il cielo si fa di un nero impressionante, io ritorno alla statale e riesco a sistemarmi sotto ad una pensilina degli autobus. Uno è appena passato, quando inizia un altro finimondo come quello di ieri. Pioggia, grandine, vento e torrenti d’acqua sconvolgono la statale dirigendosi al basso. Attendo con pazienza, e con un po’ di timore, che spiova o quantomeno che l’intensità si riduca. E poi, non appena diminuisce, mi copro ed avanti sotto la pioggia ed in salita, tanta salita, tanto verde, fino ad Arbazal. Qui c’è la Chiesa di Santa Maria del XVI sec. addossata ad una del XIII sec. Poi ancora salita fino all’Alto della Campa. Sono esausta! Ci sono bei panorami ed è ritornato il sole, ma non ne posso proprio più; vorrei fermarmi, trovare qualcuno che mi porti a destinazione, ma non c’è proprio nessuno. Poi, finalmente, discesa, ma non è il massimo neppure questa. Passo da Figares e La Carcabada, tanto i piedi procedono da soli, per inerzia, e raggiungo La Vega (un altro paese con lo stesso nome), capitale del Comune di Sariego, dove c’è il Rifugio per i Pellegrini e belle Chiese romaniche vincolate al Camino (Santiago, San Roman e Santa Maria de Narzana dei sec. XII o XIII). Non è un gran paese, in tutti i sensi, e, stanca come sono, non lo degno neppure di molta attenzione; ora non so se proseguire o fermarmi qui. Ho prenotato l’Hotel ad Oviedo in previsione della lunga periferia industriale che mi dovrebbe attendere dopo Pola de Siero ed anche perché domani devo proprio essere ad Oviedo, perché domenica la “Camera Santa” sarà chiusa e lunedì sono chiusi gli altri Musei. Cerco un autobus, sono le 14 e non c’è nessuno in giro e dovrei attendere fino a sera; allora con l’ultimo coraggio (tanto la strada dovrebbe essere finalmente pianeggiante), mi incammino per gli ultimi 9 chilometri che mi restano. Sono sulla statale ed il panorama non è granché, anche perché effettivamente iniziano le industrie. Passo attraverso innumerevoli paesini, ma abbastanza velocemente e verso le 16,30 sono a Pola de Siero. E’ proprio moderna e brutta, od almeno non lo so, perché non vado certo in cerca del centro storico. Al primo bar di periferia, mi fermo, bevo un succo d’arancia e mi faccio chiamare un taxi che mi porti ad Oviedo. Non m’interessa vedere se c’è un autobus o se qualcuno mi può dare un passaggio; desidero solo arrivare e riposarmi un po’. Per oggi la mia giornata è bastante.

In meno di mezz’ora sono davanti all’Hotel Clarin (Euro 60), molto lussuoso e centrale e non esco neppure per la cena. Per la prima volta, dopo tanta salita, sono distrutta!